La disperata difesa della purezza nella desolazione della periferia romana. I cuori di Agnese e Stefano che si rincorrono, si cercano, si respingono. La paura del diverso e del cambiamento al margine-frontiera di una metropoli che sembra aver smarrito la sua identità.
Agnese (Selene Caramazza) corre a perdifiato attraversando la desolazione della periferia romana. Stefano (Simone Liberati) la rincorre, la raggiunge, la sorprende. La prima sequenza di Cuori puri (presentato al Festival di Cannes 2017 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs), scandita dalla concitazione della camera a mano, delinea in maniera sufficientemente dettagliata il ritratto dei due giovani protagonisti. Forse troppo dettagliata, visto che il film, per i 114 minuti complessivi, riesce ad andare poco oltre l’impressione dei primi minuti, peraltro già anticipata dall’ampio e dettagliato trailer di promozione.
Agnese ha diciotto anni e divide il suo tempo tra gli incontri in parrocchia e una madre (Barbora Bobulova) che (dalla storia non si comprende bene per quale ragione) approda a una religiosità all’apparenza caritatevole, fatta di volontariato e di accoglienza, ma nella sostanza asfissiante e retrograda: la sua ossessione diviene quella di preservare la purezza di sua figlia, assicurandosi che la ragazza arrivi vergine al matrimonio.
Anche Stefano deve fare i conti con dei genitori che soffocano ogni tentativo di riscatto di un ragazzo nato in una “zona difficile” e in una “famiglia difficile”. Trova lavoro prima come custode in un centro commerciale, poi, proprio come conseguenza del concitato inseguimento da cui prende avvio la storia, come vigilante nel parcheggio di un supermercato. Il parcheggio “confina” con un campo rom: Stefano proverà in ogni modo a difendere la purezza del suo territorio, che significa difesa del suo lavoro, dei suoi genitori che subiscono uno sfratto mentre il resto del mondo sembra avere a cuore unicamente l’accoglienza e l’integrazione degli stranieri.
Sullo sfondo la città di Roma che, come avvenuto con Fortunata di Sergio Castellitto (i due film condividono anche la bella prova di attore di Edoardo Pesce), ha portato sulla Croisette la desolazione i margini-frontiera di una metropoli: non ci sono muri, ma reti e fili spinati, che custodiscono il disperato tentativo di restare aggrappati a un’identità probabilmente perduta.
L’opera prima di Roberto De Paolis rappresenta certamente un’interessante pagina di cinema, scritta con una tecnica cinematografica ammirevole e con una scelta coraggiosa dei due protagonisti, sostenuti da attori d’esperienza quali Barbora Bobulova e Stefano Fresi. La sceneggiatura, a dir poco essenziale, fatica però a trasformarsi in autentica “storia”. Il tema della purezza, la quale diviene solo un’effimera illusione in una realtà che di puro sembra avere ben poco, non riesce ad imporsi quale chiave di lettura originale e l’andamento rallentato e dilatato del film restituisce l’impressione di un racconto nel complesso ridondante: a Cuori puri, sembrerebbe, manca quel guizzo in presenza del quale lo spettatore, una volta uscito dalla sala, non debba trovarsi a sperare che l’eredità del (preteso) neorealismo e del (preteso) cinema pasoliniano smetta di essere una catena anziché una preziosa fonte di ispirazione.
Data di pubblicazione: 01/06/2017
Scopri con un click il nostro voto:
0 commenti