Una bolgia dantesca nell’inferno di Napoli. Chi prende per buono il racconto cinematografico avrebbe paura ad affacciarsi in città. Il film non si fa mancare niente droga (overdose), prostituzione, miseria, naziskin, islam, accentuando sopra le righe il testo base di Ermanno Rea Napoli Ferrovia. Siamo dalle parti di Gomorra, Suburra, un genere mainstream che D’Amore replica ad oltranza ed abuso.
Pellicola scura, discontinua con un Servillo a tratti in difficoltà nell’assecondare le trame tortuose della sceneggiatura. Crudeltà violenza, irrazionale dominano la scena. Certo riesce poco convincente la conversione di Caracas, il protagonista che prima picchia gli extra-comunitari e in un amen si converte all’Islam, subito trascinato all’esercizio della preghiera in una lingua di cui nulla sa. Bisogna aver fiducia nella regia di D’Amore che nella recitazione non è de Niro ma neanche Favino, più solido personaggio in un altro film incentrato sul ritorno a Napoli per l’arte di Martone. Uno scrittore in crisi torna a Napoli e dopo essere stato scippato improvvisamente prende fiducia nelle risorse e nel vitalismo terreno degli adolescenti fino a trovare un terreno di amicizia apparentemente solida con Caracas. Che nel non fortunatissimo libro da cui è tratto lo script ha 55 anni, qui venti anni di meno ma qualche chilo in più e si vede quando corre. Si può scegliere tra due finali subliminali, ad abundatiam: il matrimonio tra il delinquente convertito e la sposa tossicodipendente oppure la morte dei due. Rispettivamente per mano dei fascisti e di un eccesso di eroina. Per la mestizia dello scrittore che però da questi drammi ha prodotto secondo la vulgata della critica immanente il suo libro più bello. Film di visione e di effetti forti, più che di dialoghi. Ma quello che più spicca è l’accentuazione di una Napoli maledetta e assolutamente poco solare.
data di pubblicazione:05/03/2024
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