Il basket dopo il calcio è lo sport più compulsato alla cinematografia americana anche se in questo caso ci si basa su un precedente spagnolo del 2018 (nel cinema nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si imita). La storia ha una sceneggiatura solida che oscilla tra il dramma e la commedia mantenendo un giusto equilibrio.
Non ha nulla di ironico il titolo che pure allude a una squadra composta da giocatori con disabilità intellettive. Affidati a un uomo che ha qualcosa da farsi perdonare dalla società, un intenso Harrelson, attore rotto a tutti i ruoli. Dunque la sfida è una rivincita per il coach che prima pensa a un incarico di routine ma poi si rende conto che sta cementando qualcosa di unico e diverso per le qualità specifiche dei propri. I ragazzi che allena hanno qualcosa da insegnargli e possono andare molto più lontano di quanto pensava quando aveva assunto l’incarico. Le interazioni tra il singolo e la squadra superano ogni considerazione sul basket e sugli handicap innestando un efficace circuito emozionale. Lontani dal mito dei Los Angeles Lakers ma immersi nella propria realtà di tutti i giorni. Così quel tecnico che aveva parlato di “ritardati” al momento del conferimento dell’incarico, si ricrede e rivive un immaginabile rigenerazione (dejavu al cinema) grazie alla spinta dei suoi nuovi amministrati. Il Marakovich dello schermo mutua il cognome di uno dei giocatori più famosi del pianeta NBA, Pete Maravich, ma senza alcuna connessione logica/imitativa. Film di sentimenti, a volte facile, di sensibilità di genere, che racconta la provincia americana. Lo schema del riscatto e del profilo basso è tutt’altro che nuovo ma la trattazione è dignitosa e, a tratti, convincente. Immaginabile un successo al botteghino in patria, meno pronosticabile nella più selettiva Europa.
data di pubblicazione:08/06/2023
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