Non ci sono più i maitre à penser di una volta. E quelli del passato sono rimpianti, ancorché non necessariamente profetici. In questa lunga rivisitazione all’indietro (che fa inevitabilmente parte del nostro DNA) la riscoperta di Berselli non è banale. Estratti di libri e di giornali a cui il tempo ha conferito la giusta distanza. Opinionista equilibrato, non estremista, affabulatore convincente, osservatore dei fenomeni italiani, a cavallo tra politica, costume, musica in una continua alternanza di argomenti alti e bassi. Un Umberto Eco senza la nomea di professore, un Beniamino Placido del terzo millennio, un massmediologo e convincente sui temi di attualità. Qui si leggono pezzi editi ma anche cinque novità mai pubblicate in un pastiche coerente, assemblato per argomenti. Berselli è graffiante senza essere caustico, estimatore di un’Italia valoriale non retorica, sfrondata di miti e luoghi comuni. L’assenza di moralismo è la cifra del libro. Con qualche acuminata punta di ferocia perché Berselli non può soffrire Oriana Fallaci e la punzecchia con osservazioni mordaci quanto condivisibili. Ma nel teatrino Italia i personaggi più citati sono anche quelli più commentati e/o sulla cresta dell’onda, diremo nazional-popolari, in senso gramsciano. Si passa con disinvoltura da Pasolini, a Moggi, da Grillo al Festival di Sanremo sempre distillando una scrittura preziosa e originale. Berselli sapeva scrivere bene ma la sua prosa era anche contenuto essenziale. Ne emerge la fotografia complessiva dell’Italia di qualche anno fa, un’immagine sempre valida. E i caratteri distintivi sono egoismo, superficialità, consumismo. Allo specchio una nazione non troppo diversa rispetto a quella descritta puntualmente ogni anno dal Censis. Il Paese delle vacanze lunghe e dei lavori brevi, del familismo e della raccomandazione. Con una burocrazia arcaica e una speranza di futuro sempre delusa. Berselli sembra sempre lì a commentare, con speranze di cauto riformismo più che di rivoluzione.
data di pubblicazione:17/04/2020
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