In una rassegna all’insegna dello sport non poteva mancare una pellicola sul tennis, disciplina di grande attrattiva per giovani e meno e molto seguita dal vivo e nelle televisioni.
Al cinema, però, il tennis non ha mai avuto la stessa fortuna. Qualche anno fa, Wimbledon ( film del 2004 diretto da Richard Loncraine , pur impreziosito dall’interpretazione di Kirsten Dunst, si rivelò un clamoroso flop , tanto per le maldestre riprese delle fasi di gioco che per la banale storiella imbastita. E persino in, Match Point (2005), di Woody Allen, le riprese delle partite risultavano involontariamente quasi risibili. Nel film proposto alla Festa del Cinema e premiato dalla giuria del pubblico, è vero casomai il contrario: le partite del Torneo di Wimbledon, 1980, ovvero la sfida fra due dei più grandi tennisti di sempre , sono decorosamente girate, credibili e a tratti avvincenti , mentre sono le vite fuori dal campo, seguite a mo’ di tragedia greca , a suonare francamente stonate. Peraltro, si intuisce facilmente che il regista, nella composizione del quadro psicologico dei due campioni, propenda decisamente per il connazionale a scapito dell’americano. Borg (bello e somigliante nell’interpretazione di Sverrin Gudnason, adulto, come bambino, in quella del vero figlio di Bjorn) è, infatti, misurato e corretto, sia pure interiormente dilaniato dalla prospettiva dopo quattro titoli vinti sul prato inglese, di poter perdere il quinto …nella storica finale a scapito dello “scavezzacollo” newyorchese . Mentre, John Mc Enroe (interpretato da Shia Lebouf , bravo ma poco somigliante all’originale) è una specie di discolo di talento , viziato, sempre pronto a contestare e insultare pesantemente arbitri e pubblico , incline all’ ira e al turpiloquio e , talmente incosciente o stupido , da trascorrere le serate prima degli incontri, bevendo e folleggiando in discoteca.
Chiunque capisca qualcosa di tennis sa che nessun atleta farebbe mai le cose descritte nel film la notte prima di un match di Wimbledon ( nella presentazione serale lo rilevava persino Panatta che non fu certo un francescano) e, al di là di qualche intemperanza, nella realtà, Mc Enroe fu, al pari di Borg, atleta vincente e amato dal pubblico per il suo estro e il suo gioco.
Per non farsi mancare nulla, la pellicola , nella sua ambizione di rendere “immortale” quella che fu solo una delle più avvincenti pagine del tennis moderno è appesantita da una colonna sonora drammaticamente struggente che sottolinea solennemente tutte le fasi della finale e – altra pecca da poco ,ma inspiegabile- nasconde i marchi dell’abbigliamento dalle divise dei protagonisti ( problemi di mancate sponsorizzazioni?). Al pubblico, però, il film è piaciuto ( applausi e Premio) e, si sa, il pubblico alla fine ha sempre ragione . Per i palati più fini, si rimanda ad altra occasione nella speranza di vedere finalmente un giorno un bel film sul tennis senza se e senza ma.
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