Due miti in uno. Il recentemente scomparso Roberto Calasso che rende un tardivo omaggio a un cofondatore dell’Adelphi, quella complessa e bizzarra figura di critico che risponde al nome di Bobi Bazlen. L’intreccio tra due estrosità, il biografo e la leggenda, produce un piccolo volumetto d’essai che per propri esclusivi meriti, si issa addirittura in classifica nelle gerarchie della saggistica. Sulla figura di Bazlen si sono già spesi Grazia Cherchi e, attraverso il romanzo, un’altra illustre perdita recente (Daniele Del Giudice). Calasso non ha la pretesa di riassumere in poche pagine una figura tanto complessa. Ma si esprime per frammenti, interpunzioni, brevi virgolettate, parafrasi a memoria secondo un fascinoso percorso ellittico, caro a chi conosceva di fama Bazlen, suggestivo per chi si avvicina per la prima volta a un’intellettuale che, udite udite, non ha mai iscritto un libro chiuso e compiuto. Per nulla preoccupato della fama, se non vigile alla stima e e alla complessità del mondo. Il riflesso di Bazlen ammicca più spesso alla filosofia che alla critica letteraria. Acume intuitivo al servizio della scoperta dei talenti. Era questa l’operazione a cui tendeva l’Adelphi, sin dalla scelta del nome, prima che una frettolosa valanga editoriale si rivolgesse alla quantità delle proposte dopo aver dissodato negli anni migliori la qualità. Lo slogan di Bazlen era eloquente nella sua semplicità. “Stamperemo solo i libri che ci piacciono molto”. Come intuite l’intento commerciale non era minimamente sfiorato dalla scelte editoriali. Daumal, Guènon, Walser, Zweig, Flaiano sono solo alcuni i nomi di una linea diritta che privilegiava le scoperte e l’esoterico, scuotendo con un sano anti-provincialismo i vezzi consolidati della società letterari italiana. Nel piccolo volumetto c’è un profumo di anni ’50, anticipatore di quella che sarebbe stata La Dolce vita. Bazlen ne è a suo modo un profeta inconsapevole, polemista puntuto che non risparmia Gadda.
data di pubblicazione:19/10/2021
0 commenti