L’ENIGMA DELLA CAMERA 622 di Joel Dicker – ed. La Nave di Teseo

L’ENIGMA DELLA CAMERA 622 di Joel Dicker – ed. La Nave di Teseo

Predestinato a primeggiare nelle classifiche dei libri più venduti in tutto il mondo è in libreria il nuovo romanzo del giovane talentuoso e fortunato autore svizzero. Ma qualcosa non va…

“Quando si vuole veramente credere a qualcosa, si vede solo quello che si vuole vedere”. Così nella quarta di copertina del nuovo robusto (632 pagine) romanzo dello scrittore ginevrino, autore di alcuni dei più clamorosi casi editoriali degli ultimi anni. Si potrebbe dire che dopo qualche iniziale difficoltà a farsi pubblicare (è lui stesso a raccontarcelo) non abbia mai sbagliato un colpo. La Verità sul caso Harry Quebert (2013), fu un successo planetario, ma anche i successivi, Il Libro dei Baltimore (2016) e La Scomparsa di Stephanie Mailer (2018) furono “best seller”, probabilmente a ragione.

Dickert ha la capacità di costruire ingranaggi quasi perfetti, sa descrivere i personaggi, sa muoversi, come il più scaltro e consumato dei registi, su piani temporali diversi, passato e presente, romanzo nel romanzo, cambi di ritmo continui che intrigano lettori di ogni latitudine. Evidente, quindi, che ogni sua novità venga accolta con entusiasmo. E’ accaduto, sta puntualmente accadendo, anche con, L’Enigma della camera 622 (già il più venduto in Italia e Francia), comprato a scatola chiusa e inevitabilmente destinato al successo.

Confesso di essermi entusiasmato per i precedenti romanzi di Dickert, ho giudicato La Scomparsa di Stephanie Mailer il suo migliore, ma…de gustibus…, mi sono pertanto fiondato nella lettura del suo ultimo robusto e complesso enigma. Aggiungo che fino a pagina 470 circa, quasi tutto è filato, as usual, a meraviglia. Il “quasi” è legato a un certo fastidio legato ad una certa ostentazione dell’autore nel raccontarsi romanziere di successo, ma, ci può stare. Come sempre, tutto procedeva a meraviglia”: c’era una storia, un delitto, un ambiente, meticolosamente descritto, personaggi dalla doppiezza giusta, c’era un Lui con l’aiuto di una Lei a investigare. Poi, qualcosa si è inceppato… Volutamente non vi sto raccontando la trama per due ragioni, primo perché è comunque “un giallo”, secondo perché dalla pagina che indicavo la trama subisce uno scarto improvviso (in negativo) che a mio giudizio porta il racconto dalle parti del Diabolik delle ottime sorelle Giussani…e non aggiungo altro. Magari non tutti troveranno scellerato “il colpo di teatro” dell’autore come il sottoscritto, ma, onestamente, tutto l’andamento finale del racconto è, diciamo, un tantino sopra le righe. Lascio ai lettori l’ardua sentenza e mi aspetto una versione cinematografica o seriale come da copione.

data di pubblicazione:3/07/2020

I TESTAMENTI di Margaret Atwood – ed. Ponte alle Grazie 2020

I TESTAMENTI di Margaret Atwood – ed. Ponte alle Grazie 2020

La Atwood è una gran signora della letteratura internazionale, di gran successo ed anche di gran talento, autrice, fra l’altro, dell’ottimo L’Assassino Cieco (2000) e ovviamente de Il racconto dell’Ancella (1985). Il suo stile è sempre fluido, la prosa sempre gradevole ed espressiva, una penna veramente bella ed elegante. L’autrice ci regala un nuovo bel romanzo, un racconto forte, potente ed intenso che torna a parlarci del mondo distopico già immaginato 35 anni fa nel libro che la rese famosa: Il racconto dell’Ancella. Chi non ha già letto questo libro o non ne conosce la storia? se non altro per aver visto l’omonima serie televisiva o averne almeno sentito parlare per i risvolti e le speculazioni politiche e sociali che ha messo in moto la sua pubblicazione.

C’era proprio bisogno di un suo seguito dopo 35 anni? Forse sì forse no, certo, forti devono essere state le pressioni dei tanti lettori, forti quelle editoriali, forti le spinte derivanti dalle evoluzioni/involuzioni della realtà politica di questi anni … la Distopia stava, in effetti, quasi divenendo realtà! La Atwood ha però avuto l’intelligenza di non lanciarsi in un banale seguito, troppo tempo è infatti passato dall’uscita del primo romanzo! Più che di “seguito” sarebbe infatti più corretto parlare allora di “sviluppo”. Il libro del 1985 è stato e resta un unicum a tutti gli effetti per intensità emotiva e per forza di impatto, assolutamente ineguagliabile ed irripetibile. Si tratta quindi, a ben vedere, di due romanzi ben distinti per qualità e spessore anche se basati sulla stessa base storica. Pur ritrovando le stesse situazioni, il tono ed il racconto sono ovviamente diversi.

Siamo 15 anni dopo nella realtà distopica immaginata, cambia il soggetto narrante, questa volta tre testimonianze femminili, complementari fra loro, raccontano da diversi ruoli sociali e da diversi punti di vista, gli ultimi giorni della terribile teocrazia, basata sulla purezza dei costumi e sulla sottomissione delle donne, che ha preso il potere in parte degli Stati Uniti. Quindi, non più lo studio psicologico e claustrofobico di una donna asservita e che sognava la libertà che dava vigore e spessore al primo romanzo, ma, al suo posto, un brillante studio sociologico del mondo creato dalla fantasia visionaria e premonitrice della scrittrice. L’utopistica Società di Gilead dietro la cui apparente facciata di virtù puritane collettive si nascondono le peggiori turpitudini e diseguaglianze individuali.

Mentre nel primo libro il fascino era nella visionarietà, nell’ambiguità e nel non definito, ne I Testamenti tutto è invece ben più definito, il lettore sa che l’incubo è fallito e ciò toglie indubbiamente parte del fascino del mistero, ma restano ancora tutte le emozioni e la forte umanità dei personaggi e la loro progressiva presa di coscienza. La Atwood, l’abbiamo già detto, è una narratrice senza pari e la sua scrittura conferisce vigore e forza alle situazioni ed ai caratteri anche se nella narrazione c’è un’ovvia riduzione dell’originalità, alcune ridondanze e vari sviluppi narrativi più formali che sostanziali. Ciò non di meno il libro è buono e resta una lettura piacevole, coinvolgente e scorrevole che è stato giustamente premiato da critica e pubblico, ma che, sia ben chiaro, non può, né tanto meno intende o suppone di riproporre le emozioni di cuore e di mente già suscitate tanti anni fa da Il Racconto dell’Ancella.

data di pubblicazione:29/06/2020

I SUPERSTITI DEL TÈLÈMAQUE di Georges Simenon – ed. Biblioteca Adelphi 2020

I SUPERSTITI DEL TÈLÈMAQUE di Georges Simenon – ed. Biblioteca Adelphi 2020

Commentavamo, appena pochi giorni fa, come sia una Festa per gli appassionati di Simenon l’uscita di un suo libro, sia pure un’operetta minore come in effetti è “La Linea del deserto”. A maggior ragione dobbiamo oggi fare una grande Festa perché il 18 Giugno, graditissima sorpresa, è uscito, fresco di traduzione, per i tipi Adelphi un bel romanzo del 1936. Un vero Roman Dur o Roman Roman, come amava definirli l’autore stesso, appartenente, per periodo ed ispirazione, proprio a quella stagione creativa dello scrittore belga che ha dato i migliori frutti letterari. Quindi, uno di quei romanzi in cui, come abbiamo già annotato in precedenza, Simenon osserva magistralmente e freddamente da par suo, quasi fosse un antropologo, le umane vicende, le pene dell’esistere, tutta la durezza della realtà quale che essa sia, per raccontare cosa sia avvenuto, perché sia avvenuto, e, soprattutto, cosa ciò che è avvenuto abbia poi causato e determinato nell’esistenza delle persone da lui osservate. Il Destino ed il Caso segnano le vite degli esseri umani anche oltre le generazioni e, per Simenon, il Destino ha un potere ineluttabile, non ci si può mai sottrarre al suo volere nonostante e per quanto ci si possa sforzare e quale che sia il tempo trascorso.

I Superstiti del Télémaque è dunque un “romanzo duro”, un libro duro come duro è l’antefatto drammatico nel 1906 del naufragio del Télémaque con i terribili sospetti di cannibalismo a carico dei 4 sopravvissuti fra i 6 naufraghi costretti in mare su una scialuppa per giorni senza viveri, come duro è l’ambiente marinaro descritto e dure le regole non scritte ma rigorose che governano sia la piccola comunità di pescatori di Fecamp sia le piccole realtà familiari. Una vicenda tenebrosa ed allucinante pervasa di sospetti, di lutti non sanati, di rancori e dell’odio feroce dei parenti dei naufraghi morti. Ci sono dei morti, c’è l’uccisione, trenta anni dopo, dell’ultimo dei sopravvissuti al naufragio e c’è anche un probabile colpevole, ma è solo un pretesto, tutto quel che conta per Simenon non è tanto conoscere il movente dell’accusato né tantomeno se le indagini personali condotte dal fratello del sospettato conducano o meno verso il vero colpevole. L’interrogativo che lo scrittore si pone e pone anche ai lettori è capire quali siano le posizioni ed i ruoli che ciascuno dei suoi personaggi ha nel suo piccolo mondo, nella propria piccola cittadina delle coste della Normandia, nella propria ristretta cerchia, e fare, nel contempo, un’analisi minuta della pesantezza dei vincoli familiari, degli affetti fraterni, degli odi e dei rancori e del diritto alla vendetta. L’autore con il suo stile asciutto ed essenziale ci regala una galleria di personaggi: avvocati, giudici e commissari di provincia, armatori e marinai… una umanità piccola, piccola travolta da una forza superiore: il Destino. L’acutezza dell’analisi psicologica con cui ce li descrive tutti: i loro caratteri, i loro sentimenti, i loro ambienti, sia quelli principali sia quelli secondari, li rende così vivi ed autentici da aspettarci quasi di incrociarli per strada anche noi .

Veramente un bel romanzo di atmosfere, piacevolmente retrò, molto coinvolgente, ma, insolitamente per Simenon, dal ritmo un po’ lento, pieno di meandri, come del resto infiniti sono però proprio i meandri dei tipi umani osservati dallo scrittore. Un libro da divorare e che non si riesce a lasciare se non quando lo si è finito di leggere, anche se non si è appassionati di Simenon.

data di pubblicazione:24/06/2020

#TDRONLINE 13: incontro di Giorgio Barberio Corsetti con Valerio Mattioli

#TDRONLINE 13: incontro di Giorgio Barberio Corsetti con Valerio Mattioli

La tredicesima settimana digital del Teatro di Roma, dal 16 al 21 giugno, ha continuato a riservare interessanti proposte su tutti i canali social (Facebook, Instagram, YouTube) dello stessoTeatro, tra cui si segnalano l’incontro di Giorgio Barberio Corsetti con il giovane scrittore Valerio Mattioli. Nel contempo dal 15 giugno il Teatro di Roma ha riaperto alla città, agli artisti e al pubblico, per un ritorno graduale e modulato negli spazi fisici propri.

Al Teatro Argentina sono iniziati i provini per la selezione del gruppo di interpreti che comporranno i prossimi cantieri produttivi del Teatro di Roma e le prove della compagnia diretta da Giacomo Bisordi per l’allestimento del nuovo spettacolo; mentre al Teatro India si avviano le prove dei nuovi debutti di Muta Imago con Sonora Desert, Industria Indipendente con Klub Taiga, e Frosini/Timpano con Ottantanove, tutte creazioni produttive che saranno in programma nella prossima Stagione. A questi primi ingressi si aggiungerà progressivamente l’entrata di altre compagnie e artisti in prova.

Anche il Teatro Valle riapre alle mostre, dal 25 giugno, con un omaggio alla grande famiglia d’arte che tutto il mondo conosce e ammira, Il Valle racconta: da Scarpetta ai De Filippo è di scena il Teatro.

Il palinsesto digital si è aperto con l’appuntamento di Piero Gabrielli che, giovedì 18 giugno alle ore 16 ha proposto L’esame del Signor Tinègero, di Roberto Gandini, con musica di Roberto Gori.

Venerdì 19 giugno alle ore 18.30, nell’ambito dell’attività di Gruppo_2020 On line, un progetto ideato e realizzato da lacasadargilla, è stato presentato il racconto del giovane autore Nivan Canteri con Horror Story, affidato all’interpretazione di Fortunato Leccese.

E’ continuato il percorso di riflessione e riscoperta della città di Roma e dopo l’appuntamento della scorsa settimana con Luca Bergamo, Vicesindaco e Assessore alla Cultura, sabato 20 giugno alle ore 21 è stata la volta di Valerio Mattioli, autore e editor di NERO e Not, i cui interessi spaziano tra le estetiche, le sottoculture urbane e il pensiero critico contemporaneo. A partire dal suo ultimo libro Remoria. la città invertita, oggetto singolare a metà tra il saggio, il romanzo di formazione e il fantahorror lovecraftiano, il dialogo con il direttore artistico Giorgio Barberio Corsetti è andato alla ricerca di spunti, reali e immaginari, per ripensare il rapporto della città con i suoi margini, e con le comunità che li attraversano.

C’è un ribaltamento tra centro e periferie, nonché un ribaltamento delle gerarchie della città, chiede Giorgio Barberio Corsetti. Analizzando la mappa di Roma scopriamo che il centro è appena l’1% dell’estensione complessiva della città. Il 99% restante è stratificato, contiene vari pezzi di metropoli esordisce l’autore, che è nato e cresciuto in periferia, posto ostile e denso con dinamiche proprie, cui si contrappone un centro che oggi si presenta ancora più vuoto nel post pandemia. Nel libro si cerca di capire cosa ha prodotto il non centro, che lingua, che immaginari. Dovendo raccontare Roma Mattioli parte dal raccordo anulare che è un punto simbolico, è il corso della città moderna, è l’autostrada che circonda la città; va tenuto presente però che la stessa si espande ben oltre il raccordo stesso, fattore che ha portato enormi speculazioni, non è opera ingegneristica neutra. Nel libro si fa riferimento a come la cultura si sia formata nelle diverse periferie dalla fine degli anni 70 ad oggi. Non c’è una storia approfondita su questo periodo ed è pertanto interessante parlare di esperienze e linguaggi, dopo la fine della stagione dell’impegno, in cui è iniziata una nuova era, caratterizzata dall’eroina e dalle sottoculture post punk, in cui emerge una nuova forma di sottoproletariato, nasce il coatto, dilagano i centro sociali; è il periodo delle feste illegali, i rave che per statuto cercavano interstizi urbani dimenticati, diventando così strumento di presa di coscienza nell’estensione della città e svelando che poi la città era anche quel paesaggio di rovina industriale. A cavallo tra il ‘90 ed il 2000 la città ha provato a reiventarsi, attingendo ai percorsi sviluppati negli anni precedenti, in un processo comune a tutte le città europee. E’ seguito poi il processo di cementificazione delle periferie negli anni successivi, mentre nascevano altre tipologie di periferie, come Ponte di Nona, Porte di Roma, Parco Leonardo minicentri piccolo borghesi con nuovi linguaggi e storie, e nel contempo imperversava il rap e tutte le sue derivazioni.

E se dovesse raccontare l’oggi chiede Corsetti? Valerio Mattioli vede l’effetto finale, il tentativo maldestro di aggiornare la città per renderla simile alle metropoli occidentali, una sorta di parco giochì, con rendite crescenti, affitti che si impennano, una città costosa in cui è difficile vivere e sopravvivere. Di contro e di vero a Roma è che il negativo c’è stato, ha prodotto distorsioni, ma tutto è ancora visibile, immondizia e voragini sono presenti, uno spettro che aleggia, la città è così trasparente che ti obbliga a vedere il disastro, i gabbiani assassini, la sporcizia, il sistema fognario che porta a galla i veri detriti della città. Quali sono le culture che sorgono e si muovono in questo momento? Il tessuto urbano della periferia è disgregato, forse non recuperabile, visti i danni permanenti registrati. Ma ci sono di contro testimonianze incoraggianti come quella di Simone, il ragazzo che affronta i manifestanti che non vogliono a Torre Maura i Rom. Un covo di risentimento e segregazione c’è, unito ad altro come per esempio al Tufello dove ci sono esperimenti comunitari e collettivi interessanti, c’è nella periferia l’estremizzazione e la lungimiranza spontanee.

Da un punto di vista musicale ed artistico Roma produce tantissimo immaginario, con esperienze molto impattanti sia dal lato indie pop che nel rap e trap, vedasi Dark Polo Gang ed Achille Lauro; il serbatoio continua a produrre linguaggi espressione del loro tempo. Quale suono verrà fuori dalla periferia post quarantena?

La ripartenza non può lasciare tutto come prima. Occorre reinventarsi. La quarantena come primo dato ha registrato una ulteriore prova dell’insostenibilità del modello di metropoli caratterizzato da riqualificazioni truffa quale quella del Pigneto e si dovrebbe pertanto registrare un totale capovolgimento.

La danza, il teatro, la performance che ha a che fare con il corpo come rinasceranno, chiede da ultimo Giorgio Barberio Corsetti.

I corpi dei protagonisti di Remoria esternano una diversa fisicità, stigmatizzata dal coatto di periferia che comincia spontaneamente a tirar fuori dei nuovi movimenti, una sorta dii scatti elettrificati come se il fulmine della tardo modernità fosse naturalmente entrato in tali figure.

C’è la diffusione delle danze di strada, le performance forti di attraversamento dell’architettura urbana per arrivare da un punto all’altro, senso di sfida alla gravità ed al vuoto. La natura conflittuale è la bellezza di tali manifestazioni, La continua prova di coraggio è obbligo di sopravvivenza in periferia ma viene sublimato in qualcosa di bello e di estroso, una qualità nascosta rispetto allo sguardo ufficiale del potere che non è in grado di valorizzare ciò. Su tutti la figura del compianto Stefano Tamburini, fumettista e grafic designer, fondatore di Frigidaire, autore di Ranxerox e di opere fatte di furti, plagi, con un significato ed un valore inattesi e nuovi, che crea senza chiedere permesso, periferizzando il centro ed esaltando la vitalità della città.

data di pubblicazione:22/06/2020

LA LINEA DEL DESERTO e altri racconti di Georges Simenon – ed. GLI ADELPHI 2020

LA LINEA DEL DESERTO e altri racconti di Georges Simenon – ed. GLI ADELPHI 2020

“Di un grande e prolifico scrittore non si butta via niente…” così scriveva l’ottimo Daniele Poto commentando, mesi fa, un libricino di Somerset Maugham, lo stesso si può dire, anzi a maggior ragione, vista la sua quasi patologica prolificità, per un autore come Georges Simenon. “Di Simenon non si può buttare via proprio nulla!”. Per gli appassionati ed i cultori dello scrittore belga, qualsiasi uscita editoriale è una Festa. In parallelo con la meritoria pubblicazione dei vari Romans Durs (tralasciamo i Maigret, si aprirebbe qui una diatriba senza fine fra quali opere siano più rappresentative del “vero Simenon”), Adelphi prosegue infatti anche la pubblicazione di un Simenon “minore”.

Si tratta anche questa volta, come già per il recente La Cattiva Stella di una raccolta di raccontini pubblicati sulla rivista Police Roman come piccoli gialli ispirati dal lungo giro del mondo che lo scrittore fece fra il 1935 ed il 1938. Articoli poi rivisti e raggruppati nel volume “Nouvelles Exotiques” nel 1944. Come per l’altro libricino ritroviamo i temi e le atmosfere di un mondo coloniale sconcertante ed esotico (Panama, Gabon, Istambul, mari del sud…) visto ovviamente con lo sguardo di un europeo degli anni trenta. Un affresco vivace e sintetico, come solo Simenon sa fare, di vicende umane drammatiche, ironiche e sensuali. Pur trattandosi di fatto di articoli/racconti giornalistici senza alcuna pretesa letteraria, l’autore resta, da par suo, sempre magistrale nell’inventare storie avvincenti e nel definire, con pochi e rapidi tratti, piccoli casi polizieschi, piccoli drammi umani su cui pesa ed agisce, come sempre, il Destino o il Caso e la sua ineluttabilità, si tratti di avventurieri, di donne fascinose e seduttrici, di viaggiatori o di funzionari coloniali, un mondo scomparso, equivoco, intrigante ed affascinante. Come al solito intrigante ed affascinante è anche la lettura dei racconti che volano via in un attimo, piccoli gioielli che se sviluppati sarebbero potuti divenire splendidi romanzi.

data di pubblicazione:17/06/2020

#TDRONLINE 13: incontro di Giorgio Barberio Corsetti con Valerio Mattioli

#TDRONLINE 12: incontro di Giorgio Barberio Corsetti con Luca Bergamo

La dodicesima settimana digital del Teatro di Roma, dal 10 al 14 giugno, ha continuato a riservare interessanti proposte, in attesa dell’imminente ritorno dal vivo, su tutti i canali social (Facebook, Instagram, YouTube) del Teatro di Roma, tra cui si segnalano l’incontro di Giorgio Barberio Corsetti con Luca Bergamo.

L’appuntamento settimanale con il Laboratorio di Piero Gabrielli che giovedì 11 giugno alle ore 16, attingendo da La forchetta fidanzata. Poesie sui segnali stradali di Nicola Cinquetti, ha proposto La patente poetica, un breve percorso poetico costruito su otto segnali stradali. Un modo fantasioso per introdurre i bambini alla lettura di un linguaggio grafico che è indispensabile conoscere il prima possibile. Ma la lettura di un cartello stradale può diventare un gioco di immaginazione in cui, per esempio, il cartello che segnala un dosso può sembrare “un boa che ha ingoiato un cammello”. Il video, con gli attori della Piccola Compagnia del Piero Gabrielli, diretti da Roberto Gandini con la musica di Roberto Gori, è tratto dalle prove on-line dello spettacolo Un cabaret poetico.

Mentre Radio India si prepara a rinascere in una nuova forma, Fabio Condemi e i suoi ospiti ci hanno accompagnato nelle ultime tre tappe di Specie di spazi, un itinerario radiofonico con il quale in questi mesi il giovane regista si è interrogato su cosa siano gli spazi che occupiamo, che abitiamo e percorriamo ma anche quelli che rappresentiamo, ricordiamo, progettiamo, ripensiamo e con i quali siamo in costante relazione”. L’appuntamento di venerdì 12 giugno alle ore 18.30 insieme ad autori, ricercatori, attori e attrici, ha proposto alcuni capitoli del testo del 1974 di Georges Perec attraverso letture, ascolti, incontri, interviste.

I dialoghi condotti dal direttore artistico Giorgio Barberio Corsetti con protagonisti e voci provenienti da diversi campi del sapere e della cultura per nutrire di nuovi contributi la riflessione sul nostro presente, sugli scenari che stiamo vivendo e sulla nostra città, hanno visto sabato 13 giugno alle ore 21 protagonista Luca Bergamo, Vice Sindaco e Assessore alla Crescita Culturale di Roma Capitale.

Roma è una città vera che si estende su 1200 km² con una popolazione residente di 2,8 milioni di abitanti; è una grandissima città, ma non è densamente popolata in virtù del fenomeno delle borgate nate negli anni ’60 che hanno dilatato la superficie e che ancora oggi si cerca di rendere vivibili a livello di servizi. È una città che non ha una sua forma, a differenza di altre grandi città che hanno una struttura più funzionale. Esiste un diritto culturale da garantire ma le caratteristiche di questa città fanno sì che chi abita lontano dai luoghi in cui le istituzioni organizzano degli eventi, abbia apparentemente meno diritti culturali. La partecipazione alla vita culturale è più complicata. Occorrerebbero scelte radicali per favorire la sussidiarietà e la partecipazione di singole parti del territorio. Roma è luogo nel quale si realizza il 50% della ricerca scientifica italiana e per questo motivo è un luogo unico al mondo in grado di produrre cultura e conoscenza. Giorgio Barberio Corsetti si è incontrato e scontrato con questa problematica e con questa città permeata di una creatività diffusa con un numero molto ampio di presidi culturali, spazi non solo teatrali e reti solidali, librerie indipendenti, centri sociali e culturali che hanno una effervescenza, capacità e vitalità incredibili ma che però rimangono precarie e non riescono a consolidarsi e trasformarsi. Ha lavorato con il Rialto, il teatro dell’Orologio, l’Angelo Mai, oggi tutti chiusi o in gravi difficoltà nel postcovid. Come si può lavorare, come tutelare e potenziare tale area fragile che intercetta nuovi artisti e nuovi linguaggi? Il dialogo trasversale con le istituzioni che si apre alla città è un punto essenziale sostiene Giorgio Barberio Corsetti.

Luca Bergamo ribadisce che ci sono due elementi essenziali: il primo è la funzione di sostegno del Comune che mette a disposizione risorse finanziarie, cercando di creare condizioni e strumenti di supporto. Dal 2010 c’è stato un crollo vertiginoso nel Comune di Roma di finanziamenti alla cultura con una riduzione pari a circa il 50%; dal 2016 la curva si è invertita, anche se le risorse sono sempre contenute e vanno per il 95% a favore di quelle attività gestite direttamente dal Comune. C’è poi un limite nella flessibilità delle risorse che sia cercando di affrontare, facendo attenzione al bilancio economico ma garantendo la continuità del finanziamento ed aumentando l’offerta culturale in relazione anche altre proposte che la città può offrire, per ampliare anche gli orizzonti.

Il teatro e tutto ciò che è dal vivo in questo momento sono in crisi, ma si cercano delle opportunità per fare ripartire la macchina, sostiene Giorgio Barberio Corsetti; bisogna creare dei punti di riferimento per la organizzazione della comunità teatrale: in questa nuova configurazione come possono rispondere le istituzioni ed anche il Comune di Roma?

Le istituzioni culturali sono tali in quanto sono all’interno della collettività e che sono espressione della collettività stessa. Hanno una funzione anche di garantire la qualità del servizio. Il teatro pubblico deve ampliare lo sforzo come sta facendo il teatro di Roma attraverso la diversificazione della qualità nella proposta ed anche attraverso una espansione del numero di persone interessate al teatro. Il comune vuole continuare ad essere parte attiva di questo disegno, occorre un coordinamento in questo senso ed il Comune di Roma si è attivato, c’è l’esigenza di riordino del sistema nel suo insieme a fronte di rigidità evidenti per cui il lavoro è complesso, ci sono inefficienze, obiettivi specifici che devono essere perseguiti, c’è poi il bisogno di rendicontare la pubblica amministrazione circa l’utilizzo delle risorse pubbliche. Oggi dobbiamo cercare di salvare la cultura oltre che il settore turistico. Bisogna ripensare il concetto di teatro pubblico, viaggiando nella direzione della partecipazione del pubblico, con una visione totalmente nuova che va costruita in maniera integrata per creare un ecosistema in cui tutte le energie vengono messe a frutto, promuovendo una cultura diffusa che rispetti la dignità umana e combatta le diseguaglianze.

data di pubblicazione:16/06/2020

L’ARCHIVIO DEL MONDO. Quando Napoleone confiscò la Storia di M. Pia Donato – ed. LATERZA 2020

L’ARCHIVIO DEL MONDO. Quando Napoleone confiscò la Storia di M. Pia Donato – ed. LATERZA 2020

L’Informazione è Potere, i Documenti sono Informazione ed i documenti sono negli Archivi, in questi ultimi si accumula quindi la base del Potere

Napoleone all’apice della sua gloria conquistava l’Europa e poneva le basi di un ordine nuovo continentale. Tra i progetti grandiosi ed anticipatori della modernità prendeva forma l’idea di trasferire a Parigi gli archivi più importanti dei paesi annessi e di quelli sotto diretta influenza francese. L’idea era quella di un “Archivio del Mondo”, testimonianza per l’Umanità intera di tutte le documentazioni e memorie della Civiltà. Archivio da situarsi a Parigi, oramai centro della Storia Universale: la Storia vissuta e la Storia documentata, una vera capitale del Mondo.

Un’idea grandiosa che nella realtà si basava su una gigantesca operazione di confisca, manu militari o, senza andare tanto per il sottile con la forza della potenza egemone, dei tanti archivi accumulati nei secoli di città, principati, regni, stati e conventi, che fu ideata ed avviata nel 1809 con un’ampia mobilitazione organizzativa di studiosi francesi e non, di diplomatici, di contatti, di persuasioni, di pressioni, di violenze ed anche di resistenze passive e dilatorie o perfino di rifiuti, nonché di operai, di militari, e poi di analisti ed archivisti. Un grandioso sogno imperiale ma al tempo stesso una necessità per una Potenza ed una nascente dinastia che aveva bisogno di trovare, raccogliere ed accumulare e consolidare radici storiche e legittimazione davanti agli Stati, agli uomini di cultura ed alla Storia.

Chi possiede i documenti della Storia, possiede e può manipolare infatti il passato, il presente e controllare anche il futuro. Così era sempre stato dall’alba della Civiltà, così era per Napoleone. Da sempre fra le prede belliche, oltre alle opere d’arte, c’erano anche gli atti ed i documenti degli sconfitti per il loro valore sia simbolico sia concreto. Il crollo delle ambizioni del “piccolo Corso” fecero però svanire il progetto dopo poco più di un lustro e con la Restaurazione le centinaia di migliaia di documenti requisiti ritornarono agli antichi possessori, o meglio, ai nuovi Stati emersi dopo il Congresso di Vienna e poi, sul finire del secolo, alle Nazioni che sulla Storia, spesso manipolandola, cercavano o fondavano le proprie identità nazionali costitutive.

Oggi, nel nostro mondo globalizzato, interconnesso e digitalizzato, l’attento studio e ricostruzione operato dalla Donato (Directrice de recherche all’Istituto di Storia Moderna e Contemporanea di Parigi) può far pensare ad una ricerca su curiosità di un passato remotissimo. Nulla di più errato! Nulla è cambiato se non gli strumenti del Potere, ieri era importante possedere le pergamene ed i documenti cartacei, oggi e domani sarà importante possedere le informazioni, custodirle, usarle per orientare le opinioni pubbliche, evitare le manipolazioni e, semmai manipolare le altrui informazioni. Governare significa detenere i dati, le conoscenze e la narrazione dei fatti. Il controllo è ancora strategico per democrazie e per dittature e… le recenti vicende sul Covid19: le origini, i numeri, le analisi lo stanno a testimoniare in tutta la loro drammaticità.

La Donato è brava ed accurata nelle ricerche e ricostruzione dei fatti, scrive con stile brillante e prosa sciolta e scorrevole e riesce a rendere avvincente come un romanzo l’avventura colossale ed utopistica, le forzature, le resistenze, le ambizioni individuali e collettive, i sogni e le logiche scientifiche, civilizzatrici ed innovatrici sottostanti il progetto, la sua attuazione logistica ed il suo fallimento, riuscendo ad appassionare anche i “non addetti ai lavori” su un tema di fondo nient’affatto remoto e che, come detto, è invece ancora attualissimo ed in grado di condizionare tuttora le sfide e la realtà di oggi.

data di pubblicazione:14/06/2020

SPERIAMO DI SBAGLIARCI

SPERIAMO DI SBAGLIARCI

Ottimisti o Pessimisti? Cassandre vaticinanti un pessimo futuro o Analisti di probabili scenari futuri? Eterni Pangloss convinti di “vivere nel migliore dei mondi possibili” in una esagerata visione ottimistica, o realisti pragmatici? Tutti insieme e nessuno al tempo stesso perché la realtà che si presenta alla vigilia della riapertura dei cinema, dei teatri e sale concerto è surreale oltre ogni più fervida immaginazione o sceneggiatura catastrofista.

Soffermandoci sui cinema in particolare per il cui futuro specifico alcuni mesi fa ci eravamo posti degli angosciosi quesiti, sembrerebbe che, secondo le recenti Linee Guida emanate dalle autorità competenti proprio in previsione delle riaperture, il numero massimo degli spettatori ammessi ad ogni evento non possa superare i 200, quale che sia la capienza della sala, oltre ovviamente i vincoli delle distanziazioni dei posti da assegnare e delle misure di sanizzazione ad ogni spettacolo. E’ pur vero che non tutti i cinema facevano un tal numero di spettatori ad ogni proiezione nemmeno nei tempi normali, ma arrivare a definire a priori, anche laddove ce ne fosse, per fatal combinazione, la possibilità o la voglia, il numero massimo dei possibili fruitori, appare una “spinta ulteriore per la discesa”, se non un elemento di difficoltà in più che rischia davvero di essere il suggello definitivo di un settore dello spettacolo che presenta sempre più gravi difficoltà a riprendere la sua normalità.

Normalità difficile da recuperare perché in questi mesi, moltissimi anche fra coloro che non erano interessati, “si sono trovati costretti” a scoprire le opportunità dello streaming ed a cogliere i vantaggi delle Piattaforme i cui abbonamenti hanno avuto infatti un’impennata verticale e, ancor più si prevede ne avranno nei prossimi mesi autunnali, tanto più che si preannunciano prime uscite di titoli di grande richiamo.

E questo è l’ultimo, se non poi il primo dei problemi, in un turbinio folle di cause e concause che si mordono la coda fra loro come in un canile impazzito. I cinema hanno, è vero, difficoltà a riaprire in modo economicamente vantaggioso per i lacci e lacciuoli normativi che li condizionano, ma, al contempo non hanno nemmeno film di particolare richiamo e valore da proiettare e proporre al proprio pubblico spaurito e disorientato, perché a loro volta la Distribuzione e le stesse Case di Produzione non ritengono di “bruciare” titoli che non hanno possibilità di adeguata diffusione e quindi di rientri economici.

Quindi… non riapriranno tutti i cinema perché non ci sono gli spettatori e perché non ci sono film di qualità, non ci sono i film di qualità perché non ci sono cinema e spettatori in numero significativo. L’Estate è arrivata, si danno le date della prossima edizione della Festa del Cinema di Roma, si sa di Venezia, si parla di Cannes, ma tutto è da scoprire come farsi. Nel frattempo, i pochi cinema che riapriranno, le fantasie dei Drive In (che non si costruiscono assolutamente in due settimane) e le poche arene superstiti o le piazze non rappresentano di certo la soluzione del problema e, l’Autunno poi incombe pieno di nuvole grigie!

Era dunque questa la risposta alla domanda che ci eravamo posti appena qualche mese fa? Questa la risposta nei fatti al piccolo dibattito fra lettori che ne era poi seguito?

Speriamo di sbagliarci e di tanto!

data di pubblicazione:12/06/2020

QUESTA PAZZA FEDE di Tim Parks – Einaudi Stile Libero, prima edizione 2001- ristampa 2020

QUESTA PAZZA FEDE di Tim Parks – Einaudi Stile Libero, prima edizione 2001- ristampa 2020

Uno scrittore inglese che tifa per il Verona? Il mondo è bello perché strano. Tanta carriera ha fatto l’autore vivendo nella città di Romeo Giulietta e tanti libri sono metaforicamente scorsi sotto il suo Adige. Questo è una sorta di fortunato incipit di carriera. Un’immersione artificiale quanto si vuole ma convinta nel complicato mondo degli ultras, in particolare delle Brigate Gialloblu’ che sono quanto di più estremista e radicale circola nelle curve degli stadi italiani. Parks vive una stagione a braccetto con gli intemperanti xenofobi veneti, decisamente politicamente scorretti ma dialettizza il rapporto con il tifo anche attraverso la mediazione dei vertici della società: il presidente Pastorello, il manager Agnolin, l’allenatore Perotti. E il lettore non sa decidersi quale partito sia il peggiore. Perché il coach appare come un uomo imbelle indisposto a qualunque emozione. Per la verità la fortuna ci mette del suo perché in quella stagione a inizio millennio il Verona, ormai completamente dimentico dello scudetto degli anni ’80, perlomeno riesce a salvarsi in capo a una complicatissima annata, conclusa con lo spareggio vincente con la Regina. Parks coglie tanti punti stridenti punti di contraddizione del calcio italiano, certo non migliorato venti anni dopo. Un libro di 500 pagine su una fazione ultrà sembra un’impresa da Divina Commedia. Ma il testo scorre piacevole e dialettico, non certo ideologicamente unidimensionale. La simpatia distante di Parks non è acritica adesione. Vive le trasferte come un ultrà qualsiasi anche se adempie alla mission dello scrittore. Un anno vissuto così ne vale la pena se è servito per un libro che è un’osservazione dal vivo di un fenomeno che oggi fa risuonare (vedi. caso Piscitelli) derive criminali e mafiosi. Gli ultras italiani si sono riuniti al Circo Massimo il 6 giugno 2020 per varare una sorta di Internazionale d’intenti. Dove l’interlocutore privilegiato non è più il calcio ma addirittura il Governo. C’è un progetto sovranista per farlo cadere e gli ultras, non si sa se in buona o in cattiva fede, si prestano all’operazione.

data di pubblicazione:11/06/2020

A PROPOSITO DI NIENTE Autobiografia di Woody Allen – ed. La Nave di Teseo 2020

A PROPOSITO DI NIENTE Autobiografia di Woody Allen – ed. La Nave di Teseo 2020

…”Tutto quello che avreste voluto sapere su Woody Allen, (ma non avete mai osato chiedere)”… o, meglio ancora, “Molto rumore per nulla”… difatti non c’è nulla di sulfureo, né di nuovo, né tantomeno di molto ironico nell’ultima tanto attesa e travagliata autobiografia del noto regista dopo le accuse di abusi sessuali rivoltegli recentemente dalla figlia adottiva Dylan Farrow, abusi che sarebbero avvenuti nel lontano 1992 quando lei aveva solo 7 anni. Va precisato che l’autore ha radicalmente smentito le accuse e che non è stato messo sotto inchiesta. Ciò non di meno, la sua reputazione negli USA è stata ancor più pesantemente intaccata a causa di questa nuova vicenda, al punto che, come tutti i cinefili sanno, il suo ultimo (e riuscitissimo) film Una giornata di pioggia a New York è stato rifiutato negli Stati Uniti ed è stato programmato solo in Europa.

Il libro di Allen dovrebbe essere la parola definitiva davanti alla Storia sulla propria vita (l’autore ha 85 anni), un ritratto a volte personale, molto più spesso professionale. In realtà l’opera ricorda molto di più gli appunti per un’arringa difensiva contro le tante critiche mosse negli anni alla sua produzione artistica, alla sua vita, alle sue scelte. Il libro aggiunge poco di nuovo a quel che già si sa dell’uomo e del cineasta, ed è, nei fatti, costellato di piccole annotazioni, citazioni ed aneddoti legati da un esile filo “dolce-amaro”, da qualche battuta ovvia e scontata e da uno stucchevole tono di continua meraviglia sulla propria incredibile fortuna. Lo stile narrativo è troppo distaccato, come se l’autore stesso fosse un disincantato spettatore della propria vita, quasi incredulo ma che invece vuole che il lettore condivida e creda alle sue versioni, alle sue verità sui fatti e sulle persone. Una volontà ben determinata e tagliente, mascherata da buonismo o, peggio, da tolleranza. Allen, con una buona dose di ambiguità e supponenza, gioca infatti sul limite fra ipocrisia e provocazione. Manca poi assolutamente il senso critico, una riflessione emotiva, una motivazione sugli avvenimenti sia artistici, sia affettivi, sia umani. C’è nel libro una continua citazione di nomi, noti o sconosciuti al lettore medio, (quasi un compulsivo name dropping) senza però alcuna aggiunta di elementi salienti ed originali sulle persone evocate o sui fatti narrati, o sui successi e gli insuccessi della sua vita e dei suoi film. Questa visione unica ed egocentrica, alla lunga diviene asfissiante, piatta e meccanica, Allen, si sa, non si sforza minimamente di essere simpatico né di nascondere il proprio egoismo… e ci riesce perfettamente. Fra estimatori e detrattori, fra innocentisti e colpevolisti nessuno cambierà la propria opinione.

L’opera procede cronologicamente ripartita in tre fasi: l’infanzia felice a Brooklyn, la formazione progressiva del commediante ed il debutto nel cinema e le sue relazioni; l’”Affare Mia Farrow”; ed infine la sua produzione cinematografica. Un ritratto al vetriolo quello della Farrow descritta come manipolatrice e proveniente da una famiglia con molte tare mentali. Un elenco dei suoi film senza però nessuna analisi retrospettiva, quale che sia, nessun accenno alle ispirazioni, alle scelte, alle realizzazioni o un suo semplice commento sui successi o gli insuccessi (tanto valeva allora leggersi la sua filmografia su Wikipedia!). Ma, citando un commento di un critico Olandese: “Allen è un narcisista che è immerso nelle sue nevrosi. I suoi film sono sedute psicoanalitiche, interessanti e talora divertenti, ma, alla lunga, possono stancare. Ciò che attira veramente è la vivacità e la vulnerabilità dell’uomo, un uomo tanto dipendente dalle sue partners fino a svuotarle di ogni loro energia”. Beh, nel libro mancano del tutto sia la vivacità sia e soprattutto l’uomo! Mai titolo più esatto… non c’è NIENTE.

data di pubblicazione:09/06/2020