LA CANDIDATA IDEALE di Haifaa Al-Mansour, 2020

LA CANDIDATA IDEALE di Haifaa Al-Mansour, 2020

Un progetto di emancipazione in Arabia Saudita. Con le ovvie complicazioni del caso. Primi ciak con la protagonista protetta dal velo musulmano, finale progressista-liberatorio. Uno sviluppo un po’ troppo veloce in meno di due ore in una società che cambia lentamente e in cui la resistenza alle pari opportunità è secolare. Si svelano esteticamente ed emotivamente bei profili di donne di fronte a cui i personaggi maschili vistosamente sfigurano.

Con anno di ritardo approda nella sale italiane (non troppe in verità e per chissà quanti giorni!) un film presentato alla 76esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica a Venezia nel 2019. Ma un anno cambia poco per l’immutabile scenario della sottovalutazione della donna in un continente che ancora non ha conosciuto il femminismo. Il progetto di candidatura nella comunità locale, maturato casualmente per la mancata partecipazione a un importante congresso, scatena nel medico stimato, un’ansia di rivalsa che è la molla del film. Una sorta di corto circuito che movimenta i rapporti con i pazienti, i familiari, l’ambiente circostante. Ci sono infermi maschi che non vogliono sapere di farsi visitare da una donna e che progressivamente si sciolgono e ne riconoscono l’abilità. E la candidatura è il grimaldello per cambiare e invertire rapporti basati sul pregiudizio e su una malintesa soggezione. La decisione della protagonista riesce a trasformare una sconfitta elettorale di misura in un grandioso successo, stante anche il chiaro riavvicinamento al padre, scettico ma alla fine solidale. Assistiamo all’evoluzione di una famiglia benestante che ha le chiavi per il cambiamento. Filmicamente la pellicola risulta un po’ ferma e priva di guizzi, soprattutto nel finale condividendo una narrazione lineare ma carente come mordente. Lo spettatore assiste a una sorta di didattica dell’emancipazione ma senza un reale salto di qualità estetico. In definitiva una prova di buona volontà, non assistita però da adeguato talento. I 104 minuti della co-produzione arabo-tedesca alla fine risultano persino troppo lunghi per la prevedibile dimostrazione a tesi che il regista si è proposto sin dalle prime inquadrature.

data di pubblicazione:06/09/2020


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TENET di Christopher Nolan, 2020

TENET di Christopher Nolan, 2020

Una pellicola distopica e maniacale. Puro cinema adrenalico mantenuto su livelli inestricabili di una trama quasi non riassumibile. Efficacemente un critico nostrano ha osservato che per decifrarla occorrerebbe una specializzazione aggiuntiva al corso di laurea in fisica nucleare. Fotogrammi dell’eccesso per una produzione senza limiti di spesa con le chicche aggiuntive di due presenze di spicco, un Michal Caine più british che mai e un Kenneth Branagh trasformato in intelligente russo cattivo. Omaggio alla co-produzione britannica.

Dieci anni di riflessioni e di rimaneggiamenti, cinque anni per scrivere la sceneggiatura. Ovvio che per Christopher Nolan, il regista di Interstellar, questo sia il film della vita e della carriera. Ma glien’è incolto con il coronavirus anche se l’imponente distribuzione in Italia ha propiziato lusinghieri incassi iniziali. Per entrare nel linguaggio specifico di Tenet bisogna essere un po’ esoterici senza trascurare James Bond perché l’esplosività della violenza è un diversivo per tenere alta la tensione in un film esageratamente lungo (147 minuti) con scene che si ripetono per il tema dell’inversione e del continuo rimpallo simbolico tra presente e passato. Un gioco a tratti raffinato, a tratti troppo scoperto per essere convenientemente fruito dallo spettatore. Il genere con cui viene catalogato il film è ibrido: c’è’ azione (un po’ di James Bond, anche), c’è fantascienza, c’è spionaggio, c’è thriller. C’è un po’ troppo nell’ansia di abbracciare e miscelare il cocktail con un sottofondo fondamentale: salvare l’umanità. Che non sembra perlomeno il principale scopo istituzionale della CIA, del KGB e del Mossad. Il protagonista principale, John David Washington, figlio di Denzell, non sembra dotato di una gamma espressiva troppo vasta e sembra un eroe solitario più che un dipendente di una grande agenzia di intelligence. Tante scene sono di difficile collegabilità e la presenza di nazioni outsider nel grande scacchiere internazionale (l’Ucraina a esempio) sembrano puramente accessorie. Per dire della grandeur che ispira l’operazione basti osservare il piccolo giro del mondo delle riprese: Danimarca, Estonia, India, Italia, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti. Ma nella geografia variopinta e globalizzata inevitabile che ogni tanto la trama ristagni e soffochi, distillata in un succo di cartolina patinata. Il costo finale del film (205 milioni di dollari) vale più o meno quanto il possibile risparmio con il dimagrimento dei due rami del Parlamento Italiano. Riuscirà a ripagarli tutti? Scommessa davvero molto difficile.

data di pubblicazione:04/09/2020


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IL QUADERNO DELL’AMORE PERDUTO di Valérie Perrin – ed. NORD 2020

IL QUADERNO DELL’AMORE PERDUTO di Valérie Perrin – ed. NORD 2020

… Una casa di riposo (per il Presente), la II Guerra Mondiale (per il Passato), sono elementi perfetti per un possibile polpettone melodrammatico pieno di cliché, tutti elementi per dissuadere a priori dalla lettura di questo romanzo…

Gli ingredienti per una storia banale e scontata ci sono proprio tutti, poteva uscirne un libro stile Harmony e, invece, come sanno fare solo i veri cuochi ed i veri talenti letterari, Valérie Perrin pur usando una serie di ingredienti normalissimi, riesce a calibrarne le dosi ed a fermarsi al punto giusto e a giocare con i sentimenti senza compiacimenti, regalandoci con una scrittura sensibile un racconto bello, delicato, commuovente, profondo e poetico e, a tratti, divertente.

Solo due libri al suo attivo, entrambi due piccole pepite d’oro.

Non c’è dubbio alcuno, la Perrin è brava e talentuosa! Non c’è da meravigliarsi del suo legame con Claude Lelouch e che sia la sua Musa ed anche la cosceneggiatrice dei suoi ultimi film. Nella messa in scena di questo libro, agli appassionati di Cinema sembrerà infatti di veder scorrere proprio le immagini di un film del grande regista francese: un romanzo corale, flashbacks, storie solide, la forza delle emozioni e dei sentimenti, l’amore fra un uomo ed una donna…

Gli elementi che abbiamo già trovato in Cambiare l’acqua ai fiori, opera seconda della scrittrice, il libro che ha prima affascinato i lettori e poi conquistato anche la critica, li ritroviamo anche in questo suo romanzo di esordio (2016): una ragazza speciale ma un po’ ai margini della Società, un amore ferito, il dolore, una pseudo inchiesta, delle piccole storie ben orchestrate che si ricollegano tutte fra di loro… Justine, 21 anni, lavora in una casa di riposo per anziani, Hélène ci vive anche se passa le sue giornate attendendo colui che esiste solo nei suoi ricordi. Justine parla con gli anziani, i “dimenticati della domenica” (questo il giusto e delicato titolo originale del libro), ascolta le loro confidenze e le riunisce poi in un quaderno blu, tante piccole storie deliziose, come piccoli romanzi nel romanzo.

Il libro della Perrin è un libro sull’importanza della memoria e della trasmissione dei ricordi, sulle relazioni familiari e transgenerazionali, sulle radici, sulla vecchiaia e sulla gioventù, il dolore, gli affetti mancati ed i “non detti”, senza essere mai assolutamente lagrimevole. Due vite che si rispecchiano per drammaticità ed intensità, personaggi principali e collaterali sempre descritti con sensibilità ed autenticità in una narrazione che dopo un avvio un po’ lento prende il suo ritmo alternando riflessioni divertenti a passaggi più seri a volte poetici e romantici. Si farebbe torto definire superficialmente il libro solo come un feel good book. Certo l’autrice ci invita a riflettere su emozioni e sentimenti e può sembrare solo un “balsamo per i cuori”, ebbene che c’è di male? Soprattutto se questo “balsamo” è scritto bene, in modo fluido, moderno e ricco di poesia, a volte buffo, a volte triste ma che sa commuovere ed appassionare. Dunque: una lettura piacevole da gustare, positiva ed ottimista, un racconto di rara bellezza, appassionante e pieno di umanità che ci resterà dentro un bel po’, piacevolmente.

data di pubblicazione:30/08/2020

IL DESTINO DI ROMA. CLIMA, EPIDEMIE E LA FINE DI UN IMPERO di  Kyle Harper,   Einaudi, 2020

IL DESTINO DI ROMA. CLIMA, EPIDEMIE E LA FINE DI UN IMPERO di Kyle Harper, Einaudi, 2020

“… pochi Imperi nella Storia hanno conseguito sia la dimensione geografica sia la capacità di integrazione del “commonwealth” romano. Nessuno come i Romani ha saputo combinare fra loro le dimensioni territoriali, l’unità dello Stato e la sua longevità ultramillenaria…”.

Siamo forse davanti all’ennesima analisi sul declino e sulla caduta dell’Impero Romano?

Niente affatto! Finora hanno sempre dominato come cause: fattori politici, militari, economici, demografici… il libro di Harper è invece uno studio acuto, ben articolato e documentato che offre una chiave di lettura del tutto nuova e stimolante su temi che, a torto, si suppone spesso di conoscere già a sufficienza. Un libro che ci permette di vedere un periodo complesso sotto un punto di vista spesso tralasciato o, del tutto sottovalutato da parte degli storici. Il lavoro dello studioso americano ha infatti l’originalità e l’intuizione di esaminare gli eventi dei secoli cruciali per Roma sotto l’ottica ecosistemica, climatologica ed epidemiologica. Oggi le competenze e le risorse scientifiche dell’Archeobotanica e dell’Archeomedicina consentono cose che fino a 15 o 20 anni fa non si potevano nemmeno immaginare: si può sequenziare il DNA di resti umani e non, ritrovati negli scavi e poi risalire con quasi certezza alle situazioni climatiche, alimentari, sociali e sanitarie e scoprire anche i percorsi e le evoluzioni genetiche di quel nemico occulto del genere Umano che sono stati e sono i Virus Letali. La Storia non è più quindi solo la sequenza di fatti ed azioni compiute dagli uomini in un contesto in cui l’ambiente faceva solo da sfondo stabile ed inerte allo sviluppo storico, ma è invece anche l’insieme di eventi naturali mutevoli, di cicli solari, di eruzioni vulcaniche, di instabilità climatiche, di pandemie devastanti che hanno influenzato e spesso deciso la Storia. La Storia va quindi riscritta e riletta in modo nuovo.

In effetti la risposta a come sia stato possibile il crollo dell’Impero Romano dipende dal maggior o minor grado di focalizzazione dello storico. Su piccole scale: le scelte umane potrebbero sembrare aver avuto un valore dominante, soprattutto se giudicate a posteriori. Su un quadro di maggiori dimensioni: si potrebbero individuare nell’Impero alcuni difetti strutturali (guerre civili, peso fiscale, pressioni sulle frontiere da parte di popoli invidiosi od affamati). Passando ad una visione più ampia ancora: si potrebbe anche definire la caduta di Roma come l’inevitabile destino di ogni impero. Ogni umana creazione è destinata a perire! Tutte cose contemporaneamente vere ma non determinanti in assoluto. In realtà, per l’autore, l’elemento che su tutte è veramente determinante è il trionfo della Natura sulle realtà umane. L’Impero Romano era un impero grandioso ed urbanizzato con ampie reti commerciali che aveva realizzato una sorta di miniglobalizzazione ante litteram. Proprio questa sua ampiezza ha poi aperto le sue porte anche al flusso di elementi patogeni divenuti pandemici e devastanti, provenienti, allora come anche oggi, dall’Asia. La Natura con le sue forze evolutive od involutive era ed è in grado di cambiare il mondo.

Harper è bravo nel documentare con rigore scientifico ricco di riferimenti la sua tesi intrecciando i fatti storici con le ultime scoperte in campo climatico e genetico: basti pensare alle siccità impreviste e soprattutto alle ondate pandemiche virali che scossero l’Impero arrestandone prima la crescita ed il benessere, poi le reazioni e la ripresa sociale ed infine, con la Peste Bubbonica, tagliando definitivamente ogni sua capacità demografica, economica e militare.

Il Destino di Roma è un libro interessante, scritto con prosa scorrevole che genererà polemiche fra gli storici e affascinerà gli appassionati, regalando uno scorcio di visuale del tutto nuovo sul nostro passato che dovrebbe però farci anche molto riflettere sulle analogie con il nostro fragile Presente ed il nostro incerto Futuro.

data di pubblicazione: 24/08/2020

CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI di Valérie Perrin – ed. E/O 2020

CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI di Valérie Perrin – ed. E/O 2020

Una piacevole scoperta! Valérie Perrin sa veramente costruire e raccontare le sue Storie in un progressivo crescendo di interesse e coinvolgimento del lettore, è innegabile! Non scrive delle semplici parole o frasi, ma scrive delle emozioni. La sua è una scrittura sensibile e realista, sensuale ed intimista, moderna, essenziale e delicata, viva e toccante, a tratti sentimentale senza però essere sdolcinata, a tratti triste senza mai essere desolata o lagrimosa, spesso con tocchi di humour e momenti di poesia. Una scrittura che coglie gli istanti e va dritta al cuore dei lettori tutti, siano essi donne, siano essi uomini. Cambiare l’acqua ai fiori è giustamente il libro più letto degli ultimi mesi, un meritato successo, un successo reale, autentico, fatto con il “passaparola” dei lettori colpiti da questo bel libro uscito nel luglio 2019 e che proprio grazie al “passaparola” ha progressivamente scalato le classifiche italiane ed occupa ormai da settimane i primi posti fra i più venduti e, soprattutto, fra i più apprezzati. E’ un’opera seconda che conferma il talento di Valérie Perrin, (da anni attiva nel mondo del cinema francese come fotografa di scena, partner dal 2006 del grande regista Claude Lelouch ed anche cosceneggiatrice dei suoi ultimi film) che ha esordito con successo in Francia nel 2016 con “Il quaderno dell’amore perduto” di cui è ovviamente già in corso, in Italia, la ripubblicazione.

Questa volta la scrittrice ci regala un romanzo al cui centro è Violette (guardiana di un cimitero in una piccola città della Borgogna): un personaggio straordinario, una donna semplice, enigmatica e coraggiosa, rivolta verso la Vita nonostante tutto e tutti; una donna che ha conosciuto le durezze della Vita, il rifiuto, il lutto, il silenzio, un’infanzia segnata dall’abbandono, un matrimonio segnato dalla disillusione, un amore materno distrutto. Una donna che veste i colori dell’Inverno ma sotto porta però i colori ed il sapore dell’Estate. Attorno a lei, come dei satelliti o piccoli pianeti, gravitano tanti piccoli splendidi personaggi, uno spaccato di umanità, ognuno con le sue piccole storie, piccole cose della Vita, quelle tante sfaccettature della Vita che scorre intorno a noi. La tristezza, la gioia, la vita , la morte, le Estati, gli Inverni, le amicizie, l’Amore, gli amori mancati, gli amori persi, l’odio, il rancore e l’ostinazione perché nulla è mai veramente perduto…la resilienza…il possibile. Una moltitudine di emozioni: storie di vivi, di ricordi, di rimpianti, di speranze, di andate e ritorni nel passato e dal passato, in un intreccio di piani temporali e di Vite diverse tutte ben legate fra loro. Un equilibrio perfetto ed in armonia con i vari personaggi, tutti assolutamente autentici. Un intreccio in cui non ci si perde, che non ci lascia indifferenti, ma semmai, ci fa riflettere, piangere, ridere. Una storia ben articolata ed a tratti poetica che si fa quasi subito accettare ed amare e che tiene il lettore avvinghiato fino all’ultima pagina perché è una scoperta progressiva di elementi, di dettagli e di indizi.

Cambiare l’acqua ai fiori è una lettura da raccomandare, semplice ma autentica, un romanzo di fattura classica che si gusta con piacere: toccante e resiliente, una scrittura sensibile, poetica ed intimista. Un libro da non classificare assolutamente solo come un feel good book perché sarebbe banale, non corretto e riduttivo, al contrario, è un bel libro, vero ed autentico, di una scrittrice che usa magnificamente il Semplice ed il Bello. Un vero piacere!

data di pubblicazione:11/08/2020

LA BELLEZZA DELLE NUVOLE di Valentino Castaldo – Il Mio Libro, 2020 II edizione

LA BELLEZZA DELLE NUVOLE di Valentino Castaldo – Il Mio Libro, 2020 II edizione

Non tragga in inganno il sottotitolo “Racconti all’ombra del Covid”. Fortunatamente non si parla di pandemia e ci astrae da quella ridda di racconti e/o romanzi a tema d’occasione, peraltro assai poco ispirati, che affollano edicole e librerie. Semmai il lungo periodo di confinamento è stato opportunamente usato dall’autore per stimolare e corroborare la propria fantasia e creatività secondo un piano di letteratura razionale che si è avvalsa degli strumenti del dialetto, dell’antropologia, dell’etnografia e della localizzazione. Non sembri troppo tutto insieme anche se lo sfoggio e la pratica di queste scienze a tratti minaccia di soffocare il primigenio getto ispirativo, la trama piana del racconto. Minuziosamente Castaldo diffonde latitudini, mappe, espressioni gergali do quei tanti dialetti italiani che si palesano come autentiche lingue, a partire dal napoletano. E ogni racconto è preceduto da un illustre riferimento, nomi grossi come Keroauc o Flaiano. Non tutti i confinamenti vengono per nuocere se producono prodotti bizzarri come questo, silloge di racconti “realmente accaduti nella fantasia dell’autore”. Perché Castaldo dialoga, quasi scherza con il lettore e scherza anche con è stesso, cercando di non prendersi troppo sul serio. Ma la letteratura rimane una cosa seria e i continui refrain allusivi che intercalano i vari plot sembrano un vezzo funzionale per la sua poetica che si appoggia a illustri consiglieri regione per regione. Così è un libro che parla molte lingue e abbraccia diversi registri. Una sorta di Giro d’Italia picaresco, a tratti inquietante con un sottofondo di evidente partecipazione giornalistica e cronachistica alle vicende dei vari personaggi. Il racconto che preferiamo è forse il più lungo e argomentativo, quello del professore campano che torna in regole al momento del pensionamento e fa rivivere un amore veneto mai definitivamente appassito. Qui il bozzetto acquista spessore, colore e un’intensità probante. Castaldo ha emendato i numerosi errori di bozze con una ancora più gustosa ripresa in seconda edizione.

data di pubblicazione:8/08/2020

CINEMA & FINANZA di Monica Catalano – Progetto Economic@mente, 2020

CINEMA & FINANZA di Monica Catalano – Progetto Economic@mente, 2020

L’era del coronavirus ha spalancato al nostro tempo scenari impensabili. Il mondo di prima era dominato dalle feroci leggi dell’economia ma la crisi del 2020 rischia di far diventare questa scienza fallibile ancora più spietata e dominatrice della vita delle persone. Ecco che la letteratura riscatta la propria utilità sociale con un pamphlet che riassume la centralità della finanza nella determinazione dei destini. Monica Catalano, consulente finanziaria di lungo corso, offre in un agile volumetto l’abbinamento dell’economia con la storia del cinema. Lo specchio della fiction aiuta e mette a fuoco i fenomeni forse meglio della realtà ed è anche strumento piacevole per la comprensione della trasformazione del pianeta e delle sue leggi. Il sottotitolo è illuminante: dalla bolla dei tulipani al coronavirus. Circoscrive esattamente un andamento, determina la forbice cronologica del materiale trattato. Il denaro sterco del diavolo? Al di là della definizione apodittica si potrebbe scrivere che il denaro non regala felicità ma aiuta a vivere meglio. E la sua gestione è un gradiente fondamentale nel rapporto degli uomini. Le grandi rivoluzioni francesi o russe non sono forse scaturite da un bisogno impellente di cambiamento? E la crisi Lehmann Brothers del 2007-2008 non ha cambiato forse negli europei il modo di valutare la deperibile cultura americana, facendo vistosamente emergere i difetti strutturali delle bolle economiche? Lo strumento di lettura di cui si avvale la Catalano è suadente e stringente. Perché il cinema con l’uso dell’economia ci ha regalato grandi film drammatici come Wall Street o The Wolf, non a caso maturati nella grande industria statunitense. Un connubio forse nascosto e non così evidente è il rapporto tra produzioni cinematografiche e banche. Grandi film nascono da grandi capitali: successi e flop. Alternanze che fanno riflettere in un momento in cui poche sale cinematografiche hanno riaperto, Con l’economia che ancora una volta domina: nell’analisi costi/benefici se non c’è possibilità di guadagno gli esercenti preferiscono perpetuare il black out. Il cinema si adatta e cambia. Con i drive in, con la risorsa delle arene, con il recupero delle seconde visioni e persino con le sole parrocchiali di una volta. In un momento di sosta quasi antropologica questa agile pubblicazione ci aiuta a riscoprire il passato e una grande storia cinematografica fatta di capolavori e di passaggi nodali. Dal mondo incantato di Frank Capra, alla comicità di Totò fino alla crudezza di un titolo che è diventato un apologo: Too big to fail? Non è forse l’attualità rappresentata oggi da Atlantia o dall’Ilva di Taranto? Rebus anche il Governo, tra opposte interpretazioni.

data di pubblicazione:21/07/2020

FAVOLACCE di Fabio e Damiano D’Innocenzo, 2020

FAVOLACCE di Fabio e Damiano D’Innocenzo, 2020

In un agglomerato residenziale alla periferia di Roma, diverse famiglie interagiscono di comune accordo mentre i loro figli giocano a fare i grandi. Una voce fuori campo legge, dal diario di una bambina trovato casualmente, ciò che accadde in una certa estate quando, davanti alle palpabili frustrazioni di uno sparuto gruppo di genitori poco più che trentenni, i loro figli metteranno in scena una drastica protesta. Non è un atto di ribellione in sé, ma il loro netto rifiuto di entrare a far parte di una società che i loro stessi padri hanno reso così vuota e sterile.

I fratelli-gemelli D’Innocenzo, ancora reduci dal successo ottenuto nel 2018 a Berlino con il loro primo film La terra dell’abbastanza, realizzano un loro vecchio sogno tornando alla Berlinale nel 2020 con il lungometraggio Favolacce, vincendo l’orso d’argento per la migliore sceneggiatura e tanto altro ancora, in cui raccontano le proprie esperienze vissute nella periferia romana attraverso le vite e lo sguardo di alcuni bambini: “oramai ci troviamo in un’età intermedia dove non siamo più troppi giovani ma neanche troppo grandi e quindi non potevamo più aspettare a raccontare di quelle sensazioni che noi stessi abbiamo percepito da piccoli”.

Il film è uno spaccato sulla nevrosi tipica delle attuali piccole classi borghesi italiane, in un susseguirsi di insuccessi per la mancata realizzazione di sogni e stupide ambizioni che, inevitabilmente, vanno a riversarsi sui figli, vittime innocenti di questi abusi mentali. Sono loro che, proprio perché ancora lontani dai condizionamenti di un ambiente palesemente indecoroso, riescono a percepire istintivamente il malessere della società così come ci appare, attraverso i loro sguardi severi ed intelligenti, in tutto il suo squallore. Bisogna dare atto ai due giovani registi, appena trentenni, di aver saputo ben inquadrare l’intimo di ogni singolo piccolo protagonista, lasciando ad ognuno libertà di espressione, lontano da qualsiasi forzatura da copione. Ancora una volta il bravo Elio Germano, giusto in tempo per togliersi i panni di Antonio Ligabue nel film di Diritti Volevo nascondermi presentato anch’esso alla Berlinale e vincitore di una serie infinita di premi, in Favolacce è Bruno Placido che, insieme alla moglie Dalila (Barbara Chichiarelli), rappresentano un classico esempio di genitori contemporanei molto concentrati su loro stessi e poco attenti alla sensibilità dei figli, per mancanza di cultura oltre e di quella necessaria propensione verso chi sta sbocciando alla vita.

I registi rivelano ancora una volta un loro lato squisitamente umano tipico di un certo “popolino romano”, di cui non sappiamo se realmente ne facciano parte, ma che in questo film viene descritto in modo esemplare, dimostrando di aver raggiunto una genuina maturità necessaria a raccontare una favola piena di amarezza, che ha profonde radici nel reale tessuto sociale contemporaneo, con una potenza espressiva che agisce su dimensioni profonde, perché i contenuti sono espressi in un linguaggio cinematografico potente e sovversivo, sapientissimo ed al tempo stesso fuori dagli schemi. Il cinema italiano è vivo e può capitare che produca ancora opere d’arte: quando forma e contenuto coincidono, quando la verità della vita spinta agli estremi diventa visionaria e indecifrabile, quando radicalità e reticenza vanno di pari passo, il cinema raggiunge la sua grande potenzialità espressiva e si hanno opere come quella dei geniali fratelli D’Innocenzo (Alessandro De Michele).

Da non perdere… al cinema!

data di pubblicazione:17/07/2020


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COME UNA STORIA D’AMORE di Nadia Terranova – Perrone editore, 2020

COME UNA STORIA D’AMORE di Nadia Terranova – Perrone editore, 2020

Un’autrice di successo ha voglia di inanellare piccole storie dopo il boom del Premio Strega 2018. L’amore che c’è è sussurrato, coccolato, tenue. Non è un’esplosione di passione ma un sentimento rattenuto, dissimulato, difeso ma pur vivo ed esistente. Un autobiografismo discreto ma palpitante si affaccia nei dieci racconti dell’agile silloge in cento pagine, distillati di situazioni, ambienti che corrono parallelamente alla vita del Pigneto. E la Terranova, siciliana adottata da Roma, non manca di sottolineare la differenza antropologica, la mutazione del suo essere in una città sempre più cosmopolita capace di integrarti ma con il manifestarsi di qualche asperità e durezza. La Terranova si fa dunque esploratrice e vigile interprete di pulsioni sottotraccia, leggendo ed interpretando il sottotesto dei suoi personaggi e dei suoi scenari, pervasi di umanità e di esperienze personali, da portare alla luce dalla zona d’ombra in cui si trovano. Un libro inconsueto e non banale in cui la demarcazione dei racconti invita a una lettura meditata e non frenetica, come il ritmo invece a volte caotico della metropoli. Si sosta a Porta Maggiore che è luogo di transito e non di visione con l’ispirazione lasciata da Mariateresa Di Lascia. Dunque anche una pensilina, una lavanderia, un incontro fortuito, accendono stimoli e vibrazioni. La vita negli occhi degli altri, come specchio e occasione di serenità. Come entrare in un mondo privato che la rivelazione della letteratura, proustianamente, rende improvvisamente pubblico. Si ripete il piccolo miracolo della suggestione comunicativa che si rende seducente con la forma più che con il contenuto. Perché non c’è tanto da raccontare se non stati d’animo, percezione, impulsi di un mondo virato da una sensibilità tipicamente femminile. Un testo interlocutorio che completa il curriculum sempre più interessante e stringente di una delle autrici più stimolanti della generazione di mezzo.

data di pubblicazione:08/07/2020

VERSO IL RITORNO: il palinsesto estivo del Teatro di Roma

VERSO IL RITORNO: il palinsesto estivo del Teatro di Roma

Dal 2 luglio Il Teatro di Roma ha riaperto alla città, agli artisti e al pubblico, offrendo una Stagione estiva straordinaria denominata Verso il ritorno proprio per tornare a essere luogo da vivere con il pensiero, l’incontro, le prove e lo spettacolo.

Il Teatro Argentina, con ingressi limitati a 200 posti, si trasforma in un luogo di produzione e coinvolgimento, dove la musica si intreccia al teatro e al racconto: si è iniziato iI 2 luglio con le note di Shadows. Le memorie perdute di Chet Baker, titolo del diario di una vita scritto dal jazzista ritrovato dieci anni dopo la sua morte, che il trombettista Fabrizio Bosso, il pianista Julian Oliver Mazzariello e la voce di Massimo Popolizio interpretano e rileggono. Felice ritorno anche per il regista siciliano Davide Enia, che riporta in scena Maggio ‘43, una drammaturgia che scompone, intreccia e rielabora le testimonianze del massacro di Palermo il 9 maggio ’43, con i bombardamenti che distrussero la città prima dello sbarco degli Alleati (26 luglio ore 21) oltre alla replica del pluripremiato L’abisso, in scena nella programmazione estiva del MAXXI, in collaborazione con il Teatro di Roma (17 luglio ore 21). Il Laboratorio Integrato Piero Gabrielli, nato in occasione della Giornata internazionale dell’Infermiere, che raccoglie in un testo teatrale vissuti e testimonianze di chi era in prima linea nei giorni dell’emergenza presenta lee prove aperte della prossima produzione del Teatro di Roma, con sei attori, Uomo senza meta, per la regia di Giacomo Bisordi (15 luglio ore 21) e la drammaturgia di Arne Lygre, una microsaga familiare, dissezione anatomica dei nostri sentimenti in tempi di neoliberismo trionfante e crudele favola politica (30 e 31 luglio ore 21). Ad accompagnare il programma estivo, tutti i sabati di luglio (4, 11, 18 e 25 ore 19) Musica dalle finestre, concerti all’aperto dalle finestre dell’Argentina, dedicati ad autori del ‘900 con il sax protagonista, in collaborazione con l’Orchestra di Roma Tre.

Il Teatro India si fa arena estiva all’aperto – con capienza massima di 154 posti – per accogliere il pubblico nei suoi spazi esterni, portando in scena alcune tra produzioni e ospitalità della stagione teatrale interrotta dall’emergenza pandemica: i corpi in rotazione di TURNING_Orlando’s version di Alessandro Sciarroni, una danza che rimanda a una trasformazione circolare ed esplora il lavoro in punta della danza classica (9 e 10 luglio ore 20); il ‘jukebox-umano’ in carne e voce di Monica Demuru che dà vita ai materiali sonori raccolti tra Roma, Prato e Cagliari per il solo site-specific Jukebox di Encyclopédie de la Parole (16 e 17 luglio ore 21.30); il congegno drammaturgico e sonoro, sospeso tra dialogo teatrale e indagine letteraria, dei RedReading di Bartolini/Baronio, in cui il teatro incontra la potenza dei libri in un esercizio di vicinanza, con un doppio appuntamento: FEROCEMENTE VIVI_scavando a mani nude, intrecciando fili (dal libro Al centro di una città antichissima di Rosa Mordenti, 11 luglio ore 21.30) e UN GIORNO BIANCO_dove il noi dimora in me (dal libro Ho costruito una casa da giardiniere di Gilles Clément 18 luglio ore 21.30).

Gli artisti di Oceano Indiano – DOM-, Fabio Condemi, Industria Indipendente, mk, Muta Imago, con la collaborazione per l’occasione di Daria Deflorian – ricominciano a irrorare il teatro in presenza, iniziando a lavorare ad un nuovo formato radiofonico, questa volta più fisico, performativo e collettivo, Cronache Fluviali, che in quattro weekend – 3-4, 10-11, 17-18, 24-25 luglio, ore 18.30-21.30, di cui solo primo weekend non prevede pubblico – e in quattro capitoli – Partenze, Navigazioni, Avvistamenti, Mare Aperto – traccerà una peregrinazione sonora di ascolti musicali, field recording, interviste, interventi lungo le sponde del Tevere, partendo dal Teatro India e arrivando fino al mare. L’estate di India si conclude con un affaccio nel programma di Oceano Indiano, di cui andrà in scena Pezzi anatomici di mk (dal 28 al 30 agosto), una serie di aperture coreografiche in cui fare convivere luogo della visione e luogo della ricerca.

L’arena del Teatro India ospiterà la settima edizione del Festival Dominio Pubblico_La Città agli Under 25, una piattaforma immaginativa per le nuove generazioni che prova a ricreare una comunità intorno al teatro e alle arti (24, 25, 26, 30, 31 luglio e 1 agosto); inoltre, Fuori Programma, che propone uno sguardo sul paesaggio delle più interessanti e recenti produzioni coreografiche e della danza contemporanea, a cura di Valentina Marini (28, 29 e 30 luglio). Ad accompagnarci verso la fine dell’estate, lacasadargilla con il suo trasmettitore spaziale millenario IF – Invasioni dal futuro che invia immagini, suoni e storie tratte dalla migliore letteratura di fantascienza (dal 24 al 30 agosto).

In queste prime fasi di riapertura il Teatro di Roma torna ad affacciarsi sulla città in una concatenazione di prospettive e punti di vista differenti, alla ricerca di una connessione ancora più forte e trasversale con chi la abita. Ad anticipare la stagione, nascerà a fine agosto il Cantiere dell’immaginazione, un ciclo di incontri aperti al pubblico e tavoli di lavoro rivolti a cittadini di tutte le generazioni e realtà differenti attive nel territorio. Una chiamata pubblica in cui il Teatro si mette a servizio della città offrendo un tempo e uno spazio per creare connessioni, tracciare nuove lingue comuni, condividere nel modo più ampio possibile un pensiero di costruzione del fare cultura a Roma. Nel frattempo, prende il via il Cantiere Amleto o della gioventù usurpata, condotto dal direttore artistico Giorgio Barberio Corsetti e da Massimo Sigillò Massara, negli spazi all’aperto del Parco di Tor Tre Teste al Quarticciolo.

data di pubblicazione:07/07/2020