da Daniele Poto | Mar 9, 2021
Una chicca letteraria di difficile reperimento ma di assoluta soddisfazione nel minimalismo di una chiacchierata (che non è un’intervista) maturata dopo una serata piuttosto alcolica. La ritrosia di Bernhard viene meno di fronte alla reiterata insistenza di un giovane giornalista in ascesa, in odore di amicizia. Tanta è la caducità del momento che successivamente lo scrittore austriaco negherà il diritto alla pubblicazione che sarà acquisito solo molti anni dopo la sua morte portandoci dentro il privato e l’intimo di uno scrittore contro, perennemente contestativo nei confronti della società in cui vive anche grazie a esperienza polimorfe di nascita e di crescita culturale. Bernhard non è stato mai così vero e psicologicamente nudo come in questa occasione, con il vino ingerito, a provocare un’apertura di credito inusitata all’interlocutore, vista anche la sua cronica diffidenza verso i media e i mezzi di comunicazione. Quindi si rende un grande servizio all’esegeta con la possibilità di addentrarsi in questo scrigno di rivelazioni e di confidenze. Peraltro non c’è ombra di gossip perché gli interrogativi di Hamm fioccano numerosi e naturali senza un copione preciso, così sull’onda di una confidenza sempre più spinta. Non dobbiamo apprendere segreti ma possiamo addentrarci all’interno del magma introspettivo di un autore che ha bisogno di essere stimolato, un introverso che nell’occasione propizia si svela con generosità. E parlando all’amico, senza la sensazione di essere stimolato per una pubblicazione rivolta al grande pubblico. Così parlando della vita di tutti i giorni si finisce con l’approfondire il carsico problema della morte e della legittimità latente del suicidio. Si discetta di Pascal, di filosofia, dell’adolescenza, del mancato riconoscimento nella società contemporanea. La trascrizione segue di quasi quaranta anni il dialogo dal vivo, ripreso da un registratore. I giudizi di Bernhard nel bene e nel male sono taglienti. Come la predilezione per Artaud e lo scetticismo su Brecht. Ed è oltremodo divertente la storia della sua gavetta come cronista giudiziario, con margini d’invenzione rispetto alle reali vicende penali.
data di pubblicazione:09/03/2021
da Paolo Talone | Mar 7, 2021
(Teatro Quirino – Roma, 5 marzo 2021)
Si alza un coro di voci a dire che il teatro Quirino vive! A un anno esatto dalla chiusura dei teatri per la pandemia, si celebrano i 150 anni dalla fondazione del teatro diretto dall’attore e regista napoletano Geppy Gleijeses.
Richiama un numeroso pubblico l’iniziativa Le voci di dentro promossa dalla direzione del Teatro Quirino Vittorio Gassman per ricordare i 150 anni dalla fondazione della sala teatrale romana. A sera il marciapiede di via delle Vergini, dove ha sede il teatro, si riempie del vociare di amici e affezionati, ma anche di passanti incuriositi e soprattutto degli addetti ai lavori, attori e tecnici, da un anno fermi con il loro lavoro causa pandemia. I protagonisti per un evento dal vivo ci sono tutti, ma la possibilità di poter assistere a un’azione teatrale è negata ancora dalla velocità con la quale il numero dei contagi accelera proprio in questi giorni. Sfuma la possibilità di una riapertura il 27 marzo prossimo, data fissata in accordo con il CTS del Ministero della salute per le strutture che si trovano in zona gialla. La sala, che ha una capienza massima di 850 posti, può ospitare fino a 200 spettatori: troppo pochi per assicurare tutte le spese che un evento dal vivo richiede, afferma l’amministratore delegato Rosario Coppolino. Per ora nella grande sinfonia della scena culturale si osservano battute di silenzio. Ma è un silenzio tutt’altro che inoperoso. Il teatro Quirino è tra i principali animatori dell’Atip, l’associazione che raccoglie le istanze delle realtà teatrali private presenti sul territorio italiano. Sorta a maggio dello scorso anno – ricorda Coppolino – raccoglie oggi in un’unica voce circa quaranta membri tra produzioni e teatri privati. In continuo dialogo con le istituzioni e proiettata a svolgere la sua attività anche dopo la fine della pandemia, l’associazione è un riferimento importante per chi non gode di sovvenzioni pubbliche ed è costretto a fare leva esclusivamente sulle proprie forze.
Potenti sono invece le voci che nel frattempo riempiono lo spazio urbano intorno al teatro. Un’antologia sonora di brani recitati e cantati da indimenticabili interpreti che hanno solcato le tavole del palcoscenico del Quirino. Si attinge al passato, ai testi della grande letteratura teatrale e poetica, da Pirandello a Shakespeare, passando per Euripide e Leopardi. Si distinguono la voce di Vittorio Gassman che recita A Silvia e quella di Carmelo Bene nel monologo Ecco, si spegne il lume di Donato Renzetti; Mariangela Melato viene ricordata nella Medea e Franca Valeri con L’attrice famosa; Dario Fo recita la celebre scena di papa Bonifacio VIII contenuta nel suo Mistero Buffo e i pirandelliani Berretto a sonagli e Pensaci Giacomino vengono evocati rispettivamente da Turi Ferro e Salvo Randone. Un’aria di festa si crea quando vanno in diffusione le celebri note di musiche come Tanto pe’ cantà nell’interpretazione di Ettore Petrolini, che proprio al Quirino tenne il suo ultimo spettacolo, Quanto sei bella Roma cantata da Anna Magnani e E va’ e va’ di Alberto Sordi. Si torna indietro per ricordare e caricare quella molla che è pronta a scattare nel presente, con brani registrati dagli attori che sono in attesa di ritornare sul palcoscenico: Michele Placido recita il Canto dantesco di Paolo e Francesca; Alessandro Haber recita Bukowski. Geppy Gleijeses legge la poesia Lassammo fa’ a Dio, Enrico Solfrizzi il prologo dell’Enrico V e Mariangela D’Abbraccio, in un montaggio che la mette vicino al grande Eduardo De Filippo, è Filumena Marturano.
Certi che la creatività e la passione non si spengono nei momenti di crisi, attendiamo che la bellezza di queste voci si ricomponga con il suo legittimo corpo. Il corpo teatrale.
data di pubblicazione:07/03/2021
da Daniele Poto | Mar 2, 2021
Documentario di vibrante impegno civile che centra il focus sullo scandalo dei disinfettanti negli ospedali rumeni. Scandalo di Stato in parte impunito, reso quasi in presa diretta. Un martellante pamphlet che ha tutte le carte in regola per concorrere agli Oscar nella sezioni “documentari”
Una tragedia nazionale che comincia con una strage in discoteca. Suona un complesso punk, scoppia un incendio e la uscite di sicurezza non sono a norma. Decine di morti ma soprattutto decine di ricoverati negli ospedali rumeni e principalmente in quello specializzato nella cura dei “grandi ustionati”. Il vero dramma parte da lì perché il prodotto disinfettante viene diluito e quindi partono infezioni batteriche irrisolvibili anche di fronte a ustioni di non eccezionali gravità. Si può scrivere che faccia più vittima il sistema ospedaliero di quante non ne abbia fatte l’incendio in discoteca. Il documentario segue in presa diretta, con la viva partecipazione dello spettatore, uno scandalo che pervade la nazione. Nella prima parte attraverso gli occhi e l’azione del principale denunciante, il giornalista Tortoltan, ben assistito dallo staff della propria testata, la Gazeta Sporturilor (traduzione La Gazzetta dello Sport, ma ben diversa dal foglio rosa nostrano). Le proteste di piazza portano al siluramento del Ministro della Sanità in carica, travolto dalla quantità inverosimile di bugie dispensate in conferenza stampa. Nella seconda parte invece il protagonista diventa il suo successore che nei generosi quanto indispensabili tentativi di cambiamento si imbatte in una magmatica corruzione, scoprendo che tutti i dirigenti ospedalieri sono manovrati dalla politica. Evidentemente l’auspicata palingenesi è un’utopia impossibile anche perché il partito che più rappresenta questo quadro illegale di lì a qualche settimana trionfa alle elezioni con una percentuale schiacciante e quasi maggioritaria. Il docu-film ha momenti di forte e drammatico impatto mostrando i corpi infetti degli ustionati e le conseguenze di una cattiva gestione di un forte momento di crisi. Opera corale che ovviamente documenta un sistema della sanità marcio le cui lacune non potranno che essere ribadite dalla pandemia attuale.
data di pubblicazione:02/03/2021
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da Antonio Jacolina | Mar 1, 2021
Proseguendo, sempre per mera emulazione, nella ricerca (lontano dal mondo “banale” dei Best-Seller), dei libri di nicchia, abbiamo incontrato un gioiellino edito circa dieci anni fa. Un libricino che unisce l’appassionante testo di Roland Barthes e le belle foto d’epoca raccolte da André Martin.
Come sappiamo Barthes è stato un semiologo, saggista e critico letterario e sociale che ha studiato in particolare il valore dei simboli ed è stato fra i fondatori della semiologia del linguaggio letterario quale approccio critico alla “mitologia”, cioè alla ricerca del “mito” e dei significati reconditi, vale a dire di quanto è nascosto dietro i fenomeni culturali popolari: dalla pubblicità agli sport, dalla moda ai monumenti … e… per l’appunto alla Torre Eiffel. Il monumento a Parigi per eccellenza, nulla apparentemente di più banale e di più trito e ritrito. Ma proprio qui è tutto il senso centrale del “mito”. Da qui lo spunto per uno studio snello, piacevole, interessante ed analitico dei “piaceri” offerti dalla Torre e delle “funzioni” da lei esplicitate.
“La Torre è un oggetto che vede e, nel contempo, uno sguardo che è visto. In quanto sguardo e oggetto è anche un simbolo, tale è l’infinito circuito di funzioni che le permette di essere ben altro e ben più della Tour Eiffel. Per soddisfare questa grande funzione onirica che ne fa una sorta di monumento totale, è necessario che la Torre si sottragga alla ragione.” Simbolo di Parigi per il Mondo intero, questo monumento che si vede da ogni angolo della Ville lumiére ci propone lui stesso, a noi lettori, uno sguardo panoramico per osservare la città e farla così nostra. Edificio a lungo vituperato, pienamente ed apertamente inutile, è, innanzitutto, un oggetto di una gran capacità tecnica, un segno di audacia e modernità che, con il passare del tempo, è divenuto un’opera d’arte. Un merletto di ferro, segno di leggerezza e, per la sua verticalità, espressione anche del sogno irrealizzabile degli uomini di scalare e raggiungere il cielo. Barthes, con fare quasi distaccato, invita il lettore ad esaminare la Tour Eiffel nei suoi vari aspetti come se stessimo esaminando ed osservando con lui una sua riproduzione in miniatura venduta in ogni angolo turistico di Parigi. La esamina dall’esterno come oggetto in sé e per sé, e dall’interno come luogo privilegiato di osservazione, un osservatorio sulla città. L’autore costruisce proprio a partire dalla assoluta “inutilità” della Torre, un quadro magistrale di Parigi, della sua modernità, dei suoi luoghi simbolici, e dei luoghi dell’immaginario collettivo, e, nello stesso tempo rende omaggio agli uomini che hanno concepito, ideato, progettato e realizzato quest’opera tanto controversamente accolta all’epoca della sua costruzione, quanto oggi universalmente accettata.
“Sguardo, oggetto, simbolo, la Tour Eiffel è tutto ciò che l’uomo pone in essere in essa, e questo tutto è infinito. Spettacolo guardato e guardante, edificio inutile ed insostituibile, mondo familiare e simbolo eroico, testimone di un secolo e monumento sempre nuovo …”
Una scrittura scorrevole per una chiave di lettura originale, illuminante e geniale. Un piccolo libro che ci fa vedere con sguardo tenero il variegato paesaggio parigino ed è amabile come una lieta conversazione mentre si è seduti piacevolmente all’aperto in un bistrò da cui si spera di non dover andar via.
data di pubblicazione:01/03/2021
da Daniele Poto | Feb 28, 2021
Un omaggio ad Alberto Sordi, non il primo né l’ultimo in un momento di estrema incertezza per l’industria cinematografica. Dal 10 al 12 marzo nelle aule dell’IISS Cine- Tv Roberto Rossellini si svolgerà la prima edizione della rassegna Fabbrica del Cinema con un omaggio al grande attore romano. Si tratta di un’iniziativa dell’Associazione Nove Produzioni con il contributo e il patrocinio della Direzione Cine e Audiovisivo, costola del Ministero per i Beni e le attività culturali. I primi destinatari della proposta sono gli adolescenti, trampolino ideale per un pubblico ancora più maturo e vasto. Scriveva del resto Sordi: “I vostri ricordi con me, raccontateli quando sarò in orizzontale. Allora mi farete felice perché sarà anche un modo per non farmi dimenticare dal mio pubblico che ho amato come se fosse la mia famiglia”. Sono previste quattro proiezioni altamente significative per la sua filmografia: Un borghese piccolo piccolo, La grande guerra, Il Marchese del Grillo e Il Romanzo del giovane povero. Saranno co-protagonisti degli incontri gli attori/registi Giorgio Gobbi e Rolando Ravello che rilasceranno testimonianza dal vivo sul loro impatto con il grande attore comico. Nell’occasione sarà intitolato a Sordi una sala dell’IISS in una cerimonia a cui prenderà parte l’avvocato Ciro Intino, direttore della Fondazione Alberto Sordi. Il ricordo dell’attore peraltro è perpetuato dalla grande mostra che migliaia di romani hanno avuto modo di conoscere in una struttura allestita contiguamente alla sua indimenticabile abitazione romana. Lì ospitati tutti i suoi cimeli e i ricordi una vita intensa, ricca e gratificante, oltre che dedita a una beneficenza tenuta sempre discretamente nascosta. E siamo anche a pochi metri dagli studi cinematografici della Ponti-De Laurentiis dove Sordi ha girato tante della sue fortunata pellicole.
data di pubblicazione:28/02/2021
da Daniele Poto | Feb 28, 2021
Ha 67 anni, gode di ottima salute ed è il più incredibile criminale-terrorista ancora in circolazione, vivente espressione di un periodo che si può circoscrivere dal 1975 ai giorni nostri. Quasi mezzo secolo di oscuri misteri italiani vissuti dall’ormai sessantasettenne Paolo Bellini, reggiano, un curriculum malavitoso da far paura, una lista di omicidi alle spalle che giustificherebbero la sua definitiva messa al bando dalla società. Invece protetto dai servizi, assistito da adeguati programmi di copertura, a volte salvato dalla prescrizione, Bellini continua a discettare misteri di Stato a piccole dosi. A esempio ha rivelato, 34 anni dopo, di aver aperto la lunga scia di omicidi agendo da killer nei confronti dello studente di lotta Continua Alceste Campanile. Un omicidio che non ha avuto colpevoli per decenni e di cui Bellini si è accusato solo quando ha avuto la certezza di non pagare dazio, a reato, ormai prescritto. Bellini è l’ultimo indagato per la strage alla stazione di Bologna, riconosciuto casualmente dalla moglie in un fermo immagine d’epoca. Il suo curriculum fa decisamente paura. Pilota d’aerei sotto il nome falso di Da Silva (identità brasiliana) è uno dei pochi criminali che sia riuscito a intessere con pari disinvoltura rapporti sia con la ‘ndrangheta che con Cosa Nostra. Con trame talmente pericolose che persino Riina in una dichiarazione spontanea rilasciata in Tribunale ha ritenuto opportuno sconfessarlo. Trafficante d’arte, ideologicamente legato all’estrema destra, Bellini è una meteora impazzita il cui problematico e quasi irriconoscibile, percorso viene ricostruito con dovizia di particolari da Giovanni Vignali in quello che è insieme un pamphlet ed un dossier e di estrema attualità. Il criminale giusto al posto giusto secondo la logica dell’illegalità. Una primula nera che appare e scompare dai capitoli più ambigui e ancora misteriosi della storia italiana, non ultimo la famosa e mai chiarita trattativa tra Stato e Mafia.
data di pubblicazione:28/02/2021
da Antonio Jacolina | Feb 26, 2021
Di questi tempi si stampa troppo e di tutto, l’offerta e la qualità sono inversamente proporzionali al numero dei lettori veri (per intenderci quelli che comprano realmente un libro per leggerlo). Oramai scrivono tutti… politici di ieri e di oggi, magistrati ed ex magistrati, artisti o pseudo artisti in carriera o sul viale del tramonto e tanti illustri sconosciuti destinati a restare tali… tutti hanno la certezza di avere qualcosa di interessante da raccontare al Mondo. Male che vada… tutti hanno almeno… un bel giallo o un poliziesco da proporre!
Comunque sia, proseguendo, per emulazione, nel curiosare fra i libri di nicchia, abbiamo trovato il libro di Anne Sinclair, giornalista e conduttrice televisiva, uno dei volti e delle firme più popolari ed apprezzate in Francia, divenuta nota anche al grande pubblico italiano nel maggio 2011 in occasione dello scandalo che travolse suo marito Dominique Strauss-Kahn: Direttore del Fondo Monetario Internazionale e probabile candidato socialista alle presidenziali Francesi del 2012. La giornalista difese strenuamente il marito dalle accuse di tentata violenza sessuale ai danni di una cameriera in un albergo di New York, anche se poi, l’anno dopo, cadute tutte le imputazioni (vere o artatamente costruite per fini politici che esse fossero), chiese la separazione.
La Sinclair è giornalista di gran talento e lo conferma la lettura di questo piccolo libro scritto con una lingua diretta, vivace, scorrevole e gradevole, con toni naturali e briosi ed una scrittura veloce. Facendo rivivere la galleria d’arte dei nonni materni, posta, per l’appunto al N° 21 di Rue La Boétie nei pressi degli Champs-Elysées a Parigi, l’autrice rende omaggio alla loro sensibilità di mercanti, di collezionisti d’arte e di mecenati e tesse la tela di un racconto in cui si incrociano le più belle pagine della pittura moderna, le relazioni umane fra il nonno Paul Rosemberg e gli artisti da lui prediletti e protetti: Picasso, Matisse, Braque, Léger … , la Parigi della fine degli anni Trenta, l’occupazione tedesca, le spoliazioni, ruberie e confische operate dai nazisti ai danni degli ebrei, l’avventurosa fuga dei nonni in America e poi, alla fine della guerra, le difficili e caotiche lotte umane e giudiziarie per poter recuperare il loro patrimonio di quadri dispersi dai tedeschi in Europa, complici mercanti privi di scrupoli.
Un libro ben documentato, ricco di aneddoti, frutto di un lavoro di ricostruzione d’archivio e di ricordi d’infanzia che ci porta dietro le quinte del mondo degli artisti e dei collezionisti della prima metà del XX secolo e ci svela fatti spesso ignorati del mondo dell’Arte e le relazioni privilegiate con alcuni grandi pittori di quell’epoca. Un melange intimo fra la vita di Paul Rosemberg: le sue corrispondenze con gli artisti, le varie correnti artistiche e… la Grande Storia: la caduta della Francia, l’antisemitismo strisciante, l’atteggiamento semi collaborazionista di tantissimi francesi verso l’occupante tedesco e le vessazioni naziste. Una ricerca storica di un mondo e di un’epoca dal punto di vista dell’Arte in un momento ben particolare della Storia.
21, Rue La Boétie è un piccolo libro appassionante che evoca un periodo fecondo, di gran fioritura e creatività artistica nella Parigi e nell’Europa fra le due guerre e che evoca anche la necessità di ciascuno di noi di conoscere le proprie origini familiari, il peso delle alterne alee della Fortuna ed i sentimenti di esclusione. Un libro ben scritto, con passione, umiltà ed un filo di nostalgia, una lettura facile ed interessante, ma anche un libro reso profondo dalle domande poste dalla scrittrice che ha avuto il personale privilegio di essere la nipote adorata di questo grande e perspicace collezionista e di poter conoscere, nella sua infanzia, alcuni dei più grandi pittori del secolo scorso. Pittori che, a sua volta, suo nonno aveva fatto conoscere ed apprezzare in Europa ed in America.
Ci si aspettava una biografia ed invece piano, piano si entra nella Grande Storia.
data di pubblicazione:26/02/2021
da Paolo Talone | Feb 25, 2021
(Teatro Argentina – Teatro di Roma, 22 febbraio 2021)
È stata una protesta silenziosa e composta quella che si è svolta lunedì 22 febbraio scorso davanti al Teatro Argentina – Teatro di Roma per circa due ore dalle 19:30. A presidiare la piazza operatori del settore e diversi giornalisti a documentare l’evento. L’iniziativa, promossa dall’Associazione di categoria Unione nazionale interpreti teatro e audiovisivo (U.N.I.T.A.), è stata accolta in tutta Italia da un folto numero di direttori artistici a cui è stato chiesto di illuminare i propri edifici teatrali per testimoniare una presenza attiva e più che mai sofferente, che attende di poter riprendere a lavorare. Ad animare la serata anche un ristretto gruppo di lavoratori e lavoratrici che fanno capo alla Rete intersindacale professionist* dello spettacolo e della cultura. Loro lo slogan un anno senza eventi e senza reddito, a ricordare la precarietà in cui versa attualmente il settore della cultura. Tra gli attori presenti Fabrizio Gifuni e Paolo Calabresi – consiglieri di Unita – e il direttore del Teatro di Roma Giorgio Barberio Corsetti. Discreta ma significativa anche la presenza di abituali spettatori che attendono la ripresa degli spettacoli dal vivo. Non si dà spettacolo senza la compresenza di artisti e pubblico: il teatro è l’arte che ha la sua ragion d’essere nel suo accadere dal vivo. La protesta è collettiva. Sembra di respirare un’aria di festa, quasi da debutto, per via dei riflettori accesi dall’interno del foyer del teatro. La luce abbagliante è proiettata sul marciapiede antistante l’edificio. Contemplando la facciata non si può non soffermarsi a leggere in alto la dedica alle Arti della tragedia, della musica e della danza nei nomi mitologici delle Muse che le rappresentano, che per ora rimangono mute. Il teatro come struttura è parte non solo del tessuto urbano, ma più ancora espressione della società e dell’educazione che riceviamo. La consapevolezza però dello sconcertante momento che viviamo ci fa pensare più alle luci di una corsia di ospedale che non a un grande evento, che si accendono perché un paziente malato – il teatro appunto – chiede aiuto e assistenza. È passato ormai un anno dalla chiusura forzata delle sale per via della pandemia in atto e ad oggi non si vede ancora la possibilità di una riapertura imminente. Ci uniamo all’appello di Unita e speriamo che presto il nuovo Governo torni a parlare di teatro e programmi un piano che renda possibile la riapertura in sicurezza delle sale teatrali.
data di pubblicazione:25/02/2021
da Daniele Poto | Feb 25, 2021
Insegnante alla scuola Holden, giocatore di basket incompiuto, Poddi è solito affidare le proprie storie a un preciso riferimento storico. Fu così in una precedente opera per la leggendaria finale di basket olimpico tra Stati Uniti e Urss del 1972, si ripete ora per una centenaria che ha occupato tutto il secolo scorso, nel suo caso tutt’altro che breve perché vissuto passionalmente, intensamente e pericolosamente. Il personaggio al centro del plot è Leni Von Riefenstahl, regista, attrice, scrittrice e tante altre cose ma soprattutto autrice di testimonianze di spessore sulla cultura e sullo sport nazista, con adesione entusiastica, però a volte ambigua con il credo hitleriano. L’intento di Poddi è piuttosto presto svelato nel magico e incantato scenario acquatico delle Maldive. La dialettica è stabilita con la sua guida nei mari che non è lì per caso perché è la figlia di una donna che interloquito pesantemente il proprio destino con quello della film maker. Non ci addentreremo più oltre nello spoiler ma è evidente la conflittualità del rapporto. E l’ora di cui si parla nel titolo è un prolungato drammatico fermo immagine in queste esplorazioni subacquee. C’è un certo senso di espiazione nel comportamento di Leni che va a temperare la durezza introspettiva della sua interlocutrice. Un grosso lavoro di documentazione c’è alle spalle di un romanzo che è figlio di una tendenza ormai generalizzata (v. Culicchia,Bajani ed altri). Vicende storiche diventano metastoriche attraverso reinterpretazioni, legittime tanto qual è il libero arbitro letterario. Il romanzo è scritto benissimo anche se la direzione del plot e la sua prevedibilità nuocciono a lungo andare a una speranza di sorpresa. Un testo che apre tante porte, stimola la curiosità sulla personalità della regista tedesca e semina qualche dubbio politicamente scorretto, sul contrasto tra come lei stessa desidera apparire e le sue disinvolte capriole ideologiche. L’unita di luogo e di tempo è continuamente infranto a quello che la storia ha seminato e, purtroppo, non ha sempre insegnato.
data di pubblicazione:25/02/2021
da Antonio Jacolina | Feb 18, 2021
Per la gioia dei suoi innumerevoli appassionati, Adelphi prosegue con la pubblicazione dei “Romanzi Duri” di Simenon. Ecco quindi fresco di stampa e di una nuova traduzione un bel romanzo del 1939. Un “Roman-Roman” come amava definire i propri lavori l’autore stesso, appartenente, come abbiamo già avuto modo di scrivere, per periodo, ispirazione e qualità proprio alla feconda prima stagione creativa dello scrittore belga. Quindi, ancora una volta, un’opportunità per l’autore di osservare come solo lui sa fare, le umane vicende, la pena dell’esistere, tutta la durezza della realtà anche quando essa, a prima vista, appare tutt’altro che dura, per raccontarci cosa sia avvenuto e, soprattutto, cosa ciò che è già avvenuto ancora causi e determini nell’esistenza delle persone da lui osservate. Gli intricati fili del Destino segnano sempre la vita degli uomini. Un Potere ineluttabile cui, per Simenon, per quanto si possa lottare, è ben difficile e ben raro riuscire a sottrarsi.
La Fattoria del Coup de Vague è un romanzo rurale, centrato su quella piccola società provinciale apparentemente rispettabile e serena dalle cui regole non scritte ancora una volta uscirà il male della vicenda senza che ci siano né veri carnefici né veri innocenti, ma in cui tutti, con i loro segreti ed i loro non detti, sono vittime e protagonisti quasi per inerzia, e in cui gli odi degli uni per gli altri affiorano senza mai esplicitarsi. “Le Coup de Vague” è una fattoria sul mare, non lontano da La Rochelle sulla costa atlantica della Francia. Lì vive il ventottenne Jean con le sue 2 zie nubili, benestanti, temute e detestate dalla comunità, che con lui governano sia la fattoria sia un avviato allevamento e commercio di mitili. Tutto è regolato dalle due donne come su uno spartito musicale e Jean è, ben volentieri, al centro di questo nido protetto. Una vita facile e senza sorprese fra il lavoro, la sua moto, le partite di biliardo e le ragazze. Ma ecco che la monotonia serena viene travolta dalla prima “ondata”, le coup de vague del Destino: Marta la giovane vicina con cui Jean amoreggia resta incinta! Per mera pavidità Jean ne parla con le zie che prendono subito il controllo della situazione senza che i due giovani abbiano modo di opporsi alle decisioni drastiche che via, via vengono loro imposte per non aprire spiragli ai segreti ed ai sospetti fino ad allora tenuti nascosti dalle zie stesse e dal villaggio in cui tutti sanno tutto di tutti. La morsa delle 2 donne soffoca, stringe ed annienta la giovane coppia fino ad una nuova definitiva “ondata”. Quando Jean ne riemergerà, tutto è già accaduto! la vita della fattoria impone le sue esigenze, il lavoro deve riprendere, e … riprende! cancellando piano, piano i ricordi ed anche il villaggio avrà recuperato il suo volto impassibile. Il cerchio si è così richiuso!
Nulla e nessuno può permettersi di alterare gli equilibri.
Una trama cupa come mai, in cui il talento di Simenon delinea, senza concessione alcuna, ritratti che ci illuminano sul reale sentire dell’essere umano: vigliaccheria, pavidità, amore per il denaro, orgoglio, disprezzo, amore carnale e morte. Una descrizione amara dell’umana miseria e dei vincoli familiari che non risparmia nessun personaggio sebbene siano tutti vittime delle loro storie.
Un romanzo duro, coerente con la visione del mondo di Simenon, scritto con il suo stile asciutto ed essenziale, un affresco vivace, intrigante ed affascinante come e più del solito.
Un ottimo libro che si divora e ci lascia, come vuole l’autore: con il gusto amaro di un’”ondata”, un coup de vague, di malessere sulla miseria dell’Umanità, che sembra voler sommergere anche noi!
data di pubblicazione:18/02/2021
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