da Antonio Jacolina | Apr 22, 2021
Con la collana Time Crime la casa editrice Fanucci ha meritoriamente portato avanti un progetto rivolto agli appassionati del Poliziesco (nelle sue variegate forme) destinato a riscoprire una narrativa di genere, una letteratura forse di serie B, ma, comunque sia, una letteratura che è ormai uscita da tempo dai confini entro cui era stata rinchiusa dai pregiudizi di una Critica dotta.
Come sappiamo, dalle storie scritte per il pubblico delle riviste popolari americane (pulp magazine) negli anni ’20 e’30 del 1900, un pubblico fatto di lettori semplici e con pochi soldi e molti problemi, gente che voleva evadere dalla cruda realtà della quotidianità, è nato il cosiddetto Hard Boiled, quel sottogenere prima letterario e poi anche cinematografico che ha costituito un netto contraltare con il Giallo ed il Mistery tipicamente inglese. Qui c’è sempre un eroe solitario, disincantato e cinico che affronta il crimine nella strada, là ci sono invece … arsenico e vecchi merletti … Spesso poi questo eroe è un investigatore privato (reduce da qualche guerra), un vero e proprio archetipo del genere letterario oltre che di buona parte del cinema americano.
Mike Hammer il protagonista di Ti Ucciderò ha senza dubbio un suo posto d’onore nella narrativa poliziesca statunitense, ma ha di certo anche poco in comune con gli altri grandi detective … con il Philip Marlowe crudo ed al tempo stesso romantico di Chandler o con il Sam Spade puro e duro ma con qualche macchia di Hammett. Hammer è piuttosto un “duro”: brutale, cinico, senza scrupoli, violento, sciupafemmine, sessista e machista che fa giustizia da solo, anticipando quasi i futuri caratteri cinematografici dell’Ispettore Callagham o del Giustiziere della notte.
Ne è passato di tempo da quando nel 1947 uscì questo libro!! il romanzo che fin dalla sua prima apparizione diede l’immediata notorietà a Spillane facendone un grande autore di best seller che, all’epoca, non aveva altro concorrente che se stesso. Le sue storie hanno, in effetti, un po’ la patina del tempo e, di certo nel frattempo, numerosi altri autori e personaggi si sono fatti largo nel mondo del poliziesco dando tutti un tocco di maggior classe al genere. Non c’è dubbio poi che Hammer sia quanto di più lontano possa esserci da un protagonista politicamente corretto di oggigiorno, e che le sue avventure non abbiano nulla dei Polar attuali, tutti più o meno pretenziosamente impegnati anche sul piano sociale. Ciò non di meno il libro non è invecchiato e la sua lettura è ancora una lettura molto piacevole a farsi ed è come un’opportunità per prendere una boccata d’aria e di respirare e vivere le autentiche atmosfere di una volta. Un romanzo quindi da riscoprire con piacere, sia per l’intrigo poliziesco ben costruito e condotto (pur se con metodi diversi, lavorando e procedendo cioè a suon di pugni e pistolettate piuttosto che lavorando su indizi ed intuizioni), sia soprattutto, giova ribadirlo, per le atmosfere, le ambientazioni, le regole ed i costumi di una Società ormai lontanissima dalla nostra per valori e modi di vivere e relazionarsi.
Il romanzo è un vero ed autenticissimo Pulp hard boiled , un ritorno alle origini: brutale, incisivo, vigoroso, esagerato ed anche autoironico e divertente così come non abbiamo più abitudine di leggere, un racconto la cui violenza gratuita può e deve essere accettata solo ravvisandone tutta la sua inverosimiglianza. Un’occasione per un viaggio nel tempo ed una immersione in un’altra America, in altri stili di vita. La scrittura di Spillane era e resta ovviamente piacevole, scorrevole, diretta e semplice, i ritmi sostenutissimi fra continui colpi di scena, azione, sparatorie e baci.
Una lettura gradevole ed avvincente con il gusto delle cose del tempo che fu.
data di pubblicazione:22/04/2021
da Giovanni M. Ripoli | Apr 22, 2021
Stefano Bollani torna in tv con Valentina Cenni invitando gli spettatori nella loro casa di fantasia fra musica e cultura, aneddoti e ospiti dal lunedì al venerdì dalle 20.20 alle 20.45 su Rai tre, in onda dal 15 marzo.
Venticinque minuti per suonare, cantare, ma anche divertire e raccontare tante cose nuove sulla musica, sulla sua storia, sulle sue capacità di renderla un efficace antidoto “contro il logorio della vita moderna”. Quali migliori interpreti allora, per un intrattenimento rapido e intelligente se non Stefano Bollani e la sua deliziosa mogliettina Valentina Cenni, entrambi artisti di talento e coppia affiatatissima nel bucare lo schermo? Aneddoti scientifici, racconti di vita intersecati con cenni di filosofia, magia, esoterismo ma in primis musica di ogni luogo e tempo. Il tutto trattato con la leggerezza e l’ironia che è il tratto distintivo di Bollani, in grado di mescolare con il suo stile l’inclito e il colto, il rock e Mozart, la bossa nova e l’hip hop e l’innata grazia di Valentina Cenni, perfetta sparring partner che con garbo e celata malizia indaga gli aspetti più emozionali della musica, introduce e interroga gli ospiti ( mai banali) tiene in piedi il filo della narrazione della giornata e di tanto in tanto duetta col “maestro”. C’è poco da dire, una tantum, Rai “azzecca” un programma di livello in una fascia di non facile ascolto, mentre imperversano telegiornali di parte e telenovele infinite. Lo fa attraverso la musica e la costruzione di uno spartito accattivante e mai scontato, come detto, interpretato al meglio dal versatile e bravissimo Bollani e dalla Cenni, attrice, ballerina, cantante, entertainer di vaglia e i tanti ospiti, uno per puntata, che si affacciano nel salotto. Si va da Vinicio Capossela a Ornella Vanoni, da Cristina Donà a Checco Zalone, da Neri Marcorè a Edoardo Bennato, tutti rigorosamente dal vivo con Bollani al piano, ad accompagnare e reinterpretare i loro brani. Dunque, puro artigianato musicale, senza basi, senza applausi di figuranti per un autentico piacere destinato ad un pubblico raffinato e competente. In casi del genere vanno sottolineati i meriti ascrivibili alla produzione Ballandi e per Rai tre a Fosco D’Amelio, Giorgio Cappozzo, Rossella Ricci più i nostri Cenni&Bollani in collaborazione con gli autori Francesca Talamo e Marco Verdura. Il tutto per la regia di Alessandro Tresa. Ovviamente consigliato nella speranza che duri ancora a lungo.
data di pubblicazione:22/04/2021
da Daniele Poto | Apr 21, 2021
Silloge di gialli brevi e lunghi che hanno il sapore della loro scrittura, fascinosamente datata anni ’50 e ’60. Scerbanenco fu una riscoperta di Oreste Del Buono che ammiccò alla formula della centuria, già adottata da Manganelli. Scerbanenco (originariamente Scerbanenko) si può considerare come uno dei padri spuri del giallo italiano. Autore anti-conformista, assolutamente non preoccupato dell’etichetta di commercialità (scriveva anche sulle riviste femminili per sbarcare il lunario) va enormemente rivalutato. Il classico autore che piace ai lettori e non alla critica. Da cui è stato ampiamente snobbato. I racconti dell’antologia vasta (oltre 650 pagine) si rifanno a due format. La prima racchiude in una cartellina una virtuale sceneggiatura filmica, un bruciante e sintetico plot. Nel secondo caso invece si dilata un racconto lungo con una struttura e personaggi più delineati. Storie di vita e malavita definite “affilate come rasoi” perché l’autore è scevro da qualunque moralismo. Piuttosto sono le tematiche borderline ad attrarlo alimentando descrizioni criminali, lontane da ogni pietismo. Un anti-retorica alla Fred Buscaglione o alla Dashiell Hammett per rimanere nel campo della letteratura. Uno stile che non è posa né maniera ma ammicca alla descrizione di un mondo pragmatico decisamente noir, fatto di delitti, di tradimenti sentimentali, fitto di cinismo. Scerbanenco ha una prosa espressionista che è fatta di periodi spesso interminabili ma facilmente fruibili nella fotografica descrizione di un ambiente, di una mente, di una situazione. Padre di un giallo che ha prodotto molti figli vista l’abbondante produzione italiana, gratificata dal successo di vendute e da un profluvio di autori che l’hanno resa popolare anche su scala regionale. Ma molto è partito da questo input di un riconosciuto pioniere. Senza personaggi precostituiti ogni storia può finire in farsa o tragedia in queste ministorie con l’happy end che è eventualità molto remota.
data di pubblicazione:21/04/2021
da Antonio Jacolina | Apr 12, 2021
L’abbraccio collaudato e sicuro di un grande scrittore inglese come Alan Bennett è, grazie alla forza della sua satira pungente e divertente, così gratificante per il lettore che, dopo La Cerimonia del Massaggio viene voglia di prolungarlo ancor più con il piacere di una lettura che fa sorridere e ridere in modo intelligente. Come non cedere allora alla tentazione di un altro suo libricino ricco di situazioni ironiche, comiche e di riflessioni.
La Lettura, il piacere di leggere, è una passione o forse un’ossessione? Una bella domanda quella che si pone e ci pone Alan Bennett invitandoci a fare, sorridendo, una riflessione sul ruolo e sull’importanza della Lettura. L’Autore lo fa, da par suo con uso sapiente dell’ironia, con un piccolo romanzo piacevole, divertente, pieno di humour britannico e facile da leggere. Un’apologia della Lettura e dell’utilità del leggere, nonché delle opportunità che la Lettura stessa ci offre per interrogarci sui nostri sentimenti, per riflettere e per indurci ad agire, anche se “leggere”, di per se stesso, non è proprio un’azione in senso stretto.
La Sovrana lettrice, edito nel 2007 ma tutt’ora in bella vista negli scaffali delle librerie, affronta con spirito graffiante, acuto e paradossale, il tema dell’amore/dipendenza verso la Lettura ed “il potere sovversivo della Lettura stessa”… e, per estensione, anche la forza ed il fascino potente della Scrittura. Lo spunto paradossale è dato dalla casuale scoperta, all’alba dei suoi 80 anni, da parte della Regina d’Inghilterra, del meraviglioso universo dei libri e del loro potere sull’immaginazione e sulle azioni. Non c’è limite di età per scoprirsi a nuove impreviste passioni nemmeno quando si è Regina … Il primo libro è noioso, il secondo è interessante, il terzo coinvolgente e, in breve, dalla scoperta si passa al piacere, all’abitudine, alla passione ed infine all’ossessione per la lettura.
Eh sì, la Lettura è proprio come un virus … e quando la Regina ne è colpita tutto cambia! La Sovrana esce dal suo letargo intellettuale ed affettivo, ritrova un po’ di umanità, innamorata com’è del piacere di leggere, stravolgendo così il suo ruolo a tutto detrimento dei propri doveri protocollari. “Leggere è troppo pericoloso, è un atto di resistenza solitaria”… incompatibile con la propria funzione istituzionale. Bennett ci regala quindi anche una satira assolutamente favolosa della Monarchia, una storia folle, surreale, ricca di ironia sottile e graffiante, piacevolissima a leggersi.
Una piccola farsa gustosa, simpatica, intelligente e ricca di charme. Un breve romanzo, senza pretesa alcuna se non quella di divertire e far passare buoni momenti ai propri lettori lasciando spazio a qualche piacevole riflessione piuttosto che alle preoccupazioni quotidiane.
data di pubblicazione:12/04/2021
da Daniele Poto | Apr 10, 2021
Una scheggia impazzita del nuovo cinema rumeno consacrata con l’Orso d’Oro nell’edizione 71 del Festival di Berlino. Tra dissacrante fustigazione di una società arretrata e della pruderie sessuale trattando un tema ormai mainstream anche nella società italiana.
La pellicola inizia con dieci minuti che potrebbero essere tranquillamente il momento culminante di un film porno. L’insegnante Emi, stimata professionista di una scuola bene, di Bucarest, filma un video intimo con il marito in cui nulla si nega. Il regista inquadra gli organi, documenta il linguaggio lascivo, le posizioni. Dunque un inizio da pugno nello stomaco che fa credere di essere entrati in un’opera di genere e sui generis. Ma poi nella passeggiata nervosa della protagonista per le strade della capitale rumena, il plot si sviluppa perché il filmato da privato diventa pubblico. E l’esplorazione della città è un piccolo capolavoro. Tra egoismi, razzismi, devastazione del decoro urbano, maleducazioni assortite e la recondita preoccupazione della protagonista. Il terzo quadro del film, dal ritmo evidentemente spezzettato e discontinuo, è una serie di tableaux vivant dove il regista sbizzarrisce tutta la propria fantasia sul vivere contemporaneo. Prologo per arrivare al processo a porte aperte quando l’insegnante, in piena pandemia, viene giudicata dal consesso dei genitori dei suoi alunni. Potrà continuare a insegnare nella sua scuola? Il regista ci fa capire il sottile divario tra fiction e realtà. E’ stato tutto uno scherzo? Comunque tre finali di cui eviteremo lo spoiler. Cinema fertile, fecondo, politicamente scorretto. Irridente sui luoghi comuni. L’ultima parte didattica è un po’ più prevedibile delle altre perché mette in moto la riflessione sulla liceità dei comportamenti sessuali e su come gli adolescenti ne vadano ipocritamente tenuti lontani. Per accorgersi che il pensiero comune dei rumeni non è troppo lontano da quello degli italiani. I video di questo genere fanno ancora scandalo se nel dibattito l’insegnante viene paragonata a un’attrice porno con scarso rispetto per il suo adamantino percorso didattico.
data di pubblicazione:10/04/2021
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da Daniele Poto | Apr 10, 2021
Un piccolo grande libro magistrale come una lezione sui danni che un troppo rigoroso ordine pubblico negli anni di piombo ha provocato all’interno della società civile. Quanti ricordano la tragica fine di Franco Serantini, dolce e sprovveduto anarchico toscano di origine sarda? Un episodio di cinquanta anni fa con la polizia tesa a difendere il regolare svolgimento di un comizio del Movimento sociale in piena campagna elettorale. Dura reazione di piazza con violenza immotivate. L’autore ripercorre con documenti ma non con fredda emotività il difficile cammino esistenziale del giovane e le circostanze che lo hanno portato a essere presente nel posto sbagliato nel momento sbagliato. L’unico suo torto, come appare dalla complicata vicenda processuale, quello di aver rivolto parole ingiuriose ai presunti tutori dell’ordine pubblico. Una vicenda sempre attuale ripensando alle parabole di Cucchi e di Uva. In più gli anni ’70 erano anni particolari, a volte fuori da ogni giurisdizione costituzionale e giurisprudenziale. Sulla sua morte si spandono veli si scarsa trasparenza con l’accurata protezione istituzionale e con la chiara impossibilità di accertare i nomi dei responsabili della morte. Trascinato in prigione in condizione di chiara difficoltà lo si manda incontro a una morte inevitabile per traumi assortiti senza che alcun responsabile proceda per tempo al ricovero in ospedale. La comunità toscana reagirà con fermezza e durezza verso tanta consapevole insensibilità. Ricorderete come non fosse un periodo troppo favorevole (eufemismo) per gli anarchici, con il disarcionamento assassino di Pinelli, con il comodo ricorso al capro espiatorio Valpreda per l’attentato di Piazza fontana. Serantini è una rotellina piccola piccola che rientra in questo ingranaggio e vene stritolata. a strage. Democrazia, trasparenza, verità? Solo vuote parole in questo caso. E quanto c’è di progresso rispetto alla data della drammatica morte di Serantini, il fatidico maggio 1972? Reimmergersi nel caso è vivificare l’immagine sbiadita dell’Italia in quei confusi anni ’70. Operazione di verità e di memoria.
data di pubblicazione:10/04/2021
da Paola Pazienza | Apr 6, 2021
L’usignolo di H.C. Andersen, narra la storia di un usignolo che preferisce essere “libero di vivere nel bosco” piuttosto che vivere in una gabbia dorata alla corte dell’imperatore della Cina con mille servitori al suo servizio. La stessa “gabbia dorata” che viene proposta all’essere femminile, fin dai tempi più lontani, per parlare poi solo di quelle più fortunate. La donna infatti, in quanto figlia di Eva, è sempre stata “pensata”, al massimo, come un essere dalla natura gentile e, al tempo stesso, sacrificale.. Un essere gentile e sacrificale che per poter “stare sullo stesso palcoscenico degli uomini, dovrà sapere fare tutto quello che fanno loro, ma all’indietro e sui tacchi a spillo”. Nulla di più! Generazioni e generazioni di donne legate a vita a questo pesante pregiudizio!
Il mito della figura di “Morgana” nasce all’interno del grande Ciclo Arturiano. E’ la sorella malefica e potente di Re Artù. Morgana è, al contempo, anche la discendente di quella Lilith che secondo la tradizione della cabala ebraica fu la prima moglie di Adamo. La donna che pretendeva di godere degli stessi privilegi del suo consorte in quanto nata anch’essa dalla stessa polvere del suolo. Sarà ripudiata per aver osato tanto!!!
Michela Murgia nata a Cabras nel 1972, scrittrice, blogger, drammaturga e critica letteraria italiana, vincitrice di importanti premi letterari come il Campiello, e Chiara Tagliaferri, coordinatrice editoriale per Storielibere.fm, la piattaforma più innovativa di narrazioni audio online, con stile letterario pungente e molto diretto, raccontano intelligentemente la storia di dodici “Morgane” che a loro modo ridefiniscono i termini ed i confini dell’autonomia e della libertà femminile. Donne esemplari, tutte così controcorrente, così forti, così coraggiose, ma anche così pericolose e diverse che arrivano perfino ad essere viste come streghe dalle altre donne, come “donne oggetto” dalle femministe, e come “donne che nella Società di ogni tempo non si vorrebbe nemmeno avere come figlie o amiche.”
Le biografie raccontate nel libro sono quelle di: Moana Pozzi, Caterina da Siena, Grace Jones, le sorelle Bronte, Moira Orfei, Tonya Harding … Shirley Temple e Zaha Hadid. Tutte offrono una immagine di se stesse come donne diversa da quella stereotipata dell’ immaginario collettivo.
Pornostar, Sante, Artiste, Sportive, Stiliste, Archistar … ognuna con la propria storia fatta sì di successi, di riscatti dalla propria condizione, ma anche fatta di violenze, umiliazioni o condizionamenti di ogni natura e genere, come la disciplina imposta a Shirley Temple tramite la “punishment box” oppure la storia delle sorelle Bronte costrette a firmare le loro opere con uno pseudonimo maschile per sfuggire ai pregiudizi presenti nei confronti delle donne nell’era Vittoriana e non solo.
La lettura del libro è scorrevole e allo stesso tempo densa di riflessioni toccanti e lascia la speranza che ci siano tanti figli e figlie di Lilith nel presente e nel futuro dell’umanità.
data di pubblicazione:06/04/2021
da Daniele Poto | Apr 5, 2021
Il sottotitolo in questo caso è illuminante: “Storia della criminalità a Roma, da Porta Pia a Mafia Capitale”. Un excursus lungo e documentato, come dimostra la puntualissima e circostanziata bibliografia finale, che abbraccia più di un secolo e mezzo di vita metropolitana. Da quando Roma aveva la metà degli abitanti di Napoli fino allo sbocciare del Mondo di Mezzo e di Mafia Capitale. Con alcune ripetizioni che sembrano quasi una condanna. Fino a che punto le associazioni criminali possono costituirsi in mafia? La cronica diffidenza per questo riconoscimento a Roma risale dal tempo del “porto delle nebbie” di precedenti gestioni della giustizia. Ma anche in tempi recenti, nella gestione Pignatone-Prestipino il balletto delle interpretazioni si è ripetuto dovendo giudicare i Carminati, i Casamonica, gli Spada. Ma l’orizzonte del libro è decisamente più ampio perché contempla alcuni clamorosi casi di cronaca. Come la responsabilità di una pedofilia ante-litteram attribuita a Girolimoni, un comodo capro espiatorio sotto il fascismo. Oppure, per citare un caso di uno spettro decisamente più vasto e istituzionale, il tentativo di esautoramento della copia Baffi-Sarcinelli, magna pars della Banca d’Italia, per iniziativa del ben etichettabile giudice Alibrandi, con Andreotti testimone muto del tentato golpe. Non a caso da quell’evento si è sviluppato un filone economicistico della politica che non si è mai esaurito. Con le progressive ascese al vertice di personaggi come Ciampi, Monti e ora Draghi. Eppure in un contesto urbano difficile e mutevole fino a qualche anno c’era chi si sforzava di evidenziare la presenza delle mafie nonostante che dai tempi di Frank “tre dita” Coppola (anni ’50) molti interessi sospetti si fossero trasferiti nella città. Oggi, quartiere per quartiere, possiamo riconoscere la presenza di clan autoctoni, camorristi o ‘ndranghetisti nel tessuto vivo imprenditoriale di Roma. Nomi e cognomi riconoscibili. Con la saga di un Piscitelli Diabolik fatto fuori proprio nel momento in cui si sforzava di coagulare la possibile pax mafiosa. Perché meno si uccide più gli affari prosperano.
data di pubblicazione:05/04/2021
da Antonio Jacolina | Mar 25, 2021
In un contesto pandemico senza fine, davanti all’ipocrisia tragica di Lockdown mascherati da “Zone Rosse” e nella necessità di evadere un poco dalla realtà che ci accerchia, la Lettura è sempre la via migliore! Le librerie offrono però “un tutto ed un troppo” di scarsa qualità, gli Esperti poi propongono, autoreferenzialmente, solo soggetti ancora più plumbei del contesto quotidiano!! al povero lettore medio senza velleità masochistiche, non resta quindi che rifugiarsi per qualche ora fra le braccia collaudate e sicure di un grande scrittore inglese contemporaneo, capace non solo di far sorridere ma anche ridere i propri lettori grazie alla forza della sua satira pungente, irriverente e dissacrante ma mai sopra le righe e, soprattutto, sempre intelligente. Alan Bennett brillante romanziere, drammaturgo ed autore televisivo è senz’altro uno dei più brillanti autori britannici viventi, vero autentico cronista dei costumi e dei comportamenti degli inglesi delle varie classi sociali, un autore baciato dal successo di critica e di pubblico fin dagli anni ’70 del secolo scorso.
La Cerimonia del Massaggio è un libricino sempre reperibile, una piccola opera che in poche pagine che si divorano tutte d’un fiato ci farà sorridere, ridere ed anche riflettere. Una breve commedia sarcastica, cinica ed esilarante sull’ipocrisia di un certo “mondo” fatto tutto di “vizi privati e pubbliche virtù”. Cosa di più mondano infatti di una cerimonia commemorativa per un giovane morto in solitudine in terre lontane? Un funerale come uno show cui partecipa tutta la Londra che conta, il top della cultura, dello spettacolo ed anche della politica. Tutti i presenti hanno conosciuto il defunto (un fisioterapista, un virtuoso dei “massaggi” personalizzati), tutti si conoscono fra loro, ma sembrano però sorpresi di scoprire che il proprio vicino abbia frequentato il morto e che lo scomparso poi li conoscesse tutti. Ma di che cosa è poi morto?!? Una malattia sessualmente trasmissibile??… Suspense!!… Quale terribile segreto questo esperto in massaggi si è portato nella tomba?? Ogni domanda ha la sua risposta, ognuna genera ironia e sorrisi.
Un bel libricino dall’eccezionale humour britannico, arguto e gradevolissimo nonostante la ferocia caustica della sua satira. La vera quintessenza dell’ironia, una parodia di una cerimonia funebre così stravagante e, nel contempo, così crudele che non può non rammentarci a tratti l’ironia pungente e mordace dei momenti migliori di un successo cinematografico come “Quattro matrimoni ed un funerale”.
Appena cento pagine deliziose ed originali: una satira dell’Establishment, un mélange di ironia e riflessioni in cui situazioni comiche e grottesche danno spazio ad un puro divertimento letterario. Bennett è un grande scrittore ed il racconto è ben scritto, ben strutturato, ritmato, godibile e divertente. Un gioiellino very, very british.
data di pubblicazione:25/03/2021
da Daniele Poto | Mar 24, 2021
Maxi serial tratto da un soggetto originale israeliano trapiantato in una crudelissima America e impastato con troppi ingredienti. Problema razziale, criminalità mafiosa, conflitti familiari, bande gangsteristiche metropolitane. Mayonese ansiogena discretamente impazzita.
Una serie tv che per taglio avrebbe guadagnato dalla concentrazione in un film di due ore di buon incasso. Perché il cinema americano non annoia mai. Semmai esagera e stipa troppi motivi in una confezione che ha il precipuo scopo di tenere lo spettatore inchiodato alla poltrona. Ma a volte lo stesso spegne il televisore perché sopraffatto da una miscela ansiogena troppo invadente per non essere respinta. La sceneggiatura è piena di additivi che sembrano far entrare i protagonisti in una sorta di tunnel legato alla Legge di Murphy. Se una cosa andrà male, nella scena successiva andrà peggio. Succede che il rampollo di un giudice integerrimo metta sotto con la propria autovettura e uccida il figlio di un boss criminale, mancando di soccorrerlo, anche a causa di una crisi asmatica. Il padre viene meno ai propri principi e trova un capro espiatorio di colore per rimediare alla possibile accusa. Da quel momento si procura una sorta di boomerang che rendono ingestibile la situazione. Il calo maggiore di verosimiglianza in questa sequela di incidenti/accidenti quando il giovane minorenne di colore che è finito in prigione come vittima sacrificale viene ucciso, mettendo ancora di più in crisi la coppia padre-figlio. La dilatazione seriale così si prolunga fino all’inverosimile come se gli sceneggiatori si ponessero continuamente il problema: “E ora che gli facciamo succedere”. Moltiplicando i personaggi gli errori di percorso, le deviazioni del plot. Così il ritmo non è uniforme. Colpi di scena imprevedibili e dialoghi rarefatti si alternano in un mix poco omogeneo anche se la suspense è assicurata fino all’ultimo. Ruskin sosteneva che l’arte apprezzabile è quella onesta. Qui invece si gioca sporco con additivi artificiali, pari a quelli che ci costringono a bere grandi quantità di Coca Cola. E c’è sempre l’America di mezzo.
data di pubblicazione:24/03/2021
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