da Daniele Poto | Dic 28, 2020
Il multiforme curriculum bibliografico di Palumbo si posa su Brindisi. Un po’ a sorpresa vista l’elezione palermitana dell’autore e la sua adozione romana. Brindisi è l’involucro che contiene un giallo che possiede una sua inconfondibile cifra e maniera. C’è tanta Puglia, c’è la rigorosità metodologica di un analitico procedimento investigativo, c’è soprattutto la mafia e i traffici legati al traffico e alla vendita dei corpi. Così la vittima, sbozzata con un grosso capitale di difetti, si rivela tutt’altro rispetto alle apparenze. Ma non vi sveleremo il finale perché ogni giallo merita un colpevole a sorpresa. Il difetto di didascalica elencazione dei fatti è riscattata dalla compartecipazione verso il lettore. Con meccanismi molto più semplici rispetto allo stile di un Agatha Christie, Palumbo ci guida verso il risvolto naturale del plot. Senza artifici ma con una logica induttiva assolutamente empatica. Peccato che l’ambientazione locale funzioni a sbalzi con pennellate rapide ma un po’ sfuggenti. A tratti la deriva wikipedia prende la mano della narrazione. Come se l’autore si imponesse pause e divagazioni per acuire la suspense. Certo sul racconto incombe lo spettro del Coronavirus. I protagonisti sono senza mascherina colti appena prima che la tragedia umanitaria sveli le proprie conseguenze. Però il pericolo è quasi incombente nello spettro della scrittura. Un libro che si avvia come un diesel ma che prende consistenza, forza e direzione con il volgere delle pagine. C’è l’ombra di un intrigo internazionale, sentore di clan criminali. Come se fosse adombrata un’esiziale passaggio dalla Sacra Corona Unita al Coronavirus. L’unità di luogo è garantita dagli intrecci degli abitanti di un condominio in cui nessun particolare descrittivo viene risparmiato al lettore, con un avanzamento progressivo delle ineffabili conseguenze che verranno tratte dall’affascinante commissario Guadalupi. Il giallo pugliese con questa produzione fa un decisivo passo in avanti. E i personaggi sbozzati promettono di avere un futuro in successive vicende.
data di pubblicazione:28/12/2020
da Antonio Jacolina | Dic 23, 2020
Citando ancora una volta Hemingway “… ci sono solo 2 posti al mondo ove possiamo vivere felicemente: a casa e … a Parigi! A Parigi si finisce sempre per tornarci … Parigi ne vale sempre la pena …”.
Chiunque abbia passato un periodo significativo della propria vita a Parigi, non importa quanto lungo, ha lì un suo posto ove si sente in pace … a home away from home … “a casa lontano da casa”. Per la Sciolino questo posto è la Senna. La Senna con i suoi ponti, le banchine, le sue isole, le promenades ed i bouquinistes. Cosa c’è allora di meglio di “un americano/a a Parigi”, soprattutto se poi viene dalla lontanissima e quasi anonima Buffalo sul lago Eire, per guardare con occhi ed affetto sincero, entusiasmo ed anche ingenuità ogni aspetto di Parigi, della Senna, della Francia e di tutto ciò che è francese?
La Sciolino non è né Gene Kelly né Leslie Caron, ma è stata per decenni la corrispondente in Europa, con sede Parigi, per Newsweek e per il New York Times, non è quindi una qualsiasi, ed è anche autrice di saggi e libri di viaggio di notevole successo negli USA. Quest’ultimo lavoro è una vera lettera d’amore per la Francia e per Parigi e con Parigi per la Senna vista dalle sue antiche sorgenti in un angolo sperduto della Borgogna giù fino al suo estuario sulla Manica. Lungo il suo percorso di 777Km ci sono angoli incantati da scoprire, antichi miti, e poi Parigi, Rouen, Le Havre, Giverny. Honfleur, Deauville. Un percorso che attraversa paesaggi, l’arte di Monet, di Renoir, i film di Leos Carax, di Max Ophuls di Truffaut, la musica, la poesia e la Storia, gli interventi di Napoleone per renderne navigabile il percorso, gli interventi urbanistici di Haussmann, i ponti, le isole, le due “rive”: la rive droite che simboleggia: il Potere, il Denaro, la Politica e gli Scandali, mentre la rive gauche, al contrario, significa: Libertà, Autonomia, Musica ed Arte. Un libro che è molto più di note di viaggio o di una ricostruzione dei luoghi e delle loro storie. I piani di possibile lettura sono infatti molteplici: può essere una guida, un saggio storico, una rilettura di posti visti o anche un promemoria di posti da scoprire.
La Sciolino scrive con un piacevole stile giornalistico, con un flusso ed un ritmo simile alle acque della Senna o come potevano dipingere i pittori che incontriamo lungo il percorso: Matisse, Monet, Renoir: ovverosia con bellezza, con facilità, con gioia e con leggerezza, senza mai sopraffare il lettore con le sue dissertazioni, ma, al contrario, accompagnandolo garbatamente verso il punto di luce giusto. Quindi, lontanissimo dal fare noiose ed austere dissertazioni storico/artistiche/sociologiche il libro della Sciolino è cosa leggera, energetica, romantica, ingenua ed a tratti anche divertente. Un libro molto originale da divorare d’un fiato, oppure, meglio ancora, da apprezzare boccone dopo boccone, così come si possono gustare ed apprezzare i delicati “macarons” che si allineano nelle vetrine delle migliori pasticcerie francesi. L’allure romantico della Senna farà poi il resto e si resterà sedotti ancora una volta da Parigi e dalla Francia … “ça vaut la peine”… Ne vale sempre la pena!
data di pubblicazione:23/12/2020
da Daniele Poto | Dic 22, 2020
Inevitabilmente profumo di anni ’60 con il libro omaggio alla band che, venendo dall’Inghilterra, spopolò in Italia, debuttò al Piper e, tra Cantagiro e grandi manifestazioni nazional-popolari fece concorrenza all’autoctona Equipe ’84 per la supremazia nel beat nostrano. Shel Shapiro e i suoi, inventori della chitarra a freccia, partecipanti a tre festival di Sanremo, sarebbero arrivati presto al successo ma non sarebbero andati lontano perché l’arco temporale della loro fama è tutta racchiusa nel quadriennio 19666-1970. Il precoce scioglimento del gruppo celebra in questo infausto 2020 il cinquantennio e il libro dell’esperto collaudato, preparatissimo Luciano Ceri, già cantautore oggi musicologo, ci racconta ogni retroscena della loro gloriosa epopea, compreso il risvolto più inconsueto ovvero la cura maniacale e perfezionista nel rielaborare in forma di cover canzoni che non sempre avevano avuto adeguata valorizzazione oltreoceano. Un lavoro certosino e cronologico che si puntella sulla discografia. L’interruzione della parabola dei Rokes (s’intuisce ampiamente) fu dovuta alla scarsa valorizzazione delle loro risorse predisposta dalla RCA che ogni volta preferì puntare su altri cavalli., Poi i membri del quartetto, chi più chi meno, hanno continuato a vivere di musica, soprattutto l’allampanato Shel Shapiro, ancora attivo nonostante che gli anni siano quasi 80. Un sua réunion con il finto rivale (in realtà amico) Maurizio Vandelli è evento di appena due anni fa. Oggi non possiamo dimenticare l’italiano maccheronico delle loro canzoni ma anche la loro sottovalutata bravura tecnica. Nell’era dei complessi meritano un posto a parte, particolare e originale. Il sogno dei Rokes sarebbe stato di sfondare anche negli States ma il mancato investimento sul loro appeal fu l’inizio della fine, complice anche la difficile convivenza tra personalità molto spiccate. Il libro è anche uno spaccato quasi antropologico sull’Italia degli anni ’60, quella del boom, certo più serena, felice e appagata di quella odierna. I Rokes rimangono un’icona lucente di un decennio indimenticabile e ormai quasi leggendario nella sua intraducibilità attuale.
data di pubblicazione:22/12/2020
da Antonio Jacolina | Dic 22, 2020
Bentornato Jake Brigance! I fans di John Grisham saranno felici! E’ un piacere ritrovare qualcuno di cui fidarci ed è rassicurante prendere atto che i libri, anche i libri polizieschi, possono contribuire a restituirci un po’ di equilibrio in questa lunga e pesante stagione del Covid.
Il Tempo della Clemenza è il 3° libro in cui lo scrittore pone al centro del suo “Legal Drama” la figura di Brigance, giovane avvocato di una piccola città rurale del Mississipi, tanto brillante quanto coraggioso nel ricercare l’affermazione della Verità e della Giustizia e nell’affrontare casi difficili ed impopolari. La prima volta era apparso nel folgorante debutto di Grisham in Il Momento di uccidere nel 1988 (il libro è stato portato sullo schermo nel 1996 con pari successo e con protagonista il perfetto e bravo Matthew McConaughey) e, poi ancora, in L’Ombra del Sicomoro nel 2013. Nel romanzo d’esordio i fatti si svolgevano nel 1985, ora, dopo ca. 37 romanzi, siamo tornati nei luoghi e fra i personaggi che più stanno a cuore allo scrittore. Nel mondo reale sono passati quasi 32 anni ma nel romanzo siamo solo nel 1990, appena 6/7 anni dopo i fatti del primo libro, siamo ancora in “quei giorni lunghi e lenti” in cui Internet ed i cellulari erano ancora, a malapena, all’orizzonte.
Ancora una volta l’avvocato Brigance è chiamato a difendere, suo malgrado, un cliente le cui eccellenti ragioni per commettere un omicidio non cambiano il fatto che, comunque sia, egli è responsabile del reato contestatogli e per cui è processato. Grisham non perde tempo in inutili preamboli, l’inizio è folgorante e cattura immediatamente i lettori; siamo subito gettati nel cuore della vicenda. In giuoco c’è la condanna a morte di un giovane di 16 anni che uccide il boyfriend della madre: un vicesceriffo, e poi chiama la polizia per costituirsi.
L’abilità di agganciare i propri lettori fin dalle prime righe è uno dei talenti di Grisham, un’abilità che ha contribuito a farne un autore da oltre 300 milioni di copie vendute. Non mancano poi gli altri tratti distintivi del suo modo di raccontare: gli intrighi delle strategie legali, i retroscena del piccolo ambiente cittadino del profondo Sud, i comportamenti della gente comune verso la pena di morte e l’aborto, il dibattimento in aula ed i suoi trucchi e, prima ancora, la scelta dei giurati. Grisham, lo sappiamo, è un grande narratore e sa inserire storie e sottostorie secondarie che non distraggono, anzi, al contrario, sono abilmente cucite fra loro ed accrescono il processo di tensione e la suspense fino alla fine. E’ molto abile poi nello sviluppare i personaggi principali e secondari, tutti vivi, veri ed autonomi che danno spessore e realtà alla vicenda. Sono, per così dire, tutti disegnati a 3 dimensioni per far sì che il lettore non solo li veda ma, soprattutto, li comprenda anche con tutte le loro difettualità che li rendono ancor più umani.
La Verità per Grisham non è mai come la vogliamo, il mondo non è mai nettamente diviso fra “bianco e nero”, ma spesso, se non addirittura sempre, il mondo è “grigio”! e quindi … è difficile poter prendere decisioni nette e … poter giudicare!
I dialoghi sono precisi, le emozioni autentiche, la storia complessa ma sempre reale ed avvincente, il ritmo è costante, le strategie legali sono esposte in modo chiaro e comprensibile a tutti. Dopo oltre 30 anni di storie Grisham si conferma come un autore che non sta mollando la presa, che ha ancora storie da raccontare e che sa ancora raccontarle bene ed in modo avvincente.
Quelle poi con Jake Brigance sono quasi una categoria a sé stante.
C’è un Tempo per uccidere, C’è un Tempo per fare Giustizia, C’è un tempo per dare Clemenza!
data di pubblicazione:22/12/2020
da Paolo Talone | Dic 22, 2020
(Teatro Belli in streaming – Roma, 20/21 dicembre 2020)
Ultimo appuntamento per la 19ª edizione di Trend. Valerio Binasco è un critico teatrale senza nome di Dublino. Affascinato dalla bellezza di un’attrice, la segue fino a Londra, dove il misterioso incontro con un vampiro cambia la sua percezione della realtà.
Costretta a svolgersi quasi del tutto online per via delle restrizioni dovute alla pandemia – eccezione fatta per Wall di David Hare interpretato dal vivo da Valter Malosti a fine ottobre – si conclude la rassegna Trend 2020 sulle nuove frontiere della scena britannica curata da Rodolfo Di Giammarco. Sale per ultimo sul palco virtuale del teatro Belli Valerio Binasco con il reading di St. Nicholas, un testo del 1997 del drammaturgo irlandese Conor McPherson. Protagonista è un giornalista di teatro di Dublino, in passato venerato eppure temuto per i suoi sprezzanti giudizi. Seduto su una sedia, avvolto da un buio più interiore che esteriore, si appoggia mesto a un tavolo dal quale – con una dizione trascinata forse dalla depressione o dal troppo bere – si lascia andare al racconto della sua vita. Colta in pieno una delle possibilità che il teatro in video può offrire, Valerio Binasco guarda fisso con attenzione l’obiettivo della telecamera, quasi cercando la compagnia di qualcuno. La sensazione è quella di sedersi al bancone di un pub in compagnia di uno sconosciuto che con il fiato di birra ha voglia o necessità di raccontare un fatto che gli è accaduto. La sua figura quasi evanescente trasmette dannazione, ma è al tempo stesso ipnotica e seducente come la storia che racconta. Quando ancora godeva del successo di critico, si lascia infatuare dalla bellezza di un’attrice, Elena. La segue fino a Londra in preda al desiderio carnale di possederla. Mentre è assopito sulla panchina di un parco viene avvicinato da una figura. È William, un vampiro che lo assolda per portare giovani vittime alle sue feste. Dopo aver accettato – perché i vampiri hanno il potere di farti volere quello che loro vogliono – notte dopo notte trascina gruppi di ragazzi a queste feste orgiastiche, finché una sera gli succede di adescare una compagnia di attori. Tra questi c’è Elena. Finalmente riesce a sedurla e a farla sua, ma quanto è amaro il risveglio. La vita a volte si nasconde dietro immagini, sospesa tra il reale e l’irreale. Quando però si muta in un fatto improvvisamente fa paura, perché diventa vera. Beato è allora chi, inconsapevole, resta incastrato nei suoi sogni, nelle sue incertezze, nei suoi progetti, nelle sue paure. E noi, che siamo in attesa di rivedere la magia teatrale farsi di nuovo viva sulla scena, dove siamo?
data di pubblicazione:22/12/2020
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Dic 19, 2020
(Teatro Belli in streaming – Roma, 16/19 dicembre 2020)
Affresco di vita dolce e crudele, spaccato dell’Inghilterra povera e rurale, pennellate alla Steinbeck per un Furore britannico disegnando la scena nuda con fantasia attoriale.
Che fatica per gli attori, entrare in pochi secondi nella pelle di personaggi diversi, rimanendo fedeli al plot che per accumulazione inventa una scena in realtà nuda, prova a colorarla. L’esasperazione domina nel recitato con un mono tono che non è monotono ma febbrile e orgasmico. Bravi i due interpreti sinergicamente coesi nel disegnare, con povere armi a disposizioni, una storia che cambierà per sempre la vita nella comunità agricola che fa capo alla sonnolenta cittadina di Costwold. Non sono i destini individuali in ballo ma quelli di tutta una comunità che fa i conti alla fine degli anni novanta con l’afta epizootica che stermina le mandrie di mucche e mette a repentaglio il teorico benessere della popolazione. Tutti i dialoghi in forma di dialogo a due virano verso la ricostruzione di questo andamento con un richiesto ampio impegno del pubblico. Perché il recitato è impegnato, strillato, anzi urlato, tanto è drammatico il quadro che si tende a ricostruire. Quindi, attorno ai due protagonisti principali Bobby e Amy si sviluppa un florilegio di personaggi-spalla assolutamente non minori, una sorta di afflitta Spoon River localistica anche se qui si parla di viventi in difficoltà, tutt’altro che proni ad accettare la situazione di disagio e carestia. Si parla di una minaccia che viene da lontano e che potrebbe essere metafisica, richiamo a una difficoltà esterna più grande: insuperabile. Si parla di amicizia e forse di amore per i due protagonisti principali a cui è richiesto un grande impegno in una macchina oleata a dovere. Immaginiamo il grande lavoro a monte della traduttrice Di Giammarco.
data di pubblicazione:19/12/2020
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Dic 19, 2020
Quante sorprese presenta la letteratura, quante sacche insondabili di fiction può riservare un libro. Leggi pagine trecento e oltre di un massiccio volume virato sull’epopea di un’attrice dal gloriosi trascorsi e dalla mesta decadenza ed immagini che sia vicenda autobiografica che ha toccato l’autrice. Invece niente di tutto questo. E il disvelamento avviene nei ringraziamenti quando vengono citati intrecci di storie simili e racconti collaborativi di protagonisti del palcoscenico, Ed allora tanto più lode va girata al mestiere di Anne Enright che ci tocca e ci commuove con una story all’interno di complicati grovigli familiari. Vissuta dall’interno, emotivamente riflessa sul lettore. Con picchi di coinvolgimento e prolisse diversioni. Perché più che il plot è interessante l’atmosfera. Come viene descritta un’interprete di fama che si perde nei meandri della vita e finisce addirittura in carcere per aver sparato a un uomo con cui intrattiene rapporti equivoci. L’autrice tiene mano salda nel dipanarsi di flash back e di racconti di vita in un arco cronologico piuttosto vasta. L’eco della promiscuità del mondo dello spettacolo, della sua vacuità, dell’effimero successo sono richiami a un orizzonte esistenziale più ampio. La memoria della diva che poi è anche la madre della protagonista narrante si dipana in un flusso di coscienza amaro e pieno di rimpianti. Nel progressivo distaccarsi dalla realtà e nell’avvicinarsi alla follia, a un mondo succedaneo che metta al riparo la donna ormai anziana dalla disillusione e dalla crudezza della realtà. La figlia è la mente lucida ma non distaccata che osserva lo sfacelo che poi è l’invecchiamento, la malattia psichica, la decadenza. Una parabola quasi fisiologica per ogni cosa o persona in divenire. Una narrazione laica, a tratti dura, a tratti delicata. Per una lettura gradevolmente non inutile, ammesso che la letteratura debba per forza considerarsi utile. Con il libro si entra in un enclave femminile fatta di umori, di ricerca della fama e di una consacrazione, di amore e anche di sesso.
data di pubblicazione:19/12/2020
da Paolo Talone | Dic 17, 2020
(Teatro Belli in streaming – Roma, 14/15 dicembre 2020)
Scaricata dal marito per una ragazza più giovane, Angela tenta di rifarsi una vita. Il peso dell’età e la mancanza di un lavoro rendono però la cosa difficile. L’ironia sarà lo strumento che la porterà a ottenere una piacevole rivincita.
I fuochi d’artificio sono il segno della festa. È così ogni 5 novembre in Inghilterra in occasione della notte di Guy Faweks. Ma è anche la data in cui Angela festeggia la sua inaspettata e a tratti inquietante libertà. Il marito Max, da lei soprannominato Palla-da-biliardo per l’evidente calvizie, l’ha lasciata per un amore più giovane. Francesca Bianco torna sul palcoscenico virtuale di questa edizione di Trend – dopo aver recitato al fianco di Antonio Salines in Heisemberg – sempre diretta da Carlo Emilio Lerici. Un one-woman show in cui una donna è colta nel disperato tentativo di sfidare le convenzioni di una società ancora impreparata ad accogliere chi tenta di rifarsi una vita in età matura. La mancanza di un lavoro e la sua condizione di single non per scelta stanno alla base del dramma al quale Angela reagisce con consapevole ironia e divertente autocommiserazione. Complice e testimone del suo sfogo un pubblico insolitamente presente in sala – la registrazione è stata fatta prima della pandemia – che aiuta la performance dell’attrice. Dà al suo personaggio un’aria di tenera insicurezza che lo rende amabile sotto tutti gli aspetti. Cerca di riempire il vuoto creato dalla sua condizione ricorrendo a espedienti di fortuna. Le prova tutte per risollevarsi: da un toy-boy a un sex-toy passando per una rubrica di cuori solitari. Nemmeno l’assistenza richiesta al telefono amico o l’aiuto chiesto alla cinica madre riusciranno a darle quel sostegno di cui necessita. Ci vorrà un nuovo amore per rimetterla al mondo e farla brillare come un fuoco pirotecnico esploso in un giorno di gioia.
data di pubblicazione:17/12/2020
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Dic 16, 2020
Il titolo è una parola che va di moda. Due libri usciti negli stessi giorni, un sito che si sta facendo strada. Una gran voglia di esercitare il pensiero critico circola nel mondo. Brullo ha dispensato un sottotitolo che non lascia dubbio sulle sue intenzioni: il peggio della letteratura italiana (o quasi). Un pamphlet che tira dei grandi fendenti all’accademia, al recensore in pantofole, alla classifica dei libri più venduti e ai protagonisti più ammirati in televisione. Si salva forse chi non c’è più. Ma tutti i più famosi rientrano in questo paniere di stroncature anche coraggiose visto il rischio di azioni giudiziarie e di diffide. Brullo ha dovuto fare i conti con la querela di D’Avenia, esibita quasi come un titolo di merito. Un elenco dei reprobi? Presto fatto: Stefania Auci, Alessandro Baricco, Aldo Busi, Gianrico Carofiglio, Paolo Cognetti, Maurizio De Giovanni, Paolo De Paolo, Elena Ferrante, Michela Murgia, Francesco Piccolo, Antonio Scurati. C’è il Gotha della letteratura italiana attuale. Ma Brullo non spara a salve ma documenta con estrapolazioni la labilità di certa prosa e si stupisce del successo dei protagonisti, valori riconosciuti e stabili anche in virtù di potenti staff editoriali alle spalle. Ma non ci sono solo romanzieri tra le vittime di queste verosimili invettive. Nella seconda parte i bersagli sono altrettanto importanti se citiamo i nomi di Corrado Augias, Massimo Recalcati, Michele Serra e, udite udite, Roberto Saviano. La sua è un critica letteraria militante di pronto utilizzo che ricorda il celebre volumetto con cui Goffredo Fofi smitizzava valori consacrati del cinema italiano. Saggismo tutt’altro che embedded, puntuale reazione all’intorpidimento dei critici dei quotidiani, spesso proni all’ossequio, quindi non rendendo un buon servizio al pubblico utente che dovrebbe avere un riscontro più oculato rispetto ai propri consumi culturali. Qui la voglia di osare non manca e con un certo sprezzo del pericolo perché Brullo racconta senza falsi pudori il progressivo allontanamento da testate che hanno preso a considerarlo come un collaboratore fastidioso, perché troppo pungente e/o intemperante.
data di pubblicazione:16/12/2020
da Daniele Poto | Dic 12, 2020
(Teatro Belli in streaming – Roma,10/13 dicembre 2020)
Black comedy della nuova scena inglese. Groviglio a due con l’avvio dei tipici meccanismi di attrazione/repulsione di un sequestro. La presunta oggettività di una percezione è in realtà la deriva della mente malata del protagonista.
La malattia mentale si nasconde sotto spoglie di apparente normalità. E ci appare convincente e quasi seduttivo il protagonista quando nel monologo iniziale sciorina un programma che sembra realistico, un godersi la vita in seguito a una grande vincita alla lotteria. Ma in realtà il denaro evidentemente dà alla testa se sequestra una giovane con donna con l’intento pervicace di farla innamorare. Missione impossibile perché la ragazza è sotto sequestro per un numero di settimane definito dai due dopo una lunga trattativa. E la donna non ha nessuna intenzione di farsi assoggettare, anzi mette in gioco tutte le proprie capacità, anche seduttive , per riuscire a procurarsi un’ora d’aria prima e per scappare poi. Ma il suo persecutore si rivela ancora più duro e dopo qualche tentennamento e qualche errore strategico, dopo aver abdicato a un tentativo di amplesso, si fa sempre più crudele trascinandola in un gioco che avrà conseguenze letali. Il bello e il brutto insieme è che si convincerà che quella conclusione se l’è proprio andata a cercare. Delirio corrosivo nel gioco a due del teatro da camera che questa volta offre anche un minimo di scenografia in una scena quasi completamente riempita dai dialoghi e da qualche uscita dei due protagonisti. Il tasso di determinazione e di accanimento sado ma anche un po’ masochistico cresce con il passare dei minuti e così la tensione in un climax che degenera ma che poi viene tranquillamente metabolizzato dal protagonista. Che un minuto dopo si metterà in caccia di ulteriori giovani pulzelle che possano riempire il suo enorme vuoto sentimentale. Teatro forte, all’altezza dei tempi che viviamo.
data di pubblicazione:12/12/2020
Il nostro voto:
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