da Giovanni M. Ripoli | Set 19, 2021
Nell’anno 10mila e qualcosa, il duca Leto Atreides riceve dall’imperatore l’incarico di governare un pianeta difficile ma strategicamente fondamentale per l’Imperium ( fornisce, infatti, una spezia/droga vitale per la sopravvivenza e per tante altre cose…) Leto, casca coscientemente nel “trappolone” e si reca nell’inquietante e poco accogliente pianeta con compagna e figlio Paul, speranzoso di trovare negli abitanti, alleati alla sua causa. Ma nel sottosuolo ci sono i “vermoni” e tutto si complica.
Ci sono diversi modi di approcciare la fantascienza, in generale, e un film, come, il Dune di Villeneuve, in particolare. In modo dissacrante (possibile che nell’anno 10mila non abbiano i cellulari e si vestano come nel Medioevo?) o più convenzionale (nel robusto libro di Frank Herbert c’è tutto: un cupo futuro, l’imperialismo, l’ecologia, il buddismo zen, figure messianiche).
Se nell’introdurre la trama ho ironizzato, questo non significa che la pellicola sia di bassa lega, ha, invece, una sua valenza, non tanto nella narrazione degli eventi che il bravo Villeneuve ha, fortunatamente, semplificato, quanto nel come il regista abbia saputo organizzare (con dollari e tecnologia) e rendere visivamente accattivante le “solite” guerre stellari. Villeneuve ha già dato prova di conoscere il mestiere: Arrival e Blade Runner 2049, sono frecce importanti al suo arco e ne hanno fatto uno dei migliori registi di fantascienza fra i contemporanei. Quest’ultimo, Dune, preceduto 40 anni prima dal confuso film di David Lynch zeppo di“vermoni” e Risiko e dal tentativo abortito di Jodorowski (visibile nel documentario di Frank Pavich del 2013), ha ben altro spessore e rappresenta il primo capitolo di una saga che nelle mani di Villeneuve è “tanta roba”, per dirla coi “giovani”. In dettaglio, gli elementi che rendono la pellicola non marginale sono parecchi: attori del calibro di Timothèe Chalamet, Zendaya, Oscar Isac, Josh Brolin, Javier Bardem , Rebecca Ferguson che sanno il fatto loro e rendono credibili i loro rispettivi personaggi senza strafare. Gli effetti speciali? Per fortuna niente a che vedere con gli esasperati modelli Marvel: nello specifico, sono credibili e non posticci (tranne forse gli ornitotteri Atreides) e persino dei “vermoni” se ne fa un uso discreto. Non mancano poi scenografie e costumi fascinosi, una fotografia eccellente (Greig Fraser), musiche calzanti e poderose (Hans Zimmer) e tanti riferimenti a realtà più attuali che lascio all’intuito e alle diverse sensibilità degli spettatori, aspettando, naturalmente, il secondo capitolo!
data di pubblicazione:19/09/2021
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da Giovanni M. Ripoli | Set 18, 2021
Nella polimorfica bibliografia dei libri sugli ultrà si inserisce un volume che ha aspirazioni di completezza e di attualità. Perché, partendo dalle scaturigini (il fenomeno hooligan, il delitto Paparelli) allarga il cerchio fino alla trasformazione del ruolo del tifoso estremo in capo a due anni di pandemia. Gli ultrà, esclusi per lungo tempo dagli stadi, si sono riversati nelle piazze, strumentalizzati e/o strumentalizzando il progetto di sovversione anti-Stato su sponde di estrema destra. Figure come quelle di Roberto Fiore o Giuliano Castellino sono emblematiche a riguardo. Ma il personaggio più citato del congruo volume di oltre 300 pagine è Diabolik Piscitelli, l’ultrà laziale, vittima di un killer, nel momento più alto di una intensa carriera criminale, quando ambiva a diventare uno dei ras mafiosi della capitale. Sulla sua uccisione gli inquirenti sono arrivati alla convinzione che sia difficile rintracciare il mandante mentre per quanto riguarda l’esecutore dovrebbe trattarsi di un albanese a sua volta perito in patria nel corso di un regolamento di conti.
Il libro contiene due interessanti e uniche appendici. Una silloge di tutti i film e le opere teatrali in cui si parla di ultrà e un elenco aggiornato di vittime del tifo, per casualità, violenze e, spesso, futili motivi.
Curioso rintracciare nel libro anche ultrà progressisti che si sono battuti per un ritorno in sicurezza nel calcio o che, nella lunga crisi del Covid, si sono prodigati alla ricerca di beneficenza. Da ricordare anche gli ultrà del Cosenza che continuano a onorare la memoria del “calciatore suicidato” Bergamini, all’inesausta ricerca di verità.
Il testo è un saggio ma si legge come completo romanzo criminale. Sotto la demagogia del tifo, si celano crimini (soprattutto spaccio di droga, vedi Diabolik) e ideologie pericolosamente sovversive, con una chiara accentuazione verso la riesumazione del fascismo se non addirittura del nazismo.
La definizione dell’identikit dell’ultrà è il progetto più ambizioso del volume.
Data di pubblicazione: 18/09/2021
da Antonio Jacolina | Set 13, 2021
A dir la verità i primi tre romanzi sulle inchieste del Commissario Dupin erano già usciti in Italia per i tipi della Piemme rispettivamente nel 2013, 2014 e 2015, ma erano passati quasi inosservati ai più! Ora, sull’onda delle oltre due milioni di copie vendute, del grande successo e di una vera e propria “Dupinmania” che si è diffusa in tutto il Nord Europa ed in Francia e, non ultimo, della popolarità anche della serie tv, la casa editrice ISBN sta tentando un rilancio in Italia riproponendo le inchieste di Dupin con titoli nuovi e ben più mirati. Ecco quindi in libreria Intrigo Bretone, romanzo d’esordio e primo dei tre finora tradotti e pubblicati.
L’autore Jean Luc Bannalec in realtà è lo pseudonimo di uno scrittore tedesco: Jorg Bong che ha trovato la sua seconda patria ed il successo letterario nella francese Bretagna ove sono ambientate le indagini del suo personaggio. Dupin è un quarantenne, scapolo, parigino autentico, ma da oltre tre anni è “confinato” a Concarneau in Bretagna per aver risposto male, quando operava a Parigi, proprio al Sindaco di Parigi divenuto poi Presidente della Repubblica. Il personaggio si sta appena delineando, ma si vede già che è una persona normale, un individualista un po’ burbero, con i tratti fisici e comportamentali un po’ come … Maigret! e … come lui ha i suoi tic, vuole i suoi spazi, i suoi tempi, i suoi caffè, è un bon vivant e non si fa calpestare i piedi da nessuno. Vedremo se, col tempo, avrà anche la vitalità, l’umanità e lo humour del modello di riferimento.
Anche il libro ha lo charme desueto di un poliziesco di papà, sembra infatti proprio un buon vecchio e normale giallo, un Maigret (uno dei tanti), un polar che si basa sul ragionamento, sui metodi investigativi piuttosto che sull’azione o sull’intreccio. Un romanzo piacevole a leggere, dalla fattura classica e con un suo fascino discreto ove l’intrigo è tutt’altro che arzigogolato. Di certo non un thriller palpitante ma piuttosto una buona inchiesta, alla vecchia maniera, alla Simenon, ove la suspense non è di certo elevata e l’interesse vero è tutto sui fatti, sulle indagini e poi sui luoghi ed il paesaggio. Sulla splendida Bretagna e le sue città d’arte, il suo mare, le sue atmosfere e tradizioni. Intrigo Bretone si svolge infatti fra Concarneau e Pont-Aven, paese questo famoso per aver ospitato nell’800, Gauguin ed una comunità variegata di pittori attratti tutti dai suoi colori, dalla presenza dell’acqua dei fiumi e dell’oceano. Una sorta di eredità culturale che continua a caratterizzare la zona e che, in modo sorprendente, sarà al centro della vicenda narrata.
Di romanzi basati sulle indagini di un Commissario con sequel che, senza incidere sulla comprensione delle storie, delineano un personaggio e creano l’affezione dei lettori, ce ne sono tanti. Negli scrittori più dotati il “caso criminale” procede alla pari con le descrizioni della vita quotidiana del protagonista, dei chiaroscuri della sua personalità, delle relazioni amorose, addirittura dei gusti gastronomici: il Calvados di Maigret, le ricette di Pepe Carvalho… Ma, soprattutto ci sono poi i luoghi, presentati spesso con tale dovizia di particolari e ricchezza di atmosfere da divenire a loro volta protagonisti. E’ il caso della Bretagna di Bannalec che lascia nei lettori il grande desiderio di partire per andare a vedere i posti descritti.
Forse qualche cliché di troppo, ma peccati veniali per un romanzo d’esordio che resta comunque un bel piccolo polar, ben scritto ed accattivante, dal ritmo pacato e privo di lungaggini. Vedremo come evolveranno i successivi casi del Commissario Dupin.
data di pubblicazione:13/09/2021
da Daniele Poto | Set 12, 2021
Il grande irregolare della politica e della letteratura russa. Stagionato intellettuale buono per tutte le stagioni e le polemiche. Inclassificabile. Di destra, di sinistra, terrorista, anarchico? Limonov è una singolare figura di intellettuale devota a Pasolini che descrive vicende di cappa e…kalashnikov. Pornografo incallito, insieme eterosessuale e omosessuale, rotto a tutte le esperienze ovvero la vita che sopravanza la fiction e va ben oltre. Non a caso Carrère si è ispirato alla sua biografia condendola con una ricca intervista per il proprio libro di maggior successo. In questo testo Limonov si esprime con assoluta libertà, evidenziando una personalità a tratti schizoidi. Non è un romanzo, non è un resoconto coerente di un’intera esistenza ma una serie di ininterrotti, abbaglianti flash che squassano la quotidianità e la normalità restituendoci il quadro di una personale inquietante, debordante ma insieme affascinante. Uomo degli eccessi, vissuto miseramente negli Stati Uniti, fondatore di un partito politico, perseguitato. Un po’ comunista, un po’ zarista, un po’ putiniano e un po’ no. Non si sa come prenderlo e definirlo se non accettando i suoi estremismi, cercando di decifrare una vita esagerata. Limonov è presente in tutti i luoghi di conflitto e di discussione con il piglio (e l’ego) del polemista fuori misura. Pensatore ed intellettuale extralarge non redimibile all’ortodossia. In Serbia, in Moldavia, in Russia ha sempre cercato di far germogliare il seme del dubbio e della rivolta, geopoliticamente con scarsi risultati anche se spesso ha raccolto il consenso delle giovani generazioni, inquiete e violente. Ha vissuto la gavetta, il marcio, la povertà, attraversando un bel pezzo di novecento. Il diario è un esercizio ben oltre i limiti del pudore, un tentativo onesto di raccontarsi attraversando l’indicibile. L’auto-definizione di fallito può essere considerata un artificio letterario considerando la grande stima che l’autore nutre per se stesso. Alimentando un mito che si proietterà ben oltre la sua morte.
data di pubblicazione:12/09/2021
da Maria Letizia Panerai | Set 9, 2021
Il film di Martone narra la storia di un patriarca e della sua famiglia allargata, ma anche la storia del teatro napoletano di cui Eduardo Scarpetta fu il più importante autore tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, raffigurato dal regista in un gioco senza soluzione di continuità tra vita reale e palcoscenico. Grande attore, marito ed amante, egocentrico capostipite di una dinastia teatrale, Scarpetta creò il personaggio immaginario di Felice Sciosciammocca, maschera del teatro dialettale napoletano che, nell’immaginario collettivo, rappresentò l’evoluzione di Pulcinella sino quasi ad oscurarne la fama.
È un’opera grandiosa e sontuosa quella portata in scena da Martone, in cui le cornici del palcoscenico si intersecano con gli ambienti di un grande appartamento dove i componenti della famiglia Scarpetta consumano scene di ordinaria e straordinaria quotidianità, come i personaggi di un’opera teatrale. Toni Servillo rappresenta, ed è lui stesso, un mattatore: straordinario nell’interpretare un uomo straordinario, ovvero fuori dall’ordinario, a tratti crudele per eccesso di egocentrismo, divenuto famoso e molto ricco, seppur di umili origini. Un uomo che, grazie al suo genio, visse nel lusso preveniente dai proventi della sua attività di commediografo: Qui rido io fu la frase che Scarpetta fece scolpire sulla facciata della sua villa al Vomero, costruita con i proventi di una sola delle sue commedie. Marito di Rosa De Filippo (interpretata da una bravissima Maria Nazionale) con cui ebbe Vincenzo e Domenico (che pare non fosse suo ma frutto di una probabile relazione della moglie con il re Vittorio Emanuele), adottò Maria nata da una di lui relazione con una maestra di musica; Scarpetta ebbe poi altri tre figli maschi – Ernesto, Eduardo e Pasquale – dalla sorellastra di sua moglie Rosa ed altri tre ancora, i noti Titina, Eduardo e Peppino, da Luisa De Filippo, nipote di sua moglie Rosa. Quest’ultima, interpretata da una convincente Cristiana dell’Anna nota al pubblico televisivo per la serie Gomorra, viene raffigurata da Martone come una sorta di “favorita” da Scarpetta, seppur triste ed in perenne attesa di sue attenzioni e riconoscimenti per quei figli illegittimi, come una sorta di antesignana di quella Filumena Marturano di eduardiana memoria.
Martone riesce sicuramente con il suo film nell’impresa titanica di illustrarci una vita interessante, complessa ed anticonvenzionale. Una grande compagnia teatrale che si fa famiglia e viceversa, in cui figli, compagne di vita, attori e personale di servizio, vivendo sotto lo stesso tetto o in appartamenti attigui, recitano anche sugli stessi palcoscenici secondo il volere di quell’unico “padrone” che vigila su tutto e tutti, e che tutto decide con autorità ma anche autorevolezza, confondendo il possesso con l’amore, ed infondendo con spietata consapevolezza una unica, grande passione: quella per il teatro.
Ma se i figli non potranno che accettare le contaminazioni familiari nel teatro della vita, alcuni degli autori contemporanei a Scarpetta non gli perdoneranno la tracotanza per aver parodiato la tragedia dannunziana La figlia di Iorio, cominciando a segnare il declino del commediografo, macchiandone il nome con un’accusa di plagio che solo la difesa affidata a Benedetto Croce cancellerà. Martone ci racconta infine, con amore e crudeltà, che il personaggio di Pippiniello di Miseria e Nobiltà verrà interpretato a giro da quasi tutti i figli di Scarpetta, anche da quelli che lo chiamavano zio, maschi e femmine senza distinzione, ponendo in particolare l’accento su un recalcitrante Peppino, l’unico dei figli cresciuto da una balia in una casa di campagna, lontano dalla famiglia, lasciandoci comprendere perché molti anni dopo il grande Eduardo alle domande su come fosse stato Scarpetta come padre, rispondesse sempre che “era un grande attore”.
Film da non perdere.
data di pubblicazione:09/09/2021
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da Giovanni M. Ripoli | Set 4, 2021
“Tratto da una storia vera”, il film narra la vicenda di un piccolo uomo d’affari inglese, Greville Wynne coinvolto, suo malgrado, in un’attività spionistica contro l’URSS a favore del blocco occidentale (Cia, Oss etc) nell’ambito dei drammatici giorni della crisi dei missili cubani, in piena guerra fredda.
In tempi abbastanza grami per il Cinema ante Festival di Venezia, ci si accontenta di quello che passa il “convento”, ovvero le differenti piattaforme streaming. Su Sky viene trasmesso dallo scorso primo settembre L’Ombra delle Spie, presentato al Sundance del 2020, visto da pochi intimi all’ultima Festa del Cinema di Roma. Preceduto da altre pellicole che hanno indagato nel bene e, in genere, nel male l’atmosfera che si respirava nei paesi d’oltre cortina, la pellicola di Dominic Cooke (1966) cui si deve il solo Il Segreto della Notte del 2017, è un buon film: attinge a piene mani al copioso genere delle spy stories tanto di fantasia (Ipcress) quanto storiche ( Il Ponte delle Spie). La vicenda parte lenta attraverso una puntuale e credibile presentazione dei personaggi sia del campo “atlantico” sia di quello “sovietico” (ben costruito il personaggio di Oleg Penkowsky grazie all’interpretazione di Merab Ninidze) e si snoda in un crescendo di tensione che miscela storia e fiction senza esagerazioni e colpi di teatro. Il bravo Cumberbatch (Greville), gigioneggia meno del solito e mantiene la sobrietà che il personaggio richiede e Emily Donovan (la ragazza della CIA, Rachel Brosnahan) dimentica di essere stata la “fantastica signora Maisel” ed offre una prova da brava comprimaria. Perfette come si richiede scenografia e location: sembra di rivivere gli anni ’60! Giusti i ritmi e adeguata la colonna sonora, per un film che, senza essere un capolavoro, ha molte frecce al suo arco nell’ambito di un intelligente intrattenimento con un occhio alla storia.
data di pubblicazione:04/09/2021
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da Rossano Giuppa | Set 3, 2021
(Teatro Argentina – Roma, 31 agosto/10 settembre 2021)
Torna a Roma, dopo tanta attesa, la drammaturgia poetica di Emma Dante, ospite del Teatro Argentina con lo spettacolo Misericordia, che finalmente si è potuto ammirare dopo i vari rinvii connessi alla pandemia.
Una storia di ricordi quella che la compagnia Sud Costa Occidentale sta riportando nei teatri dopo il fortunato debutto di oltre un anno fa, al Piccolo Grassi di Milano. Il sapore è sempre quello autentico di una favola contemporanea e sospesa. La rivisitazione personale della fiaba di Pinocchio, bambino menomato e sfortunato, di un Geppetto padre padrone, di una madre Lucia, morta di parto e di tre prostitute che, nella loro disperata solitudine, non riescono ad essere le Fate Turchine che vorrebbero. Vivono in equilibrio precario il loro rapporto di madre e decidono infine di separarsi dal bambino burattino per garantirgli un’esistenza forse più dignitosa.
La magia del teatro di Emma Dante si ricrea per l’ennesima volta, secondo una partitura certamente consolidata, ma sempre aperta a nuove emozioni.
I ricordi riportano ad un passato presente fatto di piccoli oggetti quotidiani: le sedioline di legno, il cavalluccio rosso, le tutine a uncinetto da bebè, i bambolotti in plastica in parte mutilati. L’alternarsi di un bisbigliato ad un italiano sincopato farcito da un mix di dialetti meridionali, i gesti ripetuti, lo sferruzzare ossessivo, il cibo, le risate e le discussioni. E il dramma che incombe.
Il gruppo di famiglia abita un interno dimesso e sporco. Le tre donne sopravvivono sostenendosi e litigando al contempo con forza e passione. Al centro, poco lontano dei loro discorsi, Arturo il ragazzo concepito per un amore sbagliato e nato settimino e con gravi problemi a causa delle percosse subite dalla madre, Lucia, prostitua anch’essa, morta appena dopo il parto. La disabilità dei ragazzo è un problema che non è mai stato affrontato con risolutezza, ma vissuto in maniera caotica, con tensione nevrotica dalle tre donne, madri incomplete indurite dalla vita e dalle problematiche connesse con la loro stessa sopravvivenza, costrette alla prostituzione senza alcuna prospettiva per migliorare la propria condizione. Il ragazzo non parla e ha difficoltà a coordinare i movimenti, ma ha una sua armonia interiore che riesce a equilibrare i litigi delle donne e a liberarsi in movimenti armoniosi e circolari, in contrasto invece con la durezza e la tribalità delle donne.
Una catena di flashback fatta di piccole e fulminanti visioni che alternano ricordi carichi di rabbia a struggenti ninne nanne. Le tre donne alternano amore e affetto materno a immagini crude di corpi esibiti e offerti in parata notturna. Sembrerebbe trionfare nonostante tutto la tenerezza delle tre madri, i ricordi, il carillon con il bambino che la sera prima di dormire vuole continuare a danzare, per liberarsi di handicap e sofferenza. Ma l’amaro quotidiano interrompe ogni sogno e di lì la dolorosa scelta di abbandonare il ragazzo ad un altro destino, con una valigia piena di un’infanzia perduta.
Attori semplicemente magistrali, a partire da Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco e Leonarda Saffi, le tre donne che hanno accudito e cresciuto il bambino burattino, straordinariamente interpretato da Simone Zambelli, che conferisce alla menomazione e all’autismo una liricità ed un’armonia estrema e magica.
Colpisce come sempre l’intensità degli sguardi, le non parole, il gesto deciso, la qualità delle luci, la profondità delle scelte musicali che accompagnano l’alternarsi delle emozioni e degli stati d’animo. Per l’ennesima volta Emma Dante colpisce dritto al cuore con la forza del piccolo grande dramma, in una storia di disperazione e di amore in intima armonia. Il quadro minimale diventa un’estasi emotiva che strappa sorrisi e commozione profonda. La conferma di un modo di raccontare il teatro che cattura e fa riflettere. A lungo.
data di pubblicazione:03/09/2021
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Set 2, 2021
Uno 007 francese che è una via di mezzo tra Sean Connery e le farsesche rielaborazioni di James Tont. Clima vintage anni ’70 (vestiti, usi e costumi, linguaggio, luoghi comuni) intinto in salsa politicamente scorretta con un protagonista mattatore. Una satira che promette ma che poteva dare di più, evitando di premere il piede sull’acceleratore satirico. Nota bene: il film è uscito questa estate ma è del 2009 e 12 anni non sono passati invano.
Scarsa distribuzione e incassi conseguenti per una pellicola rivisitabile in tempi di pandemia ma che fa umorismo intelligente. Immaginate la caricatura di uno 007 che non ne azzecca una. Antisemita, antifemminista, anti-modernista, anti-hippie apparentemente goffo nella vita di tutti ma terribilmente funzionale a splendori e miserie dei servizi segreti. Come dimostra anche il caso Afghanistan la politica è frutto di intrecci altrettanto goffi e criticabili e dunque c’è un pizzico di realismo nel contraggenio del protagonista. 117, numero d’emergenza, sarebbe pure il migliore figo del bigoncio nel parco degli agenti segreti, figuratevi gli altri. Se la cava sempre il nostro anche quando va incontro ad apparenti delusioni amorose, incaute frequentazioni della droga. I pregiudizi del nostro tempo alitano sul film con fiati anti-cinesi. Un cialtronesco Dujardin nella seconda puntata della saga (a quando l’uscita della prima?) non ha limiti nell’ostentare il proprio conformismo. L’esotismo dell’ambientazione in Brasile fa rima con il melting pot dei paesi concorrenti, tra cui spicca la maniacale missione del Mossad. Inutile dire che la mediocrità trionferà in una serie di sketch abbastanza didascalici che minimizzano il filo rosso della trama da cui ci si può tranquillamente distogliere per abbracciare la frammentazione del sottotesto ironico. L’eroe del nostro tempo è lo specchio dell’incertezza dei tempi e un misuratore dei limiti del merito e della fortuna.
data di pubblicazione:02/09/2021
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da Maria Letizia Panerai | Set 1, 2021
Willis (Lance Henriksen), è un uomo burbero ed irruente. Affetto da una lieve demenza senile che lo rende verbalmente violento e poco incline ad un necessario cambio di vita, si vede tuttavia costretto a lasciare la fattoria dove ha sempre vissuto, per trasferirsi in California da suo figlio John (Viggo Mortensen) per degli accertamenti clinici. In quella breve convivenza, non riuscendo a volte a comprendere quale “stagione della vita” stia vivendo, Willis scaglia tutta la sua rabbia sul figlio, di cui non approva lo stile di vita. Quei momenti di aspro confronto riportano a galla anni di incomprensioni e vecchi rancori all’apparenza insanabili perché ognuno tenta inutilmente di cambiare l’altro.
Tante sono le cose che ci racconta Viggo Mortensen in questa sua opera prima da regista, forse troppe, in un film un po’ lungo e a tratti ridondante. Tuttavia lo fa con competenza, profondità e molta sensibilità, da artista poliedrico quale è.
Poeta, fotografo, musicista e pittore, fondatore nel 2002 di una casa editrice indipendente, Viggo Mortensen oltre ad aver lavorato come interprete per alcuni dei più grandi registi del mondo, può essere definito l’attore feticcio di David Cronenberg (presente in Falling– Storia di un padre con un cameo che lo ritrae nella veste di un medico), che ne ha sempre elogiato il suo impegno nella preparazione dei personaggi, riconoscendogli una accuratezza ed un rigore quasi maniacali da grande studioso.
Mortensen dichiara che l’idea di sceneggiare e dirigere il film, gli nacque di ritorno dal funerale di sua madre, in un momento intimo in cui tutti i ricordi si affollavano nella sua mente senza un vero ordine logico proprio come i flashback che ritroviamo nella pellicola: quei ricordi diventano appunti su di un taccuino e rappresenteranno “l’ossatura di base di quella che alla fine sarebbe diventata la sceneggiatura del film”.
Parzialmente autobiografico, il film in realtà indaga la complessità del rapporto tra un padre ed il proprio figlio in una famiglia che ha solo alcuni tratti in comune con quella del regista-attore. Il suo John è un progressista della West Coast che vive con il suo compagno e con la loro figlia adottiva; suo padre Willis invece ha il viso solcato dal sole e dal gelo di quella terra di nordest da cui proviene, e le sue idee sono decisamente conservatrici. Il cuore della storia nasce dunque dalla contrapposizione di queste due Americhe, ma riesce a regalarci immagini di reale cambiamento, sia di quello che è sempre stato il modello di maschio americano che di famiglia tradizionale. John ed il suo compagno Eric (Terry Chen) si amano e si rispettano molto e la loro figlia Mónica non sembra affatto subire dei traumi da questa unione: realizzare questa immagine di famiglia alternativa ma felice, senza cadere in uno stereotipo poco credibile, è il vero merito del film.
Gli interpreti sono tutti bravissimi, a cominciare da Lance Henriksen nel ruolo del padre arrabbiato innanzitutto con quei fantasmi che affollano la sua mente, ma anche Laura Linney nel ruolo di Sarah, la sorella di John, lascia il segno con la sua breve apparizione; anche se è proprio Viggo Mortensen a regalarci un’altra delle sue interpretazioni memorabili che, passando attraverso lo sguardo, arrivano direttamente al cuore.
Peccato per quella manciata di minuti di troppo che, nonostante le ottime intenzioni, non fanno di questa opera prima il film che ci saremmo aspettati da un artista così completo.
data di pubblicazione:01/09/2021
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da Paolo Talone | Lug 25, 2021
(Teatro Quirino – Roma, 12 luglio 2021)
Presentata al Quirino la prossima stagione teatrale. In programma per i 150 anni di attività del teatro un’importante pubblicazione a cura di Elisabetta Centore e una ricca proposta di spettacoli, tra nuovi lavori e recuperi di stagione, in partenza già da settembre con un prologo di 8 appuntamenti a cui seguirà il cartellone in abbonamento con 20 capolavori tratti dalla drammaturgia classica e contemporanea, proposti da artisti di eccellente livello.
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”, il celebre endecasillabo dantesco che termina la Cantica infernale è il titolo scelto per presentare la prossima stagione di spettacoli del Teatro Quirino. Si spera di rientrare presto nel sogno di cui il teatro è ponte e lasciare alle spalle l’incubo in cui la pandemia ci ha costretto. L’esperienza acquisita in questi 18 mesi di fermo suggerisce però di avere prudenza, quella espressa negli interventi dell’Amministratore delegato del teatro, Rosario Coppolino, e del Direttore artistico Geppy Gleijeses. Prudenza ma anche responsabilità. È chiaro l’invito a non perdere occasione per vaccinarsi, perché si possa presto tornare a lavorare, a divertirsi, a nutrire l’anima di emozioni individuali e collettive che solo lo spettacolo dal vivo sa trasmettere. “Esistiamo e vogliamo esserci” ribadisce l’AD Coppolino, e aggiunge “comprate e regalate il teatro come forma di sostegno a chi ha sofferto”. Un’impresa privata come quella del Quirino non può sostenere le spese di produzione se è concesso riempire la platea solo a metà. Vicine in questa sorte anche altre eccellenti realtà che danno lustro alla proposta teatrale privata della capitale, Ambra Jovinelli e Sistina. Nella speranza che la rotta dei contagi si inverta, gli spettacoli in cartellone vengono presentati dagli artisti presenti in sala o da remoto in video per chi si trova impegnato nei festival di teatro in scena in questo momento in varie città italiane.
Tra gli spettacoli che fanno da prologo alla stagione vedremo il debutto di Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, dove Eugenio Barba (celebre allievo di Jerzy Grotowski) intraprenderà la sua prima regia esterna all’Odin Theatre di sua fondazione, insieme a Lorenzo Gleijeses e Julia Varley. Gianluca Ferrato sarà diretto da Roberto Piana in Tutto sua madre, un monologo esilarante giocato su un equivoco provocato da condizionamenti familiari, in cui l’attore interpreta tutti i personaggi senza travestimento, solo con le abilità vocali. La giovane Agnese Fallongo sarà protagonista insieme a Tiziano Caputo di un racconto tragicomico scritto da lei stessa, Letizia va alla guerra (regia di Adriano Evangelisti). Napoli andrà in scena grazie a Maradona concerto, uno spettacolo con Claudio Di Palma e Danilo Rea al pianoforte. Una reale quarta parete in plexiglass sarà invece presa a colpi di palla da tennis da Paolo Valerio ne Il muro trasparente – delirio di un tennista sentimentale. Lucia Poli sarà La pianessa in un recital surreale e fantastico dedicato a Alberto Savino, autore poco conosciuto – è ben più famoso il fratello Giorgio De Chirico – artista poliedrico, compositore di cui Marco Scolastra ne ha ritrovato le partiture. Anna Galiena rivisiterà i più significativi dialoghi shakespeariani, da lei stessa tradotti e adattati, in Coppie e doppi. Al termine del prologo un omaggio al talento di una grande attrice, Sarah Bernhardt. Laura Marioni e Stefano Santospago saranno i protagonisti de La divina Sarah (testo di Eric-Emmanuel Schmitt e regia di Daniele Salvo).
La stagione in abbonamento parte il 2 novembre con lo spettacolo di Gabriele Lavia Le leggi della gravità, tratto dal romanzo di Jean Teulé (non ancora tradotto in italiano) che lo vede in scena con Federica Di Martino. Un testo definito “pandemico” dal regista, due personaggi e una domanda: qual è la legge di gravità che comanda intorno alla caduta dell’essere umano? Compare invece per due volte in cartellone Molière. Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina e Roberto Valerio porteranno in scena Tartufo, mentre Emilio Solfrizzi sarà Il malato immaginario per la regia di Guglielmo Ferro durante le festività natalizie. Ed è ancora Emilio Solfrizzi a tornare al Quirino a fine stagione, questa volta alla sua prima esperienza come regista con Buoni da morire, una commedia feroce e divertente di Gianni Clementi, che indaga le dinamiche di una famiglia. Protagonisti Pino Quartullo, Debora Caprioglio e Gianluca Ramazzotti. Sempre rimanendo nel genere della commedia, un omaggio allo straordinario genio di Garinei e Giovannini sarà la nuova messa in scena di Luigi Russo di Se devi dire una bugia dilla grossa, con il già citato Gianluca Ramazzotti a fianco di Antonio Catania e Paola Quattrini. Lo spettacolo dovette interrompere le repliche poco dopo il debutto all’inizio della pandemia, la stessa sorte toccata proprio al Quirino a Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams (regia e scene di Pier Luigi Pizzi) con Mariangela D’Abbraccio nei panni della protagonista, Blanche DuBois, e Daniele Pecci in quelli del violento Stanley Kowalski. Recupero della precedente stagione anche La classe di Vincenzo Manna per la regia di Giuseppe Marini, uno spettacolo che racconta il disagio giovanile nell’incontro/scontro tra un gruppo di ragazzi e alcuni richiedenti asilo (con Claudio Casadio e Andrea Paolotti). Si parla di recupero di stagione anche per Processo a Gesù di Diego Fabbri con Paolo Bonacelli e Marilù Prati per la regia di Geppy Gleijeses. Uno spettacolo complesso con tanti attori in palcoscenico, tratto dal repertorio – spesso dimenticato – del grande teatro italiano del Novecento. Il “debutto” è avvenuto davanti a una platea di amici ed è stato giudicato da Tommaso Le Pera come il lavoro più bello di Geppy Gleijeses. La documentazione fotografica dello spettacolo si trova pubblicata nel volume uscito di recente Il teatro di Geppy Gleijeses nelle fotografie di Tommaso Le Pera a cura di Maria Paola Poponi (Manfredi edizioni). Nello stesso libro si possono vedere le prime immagini di un altro lavoro che è in calendario la prossima stagione, Servo di scena, con protagonisti Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli. La messa in scena del testo di Ronald Harwood sarà un omaggio a Turi Ferro per i cento anni dalla sua nascita. La direzione è di Guglielmo Ferro, che già diresse il padre in una passata edizione.
Doppio appuntamento sul palco anche per Enrico Guarneri, a gennaio con L’ispettore generale di Nikolaj Gogol’ (commedia dell’equivoco dal tono grottesco e surreale) e a marzo con I Malavoglia di Giovanni Verga (regia di Guglielmo Ferro). Dalla grande letteratura sono tratti altri due lavori. Il primo è una riduzione teatrale di Pippo Pattavina e Antonello Capodici di Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello (con Pippo Pattavina e Mariangela Bargilli, regia di Antonello Capodici); mentre ispirato al racconto di Hermann Melville, Leo Gullotta sarà Bartleby lo scrivano per la regia di Emanuele Gamba. In scena un uomo dal carattere indolente e ozioso (la sua battuta ricorrente recita “avrei preferenza di no”), che come un vento improvviso “manda all’aria il senso normale delle cose”. Così nelle parole di Francesco Niccolini che ne cura il testo.
E sarà lo stesso Niccolini l’autore insieme a uno dei più grandi affabulatori del teatro italiano, Marco Paolini, di Ulisse Filò. L’eroe mitico incontra nel suo viaggio in incognito attraverso le Alpi il dio Hermès, anche lui non riconosciuto negli abiti di un pastore. Lo scontro/confronto tra queste due identità distanti tra loro sarà il centro del canto. Sempre legato alla classicità e al mito andrà in scena Troiane di Euripide, con Elisabetta Pozzi e la direzione del regista emergente Andrea Chiodi (l’adattamento è di Angela Damattè).
Spazio alla musica invece con due appuntamenti. A fine stagione Mario Incudine sarà protagonista del suo spettacolo dedicato a Domenico Modugno Mimì da sud a sud, diretto da Moni Ovadia e Giuseppe Cutino. Mentre poco prima di Natale farà ritorno un genere teatrale che è sempre stato di casa al Quirino, l’operetta. Umberto Scida sarà regista e protagonista insieme a un numeroso cast di attori/cantanti e ballerini de La vedova allegra di Franz Lehar.
La compagnia privata Goldenart Production (presente la Direttrice artistica Federica Vincenti), in coproduzione con i teatri stabili di Veneto e Bolzano, porterà in scena uno spettacolo che ha avuto una grande fortuna e che finalmente arriva a Roma, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Protagonisti Alessandro Haber e Alvia Reale diretti da Leo Muscato (traduzione del testo di Masolino D’Amico). E arriverà a Roma, per la prima volta al Teatro Quirino, anche Carlo Buccirosso con una nuova edizione di Colpo di scena. Definito da Geppy Gleijeses degno erede di Peppino De Filippo, Buccirosso vestirà i panni di un vicequestore di provincia impegnato nel debellare i piccoli crimini che ogni giorno minacciano la pace di quella gente che vorrebbe vivere una vita serena, con un immancabile finale a sorpresa.
Questa dunque la prossima stagione del Quirino, ricca di titoli e nomi di importante caratura, ma soprattutto di tanta voglia di tornare con entusiasmo a raccontare e a lavorare. Con speranza solida ci affidiamo alle decisioni del Governo che, tenendo conto della salute di tutti, possa fornire le giuste condizioni che permettano allo spettacolo dal vivo di mostrare ancora la bellezza dell’arte in quelle stelle per troppo tempo rimaste velate.
24 settembre 3 ottobre
EUGENIO BARBA LORENZO GLEIJESES JULIA VARLEY
UNA GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA
regia e drammaturgia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
5.10 ottobre
GIANLUCA FERRATO
TUTTO SUA MADRE
tratto da “Les garçons et Guillaume, à table!”
di Guillaume Gallienne
regia ROBERTO PIANA
12.13.14 ottobre
AGNESE FALLONGO TIZIANO CAPUTO
LETIZIA VA ALLA GUERRA
la suora, la sposa e la puttana
di Agnese Fallongo
ideazione e regia ADRIANO EVANGELISTI
15.16.17 ottobre
MARADONA CONCERTO
con
CLAUDIO DI PALMA
DANILO REA al pianoforte
regia CLAUDIO DI PALMA
19.20.21 ottobre
PAOLO VALERIO
IL MURO TRASPARENTE
delirio di un tennista sentimentale
a cura di Monica Codena, Marco Ongaro e Paolo Valerio
22.23 ottobre
LUCIA POLI
LA PIANESSA
omaggio ad Alberto Savinio
con MARCO SCOLASTRA al pianoforte
24.25 ottobre
ANNA GALIENA
COPPIE E DOPPI
traduzione, adattamento e regia ANNA GALIENA
28.29.30.31 ottobre
LAURA MARINONI STEFANO SANTOSPAGO
LA DIVINA SARAH
da Memoir di John Murrel
testo di Eric-Emmanuel Schmitt
regia DANIELE SALVO
STAGIONE 2021/2022
2.14 novembre
GABRIELE LAVIA FEDERICA DI MARTINO
LE LEGGI DELLA GRAVITA’
dal romanzo di Jean Teulé “Les lois de la gravité”
adattamento e regia GABRIELE LAVIA
16.21 novembre
GIUSEPPE CEDERNA VANESSA GRAVINA ROBERTO VALERIO
TARTUFO
di Molière
traduzione Cesare Garboli
adattamento e regia ROBERTO VALERIO
23 novembre 5 dicembre
CARLO BUCCIROSSO
COLPO DI SCENA
NUOVA EDIZIONE
di Carlo Buccirosso
regia Carlo Buccirosso
7.12 dicembre
SPETTACOLO DA DEFINIRE
14.19 dicembre
UMBERTO SCIDA
LA VEDOVA ALLEGRA
di Franz Lehar
regia UMBERTO SCIDA
21 dicembre 9 gennaio
EMILIO SOLFRIZZI
IL MALATO IMMAGINARIO
di Molière
costumi Santuzza Calì
adattamento e regia GUGLIELMO FERRO
11.16 gennaio
ENRICO GUARNERI
L’ISPETTORE GENERALE
di Nikolaj Vasil’evič Gogol’
regia ENRICO GUARNERI
18.23 gennaio
ELISABETTA POZZI
TROIANE
di Euripide
adattamento di Angela Demattè
regia ANDREA CHIODI
25.30 gennaio
PIPPO PATTAVINA
MARIANELLA BARGILLI
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
di Luigi Pirandello
regia ANTONELLO CAPODICI
1.6 febbraio
MARIANGELA D’ABBRACCIO
DANIELE PECCI
UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO
di Tennessee Williams
traduzione Masolino D’Amico
regia e scene PIER LUIGI PIZZI
(recupero stagione 2019/2020)
8.20 febbraio
GEPPY GLEIJESES MAURIZIO MICHELI LUCIA POLI
SERVO DI SCENA
di Ronald Harwood
traduzione Masolino D’Amico
regia GUGLIELMO FERRO
22 febbraio 6 marzo
ALESSANDRO HABER
ALVIA REALE
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
di Arthur Miller
traduzione Masolino D’Amico
regia LEO MUSCATO
8.13 marzo
ENRICO GUARNERI
I MALAVOGLIA
di Giovanni Verga
regia GUGLIELMO FERRO
15.27 marzo
ANTONIO CATANIA GIANLUCA RAMAZZOTTI
con PAOLA QUATTRINI
SE DEVI DIRE UNA BUGIA DILLA GROSSA
di Ray Cooney
versione italiana Iaia Fiastri
regia originale PIETRO GARINEI
nuova messa in scena LUIGI RUSSO
29 marzo 3 aprile
LEO GULLOTTA
BARTLEBY LO SCRIVANO
di Francesco Niccolini
liberamente ispirato al racconto di Herman Melville
regia EMANUELE GAMBA
(recupero stagione 2019/2020)
5.10 aprile
MARCO PAOLINI
ULISSE FILÒ
di Marco Paolini e Francesco Niccolini
regia GABRIELE VACIS
12.17 aprile
PAOLO BONACELLI MARILÙ PRATI
PROCESSO A GESÙ
di Diego Fabbri
regia GEPPY GLEIJESES
(recupero stagione 2019/2020)
19.24 aprile
CLAUDIO CASADIO ANDREA PAOLOTTI
LA CLASSE
di Vincenzo Manna
regia GIUSEPPE MARINI
(recupero stagione 2019/2020)
26 aprile 1 maggio
MARIO INCUDINE
MIMÌ DA SUD A SUD
sulle note di Domenico Modugno
di Mario Incudine
regia MONI OVADIA e GIUSEPPE CUTINO
3.15 maggio
PINO QUARTULLO DEBORA CAPRIOGLIO GIANLUCA RAMAZZOTTI
BUONI DA MORIRE
di Gianni Clementi
regia EMILIO SOLFRIZZI
data di pubblicazione 25/07/2021
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