PROMISES di Amanda Sthers, 2021

PROMISES di Amanda Sthers, 2021

Alexander (Pierfrancesco Favino), figlio di madre inglese e padre italiano, ha solo 10 anni quando suo padre muore annegato sotto i suoi occhi. Pur vivendo un’adolescenza in un contesto agiato fra la madre a Londra ed il nonno paterno (Jean Reno) a Roma, ne resterà segnato per sempre nel carattere. Quando la Vita gli farà incontrare il vero Amore e la vera Passione in Laura (Kelly Reilly) non saprà osare per prendere la giusta decisione al giusto momento … la ricercherà e la rimpiangerà tutta la vita …

 

 Favino speaks english, and even speaks it very well”! Complimenti! L’attore potrà piacere o non piacere, ma gli va dato atto che oltre che essere, a nostro parere, bravo e simpatico, è anche preparato e svetta nello scenario degli attori nostrani costretti nei limiti linguistici della nostra realtà. Gli si prospetta auspicabilmente anche un’opportunità di carriera internazionale vera. Auguri!

Scrittrice, sceneggiatrice e regista la francese Sthers ha adattato per questo suo 4° lungometraggio lo script dal suo stesso romanzo omonimo uscito nel 2015. Al centro del film di oggi c’è una grande storia d’amore inespressa ed incompiuta, che avrebbe potuto concretizzarsi ed essere vissuta se solo il protagonista avesse avuto la forza, il coraggio, l’incoscienza e l’egoistica determinazione di prendere una decisione. Un intrigo esistenziale sull’incapacità soprattutto degli uomini, di taluni uomini, di saper cogliere l’opportunità di essere felici e prendere su di sé il rischio di amare. Chi? Chi meglio di una donna autrice e regista può trovare allora la giusta modalità per scrivere prima, e rappresentare poi, questa incapacità ed il rimpianto che la felicità e l’occasione perduta genererà per tutta la vita?

In un certo qual modo è una storia che ricorda molto L’età dell’innocenza di Scorsese, una storia quindi vista e rivista, ma è una storia ogni volta sempre coinvolgente, perché tocca nel profondo l’essenza stessa dell’Essere Umano: la costante ricerca della Felicità e dell’Amore e con loro la ricerca del Tempo perduto e delle opportunità perdute fino … alla presa di coscienza di averle perse definitivamente. Allora non resterà che il dolore ed il rimpianto perché, a quel punto, c’è solo la consapevolezza che non esiste un’altra opportunità per una seconda occasione.

Alexander è bloccato emotivamente per non soffrire, vincolato fra famiglia, amicizie e lavoro. Un uomo in bilico fra due anime, cerca di fuggire i fantasmi di un passato che lo ha segnato e lo segna. Vive un effimero presente senza nemmeno darsi spazio per sognare un futuro o lottare per averlo. Così, quando incontra l’Amore e intuisce che quello può essere la Felicità di cui ha bisogno, non è in grado di agire per riuscire a viverlo perché, abituato a subire, non sa più osare.

Il film, come fosse una riflessione del pensiero, è costruito a spirali in un’alternanza continua fra passato e presente e flashforward che creano quasi una dimensione narrativa atemporale come in effetti è il pensiero e perché la vera domanda se si è felici è, di per se stessa, al di là del tempo e dell’attimo. Il montaggio dà ritmo e scansione, ora lenta ora rapida, alla narrazione che procede come sospesa in un mare di pensieri. La regista opera con molta eleganza e con mano sicura, evitando di cadere nel melodramma. Bravo, a suo agio, partecipe, tenero ed intenso Favino, un po’ più sottotono la bella Reilly. Precisi, come sempre in questo tipo di produzioni, tutti i secondi ruoli. Pur buono al film forse manca però qualcosa per essere ottimo, forse un pieno coinvolgimento emotivo, non che debba essere per forza struggente sia ben chiaro, tutt’altro! Ma, l’insieme appare fin troppo distaccato. Non vuole o non riesce a smuovere le emozioni profonde dello spettatore che osserva le pene del protagonista ma non ce la fa a commuoversi per la sua felicità perduta!

data di pubblicazione:18/10/2021








ANNA CAPPELLI ADORA I BAUSTELLE Performance tra teatro, moda e musica per la regia di Rossano Giuppa, con Bianca Nappi, coreografie di Laura Talluri e abiti di scena di Italo Marseglia

ANNA CAPPELLI ADORA I BAUSTELLE Performance tra teatro, moda e musica per la regia di Rossano Giuppa, con Bianca Nappi, coreografie di Laura Talluri e abiti di scena di Italo Marseglia

(Teatro di Villa Torlonia – Roma, 9 ottobre 2021)

Un evento unico immerso in uno scenario suggestivo. Un omaggio all’arte, nelle forme del teatro della musica e della moda. La figura della donna al centro, con i suoi desideri, le sue frustrazioni, i suoi progetti: Anna Cappelli di Annibale Ruccello dialoga con i Baustelle negli splendidi abiti confezionati da Italo Marseglia.

  

Anna Cappelli preferisce il profumo della pancetta fritta alla fastidiosa puzza di pesce bollito che cucina la signora Rosa Tavernini, in casa della quale ha preso una stanza in affitto. A dire il vero non sopporta neanche i gatti della signora e il fatto che i genitori abbiano dato il suo letto alla sorella Giuliana dopo che è andata via di casa. L’indipendenza però vale di più e il futuro è una pagina bianca ancora da scrivere. È determinata a ottenere la felicità che desidera. Così quando incontra Tonino, un ragioniere scapolo che abita in un appartamento di proprietà con dodici stanze, cede all’invito di andare a convivere. Certo, il fatto che l’uomo non voglia né matrimonio né figli è un problema per lei, ma non si scoraggia. Sa che l’ostinazione la porterà a realizzare i progetti che le stanno a cuore. Tuttavia i pregiudizi della gente non sono facili da affrontare. Specialmente quelli dell’anziana cameriera che vive in casa di Tonino da sempre: licenziarla sarebbe la soluzione e così avviene. Anna ha finalmente tutto in mano e non vuole perderlo per nessun motivo. L’aggettivo possessivo “mio” è la parola che ricorre più spesso nel testo. Bianca Nappi, che nella performance dà voce e corpo alla protagonista, lo calca con forza e vigore. La sua interpretazione restituisce i tratti di una donna semplice, popolana ma allo stesso tempo emancipata e volitiva, per nulla capricciosa. Dialoga sul palco con un Tonino impassibile e silenzioso, l’attore e modello Vincenzo Iantorno. Attorno a lei si muovono figure imbrigliate in lacci neri di gros-grain a contrasto con abiti bianchi che ricordano camicie di forza. Raccontano la pazzia nella quale è costretta Anna e sono preludio del gesto folle che commetterà alla fine. Le figure intorno a lei danzano le coreografie ideate da Laura Talluri, amplificando i movimenti della sua mente e moltiplicando l’immagine di una donna ricca di sfumature e carattere come è nell’interpretazione del regista. I brani della band toscana dei Baustelle, che cavalcano sonorità elettroniche pop-rock, danno ritmo ai passi delle modelle e dei modelli che sfilano sul palco, mentre i testi delle loro canzoni aggiungono senso al racconto. Le voci di Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi fanno eco a Anna e Tonino.

La performance ideata da Rossano Giuppa – storica firma del nostro sito Accreditati.it – ha il merito di cucire insieme espressioni artistiche di diversa natura e destinazione, creando un lavoro nel suo insieme coerente e armonico. Trova il modo di far dialogare le sue passioni in uno spazio incantevole come è il Teatro Torlonia, con la sua scena ottocentesca dipinta a drappi rossi e nicchie abitate da allegorie. Manca una vera e propria passerella da sfilata, ma il regista risolve proponendo un prologo appena dietro il teatro, nella struttura a vetri che si affaccia sul parco romano. Uno scenario suggestivo che lascia apprezzare da vicino le creazioni di Italo Marseglia. Il bianco e il nero è la cifra dello stilista, che sottolinea la caparbietà di Anna Cappelli nell’essere estrema nelle sue scelte. O si ottiene tutto dalla vita o, se non si può, meglio distruggerlo. Tonino licenzia Anna con lo stesso cinismo con cui ha mandato via la vecchia cameriera. Ha accettato un nuovo incarico lontano da dove vivono e non vuole che la sua compagna lo segua, costringendola a cercare vendetta per l’abbandono subìto. Nell’atto finale decide di vestire il nero della morte, tutto precipita e le si sgretola intorno. Uccide Tonino facendolo a pezzi che poi mangerà, come a inglobare definitivamente l’amante e a farlo suo definitivamente, con un gesto di possessione totale. L’amore è violenza, come cantano i Baustelle. La vita è tragica però è bellissima e vale viverla fino in fondo nei suoi contrasti di gioia e tormento.

data di pubblicazione:18/10/2021


Il nostro voto:

MOTHERING SUNDAY di Eva Husson, 2021

MOTHERING SUNDAY di Eva Husson, 2021

Inghilterra 1924, Festa delle mamme, come da tradizione alcune famiglie aristocratiche si incontrano per un pic-nic, su tutti aleggia il dolore per la perdita dei figli nella recente Grande Guerra. La servitù ha un giorno di vacanza e la giovane domestica Jane (Odessa Young) poiché orfana ne approfitta per incontrarsi con il suo amante segreto Paul (Josh O’Connor). Sarà il loro ultimo incontro perché Paul è ormai prossimo a sposarsi per convenienza con un’aristocratica come lui che lo aspetta con i genitori al pic-nic. Un attimo di quiete sospesa della Vita per entrambi gli amanti prima che il dramma metta in moto eventi che cambieranno la vita di Jane …

 

La Husson, giovane e talentuosa attrice, sceneggiatrice e regista francese ha già presentato (con differenti apprezzamenti) il film a Cannes 2021 ed ora è qui, fuori concorso, alla 16ma Festa di Roma. Questo suo quarto lungometraggio è una produzione britannica che è tratta dall’omonimo romanzo di Graham Swift al cui adattamento cinematografico ha collaborato la stessa Husson.

Avrebbe potuto essere l’ennesimo classico film inglese inizi ‘900, stile “Dowton Abbey” tutto centrato sulle diverse classi sociali, le convenzioni aristocratiche, mondanità, falsi pudori e matrimoni contrastati, ma il lavoro della sceneggiatura porta invece sensualità e vitalità al contesto, togliendo polvere e ragnatele al genere, dandogli un tocco più moderno sia scomponendo e ricomponendo la storia e le varie sottostorie, sia decidendo di giocare più sulle possibili risonanze emozionali degli spettatori piuttosto che sull’ambientazione o sull’intrigo delle vicende.

Sia ben chiaro, l’universo cinematografico della “Vecchia Inghilterra” fatto di magioni di campagna, di nobili famiglie, di prati ed angoli idilliaci c’è sempre, anzi, all’inizio le riprese dei campi, dei raggi di sole fra il fogliame degli alberi, l’erba bagnata, i fiumi e la voce narrante che sussurra fanno addirittura pensare a Malick. La regista però non pensa affatto alla bellezza dell’Inghilterra o del mondo e, con un taglio non convenzionale gioca con classe e coraggio sugli stilemi, sulla storia, sul montaggio, sul ritmo e la fotografia. Il racconto viene infatti frammentato con risultati forti ed efficaci grazie ad un montaggio alternato che diviene così elemento significativo della narrazione filmica stessa, intercalando immagini e scene appartenenti ad altri momenti della vita di Jane. La regista si avvale di un ritmo ora vertiginoso nei grandi momenti della vita della protagonista, ora rallentato quasi a sottolineare invece i momenti di pace sospesi nel tempo. La fotografia poi è veramente splendida e contribuisce a dar forza ed a sottolineare, con il variare dei toni e dei colori, le diverse situazioni emozionali e l’intensità drammatica delle scene.

Il film è un viaggio elegante e brioso nel tempo e nella vita di Jane sotto le vesti di una storia d’Amore/Amori, con un velo di mistero. Un mosaico di frammenti di vita e di film con il mistero che si svela solo nel finale. Un racconto ben scritto e ben diretto, impreziosito da prove attoriali perfette: nei ruoli di supporto ci sono attori del calibro di Colin Firth ed Olivia Colman, un cameo finale della grande Glenda Jackson ed ovviamente i due giovani protagonisti.

A voler trovare dei difetti andrebbero rilevate alcune incongruenze nel casting nei secondi ruoli ed alcuni temi o personaggi avrebbero meritato un maggiore approfondimento, ma, nel complesso si tratta di un film dalla forte singolarità. Un film che non si piange addosso, tutt’altro, perché sono le donne a sopravvivere e sono loro che scrivono le loro Storie e la regista si conferma indubbiamente come un’autrice da seguire con attenzione nei prossimi anni.

data di pubblicazione:17/10/2021








CARO EVAN HANSEN di Stephen Chbossky, 2021

CARO EVAN HANSEN di Stephen Chbossky, 2021

Evan Hansen, non è un ragazzo come tutti gli altri: è affetto da disturbo di ansia sociale e ha difficoltà a relazionarsi con i suoi coetanei. Ogni mattina scrive lettere a sé stesso come terapia suggerita dal suo psicologo. Un giorno, Connor, altro studente fuori di capoccia, appena conosciuto da Evan, gli ruba una lettera, che fa pensare ad una amicizia profonda tra i due. Connor si toglie la vita e questo innescherà una serie di equivoci che metterà Evan in rapporto con i genitori del ragazzo scomparso e con la di lui dolce sorellina. La bugia che dà origine a tutto non sarà, però, senza conseguenze…

 

Caro Evan Hansen è basato sull’omonimo musical di Broadway del 2015 che ha vinto ben sei Tony Awards, il massimo riconoscimento per le commedie musicali. Nell’adattamento cinematografico i produttori (uno dei quali padre di Ben Platt) hanno confermato come attori solo due dei talentuosi protagonisti, ovviamente, Ben Platt (Evan) e Colton Ryan (Connor), decisamente dei predestinati al successo: entrambi capaci di caratterizzare al meglio due personaggi complessi, due ragazzi che sanno recitare, cantare con voci emozionanti e ballare come acrobati. Del resto, il cinema di Stephen Chbosky non è nuovo alla narrazione di adolescenti problematici ed emotivi. Molti ricorderanno Charlie, il protagonista di Noi Siamo Infinito (2011), ottimo, riuscito progetto del quarantunenne regista di Pittsburgh, già autore del romanzo Il Ragazzo da Parete, da cui aveva tratto il film. Meriti non da poco vanno riconosciuti al co-autore della sceneggiatura, Steven Levenson, già librettista della versione andata in scena a Broadway , ai   musicisti Pasek & Paul, cui si deve la splendida (a volte necessariamente ripetitiva ) colonna sonora e la maggior parte delle canzoni ben interpretate e rese da tutti gli attori – incluse Julianne Moore (la mamma di Evan) e Amy Adams (la mamma di Connor). Riconosciuti i “credits”, aggiungo solo che la pellicola pur rientrando nel nutrito alveo letterario e cinematografico dei “giovani eroi perdenti” (da Gioventù Bruciata a Giovane Holden, da Tom Sawyer a Martin Eden a vostra scelta…) ha una sua ragion d’essere. Il regista, infatti, supera quello che poteva tradursi nella rivisitazione dell’’ennesimo dramma giovanile di un ragazzo straordinariamente sensibile e quindi escluso dai “fichi” della scuola, e sceglie un differente metro per realizzare un film che attingendo al musical (e non il contrario) incuriosisce, commuove e rende lievi anche momenti oggettivamente drammatici, grazie agli inserti musicali cantati che non tolgono ritmo e ,senza mai annoiare , aggiungono sapore ad un progetto nel complesso nuovo. Film che sarebbe giusto far vedere alle giovani generazioni incapsulate in cellulari e tic toc di varia natura, ma che può essere goduto anche da adulti non inclini al cinismo.

data di pubblicazione:17/10/2021








LES JEUNES AMANTS di Carine Tardieu, 2021

LES JEUNES AMANTS di Carine Tardieu, 2021

Shauna (Fanny Ardant) ancora splendida 70nne, vive la sua vita senza più porsi problemi sentimentali, ma inaspettati l’Amore e la Passione sono in agguato, incontra infatti un uomo di 45 anni, Pierre(Melvil Poupaud) affermato oncologo che aveva brevemente incrociato 15 anni prima che la desidera e l’ama con passione … La vita non smette mai di farci sorprese, e, per ogni bella sorpresa c’è però spesso un prezzo da pagare!…

 

Perché andare a vedere questo film si domanderà giustamente qualche spettatore che preferisce il mero “disimpegno”? Perché condividere le emozioni della vicenda narrata?

Superato l’immediato turbamento emotivo che la visione del film può generare, decantate le reazioni emotive “di pancia”, abbiamo più risposte razionali alla domanda iniziale … Perché, innanzitutto, non avremmo fatto una piega se la stessa storia avesse riguardato una bella e giovane donna 45nne che desidera ed ama un uomo 70nne con tutti gli aspetti fisici connessi con la sua età. Perché ogni tanto, si possono vedere anche film che rappresentano la Vita, e, nella Vita c’è l’Amore inaspettato a qualsiasi età, come c’è l’invecchiamento e … c’è anche la Malattia. Perché si tratta di un film che può sì molto commuovere e molto coinvolgere ma è ben diretto e magnificamente interpretato e perché infine ci tratteggia, al femminile, con delicatezza e con uno sguardo tenero e pudico, una bella figura di donna ricca di personalità e di sentimenti e molto autentica.

In questo suo 5° lungometraggio la quasi cinquantenne regista e sceneggiatrice francese ci racconta per l’appunto la storia di un colpo di fulmine reciproco, che tutto e tutti travolge, fra una donna di 70 anni, raffinata, libera, indipendente ed ancora bella ed un uomo di 45 anni felicemente sposato, padre di famiglia ed impegnato nella sua professione. La passione e la tenerezza esplodono quando e là dove nessuno se lo aspetta. L’autrice con la collaborazione di una splendida, brava ed intensa Fanny Ardant disegna sensibilmente la figura di una donna che fatica a credere e ad accettare, lei per prima, di poter vivere un Amore tanto bello e vero quanto quelli dei suoi primi batticuori ma con in più la consapevolezza del Tempo che fugge, l’esperienza, la sensibilità degli anni già vissuti che, se hanno molto segnato il fisico, hanno però di contro, molto arricchito l’anima. Lo sguardo della regista è tenero, imbarazzato e complice ed evita, al di là degli sviluppi della vicenda, tutti i possibili prevedibili clichè, per concentrarsi con delicatezza nel racconto di una passione senza tempo ed età, capace di superare tutte le resistenze, quelle della stessa protagonista per prima. La sceneggiatura equilibrata, unitamente ad un montaggio sapiente, dà al film un ritmo rapido e la regista dirige con mano attenta e non convenzionale governando il susseguirsi di situazioni senza mai soffermarcisi un secondo più del dovuto evitando intelligentemente di cadere nel banale melò. I dialoghi sono poi cesellati nella realtà. Un film d’autore supportato da un’ottima interpretazione. La Ardant recita con sensibilità e charme e con la sua bellezza ancora seducente di donna matura, confermando con la sua passione interpretativa tutto il suo talento. Accanto a lei Popaud regge il confronto ed è altrettanto bravo ed intenso quanto tormentato e credibile.

Un film francese che esplora i sentimenti e l’intimità come solo i francesi sanno fare. Una storia molto francese per eleganza, ma universale al tempo stesso, come universale è l’Amore a tutte le età.

Va anche detto però, ad essere onestamente un po’ maliziosi ed ipercritici … che, per quanto sia stata abilmente resa e costruita la “sospensione dell’incredulità”, si potrebbe anche legittimamente ravvisare nel tutto una bella strizzatina d’occhio ad un certo pubblico femminile agée e che si sia scientemente calcata un po’ la mano con gli eventi negativi che mettono alla prova un Amore già di per sé di certo non facile.

data di pubblicazione:16/10/2021








L’ARMINUTA di Giuseppe Boniti, 2021

L’ARMINUTA di Giuseppe Boniti, 2021

“Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere”. È l’estate del 1975: una tredicenne viene lasciata dal padre, senza troppe spiegazioni, in un casale al centro di una campagna brulla, ed affidata ad una famiglia di contadini che scoprirà essere i suoi genitori biologici. La coppia, fortemente indigente e con una nutrita prole, aveva ceduto la ragazzina a soli sei mesi di vita ad una coppia di cugini benestanti che non potevano avere figli e che, sino a quel momento, l’avevano cresciuta come fosse la loro bambina, in una bella casa in città, lontana da quella povertà rurale dell’entroterra abruzzese.

  

La giovane adolescente, con una valigia in mano, “restituita” dall’uomo che credeva essere suo padre a quella che invece è la sua vera famiglia d’origine, all’improvviso perde tutto il suo mondo, le sue amiche, la bella casa dove era cresciuta e si ritrova circondata dal silenzio e dall’indifferenza. Comincia dunque a patire il mutismo assordante di quella famiglia a lei estranea, diventando trasparente agli occhi degli adulti che l’avevano cresciuta e di quelli che l’avevano ceduta, come se tutti loro avessero perso la “memoria della sua esistenza”. Diviene invisibile. Come una rifugiata in terra straniera, la ragazza dovrà tentare di reinventarsi una nuova vita in un nucleo familiare, respingente e diffidente che, pur non appartenendole, è il suo. Solo la piccola Adriana, bambina sveglia e solare, a suo modo la accoglierà, traghettandola in quella vita che le è stata imposta senza alcuna spiegazione.

È un vero gioiello, rude e tenero al tempo stesso, il film di Boniti, unica pellicola italiana voluta da Monda in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma. Applauditissimo dal pubblico alla prima in sala, il film fa venire immediatamente voglia di leggere l’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, anche co-sceneggiatrice della pellicola. Molti sono i temi affrontati, da quello sui minori maltrattati o sradicati da adulti non responsabili, a quello sull’abbandono sovente collegato a maternità non consapevoli o non supportate da figure maschili idonee. Il film fa emergere anche certe usanze di alcune zone depresse del sud, in cui sino a qualche decennio fa erano praticate private forme rudimentali di “affido”, per garantire ai numerosi figli di famiglie bisognose una vita migliore, soffermandosi soprattutto sugli strappi affettivi che privano le persone della propria identità (l’Arminuta non ha un nome, non ha un compleanno da condividere: è solo colei che viene restituita), e su quanto la conoscenza sia l’unico vero antidoto alla paura e al buio.

Il cast è eccezionale, ad iniziare da Sofia Fiore (l’Arminuta), struggente e dura al tempo stesso, suo malgrado temprata da quell’affetto materno negato, e la piccola Carlotta De Leonardis che impersona Adriana, bambina matura e disincantata ma che nonostante tutto ama ancora giocare e andare sulla giostra; un immenso Fabrizio Ferracane nel ruolo di un padre-padrone che non conosce il perdono e la comprensione, ma solo il silenzio e la forza delle proprie mani come forma di punizione, ed infine le due madri, ognuna infelice a modo suo, degnamente interpretate da Vanessa Scalera e Elena Lietti.

L’Arminuta è un piccolo grande film, di quelli che ci insegnano qualcosa, che ci allargano il cuore, che scalfiscono il muro dell’indifferenza e che ci inducono ad essere più aperti e generosi nei confronti dei più deboli.

In uscita nelle sale il 21 ottobre distribuito da Lucky Red.

data di pubblicazione:16/10/2021








PASSING di Rebecca Hall, 2021

PASSING di Rebecca Hall, 2021

New York anni’20 del 1900, essere neri non era certo affatto facile. Irene(Tesse Thompson)una donna nera benestante vedrà il suo mondo, i suoi equilibri e la sua famiglia sconvolti a seguito dell’incontro con una sua vecchia ed esuberante amica: Claire (Ruth Negga). Entrambe hanno sangue misto ed il colore della loro pelle è abbastanza chiaro, Claire ha lasciato Harlem da anni”passandosi” per bianca fino a sposarsi con un bianco del tutto ignaro delle sue vere origini.

 

L’inglese Rebecca Hall, figlia d’arte, quasi quarantenne ma già talentuosa ed affermata attrice prediletta da registi di fama, sceneggiatrice e scrittrice di successo, ha deciso di esordire nella regia con Passing riadattandone personalmente anche il soggetto dalla novella di Nella Larsen. “Passing” è un’espressione gergale americana che si riferisce a quegli afroamericani che “pretendono/provano a passare in tutto e per tutto per bianchi”.

Il film è in formato 4:3 come i vecchi film Hollywoodiani degli anni’40 e ’50 ed è in bianco e nero. Un bianco e nero splendido, e … non è un caso, è piuttosto una scelta narrativa esplicita perché proprio di “essere bianchi o di essere neri”, di quale identità razziale sentirsi parte è tutta l’essenza stessa del film. Irene e Claire vivono due realtà diverse, entrambe paiono benestanti, realizzate nelle loro famiglie, nei loro mondi e contesti, ma è solo una fragile apparenza. Tornando a frequentarsi le due donne, riparte fra loro un’attrazione fatta anche di silenziosa competizione, Irene invidia l’apparente felicità di Claire, e Claire a sua volta lo status ed i saldi principi di Irene arrivando quasi ad insidiarne il marito con la sua carica vitale. Le performances delle due protagoniste sono di alta qualità e recitano con charme ed eleganza, brillanti ed intense nei rispettivi ruoli, circondate a loro volta da uno stuolo di ottimi secondi ruoli.

Ciò non di meno qualcosa non va, il film pur se da un punto di vista estetico è indubbiamente elegante e raffinato appare però narrativamente squilibrato e fin da subito perde la fluidità necessaria per mantenere ciò che sembrava promettere all’inizio. Difatti i vari spunti di tensione, gli aspetti sociali, l’identità e l’appartenenza razziale, l’attrazione fra le due donne non evolvono ed in breve addirittura evaporano nel vuoto estetico senza mai essere veramente affrontati. Il ritmo narrativo poi, volutamente lento all’inizio per dar modo ai personaggi di svilupparsi, non si modifica affatto nel prosieguo ed i tempi diventano eccessivi, monotoni e ridondanti. La ricerca dell’intimismo psicologico implode di fatto in un eccesso di estetismi e simboli.

Peccato! Un peccato però perdonabile perché è indubbio comunque il talento dell’attrice dietro la cinepresa. Pur promettendo bene è però ancora imperfetta e dovrà, nel futuro, lavorare più sulla sostanza che sull’eleganza formale e molto più ancora sulla sintesi ed imparare a non perdersi in molteplici rivoli narrativi.

data di pubblicazione:16/10/2021







ORO BRETONE – SCOMPARSA A GUERANDE  di Jean-Luc Bannalec – ed. ISBN 2021

ORO BRETONE – SCOMPARSA A GUERANDE di Jean-Luc Bannalec – ed. ISBN 2021

Oro Bretone è l’ultimo dei tre libri di J. L. Bannalec finora tradotti in italiano e recentemente “rilanciati” per i tipi ISBN. In realtà, dal suo esordio nel 2012 ad oggi, l’autore ha pubblicato con successo crescente ben 9 romanzi con al centro le inchieste del suo Commissario Dupin. Non sappiamo quindi come siano nel frattempo evoluti il romanziere ed il suo personaggio, possiamo solo constatare per ora, sul filo di questi suoi primi tre racconti, che sia lo scrittore sia Dupin hanno indubbiamente e progressivamente assunto una loro ben definita personalità, le storie sono narrate con mano sempre più sicura e realistica, il ritmo e l’azione hanno una crescente dinamicità ed efficacia e … la Bretagna, pur restando il magico sfondo di tutte le indagini, è divenuta sempre meno banalmente cartolina illustrata e sempre più parte delle storie stesse.

In quest’ultima terza inchiesta Dupin si trova, suo malgrado, coinvolto in una sparatoria e poi costretto ad operare fuori dalla sua zona; a Guérande. La vicenda gira infatti attorno all’Oro Bianco delle sue saline naturali, celebri per il fleur de sel. Un caso dalle caratteristiche molto diverse e molto più dinamico e d’azione dei precedenti. Un’indagine in cui poi si inserisce autorevolmente (mettendo quasi in ombra lo stesso Dupin) un nuovo personaggio femminile dalla forte personalità,  efficiente, dinamico, intelligente, sornione e determinato: la Commissaria Sylvaine Rose con cui “il nostro” deve fare squadra per poter risolvere le ricerche in corso.

Intelligentemente Bannalec evita la banalità di una relazione fra i due Commissari e privilegia invece il gioco degli opposti o delle somiglianze nella diversità, fra i due e fra i loro diversi ma pur sempre efficaci  metodi di indagine. Dall’incontro le qualità di Dupin non si perdono affatto, anzi, al contrario, la sua figura ne guadagna in personalità, umanità e simpatia. Narrativamente la coppia funziona molto bene e se ne giovano sia il ritmo che diviene più serrato ed avvincente, sia la costruzione ed evoluzione della storia e le sue atmosfere.

In conclusione le inchieste del Commissario Dupin sono una piacevole scoperta/riscoperta, una gradevole lettura e dei buoni piccoli polizieschi. Le storie sono indipendenti l’una dall’altra ma, di sicuro, leggerle in sequenza le rende ancor più avvincenti. Dupin si conquisterà sicuramente anche in Italia il suo pubblico perché di libro in libro diviene più simpatico: un orso un po’ rude, burbero e poco comunicativo ma che è intuitivo, empatico, fascinoso senza saperlo e che sa anche apprezzare le cose belle della vita. E poi c’è la Bretagna … ricca di angoli meravigliosi, di ristorantini, bar sfiziosi, piccoli hotel … affascinante che viene voglia, potendo, di visitarla o di tornare a visitarla.

data di pubblicazione:15/10/2021

IL PALLONE DI STOFFA di Walter Pedullà- Rizzoli editore, 2020

IL PALLONE DI STOFFA di Walter Pedullà- Rizzoli editore, 2020

Più eloquente del titolo che rimanda al calcio giovanile, alla povera infanzia calabrese, illuminante è il sottotitolo: Memorie di un nonagenario. Perché Water Pedullà, esimio critico letterario, festeggiando un’età invidiabile, rivela il suo tonitruante Confesso che ho vissuto. E, in effetti, nella sua esistenza ha cumulato molte vite: professore emerito alla Sapienza, presidente della Rai, primo responsabile del Teatro di Roma, critico letterario de L’Avanti. Sempre in prima fila per battaglie sperimentali nel nome del Partito Socialista ma versione lombardiana, non proprio surrogato ideologico di Craxi. Un fiero combattente della vita che qui ci ricorda la lunga e sofferta gavetta, fino all’affermazione accademica sulla scia del grande e indimenticato maestro Giacomo De Benedetti. Novanta anni raccontati con grande lucidità di pensiero e con qualche pensiero acuminato. Inevitabile momento di bilanci per chi ha avuto tanto dalla vita ma parallelamente ha dato con generosità e slancio, sempre proteso verso il limite dell’ostacolo. Da Siderno ai Palazzi-bene della capitale ma sempre con il sorriso sulle labbra, pronto a demolire il mito sovietico e la labilità di certi irresistibili romanzieri italiani. Pedullà è stato un maestro per disvelare i frutti buoni del novecento italiano. Nel riscoprire Landolfi, nel valorizzare Pizzuto, nell’assecondare le pulsioni del Gruppo ’63 e le vena dell’avanguardia. Critico che era amico e frequentava gli scrittori, primo fra tutti il corregionale Saverio Strati. Insieme uomo di potere e di barricate, estrema sintesi dialettica per un intellettuale che ha sempre difeso con coerenza le proprie tesi, anche correndo il rischio di essere defenestrato da cariche importanti. La godibile lettura ci fa entrare in un mondo personale ricco di aneddoti, di emozioni, di amarezze, di risvolti, di piccoli ma apprezzabili colpi di scena. Con la chiave della militanza e dell’impegno sempre debitamente in primo piano. Un ampio florilegio di citazioni riassunte nell’indice di nomi permetterà di orizzontarsi in una mappa esistenziale complicata.

data di pubblicazione:15/10/2021

THE EYES OF TAMMY FAYE di Michael Showalter, 2021

THE EYES OF TAMMY FAYE di Michael Showalter, 2021

Stati Uniti, anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, Tammy Faye (Jessica Chastain) ed il suo carismatico marito Jim Baker (Andrew Garfield) si fanno spazio nel mondo dei televangelisti affascinando l’America profonda e creando dal nulla un network televisivo che estende i suoi interessi in molteplici attività. Un busines che va ben al di là della diffusione delle parole di Fede. Chi manipola? Chi è manipolato?Tutto è ambiguo! Fino a quando …

Pandemia Anno Secondo! Ma, nonostante tutto, la Festa del Cinema di Roma torna per la 16ma volta consecutiva! Certo, a primo acchito, sembra essersi un po’ persa, complici i tanti vincoli imposti dal Covid e l’obbligo di prenotazione on line dei film con relativa assegnazione automatica dei posti, quella bella atmosfera da Kermesse e di Festa, di improvvisazione e di scelte istintuali tipiche di un Festival, di una Festa di popolo, quasi “de noantri” come era poi Roma. Ci si andava per vedere film ma anche per ammirare attori ed attrici e per farsi notare fra la folla. Oggi, almeno per ora, ci sono solo i film! E … non è affatto poco! pensando a quanto abbiamo temuto di perderlo!

Il film con cui si è aperta la nuova edizione, diciamolo subito, non resterà certo negli annali, ma potrà essere semmai ricordato essenzialmente per l’ottima interpretazione della Chastain in uno di quei ruoli “totali ed immersivi” che in America spesso portano dritti, dritti all’Oscar. La Critica autorevole dà infatti già per scontata, almeno una sua nomination per la sua intensa interpretazione.

La Chastain dà infatti vita e sostanza al percorso esistenziale ed alla personalità atipica, complessa, fragile e, nel contempo, determinata di Tammy Faye disegnando un ritratto eccezionale ed affascinante di una donna dal carattere dai tanti risvolti. La Chastain scompare letteralmente sotto il trucco e le protesi per riapparire come Tammy Faye a suo totale agio recitativo. E’ in scena costantemente e tutto il film poggia sulla sua magnifica interpretazione che, a tratti, sembra quasi intenzionalmente sfiorare la caricatura, riuscendo però a discostarsene con un solo sguardo intenso che riesce a far emergere tutta la fragilità ed i tormenti interiori che si nascondono nel fondo di un personaggio complesso le cui esperienze familiari e personali giovanili hanno influenzato le sue attese, la religiosità e la Fede. Una Fede che resta in sostanza, fortemente ingenua ed infantile condizionata da nodi irrisolti. Un essere umano che pur dietro un look ed atteggiamenti eccessivi e caricaturali, merita simpatia piuttosto che pietà e disprezzo, e … gli occhi della Chastain lavorano magistralmente per ricordarcelo! Una performance recitativa ed interpretativa veramente rimarchevole, tutta centrata sul contemperamento degli eccessi della personalità con l’interiorità.

Basato su un documentario di egual titolo il film è un classico dramma biografico sulla storia della coppia di telepredicatori, un ritratto forse troppo lusinghiero e compassionevole, un’ambiguità maggiore avrebbe infatti meglio rispecchiato la realtà, ma, soprattutto, avrebbe dato alla narrazione anche un tocco di complessità e realismo maggiore. La regia, supportata da una forte sceneggiatura, è sapiente ed equilibrata, evita di cadere nelle possibili sbavature od eccessi e dimostra una buona capacità di direzione artistica in un film centrato tutto sulle esuberanze recitative e sa ben evitare, pur rasentandolo, il kitsch.

Sullo sfondo, ma non marginale, la religione dei telepredicatori come business, il ruolo dei circoli religiosi, veri organismi corporativi che operano secondo le regole delle grandi imprese capitaliste. I conflitti di idee, di interessi, le relazioni politiche, il controllo delle masse, delle donazioni, dei voti e le collusioni con il Potere. Oltre ad Andrew Garfield il carismatico marito, ed allo stuolo di eccezionali secondi e terzi ruoli, va segnalata poi anche Cherry Jones (nei panni della mamma di Tammy) che con la sua capacità recitativa fa da contrappunto di concretezza nel delirio di illusioni.

data di pubblicazione:14/10/2021