LA METAMORFOSI regia di Giorgio Barberio Corsetti

LA METAMORFOSI regia di Giorgio Barberio Corsetti

(Teatro Argentina – Roma, 3/9 maggio 2021)

Emozionante riapertura del Teatro Argentina di Roma con la prima nazionale de La Metamorfosi di Franz Kafka con la regia di Giorgio Barberio Corsetti, spettacolo che eccezionalmente aveva già debuttato in tv su Rai 5.

Gregor Samsa è un semplice commesso viaggiatore, preciso e metodico, che un mattino, svegliatosi in ritardo rispetto al solito, si rende conto di aver assunto le sembianze di un gigantesco scarafaggio. Il pensiero di Gregor, però, non è inizialmente rivolto al suo aspetto mostruoso, quanto piuttosto al consistente ritardo che sta accumulando: la sua professione lo costringe infatti ad un ferreo rispetto delle coincidenze ferroviarie e, nelle condizioni in cui si trova, Gregor perderà sicuramente il treno della mattina. Gregor vive con i genitori e con un’amata sorella di nome Grete, che uno dopo l’altro, vanno a bussare alla sua porta, preoccupati del suo inusuale ritardo e dunque convinti che Gregor sia malato. La progressiva consapevolezza della mutazione subita ed il susseguente abbandono affettivo da parte dei familiari in conseguenza anche delle mutate condizioni economiche familiari spingono Gregor a lasciarsi morire di inedia. La metamorfosi è una metafora dell’incomunicabilità dell’individuo, dell’isolamento e dell’alienazione nella società contemporanea. una denuncia dell’oppressione delle regole sociali sull’individuo, che viene schiacciato e spersonalizzato dalle imposizioni esterne ed un apologo sull’impossibilità di comunicazione tra esseri umani, in particolar modo negli ambienti familiari, simboleggiati dai luoghi chiusi ed asfittici in cui si svolge tutta la vicenda.

Gregor decide di abbandonare il suo destino tra gli umani e si trasforma, assumendo un altro corpo immaginario. La causa di questa fuga dalla propria identità è la sua condizione lavorativa e la sottomissione a regole massacranti, alla stupidità di gerarchie e burocrazie. La sua famiglia reagisce a questo cambiamento in modo diverso: la madre sviene, il padre vorrebbe ucciderlo mentre la sorella è l’unica ad avere attenzioni nei suoi confronti. Ma se inizialmente gli porta da mangiare e pulisce la sua stanza, dopo qualche tempo desiste, convinta che quell’essere non sia più suo fratello. In quella metamorfosi c’è tutto il disagio di una persona che vive una vita che non sente sua. Da anni infatti il padre di Gregor, senza nessuna ragione apparente, ha smesso di lavorare costringendolo ad assumere il ruolo di capofamiglia. Il Gregor scarafaggio parla ma non viene più sentito, capito, e questo genera negli altri la convinzione che anche lui non possa capire. Invece lui intende tutto, sa come è considerato, reagisce. Prende il via un lento logoramento e pian piano scivola nel suo disagio totale. Una condizione psicologica di depressione che ricorda molto ciò che abbiamo subito a causa della pandemia.

Con La metamorfosi, Giorgio Barberio Corsetti si immerge nuovamente nell’universo di Kafka, secondo un efficace gioco immaginario e mentale spietato, che porta Gregor, e noi con lui, all’annullamento.  La metamorfosi come chiave di lettura dei mali dell’uomo contemporaneo.

La drammaturgia rispetta il testo di Kafka, attraverso anche l’uso della terza persona, per accentuare una narrazione che diventa scrittura scenica. Ambiente e costumi ci collegano al tempo presente.

Ottima prova attoriale per il protagonista Michelangelo Dalisi, che interpreta con molta naturalezza un personaggio così complesso. Il movimento è stato infatti strettamente correlato alla fisionomia del protagonista, secondo un moto interiore costruito con tanto training. La scena è un angolo d’una stanza, ruotante su se stesso: permette sconfinamenti che si alterna tra la stanza di Gregor e il soggiorno dove si muove il resto della famiglia.

Spettacolo decisamente coinvolgente, specchio dei tempi, carico di riflessioni e ripensamenti legato ad un contemporaneo in cui l’afflato artistico non si è mai spento.

data di pubblicazione:09/05/2021


Il nostro voto:

LA CLASSE uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli / CrAnPi

LA CLASSE uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli / CrAnPi

(Teatro India – Roma, 4/9 maggio 2021)

Con la riapertura al pubblico di cinema e teatri riparte dal vivo la stagione 2020/2021 del Teatro di Roma. Dopo il debutto televisivo dello scorso dicembre arriva sulla scena dell’Argentina La Metamorfosi firmata da Giorgio Barberio Corsetti, mentre all’India si riprende con uno spettacolo che nei suoi tre anni di vita è stato tanto apprezzato e premiato: La classe di Fabiana Iacozzilli.

 

 

 

Bastano una lavagna e quattro banchi di legno per ricreare sulla scena la classe delle elementari che la Iacozzilli frequentò quasi quarant’anni fa all’istituto delle Suore di Carità. Il resto lo fanno i ricordi dei veri compagni di scuola, intervistati dalla regista. Con un chiaro intento documentaristico, raccontano le cose tremende che succedevano in classe. In particolare riaffiora il ricordo della terribile maestra dai modi violenti: suor Lidia. Alla loro voce, ormai adulta, fa da contrappunto sulla scena la presenza di quattro bambini/marionetta, animati dai performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni e Marta Meneghetti. Realizzati dall’artista Fiammetta Mandich, i pupazzi hanno occhi grandi che esprimono tenerezza, ma a guardare bene sono sgranati dal terrore. Le dinoccolate giunture tremano alla minaccia di una punizione impartita per un errore grammaticale o per una moltiplicazione sbagliata. I suoni di Hubert Westkemper amplificano la paura, che è così paralizzante da impedire perfino di giocare con la palla nel cortile della scuola a ricreazione. Non te la cavi neanche se, come Antonio, sei un bambino con evidenti difficoltà di apprendimento. Il calore rassicurante dei genitori svanisce in una nuvola di gesso, come un disegno di mamma e papà cancellato troppo presto dalla lavagna. Gli occhi della maestra – un fascio di luce proiettato da una torcia direttamente sulla marionetta – non fanno altro che ingigantire il buio e il vuoto tutto intorno. Suor Lidia è presente nella memoria di uno schiaffo dato con troppa violenza, nel ricordo di un pizzicotto dato con eccessivo vigore sugli zigomi. Eppure fare i conti con la sua durezza apre prospettive inaspettate. Dopotutto, l’infanzia non è che il primo confronto con la vita. La tempesta di vento che sul finale spazza via ogni cosa, in realtà è un banco di prova per testare la tenacia e la forza di chi rimane fedele a sé stesso e alla propria vocazione. La classe di Fabiana Iacozzilli è un lavoro che invita a fare memoria. Uno spettacolo ben costruito e coinvolgente che obbliga a riflettere su come si diventa adulti. Una perfetta fusione di documento reale e di fantasia tradotta nel teatro di figura.

data di pubblicazione:05/05/2021


Il nostro voto:

LO SCIALLE DI MARIE DUDON e altri racconti di Georges Simenon – ed GLI ADELPHI 2021

LO SCIALLE DI MARIE DUDON e altri racconti di Georges Simenon – ed GLI ADELPHI 2021

Se è vero che di un grande scrittore come Simenon non si butta via niente, nemmeno le briciole, ci domandavamo alcuni mesi fa quale potesse essere il limite delle briciole da volere e potere pubblicare, e la risposta l’avevamo trovata in quei lampi di eccellenza, in quelle atmosfere ed in quei guizzi affascinanti che davano slancio e valore potenziale anche a quelle briciole, giustificandone così la lettura. Briciole su cui gli appassionati in attesa di un suo vero “Roman Dur” si gettano sempre famelici, festeggiando ogni volta l’uscita di un Simenon anche se “minore”.

E … la Casa Editrice lo sa molto bene! Eccome se lo sa!

Si tratta, anche questa volta, di una piccola raccolta di 10 brevi raccontini che, come per il recente Annette e la Signora Bionda, sono quasi articoli di costume, quadri di quotidianità, piccole storie scritte velocemente da Simenon, quasi “a tempo perso” nel 1940, subito dopo la disfatta francese, per il settimanale politico- letterario Gringoire, fatta eccezione dell’ultimo racconto apparso invece sulla rivista femminile Notre Coeur.

Sono quasi dei bozzetti di maniera che, come abbiamo già scritto, possono sembrare, a prima vista, semplici, poveri e banali e che richiamano proprio l’esistenza di tutti i giorni, una quotidianità popolata da personaggi che si muovono quasi ai margini della Società, un’umanità piccola con le sue illusioni, i suoi drammi, le sue meschinerie. Su tutto e tutti, come sempre in Simenon, regna l’eterna assurdità del Destino, l’ineluttabilità dei destini che i singoli non riescono a cambiare nonostante ci provino e lottino per riuscirci e lo desiderino ad ogni costo. Il desiderarlo non è sufficiente a modificare l’esistenza delle persone osservate perché spesso manca loro il denaro o le capacità di sfruttare le occasioni. A Simenon basta un tratto veloce, un breve cenno, poche righe, un lampo di eccellenza, un guizzo di qualità … ed eccolo ancora una volta catturare subito i suoi lettori ricreando abilmente situazioni che portano alla luce gli infiniti ed eterni risvolti umani dei suoi personaggi e delle sue figure femminili, gli angoli oscuri dell’animo umano ed il gioco del Fato.

Intrigante, spietato ed affascinante come sempre! come intrigante ed affascinante è la lettura dei raccontini che volano via in un attimo, piccoli bozzetti che se sviluppati sarebbero potuti divenire splendidi romanzi. Come le altre volte la scrittura è quella di Simenon: asciutta, fluida e veloce senza alcuna pretesa letteraria, e, a maggior ragione, con un taglio molto giornalistico pur restando magistrale nel disegnare atmosfere dolceamare di un mondo ormai scomparso di cui solo lui sa renderci, con due tratti, tutta l’essenza.

data di pubblicazione:05/05/2021

STORIA DI UN BOXEUR LATINO di Gianni Minà – Minimum Fax, 2020

STORIA DI UN BOXEUR LATINO di Gianni Minà – Minimum Fax, 2020

C’è un modo di dire corrivo ma esauriente: ne ha viste più di Carlo in Francia! Trovatemi per analogia un giornalista nostrano che in capo a 65 anni di attività abbia un agenda telefonica (ora su smartphone) ricca come quella di Gianni Minà. Che detiene un altro primato aziendale in Rai: 17 lunghi anni di gavetta senza essere assunto. Amico di Pietro Mennea, di Diego Armando Maradona e del Papa in un filo crosso di connessioni ideologiche note solo a lui che riuscì a intrattenere per tutta una notte Fideò Castro pur di montare un’intervista scoop. Coraggio, empatia e sprezzante disistima del pericolo le qualità innate del cronista da battaglia che, partito da Torino, ha girato il mondo riempiendolo con le proprie passioni sudamericane e con il vivo senso della professione. Liquidato dalla Rai in un amen quando il ventennio berlusconiano gli ha scavato la fossa sotto i piedi. Come possono raccontare anche Luttazzi, Travaglio e Santoro. Ma il meglio era giù venuto, sotto la bandiera di Arbore, di illuminati esperimenti dell’azienda di Stato. Minà era capace di riunire in una notte romana nel più noto ristorante di Trastevere Robert De Niro, Muhammad Alì, Gabriel Garcia Marquez e Sergio Leone. In quella compendiosa foto c’era tutto Minà e il suo potete di fascinazione. Cronista d’assalto, incapace di fare il direttore, come dimostra la sua infelice esperienza a Tuttosport (testata mai nominata nel corso del libro). Le foto parlano più del testo. Un libro nato con una genesi lunga e difficile. Minà oggi over 80 si è avvalso della decisiva complicità di Fabio Stassi che ha registrato queste fluviali confidenze di una vita. A ruota libera, con un copione in divenire spezzettato in tanti capitoli, altrettanti flash di una ininterrotta esperienza professionale. Minà era l’anti-Marzullo, nemico della sedentarietà, delle frasi fatte, inevitabile nemico del potere costituito, in primis quello dell’imperialismo americano.

data di pubblicazione:04/05/2021

PARLAMI DI BATTAGLIE, DI RE E DI ELEFANTI di Mathias Enard – ed. E/O 2021

PARLAMI DI BATTAGLIE, DI RE E DI ELEFANTI di Mathias Enard – ed. E/O 2021

Torna in libreria in una nuova edizione riproposta, questa volta, da E/O, il breve racconto di Mathias Enard che era già stato pubblicato nel 2013 per i tipi Rizzoli. Avevamo avuto l’opportunità di leggerlo in francese già nel 2010 quando era appena uscito ed aveva vinto il Premio Goncourt dei Liceali. L’autore in questi 10 anni si è affermato poi come uno dei più significativi scrittori francesi ed ha vinto il massimo premio letterario: il prestigioso Goncourt nel 2015 con La Bussola.

Già il titolo del racconto è magnifico di per se stesso! Un titolo poetico che è come un’invocazione, una richiesta di poter ascoltare una bella storia affascinante che unisca mito e realtà e che finisca col trascendere fra il vero, il verosimile e l’auspicabile e che faccia sognare fra finzione e ricostruzione storica. Questo breve ma intenso romanzo è proprio il racconto del possibile incontro di Michelangelo, Uomo del Rinascimento ed Artista con la magia e la bellezza ambigua del mondo orientale. Enard si impadronisce infatti con talento di alcune settimane della vita del Buonarroti dimenticate dalla Storia, e … sulla base di un dettaglio, inventa una storia affascinante.

13 Maggio 1506, Michelangelo sbarca a Costantinopoli conquistata dai Turchi poco più di cinquanta anni prima, nel 1453. Nonostante il divieto di Papa Giulio II, ha lasciato di nascosto Roma perché irritato per il mancato riconoscimento dei giusti compensi per le sue prestazioni artistiche. E’ passato per Firenze, e … lì ha accettato l’invito del Gran Sultano di recarsi a progettare un ponte sul Corno D’Oro, progetto su cui aveva già lavorato Leonardo da Vinci ma che era stato giudicato inidoneo dal Sultano stesso. Costantinopoli, pur in mano Turca, è tornata ad essere una delle più grandi città dell’epoca. Ancora fortemente impregnata di cultura greca e latina ha un aspetto cosmopolita a cavallo fra Occidente ed Oriente, fra mondi, culture e religioni diverse ed è luogo di grandi commerci e ricchezze. Una città sensuale e carnale le cui atmosfere l’autore rende a meraviglia così come ci disegna anche un ritratto toccante dell’artista in preda dei suoi dubbi, delle sue curiosità e della sua passione creativa. Un uomo quello disegnato da Enard che, al di là delle sue ambizioni artistiche, si lascia incantare e turbare dal fascino ambiguo della città di cui scopre monumenti e taverne, inebriandosi di bellezza, di versi e di danze sensuali. Costantinopoli vibra e respira come viva sotto la penna dello scrittore, un mondo spaesante ma pieno di poesia e profumato di mille sentori di voluttuosità esotica e di scoperta dell’altro da sé. L’autore porta così i lettori in un racconto sempre più affascinante come fascinante poteva ancora essere ed apparire Costantinopoli agli occhi di un occidentale. Michelangelo si perderà ammaliato piano, piano in questa città. Una storia di desideri, di dubbi e di tormenti alla ricerca dell’estasi creativa, dell’amore e del bello.

Una scrittura piacevole e fluida quella di Enard, precisa e ricca di immagini. Un racconto cesellato come un pezzo di oreficeria, a tratti cupo ed a tratti luminoso, impregnato di mistero. Un testo breve ma dalla forza poetica incredibile, ove le parole, al di là di alcuni eccessivi simbolismi, trovano sempre il loro giusto posto per dare musicalità a tutto il racconto. Un piccolo libricino piacevole a leggersi che lascia il lettore in un’atmosfera indefinita ed ovattata, con un leggero senso di incompiutezza perché avremmo voluto tutti restare in queste atmosfere ancora un po’ più a lungo.

data di pubblicazione:03/05/2021

I RUSSI SONO MATTI di Paolo Nori – Utet, 2020

I RUSSI SONO MATTI di Paolo Nori – Utet, 2020

Non inganni il titolo di un libro che può avere difetti di ripetitività ma certo non annoia. Paolo Nori è illustre e spiritoso traduttore dal russo e il riferimento ai matti sottintende ammirazione per un popolo e una letteratura fuori dalle consuete rotte continentali e che in Italia si sofferma sui classici ma trascura quanto di vitale è stato trasmesso dalle generazioni del dopo Solgenitsin. Il testo si presenta con un sottotitolo da antologia (Corso sintetico di letteratura russa 1820-1991) ma in realtà è un bizzarro susseguirsi di liberi interventi su autori celeberrimi con Gogol, Tolstoi, Goncarov. Dunque quasi un’opera didattica ma condita dal marchio dell’eccentricità oltre che della competenza. Nori è consapevole di svolgere opera provocatoria ma al fianco dei famosi introduce figure decisamente meno note come Erofeev, la cui psichedelica romanzesca si sviluppava sotto gli effetti della vodka, la droga dei poveri o Slovskyij, uno dei padri dello strutturalismo con la rappresentazione della sua interessante teoria per cui la letteratura è un misto di straniamento della realtà e di complicazione della forma, considerati in combinazione binaria la ricetta perfetta del romanzo. Si può fare divulgazione intelligente e stimolante e questo libro né è un preclaro esempio. Due arricchimenti aggiungono fascino alla proposta. Nella parte centrale con la suggestione del bianco e nero campeggiano fotografie storiche dei grandi della letteratura storica: ampie barbe, maestosità, amicizie intrecciate. E il volume si conclude con una sorta di ricognizione sugli accenti giusti con cui declinare i cognome dei componenti del Gotha, suggerimento a uso e costume dei meno provveduti in fatto di lingue dell’est. Le riflessioni sull’arte e sulla professione di scrittore evadono pretestuosa mente dal confine russo anche se il timbro di personaggi come Oblomov o Raskolnikov strega un lettore disposti a farsi rapire dal mood russo/sovietico. Qui scopriremo cosa sia il samizdat e anche perché molti dei grandi hanno trovato fortuna e riconoscimento all’estero.

data di pubblicazione:03/05/2021

DEUX di Filippo Meneghetti, 2021

DEUX di Filippo Meneghetti, 2021

Due donne mature, Nina (Barbara Sukowa) e Madeleine (Martine Chevallier) hanno nascosto a tutti il profondo, delicato e vivo amore che le lega da anni e vivono felicemente la loro storia in due appartamenti contigui sullo stesso pianerottolo. Agli occhi di tutti, compresi i figli adulti di Madeleine, sono solo due amiche, vicine di casa. Un drammatico imprevisto sconvolge però gli equilibri ed i non detti….

La bellezza ed il senso stesso dei Festival e di eventi come la Festa del Cinema di Roma, sono talora le occasioni per gli appassionati del Buon Cinema di scoprire dei piccoli gioielli. Esce finalmente, nelle poche sale che hanno riaperto, quella che era stata una felice scoperta nel 2019 e che finora non aveva avuto occasioni di programmazione (la dice lunga sulla nostra distribuzione!!).

Una scoperta resa ancor più bella perché imprevista in quanto si tratta di un’opera prima di un giovane regista. Il gioiellino è Deux ed il regista è Filippo Meneghetti, italiano di nascita ma che vive e lavora in Francia ove, finora, si era distinto solo come autore di cortometraggi. La Francia, giustamente, lo ha già prescelto per concorrere come “miglior film straniero” agli Oscar del prossimo anno. Ne ha tutti i titoli, anche se ovviamente è troppo presto per far previsioni.

Deux è il debutto di Meneghetti come regista e come cosceneggiatore. E che debutto! Un nome il suo da tenere ben in evidenza per il futuro, perché il suo piccolo film è bello, delicato, ottimamente sceneggiato, finemente interpretato ed abilmente diretto mostrando stile, talento ed eleganza.

Al cuore dell’opera è l’Amore e l’Universalità del sentimento, la sua forza, il desiderio, la tenerezza che tutto superano e tutto travolgono. Che poi la storia si centri sulla relazione fra due donne nulla cambia ai valori espressivi, anzi la rende solo più innovativa, viva, tenera ed originale.

L’abilità dell’autore è proprio nel saper accompagnare lo spettatore lungo la vicenda senza mai scadere nel facile bozzettismo, nei clichè o nel patetismo. Il dramma poteva scivolare nel melodramma, invece il Meneghetti sa mantenere ben saldo il film nella realtà facendoci vivere tutta una gamma di emozioni e sentimenti reali: ora divertente, ora bello, ora malinconico, ora dolce-amaro, ma mai triste o disperato, senza alcuna scena superflua, aiutato in questo da una sceneggiatura essenziale ed intelligente, con un ritmo narrativo teso e vivace ottimamente costruito. Coadiuvano il regista un cast di attori perfetti nei secondi ruoli e poi, soprattutto e sopra tutti, ci sono loro, le due ottime protagoniste, una più brava ed intensa dell’altra. Il film, in effetti, è tutto loro dalle prime inquadrature fino alla dolce, poetica e tenera scena finale. Superbe e penetranti entrambe nel gioco recitativo fatto di soli sguardi ed emozioni e sentimenti legati tutti al filo di un amore e di un dolore tanto pudichi quanto commoventi per la loro ammirevole forza.

Siamo lontani dal pur garbato americano Carol (2015), ed anni luce dal francese Vita di Adele (2013) o da un racconto sul perbenismo di facciata della “provincia profonda” francese con atmosfere alla Chabrol che l’ambientazione potrebbe richiamare. Siamo invece in un film in cui luoghi e circostanze sono solo lo spunto per un racconto d’amore dolce, senza età, poetico e tenero ma mai sdolcinato. Tutt’altro!

Andate a vederlo, Deux è una splendida storia d’amore tanto tenera e poetica quanto altresì complessa; proprio come tenera , complessa e misteriosa è la Vita e con lei anche l’Amore. Sempre! Un piccolo bel film senza pretese che catturerà tutti gli spettatori sensibili. Ad averne di piccoli film così!

data di pubblicazione:03/05/2021


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NOMADLAND di Chloé Zhao, 2021- al Cinema

NOMADLAND di Chloé Zhao, 2021- al Cinema

“Mia madre dice che lei è una senza tetto, è vero? No, non sono una senza tetto, sono senza casa. Non è la stessa cosa…”. Fern, dopo la morte del marito minatore e lo svuotamento di Empire, la piccola cittadina mineraria dove vivevano, decide di vendere tutto e di condurre una vita da nomade attraverso l’America, a bordo del suo van che ha personalizzato come fosse una casa. Il viaggio le servirà per capire che i ricordi non si coltivano solo restando nei posti dove si è stati felici, o circondandosi degli oggetti di una vita ai quali sovente siamo morbosamente attaccati, ma si possono “ritrovare” altrove, soprattutto nelle persone che si incontrano lungo il proprio cammino.

Complice la riapertura delle sale cinematografiche, Nomadland rappresenta a tutto tondo il film per “ricominciare a vivere”, un’esortazione a farlo in modo non convenzionale, a contatto con la natura, in maniera semplice, senza necessariamente ricorrere ai dettami della società tradizionale. La pellicola è un vero e proprio inno alla vita, seppur intrisa di momenti di profonda drammaticità: mai come oggi il suo messaggio è roboante, dopo che un virus è bastato a far crollare i sistemi del mondo intero.

Chloé Zhao, Oscar 2021 per la miglior regia e per il miglior film, già Leone d’oro 2020, sceneggiatrice, montatrice e coproduttrice del film assieme a Frances McDormand, ha soli 39 anni ed è una donna, cinese, che ha saputo dirigere una storia molto “americana”, ma universalmente comprensibile, che parla della ricerca della propria indipendenza. Fern, ruolo che è valso l’Oscar come miglior attrice a Frances McDormand, ri-trova il senso della vita abbandonando la casa, dove aveva vissuto una vita felice con il marito, e spostandosi da un posto ad un altro senza paura della solitudine, facendo lavori spesso stagionali e partecipando, inizialmente con diffidenza, ai raduni tra nomadi, persone che hanno perso tutto e che non sempre hanno scelto di vivere così. Nelle loro storie Fern scopre tanta umanità, tanta sofferenza e tanta voglia di ricominciare, ma anche tanto coraggio nel non farsi sopraffare dal dolore e dalla paura. Lei ha scelto di avere al posto di una casa il tetto del suo furgone sulla testa e sente che la sua vita può continuare anche da lì.

Nomadland non è la solita storia di rinascita attraverso un viaggio on the road, è molto di più, perché si sforza di dare il giusto peso ad ogni cosa, ad ogni gesto, con uno stile asciutto senza retorica e senza lacrime, ma con realismo, con un profondo, sano, realismo. “Una delle cose che amo di più di questa vita è che non c’è un addio definitivo. Ho conosciuto centinaia di persone qui, ed io non dico mai addio per sempre, dico solo: ci vediamo lungo la strada…”. Dobbiamo dunque continuare a viaggiare, perché la vita è movimento, in un mix perfetto di socialità e solitudine.

data di pubblicazione:29/04/2021


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OSCAR 2021: UNA “PREVISTA SORPRESA”

OSCAR 2021: UNA “PREVISTA SORPRESA”

Anno di crisi del Cinema e delle sale cinematografiche 2020/21! Anno di mestizia e di illusioni! …

Quella che sembrava dover essere solo la consacrazione ufficiale dello strapotere produttivo/realizzativo e distributivo di Netflix negli anni della Pandemia con la più che attesa vittoria del “suo” pluricandidato Mank (ben 10 nomination, in buona parte meritate perché resta comunque un bel film), è risultata invece … una “prevista sorpresa” a conferma che il Cinema è ancora vivo e che Hollywood e gli Oscar sono sempre imprevedibilmente prevedibili e che gli “americani” ragionano sempre in modo diverso da noi “europei” (il che non vuol assolutamente dire che poi ragionino sempre male!). La “prevista sorpresa” è proprio la più scontata possibile buona alternativa …

Vince infatti gli Oscar per il Miglior Film, la Migliore Regia e la Migliore Attrice Protagonista proprio il film che aveva già vinto a Venezia, a Toronto ed era già stato premiato con i Golden Globes! Parliamo ovviamente di Nomadland di Chloé Zhao con Frances McDormand.

Un film da vedere assolutamente in sala e sul grande schermo, un film che, quasi sulle orme di Furore di Steinbeckiana e Fordiana memoria, ripropone, ovviamente con tempi, ritmi, modi, panorami e segni diversi, il tema molto americano delle migrazioni interne lungo le strade dell’America Profonda di un variegato e non sempre dolente popolo di bisognosi alla ricerca di occasioni di lavoro. Bisognosi ma pur sempre gelosi della propria libertà! Uno dei miti fondanti degli Stati Uniti e del suo Cinema. Un film voluto, amato e magnificamente interpretato dalla bravissima (chi può più provare a negarlo?) Frances McDormand che ha così fatto tris dopo i riconoscimenti per Fargo e per Tre manifesti a Ebbing, Missouri raggiungendo nell’Empireo delle tre volte premiate: Ingrid Bergman e Meryl Streep ed ha davanti a sé anche tutto il tempo per raggiungere Katharine Hepburn con le sue 4 statuette. Un film coinvolgente, lirico ed al contempo fortemente impegnato sul piano sociale, un film corale perché attorno e con la McDormand recitano e vivono i veri protagonisti di questa nuova “terra di nomadi”.

Altrettanto meritatissimo non poteva che essere l’Oscar per il Migliore Attore Protagonista andato ad Anthony Hopkins per The father, adattamento di una piéce teatrale già portata sullo schermo nel 2015 dal francese Philippe Le Guay in “Florida” con l’indimenticabile Jean Rochefort. Storia tenera e drammatica di un processo inarrestabile di demenza senile che di avvisaglia in avvisaglia incide sul rapporto fra un padre ed una figlia.

L’attesissimo Judas and the black Messiah che in anni di dominante politically correct e di attenzione alle minoranze sembrava essere predestinato a grandi trionfi, si è dovuto accontentare degli Oscar per il Migliore Attore Non Protagonista e per la Migliore Canzone. Grande delusione poi, ancora una volta, per le attese della pur brava e meritevole Glenn Close cui è stata preferita come Migliore Attrice Non Protagonista la coreana Yoon Yeo-jeong nel ruolo della nonna nel film Minari già apprezzato al Sundance Film Festival e dai Golden Globe. Per concludere con i “grandi premi”, l’Oscar per il Miglior Film Straniero è andato infine ad Another Round del danese Thomas Vintenberg .

L’Italia, il Cinema italiano, al di là delle tante chiacchiere e delle facili montature ed esaltazioni giornalistiche, non aveva candidature di rilievo o in aree significative, nulla vince nemmeno nelle due uniche piccole nomination marginali. Abbiamo forse bisogno di ulteriori conferme del processo di crescente marginalizzazione del nostro cinema? Abbiamo motivo di ripetere ed elencare ancora una volta le tante cause della nostra crisi? Direi proprio di no!

Dunque, Oscar insoliti e forse un po’ sottotono, ma sappiamo che buona parte dei film proposti hanno avuto scarsa circolazione fra il pubblico e poi … che i veri big non sono usciti affatto!!

data di pubblicazione:26/04/2021

ALFRED HITCHCOCK Ritratti di Signore (e di qualche gentiluomo), di Rosario Tronnolone – ed. SABINAE 2021

ALFRED HITCHCOCK Ritratti di Signore (e di qualche gentiluomo), di Rosario Tronnolone – ed. SABINAE 2021

”… Poco più di 40 anni fa, di questi giorni, il 29 Aprile 1980, moriva uno dei massimi autori della storia del Cinema, Alfred Hitchcock colui che ha saputo coniugare quello che usualmente si chiama Cinema d’Autore con il successo commerciale, la ricerca e la sperimentazione stilistica con la riconoscibilità rassicurante del cinema di genere, l’angoscia con l’umorismo …”.

L’uomo è morto, ma non certo l’Autore perché i suoi film non hanno mai smesso di circolare e di appassionare nuove generazioni di spettatori, sfidando l’usura del tempo ed il cambiamento dei gusti. Hitchcock era e resta tutt’ora il cineasta più accessibile a tutti i tipi di pubblico per la chiarezza, la cura, la semplicità del suo lavoro, ma, al tempo stesso, era e resta l’Autore tra i migliori capace di entrare nella psicologia dei suoi personaggi e, soprattutto, capace di creare un nuovo tipo di protagoniste femminili dalla personalità affascinante e complessa. Donne giovani, eleganti e belle: di una bellezza algida e senza tempo. Tutte bionde! (“bionde dentro” diceva lo stesso Hitchcock), esteriormente fredde e tutte soggetto di identificazione dello spettatore piuttosto che oggetto di desiderio! Un ideale femminile di gran fascino e carisma in cui però l’enigmaticità prevale sempre sul sex appeal.

Eppure è solo dopo la sua morte e dopo l’uscita nel 1985 (nella versione definitiva) della splendida intervista che Truffaut gli aveva fatto nel 1962, è solo allora, sull’onda del punto di vista degli autori della Nouvelle Vague, che il giudizio e lo sguardo della Critica e degli studiosi di cinema cambia definitivamente e si scopre ovunque il grande Genio ed il grande Maestro. “… un artista del brivido che ci ha fatto condividere le proprie ossessioni, aiutandoci così a meglio conoscerci, cosa che costituisce il fine fondamentale di qualsiasi opera d’arte …” scriveva Truffaut.

Solo che … mentre Truffaut amava le donne, Hitchcock forse non ha mai cessato di averne paura !!

Dalla tanto imitata e mai eguagliata intervista di Truffaut è passato tempo ed infiniti sono stati i saggi sul nostro regista, eppure il libro di Tronnolone è un piccolo gioiello tanto per i cinefili quanto per i semplici curiosi. E’ evidente la fascinazione e l’ammirazione dell’autore verso il regista ed anche la profonda conoscenza della sua vita e dei suoi lavori. Un libro scritto con prosa chiara e coinvolgente e con un tocco di humour in cui ci si diverte a leggere i retroscena della nascita di alcuni capolavori, le vicende del casting, i rapporti di Hitchcock con gli attori e soprattutto con le “sue” attrici: le “sue” muse ispiratrici che amava come solo un Pigmalione può amare ciò che ha faticato a plasmare. Seguiamo così in 24 capitoli dedicati ad altrettanti film ed alle figure prevalentemente femminili che compongono l’universo del regista, l’evoluzione del lavoro di Hitchcock e l’evoluzione del rapporto dell’uomo e dell’autore con le “sue” donne, le bionde glaciali, le loro scoperte e perdite, ed in parallelo anche l’evoluzione del Cinema, i progressi tecnici, le innovazione nelle riprese, il suo “metodo” di dirigere gli attori, la capacità di creare la suspense, l’elaborazione delle splendide sceneggiature, i trucchi. Il tutto in modo divertente, con dovizia di aneddoti saporosi, riflessioni e notizie una più gustosa dell’altra, ed in modo appassionante grazie proprio alla passione ed alla competenza che irradia tutta l’opera fino alla fine.

Al termine non ci resta che un solo desiderio: tornare a rivedere alcuni film avendo in testa i nuovi fatti che li riguardano. Un piacere nuovo ed ancora più sottile, una consapevolezza che ci consente di leggere, notare e godere in modo diverso i film e, più in particolare, il senso della scelta del cast femminile, la ricerca della donna ideale, dell’attrice ideale, e di comprendere il trauma della perdita di questa donna/attrice … Ingrid Bergman … Un sogno trovato e perduto !!…

Un libro originale ed accattivante, godibilissimo e da gustare.

data di pubblicazione:26/04/2021