da Giovanni M. Ripoli | Set 4, 2021
“Tratto da una storia vera”, il film narra la vicenda di un piccolo uomo d’affari inglese, Greville Wynne coinvolto, suo malgrado, in un’attività spionistica contro l’URSS a favore del blocco occidentale (Cia, Oss etc) nell’ambito dei drammatici giorni della crisi dei missili cubani, in piena guerra fredda.
In tempi abbastanza grami per il Cinema ante Festival di Venezia, ci si accontenta di quello che passa il “convento”, ovvero le differenti piattaforme streaming. Su Sky viene trasmesso dallo scorso primo settembre L’Ombra delle Spie, presentato al Sundance del 2020, visto da pochi intimi all’ultima Festa del Cinema di Roma. Preceduto da altre pellicole che hanno indagato nel bene e, in genere, nel male l’atmosfera che si respirava nei paesi d’oltre cortina, la pellicola di Dominic Cooke (1966) cui si deve il solo Il Segreto della Notte del 2017, è un buon film: attinge a piene mani al copioso genere delle spy stories tanto di fantasia (Ipcress) quanto storiche ( Il Ponte delle Spie). La vicenda parte lenta attraverso una puntuale e credibile presentazione dei personaggi sia del campo “atlantico” sia di quello “sovietico” (ben costruito il personaggio di Oleg Penkowsky grazie all’interpretazione di Merab Ninidze) e si snoda in un crescendo di tensione che miscela storia e fiction senza esagerazioni e colpi di teatro. Il bravo Cumberbatch (Greville), gigioneggia meno del solito e mantiene la sobrietà che il personaggio richiede e Emily Donovan (la ragazza della CIA, Rachel Brosnahan) dimentica di essere stata la “fantastica signora Maisel” ed offre una prova da brava comprimaria. Perfette come si richiede scenografia e location: sembra di rivivere gli anni ’60! Giusti i ritmi e adeguata la colonna sonora, per un film che, senza essere un capolavoro, ha molte frecce al suo arco nell’ambito di un intelligente intrattenimento con un occhio alla storia.
data di pubblicazione:04/09/2021
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da Rossano Giuppa | Set 3, 2021
(Teatro Argentina – Roma, 31 agosto/10 settembre 2021)
Torna a Roma, dopo tanta attesa, la drammaturgia poetica di Emma Dante, ospite del Teatro Argentina con lo spettacolo Misericordia, che finalmente si è potuto ammirare dopo i vari rinvii connessi alla pandemia.
Una storia di ricordi quella che la compagnia Sud Costa Occidentale sta riportando nei teatri dopo il fortunato debutto di oltre un anno fa, al Piccolo Grassi di Milano. Il sapore è sempre quello autentico di una favola contemporanea e sospesa. La rivisitazione personale della fiaba di Pinocchio, bambino menomato e sfortunato, di un Geppetto padre padrone, di una madre Lucia, morta di parto e di tre prostitute che, nella loro disperata solitudine, non riescono ad essere le Fate Turchine che vorrebbero. Vivono in equilibrio precario il loro rapporto di madre e decidono infine di separarsi dal bambino burattino per garantirgli un’esistenza forse più dignitosa.
La magia del teatro di Emma Dante si ricrea per l’ennesima volta, secondo una partitura certamente consolidata, ma sempre aperta a nuove emozioni.
I ricordi riportano ad un passato presente fatto di piccoli oggetti quotidiani: le sedioline di legno, il cavalluccio rosso, le tutine a uncinetto da bebè, i bambolotti in plastica in parte mutilati. L’alternarsi di un bisbigliato ad un italiano sincopato farcito da un mix di dialetti meridionali, i gesti ripetuti, lo sferruzzare ossessivo, il cibo, le risate e le discussioni. E il dramma che incombe.
Il gruppo di famiglia abita un interno dimesso e sporco. Le tre donne sopravvivono sostenendosi e litigando al contempo con forza e passione. Al centro, poco lontano dei loro discorsi, Arturo il ragazzo concepito per un amore sbagliato e nato settimino e con gravi problemi a causa delle percosse subite dalla madre, Lucia, prostitua anch’essa, morta appena dopo il parto. La disabilità dei ragazzo è un problema che non è mai stato affrontato con risolutezza, ma vissuto in maniera caotica, con tensione nevrotica dalle tre donne, madri incomplete indurite dalla vita e dalle problematiche connesse con la loro stessa sopravvivenza, costrette alla prostituzione senza alcuna prospettiva per migliorare la propria condizione. Il ragazzo non parla e ha difficoltà a coordinare i movimenti, ma ha una sua armonia interiore che riesce a equilibrare i litigi delle donne e a liberarsi in movimenti armoniosi e circolari, in contrasto invece con la durezza e la tribalità delle donne.
Una catena di flashback fatta di piccole e fulminanti visioni che alternano ricordi carichi di rabbia a struggenti ninne nanne. Le tre donne alternano amore e affetto materno a immagini crude di corpi esibiti e offerti in parata notturna. Sembrerebbe trionfare nonostante tutto la tenerezza delle tre madri, i ricordi, il carillon con il bambino che la sera prima di dormire vuole continuare a danzare, per liberarsi di handicap e sofferenza. Ma l’amaro quotidiano interrompe ogni sogno e di lì la dolorosa scelta di abbandonare il ragazzo ad un altro destino, con una valigia piena di un’infanzia perduta.
Attori semplicemente magistrali, a partire da Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco e Leonarda Saffi, le tre donne che hanno accudito e cresciuto il bambino burattino, straordinariamente interpretato da Simone Zambelli, che conferisce alla menomazione e all’autismo una liricità ed un’armonia estrema e magica.
Colpisce come sempre l’intensità degli sguardi, le non parole, il gesto deciso, la qualità delle luci, la profondità delle scelte musicali che accompagnano l’alternarsi delle emozioni e degli stati d’animo. Per l’ennesima volta Emma Dante colpisce dritto al cuore con la forza del piccolo grande dramma, in una storia di disperazione e di amore in intima armonia. Il quadro minimale diventa un’estasi emotiva che strappa sorrisi e commozione profonda. La conferma di un modo di raccontare il teatro che cattura e fa riflettere. A lungo.
data di pubblicazione:03/09/2021
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Set 2, 2021
Uno 007 francese che è una via di mezzo tra Sean Connery e le farsesche rielaborazioni di James Tont. Clima vintage anni ’70 (vestiti, usi e costumi, linguaggio, luoghi comuni) intinto in salsa politicamente scorretta con un protagonista mattatore. Una satira che promette ma che poteva dare di più, evitando di premere il piede sull’acceleratore satirico. Nota bene: il film è uscito questa estate ma è del 2009 e 12 anni non sono passati invano.
Scarsa distribuzione e incassi conseguenti per una pellicola rivisitabile in tempi di pandemia ma che fa umorismo intelligente. Immaginate la caricatura di uno 007 che non ne azzecca una. Antisemita, antifemminista, anti-modernista, anti-hippie apparentemente goffo nella vita di tutti ma terribilmente funzionale a splendori e miserie dei servizi segreti. Come dimostra anche il caso Afghanistan la politica è frutto di intrecci altrettanto goffi e criticabili e dunque c’è un pizzico di realismo nel contraggenio del protagonista. 117, numero d’emergenza, sarebbe pure il migliore figo del bigoncio nel parco degli agenti segreti, figuratevi gli altri. Se la cava sempre il nostro anche quando va incontro ad apparenti delusioni amorose, incaute frequentazioni della droga. I pregiudizi del nostro tempo alitano sul film con fiati anti-cinesi. Un cialtronesco Dujardin nella seconda puntata della saga (a quando l’uscita della prima?) non ha limiti nell’ostentare il proprio conformismo. L’esotismo dell’ambientazione in Brasile fa rima con il melting pot dei paesi concorrenti, tra cui spicca la maniacale missione del Mossad. Inutile dire che la mediocrità trionferà in una serie di sketch abbastanza didascalici che minimizzano il filo rosso della trama da cui ci si può tranquillamente distogliere per abbracciare la frammentazione del sottotesto ironico. L’eroe del nostro tempo è lo specchio dell’incertezza dei tempi e un misuratore dei limiti del merito e della fortuna.
data di pubblicazione:02/09/2021
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da Maria Letizia Panerai | Set 1, 2021
Willis (Lance Henriksen), è un uomo burbero ed irruente. Affetto da una lieve demenza senile che lo rende verbalmente violento e poco incline ad un necessario cambio di vita, si vede tuttavia costretto a lasciare la fattoria dove ha sempre vissuto, per trasferirsi in California da suo figlio John (Viggo Mortensen) per degli accertamenti clinici. In quella breve convivenza, non riuscendo a volte a comprendere quale “stagione della vita” stia vivendo, Willis scaglia tutta la sua rabbia sul figlio, di cui non approva lo stile di vita. Quei momenti di aspro confronto riportano a galla anni di incomprensioni e vecchi rancori all’apparenza insanabili perché ognuno tenta inutilmente di cambiare l’altro.
Tante sono le cose che ci racconta Viggo Mortensen in questa sua opera prima da regista, forse troppe, in un film un po’ lungo e a tratti ridondante. Tuttavia lo fa con competenza, profondità e molta sensibilità, da artista poliedrico quale è.
Poeta, fotografo, musicista e pittore, fondatore nel 2002 di una casa editrice indipendente, Viggo Mortensen oltre ad aver lavorato come interprete per alcuni dei più grandi registi del mondo, può essere definito l’attore feticcio di David Cronenberg (presente in Falling– Storia di un padre con un cameo che lo ritrae nella veste di un medico), che ne ha sempre elogiato il suo impegno nella preparazione dei personaggi, riconoscendogli una accuratezza ed un rigore quasi maniacali da grande studioso.
Mortensen dichiara che l’idea di sceneggiare e dirigere il film, gli nacque di ritorno dal funerale di sua madre, in un momento intimo in cui tutti i ricordi si affollavano nella sua mente senza un vero ordine logico proprio come i flashback che ritroviamo nella pellicola: quei ricordi diventano appunti su di un taccuino e rappresenteranno “l’ossatura di base di quella che alla fine sarebbe diventata la sceneggiatura del film”.
Parzialmente autobiografico, il film in realtà indaga la complessità del rapporto tra un padre ed il proprio figlio in una famiglia che ha solo alcuni tratti in comune con quella del regista-attore. Il suo John è un progressista della West Coast che vive con il suo compagno e con la loro figlia adottiva; suo padre Willis invece ha il viso solcato dal sole e dal gelo di quella terra di nordest da cui proviene, e le sue idee sono decisamente conservatrici. Il cuore della storia nasce dunque dalla contrapposizione di queste due Americhe, ma riesce a regalarci immagini di reale cambiamento, sia di quello che è sempre stato il modello di maschio americano che di famiglia tradizionale. John ed il suo compagno Eric (Terry Chen) si amano e si rispettano molto e la loro figlia Mónica non sembra affatto subire dei traumi da questa unione: realizzare questa immagine di famiglia alternativa ma felice, senza cadere in uno stereotipo poco credibile, è il vero merito del film.
Gli interpreti sono tutti bravissimi, a cominciare da Lance Henriksen nel ruolo del padre arrabbiato innanzitutto con quei fantasmi che affollano la sua mente, ma anche Laura Linney nel ruolo di Sarah, la sorella di John, lascia il segno con la sua breve apparizione; anche se è proprio Viggo Mortensen a regalarci un’altra delle sue interpretazioni memorabili che, passando attraverso lo sguardo, arrivano direttamente al cuore.
Peccato per quella manciata di minuti di troppo che, nonostante le ottime intenzioni, non fanno di questa opera prima il film che ci saremmo aspettati da un artista così completo.
data di pubblicazione:01/09/2021
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da Paolo Talone | Lug 25, 2021
(Teatro Quirino – Roma, 12 luglio 2021)
Presentata al Quirino la prossima stagione teatrale. In programma per i 150 anni di attività del teatro un’importante pubblicazione a cura di Elisabetta Centore e una ricca proposta di spettacoli, tra nuovi lavori e recuperi di stagione, in partenza già da settembre con un prologo di 8 appuntamenti a cui seguirà il cartellone in abbonamento con 20 capolavori tratti dalla drammaturgia classica e contemporanea, proposti da artisti di eccellente livello.
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”, il celebre endecasillabo dantesco che termina la Cantica infernale è il titolo scelto per presentare la prossima stagione di spettacoli del Teatro Quirino. Si spera di rientrare presto nel sogno di cui il teatro è ponte e lasciare alle spalle l’incubo in cui la pandemia ci ha costretto. L’esperienza acquisita in questi 18 mesi di fermo suggerisce però di avere prudenza, quella espressa negli interventi dell’Amministratore delegato del teatro, Rosario Coppolino, e del Direttore artistico Geppy Gleijeses. Prudenza ma anche responsabilità. È chiaro l’invito a non perdere occasione per vaccinarsi, perché si possa presto tornare a lavorare, a divertirsi, a nutrire l’anima di emozioni individuali e collettive che solo lo spettacolo dal vivo sa trasmettere. “Esistiamo e vogliamo esserci” ribadisce l’AD Coppolino, e aggiunge “comprate e regalate il teatro come forma di sostegno a chi ha sofferto”. Un’impresa privata come quella del Quirino non può sostenere le spese di produzione se è concesso riempire la platea solo a metà. Vicine in questa sorte anche altre eccellenti realtà che danno lustro alla proposta teatrale privata della capitale, Ambra Jovinelli e Sistina. Nella speranza che la rotta dei contagi si inverta, gli spettacoli in cartellone vengono presentati dagli artisti presenti in sala o da remoto in video per chi si trova impegnato nei festival di teatro in scena in questo momento in varie città italiane.
Tra gli spettacoli che fanno da prologo alla stagione vedremo il debutto di Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, dove Eugenio Barba (celebre allievo di Jerzy Grotowski) intraprenderà la sua prima regia esterna all’Odin Theatre di sua fondazione, insieme a Lorenzo Gleijeses e Julia Varley. Gianluca Ferrato sarà diretto da Roberto Piana in Tutto sua madre, un monologo esilarante giocato su un equivoco provocato da condizionamenti familiari, in cui l’attore interpreta tutti i personaggi senza travestimento, solo con le abilità vocali. La giovane Agnese Fallongo sarà protagonista insieme a Tiziano Caputo di un racconto tragicomico scritto da lei stessa, Letizia va alla guerra (regia di Adriano Evangelisti). Napoli andrà in scena grazie a Maradona concerto, uno spettacolo con Claudio Di Palma e Danilo Rea al pianoforte. Una reale quarta parete in plexiglass sarà invece presa a colpi di palla da tennis da Paolo Valerio ne Il muro trasparente – delirio di un tennista sentimentale. Lucia Poli sarà La pianessa in un recital surreale e fantastico dedicato a Alberto Savino, autore poco conosciuto – è ben più famoso il fratello Giorgio De Chirico – artista poliedrico, compositore di cui Marco Scolastra ne ha ritrovato le partiture. Anna Galiena rivisiterà i più significativi dialoghi shakespeariani, da lei stessa tradotti e adattati, in Coppie e doppi. Al termine del prologo un omaggio al talento di una grande attrice, Sarah Bernhardt. Laura Marioni e Stefano Santospago saranno i protagonisti de La divina Sarah (testo di Eric-Emmanuel Schmitt e regia di Daniele Salvo).
La stagione in abbonamento parte il 2 novembre con lo spettacolo di Gabriele Lavia Le leggi della gravità, tratto dal romanzo di Jean Teulé (non ancora tradotto in italiano) che lo vede in scena con Federica Di Martino. Un testo definito “pandemico” dal regista, due personaggi e una domanda: qual è la legge di gravità che comanda intorno alla caduta dell’essere umano? Compare invece per due volte in cartellone Molière. Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina e Roberto Valerio porteranno in scena Tartufo, mentre Emilio Solfrizzi sarà Il malato immaginario per la regia di Guglielmo Ferro durante le festività natalizie. Ed è ancora Emilio Solfrizzi a tornare al Quirino a fine stagione, questa volta alla sua prima esperienza come regista con Buoni da morire, una commedia feroce e divertente di Gianni Clementi, che indaga le dinamiche di una famiglia. Protagonisti Pino Quartullo, Debora Caprioglio e Gianluca Ramazzotti. Sempre rimanendo nel genere della commedia, un omaggio allo straordinario genio di Garinei e Giovannini sarà la nuova messa in scena di Luigi Russo di Se devi dire una bugia dilla grossa, con il già citato Gianluca Ramazzotti a fianco di Antonio Catania e Paola Quattrini. Lo spettacolo dovette interrompere le repliche poco dopo il debutto all’inizio della pandemia, la stessa sorte toccata proprio al Quirino a Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams (regia e scene di Pier Luigi Pizzi) con Mariangela D’Abbraccio nei panni della protagonista, Blanche DuBois, e Daniele Pecci in quelli del violento Stanley Kowalski. Recupero della precedente stagione anche La classe di Vincenzo Manna per la regia di Giuseppe Marini, uno spettacolo che racconta il disagio giovanile nell’incontro/scontro tra un gruppo di ragazzi e alcuni richiedenti asilo (con Claudio Casadio e Andrea Paolotti). Si parla di recupero di stagione anche per Processo a Gesù di Diego Fabbri con Paolo Bonacelli e Marilù Prati per la regia di Geppy Gleijeses. Uno spettacolo complesso con tanti attori in palcoscenico, tratto dal repertorio – spesso dimenticato – del grande teatro italiano del Novecento. Il “debutto” è avvenuto davanti a una platea di amici ed è stato giudicato da Tommaso Le Pera come il lavoro più bello di Geppy Gleijeses. La documentazione fotografica dello spettacolo si trova pubblicata nel volume uscito di recente Il teatro di Geppy Gleijeses nelle fotografie di Tommaso Le Pera a cura di Maria Paola Poponi (Manfredi edizioni). Nello stesso libro si possono vedere le prime immagini di un altro lavoro che è in calendario la prossima stagione, Servo di scena, con protagonisti Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli. La messa in scena del testo di Ronald Harwood sarà un omaggio a Turi Ferro per i cento anni dalla sua nascita. La direzione è di Guglielmo Ferro, che già diresse il padre in una passata edizione.
Doppio appuntamento sul palco anche per Enrico Guarneri, a gennaio con L’ispettore generale di Nikolaj Gogol’ (commedia dell’equivoco dal tono grottesco e surreale) e a marzo con I Malavoglia di Giovanni Verga (regia di Guglielmo Ferro). Dalla grande letteratura sono tratti altri due lavori. Il primo è una riduzione teatrale di Pippo Pattavina e Antonello Capodici di Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello (con Pippo Pattavina e Mariangela Bargilli, regia di Antonello Capodici); mentre ispirato al racconto di Hermann Melville, Leo Gullotta sarà Bartleby lo scrivano per la regia di Emanuele Gamba. In scena un uomo dal carattere indolente e ozioso (la sua battuta ricorrente recita “avrei preferenza di no”), che come un vento improvviso “manda all’aria il senso normale delle cose”. Così nelle parole di Francesco Niccolini che ne cura il testo.
E sarà lo stesso Niccolini l’autore insieme a uno dei più grandi affabulatori del teatro italiano, Marco Paolini, di Ulisse Filò. L’eroe mitico incontra nel suo viaggio in incognito attraverso le Alpi il dio Hermès, anche lui non riconosciuto negli abiti di un pastore. Lo scontro/confronto tra queste due identità distanti tra loro sarà il centro del canto. Sempre legato alla classicità e al mito andrà in scena Troiane di Euripide, con Elisabetta Pozzi e la direzione del regista emergente Andrea Chiodi (l’adattamento è di Angela Damattè).
Spazio alla musica invece con due appuntamenti. A fine stagione Mario Incudine sarà protagonista del suo spettacolo dedicato a Domenico Modugno Mimì da sud a sud, diretto da Moni Ovadia e Giuseppe Cutino. Mentre poco prima di Natale farà ritorno un genere teatrale che è sempre stato di casa al Quirino, l’operetta. Umberto Scida sarà regista e protagonista insieme a un numeroso cast di attori/cantanti e ballerini de La vedova allegra di Franz Lehar.
La compagnia privata Goldenart Production (presente la Direttrice artistica Federica Vincenti), in coproduzione con i teatri stabili di Veneto e Bolzano, porterà in scena uno spettacolo che ha avuto una grande fortuna e che finalmente arriva a Roma, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Protagonisti Alessandro Haber e Alvia Reale diretti da Leo Muscato (traduzione del testo di Masolino D’Amico). E arriverà a Roma, per la prima volta al Teatro Quirino, anche Carlo Buccirosso con una nuova edizione di Colpo di scena. Definito da Geppy Gleijeses degno erede di Peppino De Filippo, Buccirosso vestirà i panni di un vicequestore di provincia impegnato nel debellare i piccoli crimini che ogni giorno minacciano la pace di quella gente che vorrebbe vivere una vita serena, con un immancabile finale a sorpresa.
Questa dunque la prossima stagione del Quirino, ricca di titoli e nomi di importante caratura, ma soprattutto di tanta voglia di tornare con entusiasmo a raccontare e a lavorare. Con speranza solida ci affidiamo alle decisioni del Governo che, tenendo conto della salute di tutti, possa fornire le giuste condizioni che permettano allo spettacolo dal vivo di mostrare ancora la bellezza dell’arte in quelle stelle per troppo tempo rimaste velate.
24 settembre 3 ottobre
EUGENIO BARBA LORENZO GLEIJESES JULIA VARLEY
UNA GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA
regia e drammaturgia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
5.10 ottobre
GIANLUCA FERRATO
TUTTO SUA MADRE
tratto da “Les garçons et Guillaume, à table!”
di Guillaume Gallienne
regia ROBERTO PIANA
12.13.14 ottobre
AGNESE FALLONGO TIZIANO CAPUTO
LETIZIA VA ALLA GUERRA
la suora, la sposa e la puttana
di Agnese Fallongo
ideazione e regia ADRIANO EVANGELISTI
15.16.17 ottobre
MARADONA CONCERTO
con
CLAUDIO DI PALMA
DANILO REA al pianoforte
regia CLAUDIO DI PALMA
19.20.21 ottobre
PAOLO VALERIO
IL MURO TRASPARENTE
delirio di un tennista sentimentale
a cura di Monica Codena, Marco Ongaro e Paolo Valerio
22.23 ottobre
LUCIA POLI
LA PIANESSA
omaggio ad Alberto Savinio
con MARCO SCOLASTRA al pianoforte
24.25 ottobre
ANNA GALIENA
COPPIE E DOPPI
traduzione, adattamento e regia ANNA GALIENA
28.29.30.31 ottobre
LAURA MARINONI STEFANO SANTOSPAGO
LA DIVINA SARAH
da Memoir di John Murrel
testo di Eric-Emmanuel Schmitt
regia DANIELE SALVO
STAGIONE 2021/2022
2.14 novembre
GABRIELE LAVIA FEDERICA DI MARTINO
LE LEGGI DELLA GRAVITA’
dal romanzo di Jean Teulé “Les lois de la gravité”
adattamento e regia GABRIELE LAVIA
16.21 novembre
GIUSEPPE CEDERNA VANESSA GRAVINA ROBERTO VALERIO
TARTUFO
di Molière
traduzione Cesare Garboli
adattamento e regia ROBERTO VALERIO
23 novembre 5 dicembre
CARLO BUCCIROSSO
COLPO DI SCENA
NUOVA EDIZIONE
di Carlo Buccirosso
regia Carlo Buccirosso
7.12 dicembre
SPETTACOLO DA DEFINIRE
14.19 dicembre
UMBERTO SCIDA
LA VEDOVA ALLEGRA
di Franz Lehar
regia UMBERTO SCIDA
21 dicembre 9 gennaio
EMILIO SOLFRIZZI
IL MALATO IMMAGINARIO
di Molière
costumi Santuzza Calì
adattamento e regia GUGLIELMO FERRO
11.16 gennaio
ENRICO GUARNERI
L’ISPETTORE GENERALE
di Nikolaj Vasil’evič Gogol’
regia ENRICO GUARNERI
18.23 gennaio
ELISABETTA POZZI
TROIANE
di Euripide
adattamento di Angela Demattè
regia ANDREA CHIODI
25.30 gennaio
PIPPO PATTAVINA
MARIANELLA BARGILLI
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
di Luigi Pirandello
regia ANTONELLO CAPODICI
1.6 febbraio
MARIANGELA D’ABBRACCIO
DANIELE PECCI
UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO
di Tennessee Williams
traduzione Masolino D’Amico
regia e scene PIER LUIGI PIZZI
(recupero stagione 2019/2020)
8.20 febbraio
GEPPY GLEIJESES MAURIZIO MICHELI LUCIA POLI
SERVO DI SCENA
di Ronald Harwood
traduzione Masolino D’Amico
regia GUGLIELMO FERRO
22 febbraio 6 marzo
ALESSANDRO HABER
ALVIA REALE
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
di Arthur Miller
traduzione Masolino D’Amico
regia LEO MUSCATO
8.13 marzo
ENRICO GUARNERI
I MALAVOGLIA
di Giovanni Verga
regia GUGLIELMO FERRO
15.27 marzo
ANTONIO CATANIA GIANLUCA RAMAZZOTTI
con PAOLA QUATTRINI
SE DEVI DIRE UNA BUGIA DILLA GROSSA
di Ray Cooney
versione italiana Iaia Fiastri
regia originale PIETRO GARINEI
nuova messa in scena LUIGI RUSSO
29 marzo 3 aprile
LEO GULLOTTA
BARTLEBY LO SCRIVANO
di Francesco Niccolini
liberamente ispirato al racconto di Herman Melville
regia EMANUELE GAMBA
(recupero stagione 2019/2020)
5.10 aprile
MARCO PAOLINI
ULISSE FILÒ
di Marco Paolini e Francesco Niccolini
regia GABRIELE VACIS
12.17 aprile
PAOLO BONACELLI MARILÙ PRATI
PROCESSO A GESÙ
di Diego Fabbri
regia GEPPY GLEIJESES
(recupero stagione 2019/2020)
19.24 aprile
CLAUDIO CASADIO ANDREA PAOLOTTI
LA CLASSE
di Vincenzo Manna
regia GIUSEPPE MARINI
(recupero stagione 2019/2020)
26 aprile 1 maggio
MARIO INCUDINE
MIMÌ DA SUD A SUD
sulle note di Domenico Modugno
di Mario Incudine
regia MONI OVADIA e GIUSEPPE CUTINO
3.15 maggio
PINO QUARTULLO DEBORA CAPRIOGLIO GIANLUCA RAMAZZOTTI
BUONI DA MORIRE
di Gianni Clementi
regia EMILIO SOLFRIZZI
data di pubblicazione 25/07/2021
da Antonio Jacolina | Lug 20, 2021
Per i cultori di Simenon, per gli appassionati dei suoi Romans Romans, l’uscita di un suo nuovo libro può mettere in moto delle sollecitazioni psicologiche “pericolose”. Pur sapendo infatti che la temporanea soddisfazione di cedere all’impulso del suo acquisto può non essere poi sempre accompagnata dalla qualità della scrittura, si corre lo stesso in libreria, come attratti da una forza irresistibile. E’ probabilmente il caso de La Mano, appena pubblicato per i tipi Adelphi.
Un romanzo “americano” perché, anche se scritto nel 1968, in esso Simenon rielabora ricordi, atmosfere, situazioni ed esperienze assorbite durante il suo soggiorno/fuga negli Stati Uniti (1945-1955). Una stagione creativa considerata dai fans dello scrittore belga fra le meno feconde per ispirazione e qualità!
La Mano, più che un noir è in effetti un’analisi introspettiva, un romanzo psicologico, cupo, senza speranze od illusioni, diretto, inquietante e crudo, “crudele” lo definì lo stesso autore. Come sappiamo a Simenon interessa soprattutto osservare la natura dell’uomo, la pena del suo esistere, capire la realtà degli umani fallimenti ed illusioni, quale che essa sia, indagare sul potere ineluttabile del Destino cui non ci si può sottrarre per quanto ci si possa sforzare. Lo scrittore vuole provare a comprendere, non certo giudicare, le vicende drammatiche dei suoi piccoli uomini. Vicende sempre profondamente umane, e proprio per questo universali ed eterne, che, se questa volta si svolgono in America, potrebbero egualmente aver luogo tanto nella sua Francia quanto ovunque.
Il protagonista Donald Dood è un avvocato di provincia, vive nel Connecticut ed è sposato da 17 anni e padre di due ragazze. Tutto sembra tranquillo ma … qualcosa si rompe in lui quando, al rientro da una festa, il suo migliore amico si è perso in una improvvisa bufera di neve e lui, uscito per soccorrerlo, in realtà non lo cerca affatto … Tutto inizia allora a crollare. In realtà è un uomo disturbato, tormentato, privo di autostima e di fiducia in se stesso. Le sue frustrazioni sono il risultato di un senso di inferiorità profonda verso sua moglie. Quando la guarda vede, vero o immaginato che sia, nello sguardo di lei solo disprezzo silenzioso mascherato da premura. Donald inizia così a guardare il mondo e se stesso in modo diverso, desidera ribellarsi, desidera quel che poteva essere e non è stato né mai sarà. Il male di vivere, l’invidia, la gelosia ed il desiderio di tradire la moglie lo avvelenano lentamente. Inizia un cambiamento che è, nel contempo, un processo di liberazione ed una follia progressiva. Una volta avviato tutto precipita progressivamente ed ineluttabilmente là dove il Destino, inesorabile, ha già deciso che la vicenda finisca … in un dramma! E’ inutile credere di aver superato i limiti, violato gli schemi, rotto le convenzioni, il senso di inferiorità, la pusillanimità restano comunque e lo stato mentale diviene presto ossessione e si degrada ancor più col crescere della tensione fino al punto di massima insostenibilità.
Simenon è un vero maestro, capace di analizzare, con profondità da psicologo, gli sconvolgimenti di una mente allo sbando. La scrittura, come al solito, è scorrevole, lo stile è asciutto ed essenziale senza estetismi letterari. La Mano è un romanzo veramente inquietante che si divora e che non si riesce a lasciare se non quando lo si è finito di leggere, ma che, ciò non di meno, lascia nel lettore una sensazione di leggero turbamento e di sottile ma persistente insoddisfazione del Simenon “americano”.
data di pubblicazione:20/07/2021
da Daniele Poto | Lug 19, 2021
Il poeta della Paesologia con un testo che parla a tutti i sensi ed esplora tutte le latitudini letterarie. La poesia, il frammento, l’aforisma in una congrua condensazione di senso. Arminio non spreca le parole, ma le scava, a saggiarne il significato più recondito, nella nostalgia per la civiltà suburbana perduta. Ma non è una filosofia del lamento perché, contemporaneamente, l’accettazione dello stato di quiete comporta un dinamico rilancio. Perché lo stato delle cose possa cambiare. I poli di attrazione sono la terra, le tradizioni, le radici, il sud in un’idea di paesaggio che si ribella alle gentrificazione come ai fenomeni naturali (il terremoto) che hanno destabilizzato le sue terre. Piccolo profeta periferico che smuove consensi con la forza pacifica del verseggiare. Difatti l’utopia è di credere che il poetare possa smuovere le montagne lottando contro l’ostinazione crudele di un potere sordo e centripeto. Emblematica l’affermazione che campeggia nella contro-copertina: “Si sta vicini per fare miracoli, non per ripetere il mondo. Che già c’è. Che già siamo”. Dunque un libro che muove un progetto ambizioso di palingenesi fondata sulla parola, sulla riabilitazione di un senso perduto. Una vita che presuppone una comunità, la scoperta dei luoghi dimenticati, la lettura corale collettiva, la scoperta. Confermando, una volta di più, che non è determinante l’obiettivo finale da raggiungere quanto la strada che si percorre, le singole tappe, da vivere tutti insieme. E da Bisaccia ha percorso tanti passi Arminio che si può definire un Paesologo, un fotografo, un animatore culturale, un libero pensatore, non estraneo a attività documentaristica e cartografia, oltre a essere il referente tecnico del progetto pilota della montagna materana nel Progetto pilota della montagna materano nell’ambito della Strategia nazionale per le aree interne. Muovendosi in quell’intrico simbiotico tra Lucania e Campania, terre dure, terre segnate dalla storia.
data di pubblicazione:19/07/2021
da Daniele Poto | Lug 15, 2021
(Teatro Sette a Villa Massimo – Roma,14/15 luglio 2021)
(One man show sulla romanità. Con un titolo in doppia accezione: dire tutta la verità, facendo riferimento a un recente intervento cardiologico nel corpo dell’attore, dunque anche vita vissuta).
Il prolifico Gianni Clementi ha fornito al romanissimo Wertmuller un testo a proprio uso e misura per un’immersione completa in un repertorio collaudato con la stampella di qualche testo pregiato (Trilussa, Eco) a cui appoggiarsi in spezzoni di reading. Tutto esaurito per un pubblico di Roma Nord al fresco (anche troppo) di un mini parco romano nella stagione allestita da Michele La Ginestra. Esibizione anche nel segno di Proietti e della finta distonia con gli accompagnatori musicali che costituiscono una pregevole spina dorsale a uno spettacolino ovviamente esile ed estivo. Ma significativo perché i ringraziamenti finali a una lunga lista di cardiologi documentano l’odissea personale del protagonista e la felicità del pubblico nel rivederlo sul palcoscenico. Il pretesto è la nausea di Roma di uno suo cittadino che sta per lasciarla per sempre, prediligendo mari esotici. Spunto per immergersi nella volgarità dei tempi e del linguaggio, per l’imbruttimento del romano tipo il cui cinismo è deflagrato il qualcosa di incontrollabile. La disapprovazione poi offre il destro per un’immersione nostalgica in alcuni topos capitolini, nell’esternata nostalgia per le periferie di Pasolini, per il decadimento morale della città e per l’inesausto gusto della battuta, pallida speranza di palingenesi. La rivisitazione non ha ambizioni politiche, semmai etiche e di costume. Come si può immaginare in un contesto di spettacolo all’aperto, alla fine del secondo lockdown. Wertmuller si offre generosamente, corpo e anima, inequivocabilmente anche a cuore aperto. Tra i cantori della romanità merita un posto di spicco per le capacità di affabulatore, chansonnier, comico aguzzo e dai tempi teatrali invidiabili.
data di pubblicazione:15/07/2021
Il nostro voto:
da Antonio Jacolina | Lug 14, 2021
Durante una cena fra due coppie di amici di vecchia data, la dolce e tenera Léa (Bérénice Bejo), commessa in un negozio di abbigliamento, annuncia al marito (Vincent Cassel) ed agli amici (Florence Foresti e François Damiens) che sta scrivendo un libro che sottoporrà ad un noto editore. Tutti restano increduli, non è pensabile che possa aver successo! ed allora, per emulazione, anche gli amici provano a dar spazio alle proprie velleitarie vocazioni artistiche. Da lì in poi nulla sarà più come prima per nessuno, frustrazioni, gelosie, fatuità si contrappongono alla gentilezza ed al candore di Léa…
Finalmente “Notti Magiche” e… finalmente anche di nuovo al cinema, ma… sala deserta! Per fortuna, perché così ci si può egoisticamente godere il film come in una proiezione privata, ma anche peccato! perché ciò significa in realtà che, pur complice l’Estate, quel certo pubblico che avrebbe sicuramente affollato la sala, probabilmente non tornerà più al cinema!
Detto questo veniamo al film che Daniel Cohen ha scritto e messo in scena, dapprima in Teatro ed ora sugli schermi, riservandosi anche una simpatica caratterizzazione. Si tratta di una piccola commedia di costume molto, molto francese, sulla gelosia/invidia degli amici verso il talento degli altri e sulle velleità e le mediocrità rese ancor più evidenti dall’imprevisto successo di un’amica.
Allora è proprio vero che la felicità di uno provoca l’infelicità degli altri? Si tratta di un film che riesce a restare nei toni della commedia senza eccessive forzature pur nel realismo delle situazioni e nella veridicità della rappresentazione dei caratteri dei personaggi.
Un film francese, centrato quindi sui sentimenti, sul sentire intimo, sull’interpretazione attoriale e molto parlato. I testi, però, vista l’origine teatrale, sono perfetti, intelligenti, reali e cesellati alla perfezione, il ritmo è incalzante e gli attori, uno più bravo dell’altro, sono non solo giusti ma anche veri e complici tra loro, oltre che ben diretti. Tutto funziona perché supportato da una solida sceneggiatura. Da segnalare un insolito Vincent Cassel che, fuori dai suoi abituali ruoli da macho, dà vita a un uomo fragile, insicuro, con una totale identificazione e credibilità. Al centro, ovviamente, la dolce, bella e brava Bérénice Bejo. Brillanti i due coprotagonisti, velleitari e senza talento quanto basta. L’origine teatrale è molto evidente ma il film, piano piano, decolla coinvolgendo e divertendo con garbo leggero, senza volgarità. Davvero una piccola, simpatica commedia umana. Non aspettatevi un capolavoro – del resto non ha nemmeno l’ambizione di esserlo – perché La Felicità degli Altri è solo un film agrodolce, gradevole e piacevole a vedersi che fa anche riflettere sulla fragilità delle situazioni umane che possono apparire spesso stabili ma, in realtà, un semplice nonnulla, anche positivo, le può far traballare e modificare non necessariamente in peggio. Un piccolo film che fa passare 140 minuti piacevolmente, il che non è affatto poco, tutt’altro!
data di pubblicazione:14/07/2021
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da Rossano Giuppa | Lug 5, 2021
(Teatro Argentina – Roma, 22 giugno/4 luglio 2021)
Dal 22 giugno al 4 luglio il Teatro Argentina di Roma ha ospitato Sun & Sea, performance-opera nata della collaborazione tra Rugilė Barzdžiukaitė, regista di cinema e teatro e artista visiva, Vaiva Grainytė, scrittrice, drammaturga e poeta, e Lina Lapelytė, artista, compositrice e performer, con la supervisione di Lucia Pietroiusti, vincitrice nel 2019 del Leone d’Oro come Migliore Partecipazione Nazionale alla 58a Biennale di Venezia. Nel suo unico allestimento italiano, l’opera-performance svuota la platea per riempire di sabbia la storica sala trasformandola in una spiaggia vista dall’alto, nella quale un gruppo di bagnanti, in una assolta giornata estiva trascorre momenti di relax, raccontando in primis la propria quotidianità per arrivare ad un coro universale di voci che drammaticamente enfatizza il rapporto fra la specie umana e le urgenze del cambiamento climatico.
Un lavoro innovativo delle tre artiste lituane, un’opera performance che introduce alcune tra le più urgenti questioni ecologiche dei nostri tempi in una rinnovata messa in scena pensata proprio per il Teatro romano per rivedere un lavoro articolato, suggestivo, ricco di livelli interpretativi, in un contesto diverso e con un risultato diverso. Mentre a Venezia, la stessa fruizione non sottostava a nessun limite di tempo, e la stessa esecuzione canora aveva una dilatazione maggiore, a Roma il tutto si comprime in 60 minuti di spettacolo-performance che coinvolge un folto cast composto da oltre trenta figuranti, tra cantanti e performer.
A Venezia, la riproduzione di una spiaggia all’interno di un impianto navale dismesso, in qualche modo poteva risultare in linea con l’ambiente balneare del lido della città lagunare, e provocare, comunque, un certo spiazzamento, a Roma, lo spaesamento è di sicuro totale. All’interno del Teatro Argentina a partire dai palchi del primo ordine il pubblico ha una veduta a volo d’uccello sulla scena, in cui i personaggi appaiono come un tipico gruppo di vacanzieri di età varie sdraiati in costume da bagno sotto il sole estivo accecante: ragazze che praticano yoga, un ragazzo che gioca col suo piccolo saltellante cagnolino, un bambino che costruisce la sua capanna con gli ombrelloni, la signora che manda messaggi col cellulare, le due gemelle con gli stessi vestiti e le stesse trecce. Nella calura di un eterno mezzogiorno, i personaggi iniziano a raccontare le proprie storie. Da narrazioni frivole si passa ad argomenti di più ampio respiro, che crescono fino a diventare una sinfonia globale, un coro umano che gradualmente diventa consapevole del cambiamento climatico su scala planetaria. Allo svolgersi del libretto, lo spettatore scopre poco a poco ogni personaggio della scena che, cantando, rivela le proprie preoccupazioni. Da irrilevanti premure per prevenire scottature o future vacanze, all’angosciante timore di imminenti catastrofi ambientali che emerge dal più profondo della propria precaria esistenza. Le micro-storie banali e leggere della spiaggia affollata lasciano il posto a riflessioni corali.
“È più facile trasmettere il macrocosmo attraverso un microcosmo, mentre le esperienze terrene e individuali offrono l’opportunità di cogliere i principali problemi. È possibile influenzare le discussioni su eventi globali a livello emotivo o intellettuale con una semplice narrazione, un frammento di questo macrocosmo” raccontano le autrici.
Opera d’arte inaspettata, grazie ad uno approccio non convenzionale, un ossrvatorio separato ma non distaccato dalla scena e dalla situazione quotidiana, che rompe gli schemi dell’opera tradizionale e creando nuove possibili forme di espressione per questo genere. Una forte vitalità unita alla progressiva comprensione e coinvolgimento dello spettatore amplificato dalla bellezza dei canti (assoli e corali) di cui non è facile individuare la fonte, creano una magia che cattura e fa riflettere profondamente.
data di pubblicazione:05/07/2021
Il nostro voto:
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