FALLING – STORIA DI UN PADRE di Viggo Mortensen, 2021

FALLING – STORIA DI UN PADRE di Viggo Mortensen, 2021

Willis (Lance Henriksen), è un uomo burbero ed irruente. Affetto da una lieve demenza senile che lo rende verbalmente violento e poco incline ad un necessario cambio di vita, si vede tuttavia costretto a lasciare la fattoria dove ha sempre vissuto, per trasferirsi in California da suo figlio John (Viggo Mortensen) per degli accertamenti clinici. In quella breve convivenza, non riuscendo a volte a comprendere quale “stagione della vita” stia vivendo, Willis scaglia tutta la sua rabbia sul figlio, di cui non approva lo stile di vita. Quei momenti di aspro confronto riportano a galla anni di incomprensioni e vecchi rancori all’apparenza insanabili perché ognuno tenta inutilmente di cambiare l’altro.

 

Tante sono le cose che ci racconta Viggo Mortensen in questa sua opera prima da regista, forse troppe, in un film un po’ lungo e a tratti ridondante. Tuttavia lo fa con competenza, profondità e molta sensibilità, da artista poliedrico quale è.

Poeta, fotografo, musicista e pittore, fondatore nel 2002 di una casa editrice indipendente, Viggo Mortensen oltre ad aver lavorato come interprete per alcuni dei più grandi registi del mondo, può essere definito l’attore feticcio di David Cronenberg (presente in Falling– Storia di un padre con un cameo che lo ritrae nella veste di un medico), che ne ha sempre elogiato il suo impegno nella preparazione dei personaggi, riconoscendogli una accuratezza ed un rigore quasi maniacali da grande studioso.

Mortensen dichiara che l’idea di sceneggiare e dirigere il film, gli nacque di ritorno dal funerale di sua madre, in un momento intimo in cui tutti i ricordi si affollavano nella sua mente senza un vero ordine logico proprio come i flashback che ritroviamo nella pellicola: quei ricordi diventano appunti su di un taccuino e rappresenteranno “l’ossatura di base di quella che alla fine sarebbe diventata la sceneggiatura del film”.

Parzialmente autobiografico, il film in realtà indaga la complessità del rapporto tra un padre ed il proprio figlio in una famiglia che ha solo alcuni tratti in comune con quella del regista-attore. Il suo John è un progressista della West Coast che vive con il suo compagno e con la loro figlia adottiva; suo padre Willis invece ha il viso solcato dal sole e dal gelo di quella terra di nordest da cui proviene, e le sue idee sono decisamente conservatrici. Il cuore della storia nasce dunque dalla contrapposizione di queste due Americhe, ma riesce a regalarci immagini di reale cambiamento, sia di quello che è sempre stato il modello di maschio americano che di famiglia tradizionale. John ed il suo compagno Eric (Terry Chen) si amano e si rispettano molto e la loro figlia Mónica non sembra affatto subire dei traumi da questa unione: realizzare questa immagine di famiglia alternativa ma felice, senza cadere in uno stereotipo poco credibile, è il vero merito del film.

Gli interpreti sono tutti bravissimi, a cominciare da Lance Henriksen nel ruolo del padre arrabbiato innanzitutto con quei fantasmi che affollano la sua mente, ma anche Laura Linney nel ruolo di Sarah, la sorella di John, lascia il segno con la sua breve apparizione; anche se è proprio Viggo Mortensen a regalarci un’altra delle sue interpretazioni memorabili che, passando attraverso lo sguardo, arrivano direttamente al cuore.

Peccato per quella manciata di minuti di troppo che, nonostante le ottime intenzioni, non fanno di questa opera prima il film che ci saremmo aspettati da un artista così completo.

data di pubblicazione:01/09/2021


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E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE … PRESENTAZIONE DELLA STAGIONE TEATRALE DEL TEATRO QUIRINO 2021.2022

E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE … PRESENTAZIONE DELLA STAGIONE TEATRALE DEL TEATRO QUIRINO 2021.2022

(Teatro Quirino – Roma, 12 luglio 2021)

Presentata al Quirino la prossima stagione teatrale. In programma per i 150 anni di attività del teatro un’importante pubblicazione a cura di Elisabetta Centore e una ricca proposta di spettacoli, tra nuovi lavori e recuperi di stagione, in partenza già da settembre con un prologo di 8 appuntamenti a cui seguirà il cartellone in abbonamento con 20 capolavori tratti dalla drammaturgia classica e contemporanea, proposti da artisti di eccellente livello.

  

E quindi uscimmo a riveder le stelle”, il celebre endecasillabo dantesco che termina la Cantica infernale è il titolo scelto per presentare la prossima stagione di spettacoli del Teatro Quirino. Si spera di rientrare presto nel sogno di cui il teatro è ponte e lasciare alle spalle l’incubo in cui la pandemia ci ha costretto. L’esperienza acquisita in questi 18 mesi di fermo suggerisce però di avere prudenza, quella espressa negli interventi dell’Amministratore delegato del teatro, Rosario Coppolino, e del Direttore artistico Geppy Gleijeses. Prudenza ma anche responsabilità. È chiaro l’invito a non perdere occasione per vaccinarsi, perché si possa presto tornare a lavorare, a divertirsi, a nutrire l’anima di emozioni individuali e collettive che solo lo spettacolo dal vivo sa trasmettere. “Esistiamo e vogliamo esserci” ribadisce l’AD Coppolino, e aggiunge “comprate e regalate il teatro come forma di sostegno a chi ha sofferto”. Un’impresa privata come quella del Quirino non può sostenere le spese di produzione se è concesso riempire la platea solo a metà. Vicine in questa sorte anche altre eccellenti realtà che danno lustro alla proposta teatrale privata della capitale, Ambra Jovinelli e Sistina. Nella speranza che la rotta dei contagi si inverta, gli spettacoli in cartellone vengono presentati dagli artisti presenti in sala o da remoto in video per chi si trova impegnato nei festival di teatro in scena in questo momento in varie città italiane.

Tra gli spettacoli che fanno da prologo alla stagione vedremo il debutto di Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, dove Eugenio Barba (celebre allievo di Jerzy Grotowski) intraprenderà la sua prima regia esterna all’Odin Theatre di sua fondazione, insieme a Lorenzo Gleijeses e Julia Varley. Gianluca Ferrato sarà diretto da Roberto Piana in Tutto sua madre, un monologo esilarante giocato su un equivoco provocato da condizionamenti familiari, in cui l’attore interpreta tutti i personaggi senza travestimento, solo con le abilità vocali. La giovane Agnese Fallongo sarà protagonista insieme a Tiziano Caputo di un racconto tragicomico scritto da lei stessa, Letizia va alla guerra (regia di Adriano Evangelisti). Napoli andrà in scena grazie a Maradona concerto, uno spettacolo con Claudio Di Palma e Danilo Rea al pianoforte. Una reale quarta parete in plexiglass sarà invece presa a colpi di palla da tennis da Paolo Valerio ne Il muro trasparente – delirio di un tennista sentimentale. Lucia Poli sarà La pianessa in un recital surreale e fantastico dedicato a Alberto Savino, autore poco conosciuto – è ben più famoso il fratello Giorgio De Chirico – artista poliedrico, compositore di cui Marco Scolastra ne ha ritrovato le partiture. Anna Galiena rivisiterà i più significativi dialoghi shakespeariani, da lei stessa tradotti e adattati, in Coppie e doppi. Al termine del prologo un omaggio al talento di una grande attrice, Sarah Bernhardt. Laura Marioni e Stefano Santospago saranno i protagonisti de La divina Sarah (testo di Eric-Emmanuel Schmitt e regia di Daniele Salvo).

La stagione in abbonamento parte il 2 novembre con lo spettacolo di Gabriele Lavia Le leggi della gravità, tratto dal romanzo di Jean Teulé (non ancora tradotto in italiano) che lo vede in scena con Federica Di Martino. Un testo definito “pandemico” dal regista, due personaggi e una domanda: qual è la legge di gravità che comanda intorno alla caduta dell’essere umano? Compare invece per due volte in cartellone Molière. Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina e Roberto Valerio porteranno in scena Tartufo, mentre Emilio Solfrizzi sarà Il malato immaginario per la regia di Guglielmo Ferro durante le festività natalizie. Ed è ancora Emilio Solfrizzi a tornare al Quirino a fine stagione, questa volta alla sua prima esperienza come regista con Buoni da morire, una commedia feroce e divertente di Gianni Clementi, che indaga le dinamiche di una famiglia. Protagonisti Pino Quartullo, Debora Caprioglio e Gianluca Ramazzotti. Sempre rimanendo nel genere della commedia, un omaggio allo straordinario genio di Garinei e Giovannini sarà la nuova messa in scena di Luigi Russo di Se devi dire una bugia dilla grossa, con il già citato Gianluca Ramazzotti a fianco di Antonio Catania e Paola Quattrini. Lo spettacolo dovette interrompere le repliche poco dopo il debutto all’inizio della pandemia, la stessa sorte toccata proprio al Quirino a Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams (regia e scene di Pier Luigi Pizzi) con Mariangela D’Abbraccio nei panni della protagonista, Blanche DuBois, e Daniele Pecci in quelli del violento Stanley Kowalski. Recupero della precedente stagione anche La classe di Vincenzo Manna per la regia di Giuseppe Marini, uno spettacolo che racconta il disagio giovanile nell’incontro/scontro tra un gruppo di ragazzi e alcuni richiedenti asilo (con Claudio Casadio e Andrea Paolotti). Si parla di recupero di stagione anche per Processo a Gesù di Diego Fabbri con Paolo Bonacelli e Marilù Prati per la regia di Geppy Gleijeses. Uno spettacolo complesso con tanti attori in palcoscenico, tratto dal repertorio – spesso dimenticato – del grande teatro italiano del Novecento. Il “debutto” è avvenuto davanti a una platea di amici ed è stato giudicato da Tommaso Le Pera come il lavoro più bello di Geppy Gleijeses. La documentazione fotografica dello spettacolo si trova pubblicata nel volume uscito di recente Il teatro di Geppy Gleijeses nelle fotografie di Tommaso Le Pera a cura di Maria Paola Poponi (Manfredi edizioni). Nello stesso libro si possono vedere le prime immagini di un altro lavoro che è in calendario la prossima stagione, Servo di scena, con protagonisti Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli. La messa in scena del testo di Ronald Harwood sarà un omaggio a Turi Ferro per i cento anni dalla sua nascita. La direzione è di Guglielmo Ferro, che già diresse il padre in una passata edizione.

Doppio appuntamento sul palco anche per Enrico Guarneri, a gennaio con L’ispettore generale di Nikolaj Gogol’ (commedia dell’equivoco dal tono grottesco e surreale) e a marzo con I Malavoglia di Giovanni Verga (regia di Guglielmo Ferro). Dalla grande letteratura sono tratti altri due lavori. Il primo è una riduzione teatrale di Pippo Pattavina e Antonello Capodici di Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello (con Pippo Pattavina e Mariangela Bargilli, regia di Antonello Capodici); mentre ispirato al racconto di Hermann Melville, Leo Gullotta sarà Bartleby lo scrivano per la regia di Emanuele Gamba. In scena un uomo dal carattere indolente e ozioso (la sua battuta ricorrente recita “avrei preferenza di no”), che come un vento improvviso “manda all’aria il senso normale delle cose”. Così nelle parole di Francesco Niccolini che ne cura il testo.

E sarà lo stesso Niccolini l’autore insieme a uno dei più grandi affabulatori del teatro italiano, Marco Paolini, di Ulisse Filò. L’eroe mitico incontra nel suo viaggio in incognito attraverso le Alpi il dio Hermès, anche lui non riconosciuto negli abiti di un pastore. Lo scontro/confronto tra queste due identità distanti tra loro sarà il centro del canto. Sempre legato alla classicità e al mito andrà in scena Troiane di Euripide, con Elisabetta Pozzi e la direzione del regista emergente Andrea Chiodi (l’adattamento è di Angela Damattè).

Spazio alla musica invece con due appuntamenti. A fine stagione Mario Incudine sarà protagonista del suo spettacolo dedicato a Domenico Modugno Mimì da sud a sud, diretto da Moni Ovadia e Giuseppe Cutino. Mentre poco prima di Natale farà ritorno un genere teatrale che è sempre stato di casa al Quirino, l’operetta. Umberto Scida sarà regista e protagonista insieme a un numeroso cast di attori/cantanti e ballerini de La vedova allegra di Franz Lehar.

La compagnia privata Goldenart Production (presente la Direttrice artistica Federica Vincenti), in coproduzione con i teatri stabili di Veneto e Bolzano, porterà in scena uno spettacolo che ha avuto una grande fortuna e che finalmente arriva a Roma, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Protagonisti Alessandro Haber e Alvia Reale diretti da Leo Muscato (traduzione del testo di Masolino D’Amico). E arriverà a Roma, per la prima volta al Teatro Quirino, anche Carlo Buccirosso con una nuova edizione di Colpo di scena. Definito da Geppy Gleijeses degno erede di Peppino De Filippo, Buccirosso vestirà i panni di un vicequestore di provincia impegnato nel debellare i piccoli crimini che ogni giorno minacciano la pace di quella gente che vorrebbe vivere una vita serena, con un immancabile finale a sorpresa.

Questa dunque la prossima stagione del Quirino, ricca di titoli e nomi di importante caratura, ma soprattutto di tanta voglia di tornare con entusiasmo a raccontare e a lavorare. Con speranza solida ci affidiamo alle decisioni del Governo che, tenendo conto della salute di tutti, possa fornire le giuste condizioni che permettano allo spettacolo dal vivo di mostrare ancora la bellezza dell’arte in quelle stelle per troppo tempo rimaste velate.

24 settembre 3 ottobre

EUGENIO BARBA   LORENZO GLEIJESES  JULIA VARLEY
UNA GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA

regia e drammaturgia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley

5.10 ottobre
GIANLUCA FERRATO

TUTTO SUA MADRE
tratto da “Les garçons et Guillaume, à table!”

di Guillaume Gallienne

regia ROBERTO PIANA

12.13.14 ottobre

AGNESE FALLONGO   TIZIANO CAPUTO

LETIZIA VA ALLA GUERRA

la suora, la sposa e la puttana
di Agnese Fallongo

ideazione e regia ADRIANO EVANGELISTI

15.16.17 ottobre

MARADONA CONCERTO

con

CLAUDIO DI PALMA
DANILO REA al pianoforte

regia CLAUDIO DI PALMA

19.20.21 ottobre

PAOLO VALERIO

IL MURO TRASPARENTE
delirio di un tennista sentimentale

a cura di Monica Codena, Marco Ongaro e Paolo Valerio

22.23 ottobre

LUCIA POLI

LA PIANESSA
omaggio ad Alberto Savinio

con MARCO SCOLASTRA al pianoforte

24.25 ottobre

ANNA GALIENA

COPPIE E DOPPI
traduzione, adattamento e regia ANNA GALIENA

28.29.30.31 ottobre

LAURA MARINONI   STEFANO SANTOSPAGO

LA DIVINA SARAH
da Memoir di John Murrel
testo di Eric-Emmanuel Schmitt

regia DANIELE SALVO

STAGIONE 2021/2022

2.14 novembre

GABRIELE LAVIA   FEDERICA DI MARTINO

LE LEGGI DELLA GRAVITA’

dal romanzo di Jean Teulé “Les lois de la gravité”

adattamento e regia GABRIELE LAVIA

16.21 novembre

GIUSEPPE CEDERNA   VANESSA GRAVINA   ROBERTO VALERIO

TARTUFO
di Molière

traduzione Cesare Garboli

adattamento e regia ROBERTO VALERIO

23 novembre 5 dicembre

CARLO BUCCIROSSO

COLPO DI SCENA
NUOVA EDIZIONE

di Carlo Buccirosso
regia Carlo Buccirosso

7.12 dicembre

SPETTACOLO DA DEFINIRE

14.19 dicembre

UMBERTO SCIDA

LA VEDOVA ALLEGRA

di Franz Lehar
regia UMBERTO SCIDA

21 dicembre 9 gennaio

EMILIO SOLFRIZZI

IL MALATO IMMAGINARIO
di Molière

costumi Santuzza Calì

adattamento e regia GUGLIELMO FERRO

11.16 gennaio

ENRICO GUARNERI

L’ISPETTORE GENERALE

di Nikolaj Vasil’evič Gogol’

regia ENRICO GUARNERI

18.23 gennaio

ELISABETTA POZZI

TROIANE

di Euripide

adattamento di Angela Demattè

regia ANDREA CHIODI

25.30 gennaio

PIPPO PATTAVINA

MARIANELLA BARGILLI
UNO, NESSUNO E CENTOMILA

di Luigi Pirandello

regia ANTONELLO CAPODICI

1.6 febbraio

MARIANGELA D’ABBRACCIO

DANIELE PECCI

UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO

di Tennessee Williams

traduzione Masolino D’Amico

regia e scene PIER LUIGI PIZZI
(recupero stagione 2019/2020)

8.20 febbraio

GEPPY GLEIJESES   MAURIZIO MICHELI   LUCIA POLI

SERVO DI SCENA

di Ronald Harwood

traduzione Masolino D’Amico

regia GUGLIELMO FERRO

22 febbraio 6 marzo

ALESSANDRO HABER

ALVIA REALE

MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE

di Arthur Miller

traduzione Masolino D’Amico

regia LEO MUSCATO

8.13 marzo

ENRICO GUARNERI

I MALAVOGLIA

di Giovanni Verga

regia GUGLIELMO FERRO

15.27 marzo
ANTONIO CATANIA   GIANLUCA RAMAZZOTTI
con PAOLA QUATTRINI

SE DEVI DIRE UNA BUGIA DILLA GROSSA
di Ray Cooney

versione italiana Iaia Fiastri

regia originale PIETRO GARINEI
nuova messa in scena LUIGI RUSSO

29 marzo 3 aprile

LEO GULLOTTA

BARTLEBY LO SCRIVANO

di Francesco Niccolini

liberamente ispirato al racconto di Herman Melville

regia EMANUELE GAMBA
(recupero stagione 2019/2020)

5.10 aprile

MARCO PAOLINI

ULISSE FILÒ

di Marco Paolini e Francesco Niccolini

regia GABRIELE VACIS

12.17 aprile

PAOLO BONACELLI   MARILÙ PRATI
PROCESSO A GESÙ

di Diego Fabbri

regia GEPPY GLEIJESES
(recupero stagione 2019/2020)

19.24 aprile

CLAUDIO CASADIO   ANDREA PAOLOTTI

LA CLASSE

di Vincenzo Manna

regia GIUSEPPE MARINI
(recupero stagione 2019/2020)

26 aprile 1 maggio

MARIO INCUDINE

MIMÌ DA SUD A SUD
sulle note di Domenico Modugno

di Mario Incudine

regia MONI OVADIA e GIUSEPPE CUTINO

3.15 maggio

PINO QUARTULLO   DEBORA CAPRIOGLIO   GIANLUCA RAMAZZOTTI

BUONI DA MORIRE

di Gianni Clementi

regia EMILIO SOLFRIZZI

 

data di pubblicazione 25/07/2021

LA MANO di Georges Simenon – ed. Biblioteca Adelphi, 2021

LA MANO di Georges Simenon – ed. Biblioteca Adelphi, 2021

Per i cultori di Simenon, per gli appassionati dei suoi Romans Romans, l’uscita di un suo nuovo libro può mettere in moto delle sollecitazioni psicologiche “pericolose. Pur sapendo infatti che la temporanea soddisfazione di cedere all’impulso del suo acquisto può non essere poi sempre accompagnata dalla qualità della scrittura, si corre lo stesso in libreria, come attratti da una forza irresistibile. E’ probabilmente il caso de La Mano, appena pubblicato per i tipi Adelphi.

Un romanzo “americano” perché, anche se scritto nel 1968, in esso Simenon rielabora ricordi, atmosfere, situazioni ed esperienze assorbite durante il suo soggiorno/fuga negli Stati Uniti (1945-1955). Una stagione creativa considerata dai fans dello scrittore belga fra le meno feconde per ispirazione e qualità!

La Mano, più che un noir è in effetti un’analisi introspettiva, un romanzo psicologico, cupo, senza speranze od illusioni, diretto, inquietante e crudo, “crudele” lo definì lo stesso autore. Come sappiamo a Simenon interessa soprattutto osservare la natura dell’uomo, la pena del suo esistere, capire la realtà degli umani fallimenti ed illusioni, quale che essa sia, indagare sul potere ineluttabile del Destino cui non ci si può sottrarre per quanto ci si possa sforzare. Lo scrittore vuole provare a comprendere, non certo giudicare, le vicende drammatiche dei suoi piccoli uomini. Vicende sempre profondamente umane, e proprio per questo universali ed eterne, che, se questa volta si svolgono in America, potrebbero egualmente aver luogo tanto nella sua Francia quanto ovunque.

Il protagonista Donald Dood è un avvocato di provincia, vive nel Connecticut ed è sposato da 17 anni e padre di due ragazze. Tutto sembra tranquillo ma … qualcosa si rompe in lui quando, al rientro da una festa, il suo migliore amico si è perso in una improvvisa bufera di neve e lui, uscito per soccorrerlo, in realtà non lo cerca affatto … Tutto inizia allora a crollare. In realtà è un uomo disturbato, tormentato, privo di autostima e di fiducia in se stesso. Le sue frustrazioni sono il risultato di un senso di inferiorità profonda verso sua moglie. Quando la guarda vede, vero o immaginato che sia, nello sguardo di lei solo disprezzo silenzioso mascherato da premura. Donald inizia così a guardare il mondo e se stesso in modo diverso, desidera ribellarsi, desidera quel che poteva essere e non è stato né mai sarà. Il male di vivere, l’invidia, la gelosia ed il desiderio di tradire la moglie lo avvelenano lentamente. Inizia un cambiamento che è, nel contempo, un processo di liberazione ed una follia progressiva. Una volta avviato tutto precipita progressivamente ed ineluttabilmente là dove il Destino, inesorabile, ha già deciso che la vicenda finisca … in un dramma! E’ inutile credere di aver superato i limiti, violato gli schemi, rotto le convenzioni, il senso di inferiorità, la pusillanimità restano comunque e lo stato mentale diviene presto ossessione e si degrada ancor più col crescere della tensione fino al punto di massima insostenibilità.

Simenon è un vero maestro, capace di analizzare, con profondità da psicologo, gli sconvolgimenti di una mente allo sbando. La scrittura, come al solito, è scorrevole, lo stile è asciutto ed essenziale senza estetismi letterari. La Mano è un romanzo veramente inquietante che si divora e che non si riesce a lasciare se non quando lo si è finito di leggere, ma che, ciò non di meno, lascia nel lettore una sensazione di leggero turbamento e di sottile ma persistente insoddisfazione del Simenon “americano”.

data di pubblicazione:20/07/2021

RESTERANNO I CANTI di Franco Arminio – Bompiani editore, 2021

RESTERANNO I CANTI di Franco Arminio – Bompiani editore, 2021

Il poeta della Paesologia con un testo che parla a tutti i sensi ed esplora tutte le latitudini letterarie. La poesia, il frammento, l’aforisma in una congrua condensazione di senso. Arminio non spreca le parole, ma le scava, a saggiarne il significato più recondito, nella nostalgia per la civiltà suburbana perduta. Ma non è una filosofia del lamento perché, contemporaneamente, l’accettazione dello stato di quiete comporta un dinamico rilancio. Perché lo stato delle cose possa cambiare. I poli di attrazione sono la terra, le tradizioni, le radici, il sud in un’idea di paesaggio che si ribella alle gentrificazione come ai fenomeni naturali (il terremoto) che hanno destabilizzato le sue terre. Piccolo profeta periferico che smuove consensi con la forza pacifica del verseggiare. Difatti l’utopia è di credere che il poetare possa smuovere le montagne lottando contro l’ostinazione crudele di un potere sordo e centripeto. Emblematica l’affermazione che campeggia nella contro-copertina: “Si sta vicini per fare miracoli, non per ripetere il mondo. Che già c’è. Che già siamo”. Dunque un libro che muove un progetto ambizioso di palingenesi fondata sulla parola, sulla riabilitazione di un senso perduto. Una vita che presuppone una comunità, la scoperta dei luoghi dimenticati, la lettura corale collettiva, la scoperta. Confermando, una volta di più, che non è determinante l’obiettivo finale da raggiungere quanto la strada che si percorre, le singole tappe, da vivere tutti insieme. E da Bisaccia ha percorso tanti passi Arminio che si può definire un Paesologo, un fotografo, un animatore culturale, un libero pensatore, non estraneo a attività documentaristica e cartografia, oltre a essere il referente tecnico del progetto pilota della montagna materana nel Progetto pilota della montagna materano nell’ambito della Strategia nazionale per le aree interne. Muovendosi in quell’intrico simbiotico tra Lucania e Campania, terre dure, terre segnate dalla storia.

data di pubblicazione:19/07/2021

A CUORE APERTO di Gianni Clementi, con Massimo Wertmuller, musiche di Pino Cangialosi

A CUORE APERTO di Gianni Clementi, con Massimo Wertmuller, musiche di Pino Cangialosi

(Teatro Sette a Villa Massimo – Roma,14/15 luglio 2021)

(One man show sulla romanità. Con un titolo in doppia accezione: dire tutta la verità, facendo riferimento a un recente intervento cardiologico nel corpo dell’attore, dunque anche vita vissuta).

Il prolifico Gianni Clementi ha fornito al romanissimo Wertmuller un testo a proprio uso e misura per un’immersione completa in un repertorio collaudato con la stampella di qualche testo pregiato (Trilussa, Eco) a cui appoggiarsi in spezzoni di reading. Tutto esaurito per un pubblico di Roma Nord al fresco (anche troppo) di un mini parco romano nella stagione allestita da Michele La Ginestra. Esibizione anche nel segno di Proietti e della finta distonia con gli accompagnatori musicali che costituiscono una pregevole spina dorsale a uno spettacolino ovviamente esile ed estivo. Ma significativo perché i ringraziamenti finali a una lunga lista di cardiologi documentano l’odissea personale del protagonista e la felicità del pubblico nel rivederlo sul palcoscenico. Il pretesto è la nausea di Roma di uno suo cittadino che sta per lasciarla per sempre, prediligendo mari esotici. Spunto per immergersi nella volgarità dei tempi e del linguaggio, per l’imbruttimento del romano tipo il cui cinismo è deflagrato il qualcosa di incontrollabile. La disapprovazione poi offre il destro per un’immersione nostalgica in alcuni topos capitolini, nell’esternata nostalgia per le periferie di Pasolini, per il decadimento morale della città e per l’inesausto gusto della battuta, pallida speranza di palingenesi. La rivisitazione non ha ambizioni politiche, semmai etiche e di costume. Come si può immaginare in un contesto di spettacolo all’aperto, alla fine del secondo lockdown. Wertmuller si offre generosamente, corpo e anima, inequivocabilmente anche a cuore aperto. Tra i cantori della romanità merita un posto di spicco per le capacità di affabulatore, chansonnier, comico aguzzo e dai tempi teatrali invidiabili.

data di pubblicazione:15/07/2021


Il nostro voto:

LA FELICITÁ DEGLI ALTRI di Daniel Cohen, 2021

LA FELICITÁ DEGLI ALTRI di Daniel Cohen, 2021

Durante una cena fra due coppie di amici di vecchia data, la dolce e tenera Léa (Bérénice Bejo), commessa in un negozio di abbigliamento, annuncia al marito (Vincent Cassel) ed agli amici (Florence Foresti e François Damiens) che sta scrivendo un libro che sottoporrà ad un noto editore. Tutti restano increduli, non è pensabile che possa aver successo! ed allora, per emulazione, anche gli amici provano a dar spazio alle proprie velleitarie vocazioni artistiche. Da lì in poi nulla sarà più come prima per nessuno, frustrazioni, gelosie, fatuità si contrappongono alla gentilezza ed al candore di Léa…

 

 

Finalmente “Notti Magiche” e… finalmente anche di nuovo al cinema, ma… sala deserta! Per fortuna, perché così ci si può egoisticamente godere il film come in una proiezione privata, ma anche peccato! perché ciò significa in realtà che, pur complice l’Estate, quel certo pubblico che avrebbe sicuramente affollato la sala, probabilmente non tornerà più al cinema!

Detto questo veniamo al film che Daniel Cohen ha scritto e messo in scena, dapprima in Teatro ed ora sugli schermi, riservandosi anche una simpatica caratterizzazione. Si tratta di una piccola commedia di costume molto, molto francese, sulla gelosia/invidia degli amici verso il talento degli altri e sulle velleità e le mediocrità rese ancor più evidenti dall’imprevisto successo di un’amica.

Allora è proprio vero che la felicità di uno provoca l’infelicità degli altri? Si tratta di un film che riesce a restare nei toni della commedia senza eccessive forzature pur nel realismo delle situazioni e nella veridicità della rappresentazione dei caratteri dei personaggi.

Un film francese, centrato quindi sui sentimenti, sul sentire intimo, sull’interpretazione attoriale e molto parlato. I testi, però, vista l’origine teatrale, sono perfetti, intelligenti, reali e cesellati alla perfezione, il ritmo è incalzante e gli attori, uno più bravo dell’altro, sono non solo giusti ma anche veri e complici tra loro, oltre che ben diretti. Tutto funziona perché supportato da una solida sceneggiatura. Da segnalare un insolito Vincent Cassel che, fuori dai suoi abituali ruoli da macho, dà vita a un uomo fragile, insicuro, con una totale identificazione e credibilità. Al centro, ovviamente, la dolce, bella e brava Bérénice Bejo. Brillanti i due coprotagonisti, velleitari e senza talento quanto basta. L’origine teatrale è molto evidente ma il film, piano piano, decolla coinvolgendo e divertendo con garbo leggero, senza volgarità. Davvero una piccola, simpatica commedia umana. Non aspettatevi un capolavoro – del resto non ha nemmeno l’ambizione di esserlo – perché La Felicità degli Altri è solo un film agrodolce, gradevole e piacevole a vedersi che fa anche riflettere sulla fragilità delle situazioni umane che possono apparire spesso stabili ma, in realtà, un semplice nonnulla, anche positivo, le può far traballare e modificare non necessariamente in peggio. Un piccolo film che fa passare 140 minuti piacevolmente, il che non è affatto poco, tutt’altro!

data di pubblicazione:14/07/2021


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SUN & SEA – Opera-performance di Rugilė Barzdžiukaitė, Vaiva Grainytė e Lina Lapelytė, a cura di Lucia Pietroiusti

SUN & SEA – Opera-performance di Rugilė Barzdžiukaitė, Vaiva Grainytė e Lina Lapelytė, a cura di Lucia Pietroiusti

(Teatro Argentina – Roma, 22 giugno/4 luglio 2021)

Dal 22 giugno al 4 luglio il Teatro Argentina di Roma ha ospitato Sun & Sea, performance-opera nata della collaborazione tra Rugilė Barzdžiukaitė, regista di cinema e teatro e artista visiva, Vaiva Grainytė, scrittrice, drammaturga e poeta, e Lina Lapelytė, artista, compositrice e performer, con la supervisione di Lucia Pietroiusti, vincitrice nel 2019 del Leone d’Oro come Migliore Partecipazione Nazionale alla 58a Biennale di Venezia. Nel suo unico allestimento italiano, l’opera-performance svuota la platea per riempire di sabbia la storica sala trasformandola in una spiaggia vista dall’alto, nella quale un gruppo di bagnanti, in una assolta giornata estiva trascorre momenti di relax, raccontando in primis la propria quotidianità per arrivare ad un coro universale di voci che drammaticamente enfatizza il rapporto fra la specie umana e le urgenze del cambiamento climatico.

 

Un lavoro innovativo delle tre artiste lituane, un’opera performance che introduce alcune tra le più urgenti questioni ecologiche dei nostri tempi in una rinnovata messa in scena pensata proprio per il Teatro romano per rivedere un lavoro articolato, suggestivo, ricco di livelli interpretativi, in un contesto diverso e con un risultato diverso. Mentre a Venezia, la stessa fruizione non sottostava a nessun limite di tempo, e la stessa esecuzione canora aveva una dilatazione maggiore, a Roma il tutto si comprime in 60 minuti di spettacolo-performance che coinvolge un folto cast composto da oltre trenta figuranti, tra cantanti e performer.

A Venezia, la riproduzione di una spiaggia all’interno di un impianto navale dismesso, in qualche modo poteva risultare in linea con l’ambiente balneare del lido della città lagunare, e provocare, comunque, un certo spiazzamento, a Roma, lo spaesamento è di sicuro totale. All’interno del Teatro Argentina a partire dai palchi del primo ordine il pubblico ha una veduta a volo d’uccello sulla scena, in cui i personaggi appaiono come un tipico gruppo di vacanzieri di età varie sdraiati in costume da bagno sotto il sole estivo accecante: ragazze che praticano yoga, un ragazzo che gioca col suo piccolo saltellante cagnolino, un bambino che costruisce la sua capanna con gli ombrelloni, la signora che manda messaggi col cellulare, le due gemelle con gli stessi vestiti e le stesse trecce. Nella calura di un eterno mezzogiorno, i personaggi iniziano a raccontare le proprie storie. Da narrazioni frivole si passa ad argomenti di più ampio respiro, che crescono fino a diventare una sinfonia globale, un coro umano che gradualmente diventa consapevole del cambiamento climatico su scala planetaria. Allo svolgersi del libretto, lo spettatore scopre poco a poco ogni personaggio della scena che, cantando, rivela le proprie preoccupazioni. Da irrilevanti premure per prevenire scottature o future vacanze, all’angosciante timore di imminenti catastrofi ambientali che emerge dal più profondo della propria precaria esistenza. Le micro-storie banali e leggere della spiaggia affollata lasciano il posto a riflessioni corali.

“È più facile trasmettere il macrocosmo attraverso un microcosmo, mentre le esperienze terrene e individuali offrono l’opportunità di cogliere i principali problemi. È possibile influenzare le discussioni su eventi globali a livello emotivo o intellettuale con una semplice narrazione, un frammento di questo macrocosmo” raccontano le autrici.

Opera d’arte inaspettata, grazie ad uno approccio non convenzionale, un ossrvatorio separato ma non distaccato dalla scena e dalla situazione quotidiana, che rompe gli schemi dell’opera tradizionale e creando nuove possibili forme di espressione per questo genere.  Una forte vitalità unita alla progressiva comprensione e coinvolgimento dello spettatore amplificato dalla bellezza dei canti (assoli e corali) di cui non è facile individuare la fonte, creano una magia che cattura e fa riflettere profondamente.

data di pubblicazione:05/07/2021


Il nostro voto:

MACBETH, LE COSE NASCOSTE – regia di Carmelo Rifici

MACBETH, LE COSE NASCOSTE – regia di Carmelo Rifici

(Teatro Argentina-Roma, 5/13 giugno 2021)

Il regista Carmelo Rifici, dopo il lavoro su Ifigenia, presentato nel 2017, prosegue la sua esplorazione dei classici con lo spettacolo Macbeth, le cose nascoste in scena al Teatro Argentina di Roma dal 5 al 13 giugno, scritto a quattro mani con Angela Dematté.

 

 Uno spettacolo complesso che rilegge per frammenti il dramma ed i catastrofici effetti fisici e psicologici della ricerca del potere per il proprio interesse personale, lavorando sull’inconscio e sulla sua capacità di generare errori ed orrori. Lo spettacolo è anche uno studio in chiave psicanalitica ed una riflessione sulla violenza che, partendo dai temi della tragedia shakespeariana, compie un viaggio attraverso le esperienze personali degli attori coinvolti nello spettacolo. Parte integrante del progetto sono state le sedute di analisi, guidate dallo psicoanalista junghiano Giuseppe Lombardi e dalla psicoterapeuta Luciana Vigato rappresentate in scena con l’ausilio di videoproiezioni e soprattutto attraverso la presenza sul palco, in alternanza, di Rifici, Dematté e della drammaturga Simona Gonella.

Il palco si sovrappone a quello di uno studio medico nel quale gli attori riportano le proprie elaborazioni del processo psicanalitico e rappresentano nel contempo il dramma, secondo differenti sfaccettature e punti di vista. Nel gioco delle sovrapposizioni e scambio di ruoli, emerge l’originalità della rappresentazione e la necessità di dar voce a ciascun personaggio affinchè possa raccontare la propria verità.

Il risultato è un progetto articolato in tre parti, in cui “la prima parte consiste in un’analisi degli attori coinvolti nello spettacolo”, racconta Rifici. “Dai loro lati nascosti si passa alla seconda fase, quella del lavoro sui personaggi: Macbeth vuole scoprire che cosa c’è oltre le cose conosciute, vuole distruggere il senso delle cose. La terza sezione è invece legata al mondo infero delle streghe, di Ecate, il mare nero nel quale nuota inconsapevolmente la collettività, la comunità degli uomini”.

Attraverso la chiave psicanalitica, il regista, seppur in modo diverso, pone a sé stesso e agli spettatori delle domande in relazione a quali possano essere i meccanismi che inducono alla sopraffazione, analizzando le ragioni che portano il re scozzese a trasformarsi in Divinità e, spinto anche dalla sua ambiziosa e feroce consorte, ad uccidere tutti quelli che si oppongono alle proprie mire. Ad introdurci nelle atmosfere è subito il monologo dell’attrice Maria Pilar Pérez Aspa, che approfondisce i motivi per cui Macbeth uccide le guardie che dovevano vegliare su re Duncan. Egli lo fa, ovviamente, per far cadere la colpa su di loro ma, ad alta voce, proclama che ha dovuto ucciderli perché si sentiva sopraffatto dal dolore e dalla rabbia per la morte violenta del suo re, che amava come un padre; dunque, la sua versione ancora una volta rende giustificabile la violenza.

Così le tematiche dell’ambizione, dell’adulto bambino che non teme le conseguenze dei propri atti, del legame con la sua terra, della seduzione femminile manipolatrice e del rapporto con il padre si riverberano dal privato di ognuno alla scena, nella quale i fatti della tragedia vengono rappresentati dagli stessi interpreti che si scambiano a turno le parti, immersi nell’acqua che scorre sul palcoscenico e nel video proiettato, simbolo inequivocabile dell’inconscio.

E alla fine, le parole di Lady Macbeth “chi poteva immaginare che il corpo del vecchio contenesse tanto sangue!”, riferite all’assassinio di re Duncan si fondono con il ricordo tanto impresso nella memoria di Tindaro Granata, di quando bambino, in Sicilia, assisteva all’uccisione del maiale, appeso a testa in giù, perché potesse uscire tutto il sangue, in modo che la carne non restasse amara.

Come un maiale verrà appeso, per i piedi, il cadavere nudo del figlio di Macduff, interpretato dal giovane Alessandro Bandini, coperto subito dopo dalle Streghe di vernice d’oro e trasformato in Ecate, la dea lunare, levatrice e accompagnatrice dei morti, che chiude lo spettacolo con un monologo sulla terra, sulla vita del verme farfalla, per ribadire che ogni cosa nel mondo non muore mai, ma si rigenera sempre.

Macbeth, le cose nascoste è certamente uno spettacolo di impatto che si presenta in modo originale nel solco di un teatro che richiama il rito, rivisitando il passato come fonte di conoscenza per la comprensione del presente e del nostro io più profondo.

C’è, naturalmente, da una parte la storia, quella del giovane che aspira al trono, una trama di violenza, dolore e morte, ma c’è anche la rivisitazione del proprio inconscio attraverso un processo fatto di scambi di idee ed esperienze basato sulla reale emotività degli attori e su quanto il Macbeth ha suscitato in loro. Un ponte tra passato e presente, tra mito e terra, per un ritorno alle radici alle quali continuiamo ad essere, inconsciamente, legati.

Apprezzabile il lavoro degli attori e lo sforzo di costruzione di una performance innovativa a fronte però di una struttura narrativa che rimane slegata, senza garantire la necessaria fluidità e la visione d’insieme, portando in secondo piano l’essenza del dramma.

data di pubblicazione:14/06/2021


Il nostro voto:

COMEDIANS di Gabriele Salvatores, 2021

COMEDIANS di Gabriele Salvatores, 2021

Versione cinematografica del claustrofobico testo teatrale di Griffiths già trampolino di lancio per Kamikazen. Sono passati trentatrè anni e ne hanno fatta di carriera i Bisio e i Rossi. Qui c’è la plumbea Milano e lo scontro tra due filosofie comiche, quella commerciale rappresentata da De Sica e quella umanista/progressista di Balasso. Al pari col passo dei tempi naturalmente vincerà la prima.

Un film di Salvatores che, senza imbarazzi, si può definire minore per la portata ridotta dell’ambizione e per la mutualità da una trama, già abbastanza consunta. Il climax in un minuto di sapiente botta e risposta tra Balasso e De Sica, i due poli dell’attrazione, due diversi maestri (sta a al pubblico individuare quale il buono e il cattivo) in una tenzone fatta di sfottò, un dialogo costruitissimo in cui però invano si rintraccia la plume di Gino e Michele, antichi consigliori del regista milanese. Quelli che provinano non sono “Artisti sotto la tenda di un circo” di klugiana memoria ma semi-dilettanti che cercano il posto al sole di una comparsata in un programma televisivo o un primo contratto professionale. Rientrando sotto la tutela di un impresario senza troppi scrupoli ma con tanto mestiere. Alla fine da questa tonnara senza pudore, ricca di frustrazioni e risentimenti, saranno due a sfrecciare vincitori. Ma con l’amarezza del contorno, della rabbia degli sconfitti. Metafora della vita la parte più interessante è l’approccio alla serata test. Poi dell’esibizione vengono mostrati solo pochi significativi spezzoni. Si attinge senza pudore a un repertorio di barzellette più che note dove il sesso e l’impudicizia la fanno da padroni. A volte con scarso gusto. La musica di Tom Waits apre e chiude il film e rappresenta una stampella non indifferente per un’opera che fa fatica a munirsi di una qualsiasi ambizione di novità. Tentativo resipiscente di un mondo che forse non esiste già più in un film che piacerà soprattutto agli appassionati di teatro e che farà molta fatica a trovare una posizione di rilievo nel box office.

data di pubblicazione:14/06/2021


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VELENO di Hugo Berkeley – Prime Video, 2021

VELENO di Hugo Berkeley – Prime Video, 2021

La serie “Veleno”, targata Amazon Prime, racconta in cinque episodi una vicenda giudiziaria discussa e controversa, passata agli annali come la storia dei “diavoli della bassa modenese”.

Tra il 1997 e 1998 il fazzoletto di terra delimitato dai comuni di Mirandola, Finale Emilia e Massa Finalese si macchia di orrore. Alcuni genitori sono accusati di abusi sessuali nei confronti dei figli minori: le indagini, proseguendo sul filo di un incontrollabile effetto domino, conducono a episodi di pedofilia e satanismo, che dal buio delle case e dei casolari giunge fino al teatro lugubre dei cimiteri.

I bambini parlano, raccontano, si liberano di un peso opprimente.

Gli assistenti sociali ascoltano, domandano, seguono le fila di un racconto che diviene sempre più sconvolgente.

I genitori negano, si disperano, cercano di sfuggire alla morsa di processi in cui la condanna sembra scritta fin dalle battute iniziali.

Una madre accusata si lascia cadere dal balcone. Don Giorgio Govoni, il parroco “alternativo” di San Biagio, indicato da alcuni bambini come il sacerdote delle messe nere durante le quali gli stessi venivano abusati sessualmente e uccisi, muore di infarto. Tutti i genitori coinvolti sono allontanati dai propri figli. Le piccole vittime cercano, a fatica, di tornare a galla dopo l’abisso di tenebre e sofferenza nel quale sono sprofondate.

Proprio quando queste storie sembravano sommerse dalla polvere e dal buio di un passato dimenticato, il giornalista Pablo Trincia si imbatte in una trama che gli sembra contradditoria e lacunosa. Studia il caso, incontra alcuni dei suoi protagonisti e nel 2017 pubblica il poadcast “Veleno”, da cui sarà tratto nel 2019 l’omonimo libro e che rappresenta anche la base su cui è costruita la serie Amazon. Sempre nel 2019, poi, i giornali iniziano a parlare del “caso Bibbiano” e degli affidi irregolari che, di nuovo, tornano a scuotere la tranquillità della provincia di Reggio Emilia.

Il merito di “Veleno” è quello di restituire la complessità di una storia che non si presta né ad essere banalizzata né a trovarsi costretta nelle pastoie binarie del “vero-falso” o del “giusto-sbagliato”. Lo spettatore ha l’impressione di trovarsi di fronte a un’atmosfera pirandelliana, degna de “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero”: ognuno con la sua verità e le sue ragioni, tante versioni tutte a loro modo convincenti. Cambiando prospettiva, cambia anche la “verità”.

La psicologa Valeria Donati si trova messa impietosamente sotto accusa, ma “Veleno” le dà la possibilità di replicare. Alcuni dei bambini, a partire da Davide, il “paziente zero” che con le sue dichiarazioni ha avviato il contagio dei diavoli della bassa modenese, avanza dei dubbi sulla genuinità delle proprie dichiarazioni, ma altre bambine, ormai donne, confermano gli abusi e rivendicano con forza il proprio ruolo di vittime (non di carnefici).

Allo spettatore, allora, non resta che dubitare. Dubitare di una macchina giudiziaria che è in grado di stritolare chi si trovi nel mezzo dei suoi implacabili ingranaggi, ma dubitare anche di letture che, è il caso di dirlo, potrebbero correre il rischio di “gettare via il bambino con tutta l’acqua sporca”.

data di pubblicazione: 14/06/2021