E NON NE RIMASE NESSUNO…DIECI PICCOLI INDIANI, di Agatha Christie, traduzione di Edoardo Erba, con Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini, Massimo Reale, Linda Manganelli, Mario Scaletta, Ruben Rigillo, Fabrizio Bordignon, Enrico Ottaviano, Francesco Maccarinelli e Giuditta Cambi, regia di Anna Masullo

E NON NE RIMASE NESSUNO…DIECI PICCOLI INDIANI, di Agatha Christie, traduzione di Edoardo Erba, con Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini, Massimo Reale, Linda Manganelli, Mario Scaletta, Ruben Rigillo, Fabrizio Bordignon, Enrico Ottaviano, Francesco Maccarinelli e Giuditta Cambi, regia di Anna Masullo

(Teatro Sala Umberto – Roma, 25/30 gennaio 2022)

Un classico del teatro della regina del giallo. Con un finale noi da non spoilerare. Regia classica con la massima fedeltà nel testo..

Curiosità per il debutto dell’esperto Rigillo (qui con famiglia) nel teatro di genere per un classico evergreen su cui non si deposita la tentazione dell’attualizzazione. Personaggi tagliati con l’accetta per un plot a eliminazione progressiva. Spettacolo che non teme la durata (finisce poco prima di mezzanotte) e con rarefazione crescente mano a mano che si sfoltisce la congerie degli invitati a un misterioso raduno su un’isola non prima di insidie. Dove si uccide nei modi più disparati: di coltello, di pistola, con misteriosi quanto inspiegabili avvelenamenti. Ognuno dei presenti ha uno scheletro nell’armadio e anche piuttosto pesante: un omicidio. Per tenere insieme la narrazione occorre indulgere nei trucchi di mestiere della Christie dove non tutto è spiegabile e suadente ma se si presta fede al suo incedere la suspense cresce e conduce nei pressi della soluzione. Non c’è dubbio che per la fruizione sia indispensabile l’adesione al mood un po’ datato dell’autrice, ben sposato con le scelte registiche. Ricorderete che oggi il titolo può incappare nel politicamente corretto. Nell’originale i niggers (negri) è stato sostituito dagli indiani ma non c’è dubbio che lo stigma può riguardare oggi anche i nativi d’America. Rigillo ben si incastona nel cast sena sottolineature e sovra-toni. La proposta era già transitata al teatro Ciak e non c’è dubbio che nei tempi attuali di crisi possa trovare adesioni in tutta Italia visto che si racconta una storia immortale a tenuta illimitata.

data di pubblicazione:26/01/2022


Il nostro voto:

ONE SECOND di Zhang Yimou, 2022

ONE SECOND di Zhang Yimou, 2022

Cina, sul finire degli anni della Rivoluzione Culturale. Un paesaggio desertico e solitario, un villaggio sperduto nella desolazione. Un evaso da un campo di rieducazione (Zhang Yi) ed una intraprendente ragazzina (Liu Hao-Cun) si disputano una bobina di un film di propaganda, ognuno con scopi diversi, entrambi però per amore. Lo spunto per una storia epica e corale sul fascino del Cinema e sul suo potere come fabbrica di sogni o di illusioni individuali e collettive …

 

Presentata e vista alla recente Festa del Cinema di Roma dove era stata accolta con discordi giudizi dalla Critica Ufficiale, è (ed ancora resiste ammirevolmente, segno questo di una più che positiva accoglienza da parte del pubblico) sui nostri schermi cinematografici l’ultima opera del tanto celebrato regista cinese. La pellicola era già stata programmata per la Berlinale 2019, ritirata però all’ultimo minuto è stata poi rielaborata, rimontata con l’aggiunta di nuove scene ed infine è finalmente uscita in Cina solo alla fine del 2020.

Il regista di Sorgo Rosso (1987), Lanterne Rosse (1991), La Foresta dei Pugnali Volanti (2004) torna nuovamente al cinema d’autore e di qualità dopo le recenti e non certo memorabili escursioni nel mondo dei Blockbusters con divi americani. Il cineasta dimostra di avere ancora talento da spendere e storie da raccontare e ci regala una vicenda che porta tutti quei tratti distintivi che sono poi il suo marchio di fabbrica: un mix di tenerezza all’interno di una visuale epica ed immersiva che lascia però anche spazi alle emozioni intime. Pochi come lui sono maestri nell’arte del narrare e del rappresentare visivamente una storia. Il risultato è quindi un film tutto da ammirare, una gioia per gli occhi con immagini e riprese che catturano lo spettatore ed una storia accattivante. Un vero ritorno alle origini usando il realismo cinematografico per una vicenda edificante.

Un film politico, perché mostra la propaganda dell’epoca della Rivoluzione Culturale che agisce sulle masse rurali tramite il Cinema ed il fervente impegno di un proiezionista nei più sperduti villaggi. Al contempo anche un’intensa ed a tratti commovente e poetica lettera d’amore per il Cinema ed un magnifico, tenero racconto sull’incontro/scontro di una giovane orfana ed un padre evaso per poter vedere proiettati i pochi fotogrammi di un cinegiornale in cui appare l’immagine di sua figlia che non vede da anni. Il tutto sullo sfondo di un paesaggio desertico tanto desolato quanto anche suggestivo ed affascinante. Zhang Yimou ritrova veramente il talento narrativo che lo aveva fatto apprezzare fin dai tempi dei suoi primi capolavori. Le scene nel deserto sono tutte magnifiche, come pure quelle corali delle decine di abitanti del villaggio impegnati a ripulire la pellicola che doveva essere proiettata in una specie di Cinema Paradiso ai bordi del Deserto del Gobi, fra desolazione, povertà dignitosa ed entusiasmi per la Magia dello schermo che s’illumina di immagini in movimento.

Se la prima parte del film è centrata sul susseguirsi di vicende, talora comiche, relative ad un rullo di pellicola rubato ed al suo continuo passare di mano, nella seconda parte, il tono generale del lavoro sale assolutamente di qualità e di intensità emotiva con un afflato poetico, epico e tenero e con scene corali, sequenze, movimenti ed inquadrature di puro ed assoluto talento. Magia cinematografica rappresentata ed al contempo anche realizzata!

Il regista opera e guarda con la mano e con l’occhio dei suoi tempi migliori.

Una grande fascinazione che veramente cattura lo spettatore che ama il Cinema, lo ammalia, lo affascina attenuando così di molto quella sottile e maligna sensazione di artificiosità programmatica che un finale “un po’ artificiale e sottilmente politico” ingenera al termine del film.

data di pubblicazione:24/01/2022


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VITE DI GINIUS scritto, diretto e interpretato da Max Mazzotta, produzione Libero Teatro

VITE DI GINIUS scritto, diretto e interpretato da Max Mazzotta, produzione Libero Teatro

(Sala Umberto – Roma, 17 gennaio 2022)

Il monologo scritto dall’artista cosentino Max Mazzotta è un laboratorio complesso di immagini, suoni e linguaggi. È il racconto di un’anima condannata a vagare da un’esistenza all’altra finché un gesto compiuto per amore non le restituisce la pace.

 

Per seguire il monologo di Max Mazzotta bisognerebbe stare in una condizione temporanea di alterazione. Una mente vigile e razionale fa fatica a seguire il turbinio delle immagini, dei suoni e dei molteplici linguaggi usati dall’attore. Il dinamismo visivo e sonoro contrasta con la staticità dell’attore, fermo in un punto del palco, come sospeso in un universo luminoso. La sua statura vocale cavalca le più svariate espressioni linguistiche, dalla prosa dialettale ai versi poetici fino all’invenzione di una nuova lingua. L’impatto con i primi momenti dello spettacolo è violento. È come se improvvisamente la materia attorno esplodesse in mille pezzi, riportando a un grado zero lo spazio e il tempo in cui siamo immersi. Il contributo alla creazione di questo stato allucinatorio è anche di Serafino Sprovieri alla consolle luci/video e di Vladimir Costabile a quella audio.

Vite di Ginius racconta il viaggio metafisico di un’anima, condannata a reincarnarsi in esistenze vigliacche e meschine, fino a che un gesto ultimo, eroico e coraggioso, non la redime dagli errori commessi. L’anima mantiene la sua coscienza ma non il suo corpo, così è costretta a ripercorrere nel ricordo chi è stata nell’arco di mille lunghi anni.

Nella prima vita era un’anziana signora calabrese che si ritrova spettatrice inerme di un tragico incidente da lei in qualche modo causato. Negando a un bambino un po’ di quell’acqua con la quale aveva riempito la sua brocca, questo si sporge e cade nel pozzo dove lei aveva appena pescato. La memoria fa poi un salto di qualche decennio e ci ritroviamo nel negozio di calzature di Nanni, nella Roma degli anni ’60. Anche questa volta il passaggio dell’anima sulla terra si risolve con un atto di vigliaccheria. Nanni infatti rifiuta di difendere una ragazza innamorata di lui, uccisa dalle percosse a cui la sottoponeva il fratello. Il tema della violenza tra fratelli ritorna nella storia successiva, svolta ai giorni nostri. Gianni è geloso di Nino, soprattutto perché bisognoso di attenzioni. L’invidia lo consuma e, in seguito a un improvviso attacco di rabbia, lo costringe a compiere l’atto fratricida.

L’anima infine si incarna nel corpo di un militare assoldato dal più crudele e rigido dei governi alla fine del terzo millennio, una sorta di cervello informatico che comanda di eliminare qualsiasi tipo di sovversione. La morte doveva colpire Nina, ma lei riconosce nello sguardo del suo carnefice l’uomo che nelle vite precedenti aveva rifiutato di aiutarla. Ginius si commuove e la salva, facendole da scudo con il suo corpo quando la macchina spara il suo colpo mortale. Questo atto di altruismo lo libera e finalmente può ricongiungersi con la materia che forma l’universo e continuare il suo viaggio infinito nella pace e nel riposo. Il limbo in cui ci aveva trascinato Max Mazzotta all’inizio trova quindi la sua spiegazione. Tutto è compreso tra ciò che è immanente, la nostra vita sulla terra, e ciò che ci trascende, una volontà giudicante che aspetta di vederci compiere un gesto eroico e di giustizia.

data di pubblicazione:24/01/2022


Il nostro voto:

IL DIAVOLO E L’ACQUA SCURA – di Stuart Turton  –  Neri Pozza editore, 2022

IL DIAVOLO E L’ACQUA SCURA – di Stuart Turton – Neri Pozza editore, 2022

Dopo aver indubbiamente apprezzato il successo di critica e di pubblico del romanzo di esordio di Stuart Turton Le 7 morti di Evelyn Hardcastle, non si poteva non avere qualche timore nel valutare la sua opera seconda.

Questa volta la storia ha luogo nel 1634 ed è ambientata su un veliero della Compagnia Olandese delle Indie Orientali in viaggio da Batavia verso Amsterdam. Il Governatore, sua moglie ed altri notabili sono a bordo per fare ritorno in patria, fra loro anche il più rinomato investigatore dell’epoca Samuel Pipps ed il suo aiutante Arent Hayes. L’investigatore è però rinchiuso in catene, ed il suo assistente deve cercare di chiarire i misteriosi eventi e le diaboliche entità che incombono sulla nave durante la lunga e pericolosa navigazione. Brillante idea! Indagine in un contesto “chiuso” che più chiuso e definito di una nave non può essere. Un mystery navale con toni di sovrannaturale e di fantasy. Assassinii, intrighi, atmosfere gotiche e surreali, ammutinamenti … un caos in cui nulla è come sembra essere.

Non si può evitare di fare riferimento al romanzo d’esordio visto che i due lavori si somigliano tanto quanto, al tempo stesso, differiscono però fra loro. Se il primo era un mystery ed un poliziesco ad enigmi che ricordava molto le atmosfere e le inchieste alla Agatha Christie e di Hercule Poirot, questo nuovo lavoro del nostro autore si rifà invece alle atmosfere ed alle inchieste di Conan Doyle e del suo Sherlock Holmes. Tutto il processo investigativo teso a risolvere i misteri che si addensano sulla nave riprende infatti i percorsi di analisi deduttiva e riflessione propri dell’investigatore di Conan Doyle. Turton è però scrittore abile ed astuto, ed anche questa volta mette del suo in modo molto intrigante, dando spazio e rilievo investigativo (sia pure anacronisticamente con l’Epoca) ai personaggi femminili, tutti dotati di forte personalità, indipendenza e libertà di comportamento. Il nuovo libro si presenta quindi come un discreto mix di Sherlock Holmes, di Stephen King e dei … Pirati nei Caraibi.

È evidente che quest’opera seconda, pur non essendo mai banale è però molto più convenzionale. Lo stile descrittivo, diretto e preciso, la scrittura accessibile ed accattivante restano apparentemente identiche ed apprezzabili. Però, c’è un però, mancano la briosità, l’originalità nella costruzione del plot e la vivacità narrativa che avevano determinato il gran successo dell’esordio. L’intrigo è certamente meno complicato, più accessibile e quindi la lettura del libro è meno impegnativa e di conseguenza scorrevole, però il romanzo è troppo lungo e spesso Turton perde anche la rotta. Troppi personaggi secondari si accavallano fra loro, troppe inutili false piste, troppo pochi i momenti intriganti e troppi quelli noiosi e ripetitivi, troppi e gratuiti gli anacronismi. Il finale poi risulta troppo debole, folle e caotico, quasi affrettato.

Insomma non una delusione, questo non si può certo dire, perché il libro si legge pur tuttavia piacevolmente, ma siamo molto, molto lontani dal precedente. Il Diavolo e l’Acqua Scura è dunque solo un normale romanzo fra il fantastico ed il poliziesco che può essere gradevole a leggersi e proprio nulla di più. Difficile fare il bis quando si è debuttato con i fuochi d’artificio.

data di pubblicazione:23/01/2022

DARWIN INCONSOLABILE di Lucia Calamaro

DARWIN INCONSOLABILE di Lucia Calamaro

(Teatro India – Roma, 9/23 gennaio 2022)

In scena al Teatro India di Roma Darwin Inconsolabile (un pezzo per anime in pena)scritto e diretto da Lucia Calamaro con Maria Grazia Sughi, Riccardo Goretti, Gioia Salvatori e Simona Senzacqua.Maria Grazia, ottantenne artista performativa, mette in scena la rappresentazione della sua inevitabile morte, o presunta tale, per cercare di attirare l’attenzione dei suoi tre figli. Una storia di una famiglia in cui riconoscere le nevrosi e gli stili di vita della nostra quotidianità, raccontata con pungente ironia e forte empatia, senza giudizi o prese di posizione ma con grande umanità (foto Laura Farneti)

 

Darwin inconsolabile è l’ultima interessantissima pièce di Lucia Calamaro, drammaturga, attrice e regista di fama internazionale, in scena al Teatro India fino al 23 gennaio.

Darwin è un nome-metafora, ossia l’evoluzione ed involuzione della specie umana, così come inconsolabile è l’aggettivo-metafora e dei personaggi in scena: l’inconsolabilità della madre viene dal sentimento di solitudine, che si contrappone all’indifferenza o al presunto sapere dei figli.

Si inizia in un supermercato con due carrelli colmi di acquisti, con gli animi già esasperati. La spesa in sé e le connessioni sottostanti aprono svariati vasi di Pandora. Uno dopo l’altro i tre fratelli, (Riccardo Goretti, Simona Senzacqua e Gioia Salvatori), discutono animatamente tra loro e con la madre, si allontanano e si avvicinano, fuggono. Rimane Maria Grazia Sughi, madre artista visivo-performativa che progetta una “tanatosi”, finta morte praticata da alcuni animali per difendersi dai predatori, allo scopo di riavvicinare i figli a sé. È una morte imminente di crepacuore, quella che annuncia, a cui quasi nessuno sembra credere veramente, tranne Gioia, vittima di un rapporto irrisolto con la madre.

I fratelli si scontrano, ciascuno scaricando sugli altri i propri tormenti esistenziali, tra cui l’astio per una madre bugiarda e lontana, infelici nella componente affettiva ed incapaci di individuare il proprio ruolo e la propria dimensione nel contesto che li circonda.

Nell’appartamento dove la madre si appresta a recitare la propria dipartita, si accatastano intanto le opere della gioventù di Maria Grazia da lei richieste al suo fianco per accompagnarla nel viaggio che l’attende. È proprio in questo luogo sulla soglia, di passaggio, che restano per un lungo tempo da soli Gioia, Riccardo e Simona, a vivisezionare il loro rapporto, ciò che non li lega più e a rinfacciarsi le rispettive mancanze avute nei confronti della madre. Riccardo è un frustrato maestro elementare e soffre da sempre la gravità della componente femminile, Simona è la madre matura e ostetrica, ambientalista irrisolta e confusa, Gioia invece, solo con la morte annunciata della genitrice si rende conto di essere una sorella, non si era infatti mai percepita tale. Con scrupolosa analisi, ricercatezza di metafore e indagine speculativa, passano in rassegna la loro esistenza giungendo a parlare di un inedito manoscritto di Darwin de L’Origine della specie, consegnato da un amico a Maria Grazia in persona, durante una delle sue avventure artistiche e sentimentali, divenuto per loro manuale di vita. Peccato che si tratti di un falso, come confessa la madre, da lei stessa redatto.

Nessuno dei tre figli accetta che la madre abbia loro comunicato che il suo cuore non regge più, è stanco, e potrebbe morire. Quando? Non si sa, ora come domani, ciò che conta è la consapevolezza della precarietà, della fine. Potrebbe esser un monito, un richiamo, un avvertimento, una metafora spiega la regista. “Una madre che simboleggia il pianeta? Forse. Dei figli che simboleggiano noi? Può essere. Ma nessuno, di certo la bontà. Né la colpa. O il destino. Nessuno è vittima. Tutti sono creatura e natura, e hanno le loro strategie di sopravvivenza predatorie”.

data di pubblicazione:23/01/2022


Il nostro voto:

FASCISMO MAINSTREAM di Valerio Renzi – Fandango, 2020

FASCISMO MAINSTREAM di Valerio Renzi – Fandango, 2020

Un attualissimo pamphlet su un bubbone non completamente espulso dal dibattito contemporaneo anzi, più che mai attuale vista anche la risonanza rivalutata come la questione del Fascismo eterno, evocata dal compianto Umberto Eco. In un’analisi a tutto tondo Renzi indaga sulle varie forme di diffusione della dottrina politica che imbalsamò l’Italia per più di un ventennio, costringendo il Paese a una gravosa seconda guerra mondiale il cui senso, per certi versi, ha riflessi ancora presenti nella psiche di chi l’ha vissuta. Ma l’attenzione è più che altro rivolta ai riflessi odierni, ai vari filoni di diffusione di un’ideologia che si è avvalsa anche del contributo di punti di riferimento epocali come Julius Evola. La panoramica è globalizzata perché allargata all’orizzonte statunitense, con la particolarissima deriva trumpiana. Renzi si diffonde sul tramonto della religione antifascista di Stato dove l’anti spesso risulta un’etichetta vuota sotto la cui bandiera un po’ tutti possono riconoscersi. Sostiene la difficile esistenza nel Paese di una destra moderata, equilibrata e istituzionale. Rintraccia le contraddizioni nei partiti della destra coalizzata che, formalmente mettono al bando, gli estremisti ma poi se ne avvantaggiano come possibile serbatoio di voto. Mette a frutto la propria esperienza nel descrivere la deriva della destra con infiniti distinguo e sottili differenze. Una galassia sfrangiata in cui convivono come brodo di cultura riferimenti storici, ribellismo, movimentismo, la rivalutazione del concetto di patria. Dalla Meloni a Casapound passando per Roberto Fiore. Analisi non cristallizzata vista anche la cartina di tornasole del movimento no vax vistosamente influenzato dalla destra, propenso a momenti eversivi. Con Draghi configurato addirittura come il Diavolo, in sostituzione del deposto Conte. Una piazza in fermento, agitata e tutt’altro che disponibile a una riconciliazione istituzionale constatate anche le spinte razziste che spesso la animano.

data di pubblicazione:22/01/2022

SUPEREROI di Paolo Genovese, 2022

SUPEREROI di Paolo Genovese, 2022

Supereroi è il film perfetto per tutte quelle persone che amano il cinema solo sotto l’aspetto dell’evasione e che non hanno voglia di interrogarsi troppo (correndo magari l’atroce rischio di un responso finale negativo!), astenendosi dalla visione di storie troppo crude in questo periodo così doloroso per ognuno di noi. Ecco allora, per questo tipo di pubblico e non solo, la classica storia d’amore adatta a tutte le età, senza troppi colpi di scena e abbastanza prevedibile sul finale, seppur ben costruita, con due interpreti bravi ed una ambientazione molto “giusta”.

 

 

Milano. Marco (Alessandro Borghi) e Anna (Jasmine Trinca) si incontrano in un giorno di pioggia, mentre tentano di ripararsi sotto un portone. Lei è una fumettista, creativa e geniale, lui un insegnante universitario di fisica: due poli opposti che si attraggono inevitabilmente. Marco è un sostenitore del concetto che tutto può essere spiegato come un teorema, in maniera scientifica e razionale, anche nella vita e negli incontri personali; Anna, al contrario, è quanto di più lontano da tutto questo, impaurita dal futuro e concentrata solo sul presente (niente male come approccio alla vita, però!). Eppure i due finiscono per amarsi e crescere reciprocamente, mettendo a dura prova, ed in alcuni casi rivedendo, tutti i loro personali convincimenti.

Il concetto del film è ben espresso nel titolo: le coppie che resistono nel tempo (“una coppia è tale se dura. Altrimenti sono solo due persone che stanno insieme”), senza che il loro amore venga logorato dai segreti, dalle bugie e dai litigi, sono i veri supereroi come quelli che animano le strisce di fumetti che Anna, in arte Drusilla, disegna per il giornale per cui lavora. E così il film, girato sovrapponendo fumetti a vita reale e passato al presente nell’arco di vent’anni, ci racconta come due persone tanto diverse tra loro seppur “sprovviste di superpoteri” riescano ugualmente a sopravvivere agli imprevisti della vita, affrontando tutte le tappe della loro storia d’amore e superando tutti i problemi… o quasi.

Ambientato prima della pandemia tra Milano, Ponza, Marrakech e Copenhagen, il film sembra sospeso nel limbo dell’irreale e purtroppo non solo a causa dell’uscita tardiva, regalando (forse) un po’ di serenità per tutta la sua durata, come se stessimo sfogliando con nostalgia un album di fotografie di due persone che si sono molto amate in un tempo, in cui tutto era possibile e che ora ci sembra tanto lontano.

La dimensione del film, nonostante si parli di una coppia, è corale: un gruppo di attori supporta i due protagonisti, in cui Borghi sembra emergere (la sua imitazione del balletto di Hugh Grant in Love Actually è molto carina); degno anche di nota il cameo di Elena Sofia Ricci. Una canzone di Ultimo tratteggia i titoli di coda. Abbiamo ora/avevamo prima bisogno di questo?

Al pubblico la sentenza.

data di pubblicazione:22/01/2022


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MIRACOLI METROLITANI a cura di Carrozzeria Orfeo, drammaturgia di Gabriele Di Luca, regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi, con Elisa Bossi, Ambra Chiarello, Federico Gatti, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti,  Fderico Vanni, Aleph Viola

MIRACOLI METROLITANI a cura di Carrozzeria Orfeo, drammaturgia di Gabriele Di Luca, regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi, con Elisa Bossi, Ambra Chiarello, Federico Gatti, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Fderico Vanni, Aleph Viola

(Teatro Vascello – Roma, 11/23 gennaio 2022)

Black comedy con venature filosofiche. Due ore e pezzo performate senza risparmio da una delle compagnie di maggiore vivacità della scena italiana.

 

Il ritmo forsennatamente adrenalinico della prima mezz’ora quasi travolge lo spettatore che a volte non riesce a seguire il ritmo della controbattuta nei dialogo a due. In una squallida carrozzeria la filosofia dominante del cibo d’asporto contribuisce a minare i fragili equilibri di una famiglia, costretta a barcamenarsi con i rider, con un figlio di non preclara intelligenza, con la bipolarità di un’aspirante suicida e con le tendenze illegali di un collaboratore che entra ed esce di galera. Come si legge la deflagrazione è vicina mentre l’atmosfera esterna è quasi altrettanto irrespirabile. Tra escrementi che fuoriescono dalle fogne. Il personaggio dominante è l’arrampicatrice sociale, metafora di un mondo dell’immagine tutto apparenza e niente sostanza. Clara, ex lavapiatti, cova il sogno spuntato di un’ascesa sociale mentre tutto le rovina intorno. Nella seconda parte a scenografia intatta lo spettacolo prende un altro ritmo, più meditativo. Con frequenti rimandi a Camus e all’esistenzialismo. Qualche pezzo d’arte che forse meriterebbe più asciuttezza. Nessuno spoiler per il finale che non si sa che direzione può prendere. In effetti al bivio le divaricazioni possibili sono tante. Però mentre si attende una conclusione verosimile le diversioni sono molteplici in un eterno rimando. Come se la scena non avesse voglia di chiudersi. Generosità per eccesso della compagnia con personalità spiccate ma perfettamente sinergiche. E la gioia di trovare un teatro pieno e entusiasta dopo una settimana di programmazione. La capacità di vedere lontano del Vascello. La compagnia in altre stagione si era esibita al Piccolo Eliseo, ora piccola pertinenza di un affare da 24 milioni, affidato a un’agenzia immobiliare per ricchi.

data di pubblicazione:19/01/2022


Il nostro voto:

AMERICA LATINA dei fratelli D’Innocenzo, 2022

AMERICA LATINA dei fratelli D’Innocenzo, 2022

Massimo Sisti è un dentista di Latina, con uno studio avviato, due valide collaboratrici, una villa con piscina e, soprattutto, una bella famiglia: due figlie ben educate ed una moglie amorevole. La sua vita cambia repentinamente quando un giorno scopre nella cantina di casa sua, dove era sceso per prendere una lampadina, una bambina legata e imbavagliata che chiede aiuto…

 

Con America Latina i fratelli D’Innocenzo ci traghettano in un incubo, quello in cui cade il protagonista che, forse, si dissolverà solo sul finale. In anni in cui l’isolamento e la paura sono divenuti temi universali a causa della pandemia, concordo con la definizione di una spettatrice che ha definito il film “repulsivo” perché i registi affondano il coltello in una ferita ancora aperta mettendo in scena la vita di un uomo alimentata proprio dalla solitudine, dalla paura, dall’isolamento. La storia è ambientata nella provincia laziale, tra un bar con luci al neon, cani che abbaiano dietro le inferriate, strade vuote e dissestate, una villa isolata nel silenzio assordante di un terreno bonificato che nasconde la “palude” in cui naviga il subconscio del protagonista, in un incubo fatto di amore e disperazione, di incomunicabilità e terrore da cui sembra non esserci via d’uscita. Una cantina diviene lo specchio interiore dei dissesti emotivi di Massimo (un’altra memorabile interpretazione di Elio Germano), uomo mite con una vita e comportamenti regolari, una persona tranquilla che tuttavia nasconde dei traumi (forse a causa di un rapporto burrascoso con il padre o per l’assenza di una vera e propria vita sociale avendo come unico svago delle bevute serali con il vecchio amico d’infanzia Simone), ma che l’abbraccio amorevole di sua moglie Alessandra e l’affetto delle figlie Ilenia e Laura riescono a placare.

I fratelli D’Innocenzo affrontano, dopo Favolacce, nuovamente il disagio (e la locandina ci svela già qualcosa) ma questa volta sotto un’angolatura diversa, in cui gli adulti sono protagonisti e si muovono in un contesto sociale diverso, tuttavia con la stessa algida analisi nei confronti di una società senza spessore, con una povertà interiore, dando vita ad una storia disturbante che scatena una innegabile sensazione di fastidio ed orrore, ma che ha anche il pregio di rimanere impressa nella memoria come il respiro via via più ansimante del suo protagonista.

Il film, presentato alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è da qualche giorno nelle sale. Sicuramente un film articolato, profondo, complesso, con metafore e significati nascosti, dalla lenta elaborazione, di cui se ne consiglia vivamente la visione perché il cinema dei talentuosi gemelli D’Innocenzo è un cinema ricco di dettagli molto significativi, tagliente, nuovo, spietato e umano al tempo stesso, e che ha il rarissimo pregio di alzare ogni volta l’asticella di quel tanto per continuare a superare se stesso ed andare avanti.

data di pubblicazione:17/01/2022


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PIAZZA DEGLI EROI di Thomas Bernhard, regia di Roberto Andò – traduzione di Roberto Menin, con Renato Carpentieri

PIAZZA DEGLI EROI di Thomas Bernhard, regia di Roberto Andò – traduzione di Roberto Menin, con Renato Carpentieri

(Teatro Argentina – Roma, 12/23 gennaio 2022)

A un anno dal debutto televisivo, Piazza degli eroi (Heldenplatz) di Thomas Bernhard arriva sulle tavole del Teatro Argentina di Roma, nella visione metaforica del regista e direttore del Teatro di Napoli, Roberto Andò. Un dramma che denuncia apertamente il manifestarsi di nuovo in Europa di atteggiamenti antisemiti e fascisti, trent’anni fa come oggi.

 

“L’antisemitismo è tornato, è una nuvola nera sull’Europa.” Così tuonava un anno fa la scrittrice e poetessa Edith Bruck, sopravvissuta ai campi di concentramento, intervistata al Tg1 poco prima del 27 gennaio, Giorno della Memoria. Anche Thomas Bernhard lanciò lo stesso allarme nel 1988, pochi mesi prima di morire, scrivendo questo testo, Piazza degli Eroi, che Roberto Andò mette in scena oggi – per la prima volta in Italia – con la stessa lucida convinzione dell’autore. La storia non è maestra di vita. Semmai è il contenitore di un orrore mai del tutto cancellato – quello scatenato da una umanità impazzita durante il secondo conflitto mondiale – che torna a farsi sentire con uguale crudele intensità nonostante il tempo sia andato avanti. Il riproporsi dell’odio antisemita che animò la folla di Piazza degli Eroi a Vienna nel 1938, quando l’Austria venne annessa al Terzo Reich da Hitler, è lo stesso che portò Bernhard a scrivere quest’opera, ed è la causa che dà voce oggi ai movimenti reazionari e populisti di tutta Europa e non solo. Per questo il professor Josef Schuster ha scelto di suicidarsi, gettandosi da una delle finestre del suo appartamento che si affaccia proprio sulla piazza incriminata. Sarebbe dovuto tornare a Oxford, lì dove aveva già vissuto e insegnato, ma il gesto che ha compiuto cambia i piani della famiglia Schuster, costretta a rimanere in Austria. Si va in campagna a Neuhaus, lì dove, con la medesima intenzione di fuggire da un mondo incattivito, si era rifugiato Robert, il fratello del defunto Josef. È la signora Zittel, la governante di casa Schuster, a informarci di tutto nel primo dei tre quadri in cui è suddivisa l’opera. Attraverso il suo personaggio interpretato da Imma Villa, che racconta i fatti della famiglia senza essere per questo pettegola o civettuola, ma commiserante nei confronti del professore, veniamo a sapere molte cose del grande assente. Il professor Josef ingombra con il suo ricordo la vita di tutti, riempie i pensieri e anima i dialoghi degli altri personaggi. La scena è invasa dagli oggetti che gli sono appartenuti. Scarpe, camicie, abiti e documenti. Tra essi si aggira la figura di un pianista (Vincenzo Pasquariello), un personaggio fuori dell’elenco delle comparse appuntato dall’autore, ma usato qui dal regista come simbolo di un candore perduto. Invisibile agli altri protagonisti sulla scena, trova rifugio nella lettura e nella musica, unica arma di difesa del professore quando era ancora in vita. Anche Robert, il filosofo ritirato dal mondo, è tormentato dal ricordo del fratello. Renato Carpentieri interpreta il personaggio conferendogli un’apparente rassegnazione davanti alla stupidità umana che ripete i suoi crimini, ma che esplode con voce tonante di rabbia quando si trova a denunciare l’ottusità e la bruttezza di un mondo animato dalla megalomania sovranista, alimentata da uno pseudo socialismo corrotto dall’industria e dalla chiesa. La traduzione di Roberto Menin sottolinea in particolare l’aspetto politico del messaggio di denuncia portato avanti dal professor Robert Schuster. La protesta e la rivoluzione spettano ai giovani, alle due figlie di Josef, Anna e Olga, condannate a camminare in un bosco di alberi che non hanno più radici e dai quali cadono a pioggia solo foglie morte. L’Europa ha dimenticato il suo passato violento, per questo si ripete nell’errore e nella stupidità. L’incubo non è finito, è ancora presente. Le voci che ottenebrano la mente della vedova Schuster (Betti Pedrazzi) ne sono la prova tangibile. Lo strepito che veniva su dalla piazza nel 1938 agita ancora la sua mente e i suoi ricordi. La tragedia non è ancora finita. Ecco perché rappresentare Heldenplatz di Bernhard è necessario, e il contesto politico e sociale che stiamo vivendo presenta – come dice il regista – il “momento giusto e opportuno.” È necessario un importante sforzo di concentrazione per seguire questo spettacolo fino alla fine, ma il messaggio che trasmette, lucido e incontrovertibile, lascia provati e edificati allo stesso tempo. Il pericolo di una violenta virata a destra con tutto il suo bagaglio di disvalori razzisti e suprematisti esiste, non possiamo ignorare di essere stati avvisati.

data di pubblicazione:17/01/2022


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