È STATA LA MANO DI DIO di Paolo Sorrentino, 2021

È STATA LA MANO DI DIO di Paolo Sorrentino, 2021

Paolo Sorrentino racconta in maniera semplice, quasi scarna rispetto al suo stile, sé stesso e la sua famiglia d’origine, le sue passioni, la sua Napoli, il Napoli e Maradona, e di come a soli diciassette anni la sua vita prese una svolta inaspettata di crescita veloce e amara quando, in un solo giorno, il destino intrecciò passione e morte. Da quel momento Paolo, che nel film è Fabietto, dovrà sforzarsi di capire che essere abbandonati non è come rimanere soli perché si può comunque attingere a quel tesoro interiore, alimentato dai contesti familiari e sociali, e poterlo un giorno raccontare: “ma è mai possibile che ‘sta città nun te fa veni’ in mente niente ‘a raccunta’? A tieni qualcosa a raccunta’? E dimmella”.

 

Siamo a Napoli negli anni ottanta e Fabio Schisa (detto Fabietto) è uno studente di liceo classico che vive con i genitori Saverio e Maria, suo fratello Marchino e sua sorella Daniela, entrambi più grandi di lui. Saverio è direttore al Banco di Napoli, Maria casalinga, entrambi si interrogano su ciò che il ragazzo vorrà fare nella vita; ma Fabio, timido e impacciato come la maggior parte dei suoi coetanei, non ha delle aspirazioni precise ed osserva il mondo circostante con molta curiosità preferendo frequentare un giovane contrabbandiere che lo diverte molto o seguire le strampalate ambizioni cinematografiche del fratello che tenta, senza riuscire, di fare la comparsa in un film del grande Fellini. Il ragazzo però una certezza ce l’ha: la venerazione per Diego Armando Maradona, il “Pibe de oro”. Sono proprio quelli gli anni in cui il campione argentino verrà acquistato dal Napoli che vincerà di lì a poco lo scudetto, scrivendo la storia del calcio e di una certa napoletanità che per sempre rimarrà grata al grande campione.

Si piange e si ride, come raramente accade al cinema, in questo film in cui divertimento e tragedia, visione e realtà, superstizione e sensibilità si intrecciano, re-inventando il passato. Presentato al Festival di Venezia, dove la pellicola ha vinto il Premio della Giuria e Filippo Scotti (Fabietto) il Premio Marcello Mastroianni, È stata la mano di Dio è stato selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar 2022 nella sezione miglior film straniero.

La pellicola si discosta molto dalla precedente filmografia del regista partenopeo. Troviamo in essa solo in parte il mondo immaginifico e visionario di Sorrentino, soprattutto nella descrizioni di certi personaggi eccessivi come Alfredo, la Baronessa Focale, la donna più cattiva di Napoli, Marriettiello, Antonio Capuano o nel rapporto di grande affinità elettiva che Fabietto ha con la procace zia Patrizia (interpretata da una sorprendente Luisa Ranieri, bellissima e afflitta da una inconsolabile tristezza). Da lei il ragazzo (e non il solo) è sicuramente attratto, ma è anche l’unico a comprenderne il desiderio profondo di maternità che Patrizia tenterà di esaudire grazie ad improbabili incontri con San Gennaro “in persona” o alle apparizioni di un piccolo monaco portafortuna, figura esoterica della tradizione partenopea detto “O’munaciello”.

Il film è un malinconico e contagioso racconto di una vita familiare passata ma indelebile, inondata da una galleria di personaggi, alcuni veri e altri inventati o trasfigurati, come la sorella Daniela chiusa in bagno per tutto il film; una vita fatta innanzitutto di spensieratezza, allegria, di scherzi a parenti e vicini, di amore profondo per i propri genitori, ma anche di dolore sordo, di disorientamento ed abbandono. Il tutto si traduce in una sorta di confessione pubblica a posteriori, che arriva solo dopo aver ampiamente dimostrato di avere “qualcosa da raccontare” e che non fa che aggiungere interesse a ciò che Sorrentino vorrà ancora raccontarci.

data di pubblicazione:02/12/2021


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LUPIN di George Kay – Miniserie NETFLIX 2021, Seconda Stagione

LUPIN di George Kay – Miniserie NETFLIX 2021, Seconda Stagione

Proseguono le avventure di Assane Diop (Omar Sy) “ladro gentiluomo” emulo di Arsenio Lupin, anzi, riprendono proprio là ove erano state interrotte al termine della Prima Stagione con il rapimento del figlio di Assane … Riuscirà il nostro Assane/Lupin ad avere finalmente giustizia e rivendicare l’onore di uomo onesto del padre e sciogliere così la sua ossessione per la vendetta?

 

Con qualche mese di ritardo dalla sua uscita ad inizio Estate, abbiamo avuto modo di vedere la Seconda Stagione di LUPIN, la miniserie francese che ha risvegliato, con il suo discreto successo, la Lupin/Mania (basta passare in libreria e vedere quanti libri sul ladro gentiluomo sono stati ristampati anche qui in Italia).

Questa nuova serie si iscrive nella completa ed assoluta continuità della precedente. I cinque nuovi brevi episodi (ca. 45 minuti) conservano la stessa efficacia di mero divertimento e di passatempo gradevole che era e resta negli obiettivi concreti dei realizzatori. Un prodotto, come già dicevamo, che non vuole affatto essere un capolavoro ma che punta, nel suo genere, ad essere efficace, innovativo, piacevole e costruito proprio per essere tutto ciò che serve ad una Serie TV per arrivare a toccare un pubblico vasto, familiare ed intergenerazionale. Accennare cioè a tanti temi badando bene però a restare solo in superficie, avvalendosi di storie e personaggi legati agli archetipi ed ai clichè in un susseguirsi continuo di colpi di scena. L’equivalente 2.0 dei buoni vecchi feuilleton, i romanzi popolari d’appendice di fine Ottocento.

L’arco narrativo riprende proprio là dove si era interrotto, sulla spiaggia di Etretat con il rapimento del figlio di Assane/Lupin e prosegue poi a Parigi ed è altrettanto ricco di azione, ritmo, avventure e sorprese. Ovviamente l’effetto novità della prima Stagione si perde ed il plot è ormai conosciuto e “l’intrigo” è spesso prevedibile anche perché gli sceneggiatori giocano ormai a carte scoperte. Nell’insieme però la nuova miniserie resta ancora gradevole, con gli stessi pregi e gli stessi difetti, ed in più, maliziosamente, una Parigi notturna e diurna usata con una “ruffianeria” tanto piacevole a vedersi quanto smaccata nella realizzazione. Ci sono ovviamente delle incoerenze, delle situazioni poco credibili ed i personaggi di contorno continuano ad essere ancora disegnati in modo superficiale e manicheo, soprattutto fra i “cattivi”, e ad essere interpretati in modo altrettanto superficiale. Ma, quale è la Serie per famiglie che è totalmente priva degli stessi difetti? Quindi, visti gli obiettivi, tutti gli elementi possono essere tanto difetti quanto anche pregi al tempo stesso!

Rispetto alla Prima Stagione questa volta è però cresciuto il “taglio” internazionale, con l’uso (come dicevamo) di una Parigi da cartolina, il ricorso a scene d’azione o spettacolari molto ben confezionate per un prodotto televisivo, girate spesso anche in esterno e con un notevole ed evidente dispendio di mezzi e risorse investite.

Ovviamente al centro di tutto resta sempre lui, Omar Sy, affabile e sorridente, con il suo carisma, la sua simpatia, la sua fisicità e la sua caratterizzazione che riesce a rendere vivo, interessante ed accettabile il personaggio.

In conclusione una Seconda Stagione ancora una volta divertente, ironica ed intrigante che, comunque sia, cattura piacevolmente lo spettatore e … prelude già ad una Terza. Non sarà di certo la Serie del decennio né dell’anno, ma è piacevole da seguirsi e da scordarsi poi subito dopo, proprio come un feuilleton!

data di pubblicazione:29/11/2021

ANTICHI MAESTRI di Thomas Bernhard, drammaturgia di Fabrizio Sinisi, regia di Federico Tiezzi

ANTICHI MAESTRI di Thomas Bernhard, drammaturgia di Fabrizio Sinisi, regia di Federico Tiezzi

(Teatro Vascello – Roma, 23/28 novembre 2021)

Raggelante ma pur commovente invettiva del furente scrittore e drammaturgo austriaco contro il suo Paese. L’arte è povera e demitizzabile ma è pure uno dei pochi strumenti di salvezza e riscatto..

Tre attori (due parlanti, uno muto) rivolgono per quasi tutta la durata dello spettacolo le spalle al pubblico. Si girano quando parlano tra loro anche se c’è sentore di monologo. Il resto del tempo è dedicato all’osservazione di un quadro nella più prestigiosa Pinacoteca di Vienna, pluricitata. L’ipocondriaco protagonista riflette sulla mediocrità di quello che lo circonda trovando un sia pur momentaneo sollievo nella Sala Bordone dove riflette sull’insopportabilità dell’Austria, sui suoi troppo esaltati artisti. Un elogio della solitudine un po’ paranoica che diventa la metafora dell’esilianda condizione umana. Gli antichi maestri sono consolatori anche se hanno chiari limiti. Dunque Beethoven, Mozart, Durer sono oggetti di feroci stilettate del severo recensore che appare afflitto da depressione (ha perso la moglie) ma conserva lucidità e un perfido spirito critico. Drammaturgia ineffabile e quanto mai attuale. Il rito della visita alla Pinacoteca si ripete immancabilmente da trent’anni, seguito dalla permanenza in un albergo viennese. Abitudini che aiutano a vivere mentre la vita scorre accanto insolente. Nulla sfugge alla banalità dell’esistenza, neanche i divertimenti del Prater. Ma poi c’è da accontentarsi cercando compagnia in un teatro per assistere a uno spettacolo di Kleist. Tempi drammaturgici perfetti per un’opera di rara concisione ed efficacia. Il linguaggio occupa saldamente la scena e lo smontaggio dei quadri è l’anticipo di un finale in qualche modo consolatorio e riparatore. Tiezzi & Lombardi si confermano all’altezza di un eccellente curriculum accompagnati dagli applausi di un pubblico fortemente solidale con l’impeccabile drammaturgia. La riflessione sull’arte è potente e quanto mai attuale.

data di pubblicazione:25/11/2021


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IO SONO BABBO NATALE di Edoardo Falcone, con Marco Giallini e Gigi Proietti, 2021

IO SONO BABBO NATALE di Edoardo Falcone, con Marco Giallini e Gigi Proietti, 2021

Pellicola di genere, confezionata nel 2019 e sfornata, con grande anticipo sulle prossime festività, come un cine-panettone, a novembre 2021. Con un’implicita commemorazione: l’ultimo film di Gigi Proietti. Che non gli rende merito, colpa della modesta regia e di una sceneggiatura davvero minimale.

 

Film di buoni sentimenti ma dai risultati tristanzuoli per una platea di under con gli over tentati dall’uscire dopo il primo tempo che si conclude con un’overdose di effetti speciali. Figurarsi, sulla slitta di Babbo Natale (Proietti) il tardo peccatore Giallini viene trasportato in una sorta di miscellanea dei luoghi comuni a Parigi e Londra per distribuire i regali di Natale. Intristisce constatare come un attore come Proietti si sottoponga a una dolorosa prova d’attore quando il male lo stava già minando. E le scene in cui si accompagna a un bastone sono realistiche e immaginifiche sui suoi ultimi mesi. Se in America per i noti problemi sul mercato del lavoro faticano a reclutare i Babbo natale, qui c’è uno sfornato con una creatività minimale. Capace di accogliere e dare asilo a un ex detenuto senza arte né parte. Ovvio che il buono per eccellenza redima il cattivo e gli faccia persino ritrovare la gioia degli affetti familiari perduti (moglie e figlia). Il plot ha una prevedibilità esagerata e nessun guizzo. Gl attori stano stretti in panni troppo prevedibili con la melassa del buono che digrada in un buonismo d’accatto. Purtroppo, tendenza generale, i bravi attori italiani (anche Favino, anche Germano) troppo spesso accettano proposte che più che valorizzarli li sviliscono. Alla fine di questo film viene voglia di urlare: “A ridatece Rocco Schiavone”. Giallini avrò occasione per riscattarsi, Proietti (mai valorizzato sui set) purtroppo no. Alla fine della proiezione rimane un vago senso di malinconia. Più che per l’occasione perduta, per lo spreco di ambizioni frustrate.

data di pubblicazione:24/11/2021


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TIRESIAS regia di Giorgina Pi con Gabriele Portoghese

TIRESIAS regia di Giorgina Pi con Gabriele Portoghese

(Teatro India – Roma, 19/21 novembre 2021)

In scena per soli tre giorni al Teatro India di Roma Tiresias, spettacolo di Giorgina Pi e Bluemotions con Gabriele Portoghese (Foto di Claudia Pajewski). Le parole del poeta, rapper e performer Kate Tempest racchiuse in Hold your own / Resta te stessa prendono vita nella performance del mito dell’indovino Tiresia: la storia si rifà ad una delle tre versioni di Apollodoro che raccontano il mito della cecità di Tiresia, reso cieco dall’ira di Era e fatto dono della veggenza da Zeus.

Il dramma che diventa forza, a metà tra l’umano ed il divino. Tiresia ha vissuto più vite in una: è stato prima uomo, poi donna, poi di nuovo uomo ed è l’unica persona capace di rispondere all’interrogativo di Giove ed Era, ovvero chi provi più piacere tra uomo e donna. Proprio la sua risposta a favore dell’uomo genera l’ira della dea e darà origine alla sua cecità che però diventa anche un potere grazie a quanto donatagli a parziale compenso da Giove. Pagando con la cecità il privilegio di conoscere e dire il vero, l’indovino vive da sempre fino in fondo forme e situazioni diverse, con la capacità di guardare dentro alle cose della vita senza sfuggire alla loro verità, anche se sa che il suo destino è quello di non essere ascoltato e creduto. Gli fanno eco e compagnia, suoni e voci di un tempo lontano e prossimo, provenienti da un dj set che mixa misteriosi e simbolici vinili le cui copertine recano impresse solo le grandi iniziali del nome di Tiresia.

Questo Tiresia postmoderno e apocalittico, la cui vicenda attraversa il femminile e maschile ricomprendendole entrambe, vuole rappresentare l’umanità che chiede di essere ascoltata e accolta. La voce della rivendicazione dell’identità, basata su specificità e differenze, siano esse di genere, di età, o di altre vite trascorse.

Un lungo ed intenso racconto che alterna momenti di parlato ad attimi musicali durante i quali il bravissimo Gabriele Portoghese incarna il Tiresia ragazzino, il Tiresia donna, il musicista, il cantante, l’affabulatore che ripercorre tutta la storia dell’indovino, fino alla sua terribile condanna/salvezza.

E Kate Tempest lo osserva e lo racconta nel suo eterno vagare: sia stato maschio e femmina, giovane e vecchio, che conosce la vergogna di un’adolescenza dolorosa, ma anche la passione della maturità.

Ancora una volta il collettivo Bluemotion ci conquista con uno spettacolo che va oltre: una regia, quella di Giorgina Pi, che premia molto gli elementi scenici, pochi, essenziali, simbolici ma funzionali alla storia, tre nomination agli imminenti premi Ubu, pubblico entusiasta; il racconto della metamorfosi che è anche il racconto delle nuove generazioni.

Nonostante la storia millenaria del mito, quello di Tiresia è ancora oggi attuale, stante la necessità di qualcuno che ci indichi la via, la strada da percorrere, ciò che si dovrebbe fare e ciò che dovrebbe essere vissuto.

data di pubblicazione:23/11/2021


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UNA COSA ENORME regia di Fabiana Iacozzilli con Marta Meneghetti e Roberto Montosi

UNA COSA ENORME regia di Fabiana Iacozzilli con Marta Meneghetti e Roberto Montosi

(Teatro Vascello – Roma, 16/21 novembre 2021)

È in scena al Teatro Vascello di Roma dal 16 al 21 novembre Una Cosa Enorme, spettacolo di Fabiana Iacozzilli con Marta Meneghetti, Roberto Montosi. Produzione CrAnPi, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Fondazione Sipario Toscana in corealizzazione con Romaeuropa Festival.

 

In scena una donna con una pancia enorme. È incinta probabilmente da un tempo indefinito e fa di tutto per ritardare e rimandare l’evento. Tutto è sospeso ma nello stesso il tempo è trascorso, la casa è trascurata, il frigo è vuoto, la pianta è secca, le acque tentano di aprirsi. Quella condizione la turba e la affatica ma non vuole uscirne, preferendo uccidere a colpi di fucile le cicogne che sorvolano il suo tetto piuttosto che lasciare che le stesse portino fortuna e prosperità nella sua casa. E’ affaticata e trasandata, con le sole sigarette in suo soccorso. Perché trattiene quel feto in se stessa e ritarda l’evento? Perché ho così tanta paura di mettere al mondo un figlio? Vuole essere madre o può non esserlo?

Parte da questi interrogativi e dallo studio dei testi della ricercatrice israeliana Orna Donath Regretting Motherhood e del diario Maternità di Sheila Heti il processo performativo messo in atto da Fabiana Iacozzilli, che la porta ad esplorare le zone più recondite dell’identità femminile tra cultura, natura e istintività personale dando vita a uno spettacolo esasperato e naturale al tempo stesso, dando voce a paure e desideri di donna in bilico tra il desiderio e il rifiuto di essere madre. La maternità è però ben oltre le paure, le insicurezze ed i dolori della gravidanza, ma va ad affrontare l’identità simbolica della donna ed il suo ruolo di madre e di figlia che genera ed accompagna il ciclo naturale della vita. Eccola così improvvisamente madre ad accudire la sua creatura, il bambino, ragazzo, uomo e padre, sempre al suo fianco dalla nascita alla morte, secondo una circolarità che la vede protagonista e testimone. Può decidere di esimersi da tutto questo? Può scegliere di non dedicarsi alla cura dell’altro?

L’interessantissimo e coraggioso spettacolo, presentato nel 2020 alla Biennale Teatro di Venezia, racconta il tema intimo e personale della maternità, aprendo nel contempo a una riflessione sulla condizione di donne e uomini perennemente in bilico tra il volere e dovere essere genitori. Una performance forte e delicata al tempo stesso, dedicata alla condizione esistenziale declinata al femminile, tra ruoli attribuiti e scelte da porre in essere, fatto di accenni e tensioni, di rumori e respiri, di pensieri e azioni.

Un plauso ai due straordinari attori, all’allestimento ed al disegno luci ed audio. Tutto è enormemente dilatato ma anche enormemente vero. E’ questa la forza di uno spettacolo che va assolutamente visto, che abbisogna di essere decantato per entrarci maggiormente in empatia.

data di pubblicazione:20/11/2021


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PROMISES di Amanda Sthers, 2021

PROMISES di Amanda Sthers, 2021

Alexander (Pierfrancesco Favino), figlio di madre inglese e padre italiano, ha solo 10 anni quando suo padre muore annegato sotto i suoi occhi. Pur vivendo un’adolescenza in un contesto agiato fra la madre a Londra ed il nonno paterno (Jean Reno) a Roma, ne resterà segnato per sempre nel carattere. Quando la vita gli farà incontrare il vero amore e la vera passione in Laura (Kelly Reilly) non saprà osare per prendere la giusta decisione al giusto momento … la ricercherà e la rimpiangerà tutta la vita …

  

Presentato e recensito poche settimane fa alla 16ma Festa del Cinema di Roma ove è stato accolto con giudizi contrastanti, esce oggi sugli schermi l’ultimo lavoro di Amanda Sthers. Apprezzata scrittrice, sceneggiatrice e regista, la francese Sthers ha adattato per questo suo 4° lungometraggio lo script dal suo stesso romanzo omonimo uscito nel 2015. Al centro del suo film c’è una grande storia d’amore inespressa ed incompiuta, che avrebbe potuto concretizzarsi ed essere vissuta se solo il protagonista avesse avuto la forza, il coraggio e l’egoistica determinazione di prendere una decisione.

Un intrigo esistenziale sull’incapacità soprattutto degli uomini, di taluni uomini, di saper cogliere l’opportunità di essere felici e prendere su di sé il rischio di amare. Chi? Chi allora meglio di una donna autrice e regista può provare a trovare la giusta modalità per scrivere prima, e rappresentare poi, questa incapacità ed anche il rimpianto che la felicità e l’occasione perduta genererà per tutta la vita? Una storia di sicuro vista e rivista, tanto nella Vita quanto al Cinema, ma, ciò non di meno, è una storia ogni volta sempre coinvolgente perché tocca nel profondo l’essenza stessa dell’Essere Umano: la costante ricerca della Felicità e dell’Amore e con loro la ricerca del Tempo perduto e delle opportunità perdute fino … alla presa di coscienza finale che non esisterà un’altra opportunità per una seconda occasione.

Alexander il protagonista, è bloccato emotivamente per non soffrire, vincolato fra famiglia, amicizie e lavoro. Un uomo in bilico fra due anime, che cerca di fuggire i fantasmi di un passato che lo ha segnato e lo segna. Vive un effimero presente senza nemmeno darsi spazio per sognare un futuro o lottare per averlo. Così, quando incontra l’Amore ed intuisce che può essere la Felicità di cui ha bisogno, non è però in grado di agire per riuscire a viverlo perché è abituato a subire e non sa più osare.

Il film, come fosse una riflessione del pensiero, è costruito a spirali in un’alternanza continua fra passato, presente e flashforward che creano quasi una dimensione narrativa atemporale come in effetti è il pensiero, così come al di là del tempo e dell’attimo è, di per se stessa, anche la domanda se si è felici. Il montaggio dà ritmo e scansione, ora lenta ora rapida, alla narrazione che procede come sospesa in un mare di pensieri. La regista però, pur operando con eleganza ed essendo sufficientemente abile ad evitare di scadere nel melodramma, sembra talora perdersi proprio nelle tante, troppe, spirali dell’intreccio narrativo e la sua direzione conseguentemente risulta insicura e discontinua. Favino, di contro, è veramente bravo e dimostra di saper essere a suo agio anche in una realizzazione internazionale recitando in modo partecipe, tenero ed intenso, un po’ più sottotono è invece la bella Reilly. Precisi, come sempre in questo tipo di produzioni, quasi tutti i secondi ruoli.

Al film, di per sé gradevole, manca però qualcosa … qualcosa per essere veramente un buon film! la continuità narrativa soffre infatti per l’eccessiva frammentazione, manca un pieno coinvolgimento emotivo e l’insieme appare fin troppo distaccato ed alla fine non riesce affatto a smuovere le emozioni profonde dello spettatore che osserva sì le pene del protagonista ma non ce la fa proprio a commuoversi per la sua felicità perduta!

data di pubblicazione:18/11/2021


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AMLETO di William Shakespeare, traduzione di Cesare Garboli, adattamento e regia di Giorgio Barberio Corsetti

AMLETO di William Shakespeare, traduzione di Cesare Garboli, adattamento e regia di Giorgio Barberio Corsetti

(Teatro Argentina – Roma, 17 novembre/9 dicembre 2021)

Lo spettacolo più rappresentato e universale in una versione ariosa e incandescente con alcune punte di eccentricità. Eccezionale omogeneità della compagnia per un classico immortale che è bel biglietto da visita per la stagione del Teatro che si farà Fondazione.

Senza limiti di spese per la scenografia, varia e di facile smontabilità interattiva, e senza limiti di tempo per il dramma scespiriano che fa faticare a tratti nel primo tempo mentre digrada verso l’immaginabile sviluppo liberando lo spettatore dopo tre ore di tensione. Fausto Cabra che declama l’essere o non essere in avvio, svelando la missione programmatica di quanto succederà di lì a poco, è un’autentica rivelazione. Di bravura inversamente proporzionale alla ancora ridotta popolarità. Esibizione anche fisica e muscolare, non tanto per l’accenno mimico nella simulazione dei duelli quanto per l’ardore con cui alimenta un corpo che asseconda il declamare nella forbita traduzione di Garboli. Spettacoli come quasi non se ne fanno più per la pandemia con un numero generoso di attori e con l’uso indiscriminato degli spazi. L’Amleto rappresenta l’inquietudine e una progressiva montante ansia di vendetta. L’adattamento non tradizionale incuriosisce e a tratti strega riscattando la grande conoscenza del plot. Attori in abiti borghesi, con estrema libertà interpretativa. La macchina teatrale va a frugare dentro l’anima interiore, interrogata sulle sue pulsioni non sempre benevole. Danimarca, Inghilterra, Italia, Elsinore. Il mondo è lontano (il secolo di Shakespeare, anche) ma è anche terribilmente vicino. Usurpazione e oltraggio di una storia che ci si ripresenta ogni giorno con altri linguaggi e altre situazioni. Alla prima teatro stipato in ogni ordine di posti, nonostante la difficoltà della prova spettatoriale. Buon segno per il futuro e per il più importante teatro di Roma: quello che dovrebbe indicare la strada agli altri. Anche quelli attualmente chiusi.

data di pubblicazione:18/11/2021


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GATTA MORTA di e con Francesca Reggiani, scritto da Valter Lupo e Gianluca Giugliarelli

GATTA MORTA di e con Francesca Reggiani, scritto da Valter Lupo e Gianluca Giugliarelli

(Teatro Olimpico – Roma, 16/21 novembre 2021)

One woman show che parte con le marce basse ma poi passa gradualmente alla quarta e alla quinta in un crescendo autoriale. La gattamorta è la quintessenza di un certo tipo di donna. Molto italiana.

 

Due anni in standby per uno spettacolo che si arricchisce nell’attualità con gli ovvi spunti della pandemia e dell’overdose di virologi. L’avvio lascia perplessi perché i video imitatori di Ilaria Capua e Vittorio Andreoli mostrano protagonisti che non sono proprio al top della popolarità anche se la capacità mimetica della Reggiani è autorevole. Lo spettacolo cresce con colpi di coda e in presenza fino ad approdare al succo polposo evocato dal titolo. La Reggiani ha corpo e volto d’attrice uscendo fuori dai limitati panni del comico in perfetta empatia con il suo ritrovato pubblico, che l’approva di testa quando esprime verità consacrate e mai abbastanza dette (le giravolte sul Covid, la difficoltà di mantenere un rapporto sentimentale in regime di virtuali arresti domiciliari) e ride di pancia in progressione. Lo spettacolo monta quando, riproducendo un format di successo, si sfidano al video Giorgia Meloni e Concita Di Gregorio ovvero la coattona politica di destra e la radical chic di sinistra. E qui la Reggiani è perfetta nell’intonazione, nella forma e nel contenuto. Ma l’hit parade è indubbiamente il monologo finto dialogo telefonico, sulla scia di Franca Valori, Bice Valori, Cinzia Leone. La veterana tiene bene l’immenso spazio teatrale con una resa a cui contribuiscono le musiche (Vivaldi, Buena Vista Social Club), i raggi di luce multicolori, la sua corposa presenza. Quanta verità nella caricatura delle donna italiana messa a confronto con la donna russa! Un match a vantaggio della seconda nella prime riprese ma che a gioco lungo si chiude a favore della prima: i mariti tornano sempre a casa a fronte di pretese sempre più smodate delle donne dell’est.

data di pubblicazione:17/11/2021


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IL BAMBINO NASCOSTO di Roberto Andò, 2021

IL BAMBINO NASCOSTO di Roberto Andò, 2021

Dopo un burrascoso colloquio con il fratello Renato, Gabriele sente la necessità di recarsi a trovare l’anziano padre, un ex magistrato in pensione, che durante il loro incontro gli confessa: “se dovessi scegliere tra la legge e l’amore, oggi sceglierei l’amore”. Da quel momento Gabriele capirà di non volersi più sottrarre a quella insolita ed inaspettata “paternità” che il destino gli ha regalato, travolgendolo come solo la vita vera sa fare.

 

Gabriele Santoro è un rispettato insegnate di pianoforte con un passato da concertista. La sua vita scorre monotona ed in totale solitudine in un appartamento nei quartieri spagnoli di Napoli, dove quest’uomo taciturno e schivo ha scelto di vivere nonostante le sue origini borghesi. Le sue giornate sono tutte uguali e la musica è la sua unica vera ragione di vita; conscio che quella solitudine può intaccare la sua lucidità, recita a memoria ogni mattina brani di poesie per tenere in esercizio la memoria. Tra le mura del suo appartamento, dove Gabriele si difende nascondendosi dal mondo esterno, un giorno come tanti entra furtivamente Ciro, il figlio di un vicino. L’uomo preferisce non vessare di domande il bambino, dichiaratamente in fuga dalla sua famiglia per qualcosa che inizialmente non riesce a confessare: in poco tempo, costretti dai loro reciproci “segreti “ a vivere e confrontarsi sotto quello stesso tetto, tra i due nasce una meravigliosa storia che ha a che fare proprio con quell’amore che l’anziano genitore aveva profeticamente indicato a Gabriele come l’unica scelta di vita possibile.

“La casa diventa un luogo di tensione e decantazione che conduce i personaggi a un nuovo stato affettivo, come se stessero creando le basi di una nuova famiglia”, spiega lo scrittore Roberto Andò che ha anche diretto l’adattamento cinematografico del suo omonimo romanzo. Il parallelismo tra una vita “normale” e ciò che drammaticamente si consuma in certi contesti criminali, rappresenta la struttura di tutto il film sino a quando quei due mondi, incontrandosi, inevitabilmente si contaminano, inducendo Gabriele a prendere coscienza di ciò che sino ad allora era rimasto fuori dalla propria porta di casa e Ciro a fuggire dalla realtà in cui era cresciuto sino a quel momento.

La narrazione, tuttavia, seppur intrisa di una certa drammatica elettricità sin dalle prime scene, è fatta prevalentemente di silenzi e sguardi, in cui si impongono la bravura indiscussa di Silvio Orlando e la spontaneità di Giuseppe Pirozzi che interpreta Ciro. Splendidi i camei di Roberto Herlitzka e Gianfelice Imparato rispettivamente nei ruoli del padre e del fratello di Gabriele, due facce di una stessa medaglia con cui l’uomo finalmente farà i conti, senza più nascondersi, in un viaggio verso la consapevolezza di quello che è il suo vero mondo, come recitano alcuni versi che declama la mattina per mantenere allenata la propria memoria: “quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure ed esperienze”. Un altro bel film da non perdere.

data di pubblicazione:16/11/2021


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