da Paolo Talone | Giu 25, 2022
(Chiesa di San Nicola, Appia Antica – Roma, 18 giugno 2022)
Una luce vespertina illumina di stupore le rovine della chiesa di San Nicola sull’Appia Antica. In questo luogo sono in scena gli spettacoli di Appia nel Mito, la rassegna ideata da Alessandro Machìa e Fabrizio Federici della Compagnia Zerkalo con il contributo della Regione Lazio, che a luglio continuerà la programmazione a Frascati, a Villa Torlonia. Un percorso teatrale di prosa e danza che indaga il presente attraverso il ricordo di storie e eroi del passato classico.
Inaugura il viaggio della I Edizione di Appia nel Mito Clitemnestra di Luciano Violante, per l’interpretazione di Viola Graziosi, figlia dell’attore Paolo Graziosi, a cui è dedicata la serata. È Alessandro Machìa – che lo diresse nel 2016 nella versione dell’Agamennone di Eschilo adattata da Fabrizio Sinisi – a tracciare un ricordo commosso e sincero dell’attore scomparso a febbraio.“Eri un attore immenso, radicale, feroce, privo di retorica, dritto. Eri ‘l’attore’ per me. Una montagna da scalare, un mistero di forza e tenerezza assoluti. Quegli opposti che in te coesistevano perfettamente”. Paolo Graziosi si distingueva per concretezza e umanità, tratti della sua persona che aveva saputo trasmettere attraverso il lavoro in teatro.
Profondamente umano è anche il personaggio di Clitmnestra, tra i più famosi del teatro greco. La sua è una storia di dolore, che Luciano Violante raccoglie dalla tradizione letteraria e mette insieme in un lavoro didattico, pieno di spunti di riflessione sulla condizione della donna. Clitennestra è uno spirito che vaga nel tempo, incastrato in un eterno presente, costretta a ricordare il tragico destino che l’ha vista protagonista. L’abito che indossa non si addice alla regina di Micene che un tempo era, ma racconta la condanna e la colpa che è costretta a sopportare per non aver obbedito al volere degli dei. Dopo la vittoria a Troia i greci, guidati dal possente Agamennone – nome che Clitennestra pronuncia scandendo ogni sillaba, come a scriverlo per non dimenticare ciò che le dà tormento – sono bloccati con le navi nel porto di Aulide. Per volere di Artemide il vento ha cessato di soffiare impedendo alle vele di gonfiarsi. Agamennone, uomo spavaldo e vanitoso, aveva ucciso una cerva bianca, sacra alla dea. L’ira di questa poteva essere saziata solo da un sacrificio. Così Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra, viene condotta con un inganno ad Aulide e lì viene uccisa per mano del padre.
Il dolore per la morte della figlia genera in Clitennestra il desiderio di vendetta e non appena il tempo è maturo – il tempo delle donne è tempo di pensiero e attesa, non come quello degli uomini che è solo azione, dirà la madre straziata – ucciderà il proprio marito. Sarà lei stessa a trovare giustizia, contro un destino che la voleva succube di un marito violento e prepotente. Per questo il suo spirito ora vaga sulla terra e non ha riposo, in cerca di una ragione, in eterna lotta contro un destino fissato e contro il quale si oppone. Così come ha fatto il capitano Achab, tormentato dallo stesso desiderio di governare il proprio destino, che lei incontra nel suo vagare.
Il testo è soprattutto un viaggio letterario, a cui Viola Graziosi sa fornire spessore e sentimento. La sua è una recitazione intensa e sincera, consapevole e attenta. È certamente lei il punto focale di tutto lo spettacolo. Non solo perché è l’unico personaggio sulla scena, ma perché da sola è in grado di sollevare un’emozione tale che non occorrono commenti musicali o scenografie a sostenerla.
data di pubblicazione:25/06/2022
Il nostro voto:
da Antonio Jacolina | Giu 16, 2022
Siamo arrivati alla quarta puntata delle inchieste del Commissario Dupin. Il tedesco Jorg Borg, nom de plume J. Luc Bannalec, finto francese, prosegue le sue storie ambientate nella francesissima Bretagna. I suoi romanzi che continuano a spopolare in Germania ed in Francia, complice anche una trasposizione in una serie TV molto ben riuscita, stanno ora trovando evidentemente un loro seguito anche in Italia.
Ritroviamo quindi ancora una volta il nostro Commissario esiliato a Concarneau da ormai 5 anni. La nuova storia prende avvio dalla scoperta di un cadavere che però scompare prima che la polizia giunga sul posto. Un’indagine difficile fra ulteriori omicidi, connessioni scozzesi, traffici illeciti di ostriche, sabbia rubata dalle spiagge … Port Bélon, perla della Bretagna, è il teatro della nuova inchiesta ed anche l’occasione per il “parigino” Dupin per scoprire le tradizioni celtiche ed entrare nel mondo dell’allevamento e commercio delle ostriche più raffinate e rinomate. Un’opportunità per l’Autore per confermare il suo amore per la Regione, emulo di grandi scrittori come Simenon nel dipingere atmosfere, luoghi e personaggi fortemente caratterizzati dalle ambientazioni provinciali. Il Commissario è onnipresente nell’indagine e la sua personalità, unitamente alla sua vita privata, sono ormai ben delineate, meno letterarie più umane e reali così come la sua psicologia, le manie, l’amore per il buon mangiare e la sua vulnerabilità per i troppi caffè.
Gli accertamenti procedono senza grandi sbalzi, quasi dolcemente, ogni pista è seguita con minuzia sino in fondo. L’intrigo anche se complesso si evolve armoniosamente, le descrizioni sono piacevoli ed arricchiscono la trama senza appesantirla. La vicenda appare infatti meglio definita, più coerente, più accattivante e più sottile delle storie che l’hanno preceduta. Bannalec sembra aver trovato il giusto equilibrio narrativo, stesso ritmo veloce e stessi incessanti colpi di scena ma senza le lungaggini dei primissimi romanzi come se lo scrittore non avesse più niente da dover dimostrare e nessuno da dover convincere.
Un polar che risuona come un pianoforte perfettamente accordato e che, come dicevamo, ha lo charme desueto di un buon vecchio e normale giallo di una volta, quei gialli che si basavano tutti sui metodi investigativi, sul ragionamento piuttosto che sull’azione. Orgoglio Bretone non è certo un thriller palpitante ma è un romanzo accattivante, piacevole a leggere, con un plot ben sviluppato e con buoni e credibili intrighi e colpi di scena. Discretamente accettabili poi anche la suspense e la nebbia che permangono sino alla fine.
L’interesse vero è tutto sui fatti, sulle indagini, sui luoghi ed il paesaggio. Sulla splendida Bretagna, le sue cittadine, il suo mare, gli abitanti e le tradizioni presentati tutti con tale dovizia di particolari e ricchezza di atmosfere da divenire a loro volta protagonisti. Dunque un buon piccolo poliziesco che intriga il lettore e gli fa venir voglia di andarsi a gustare qualche frutto di mare sulle rive dell’estuario del Bélon accompagnandolo con dell’ottimo vino.
data di pubblicazione:16/06/2022
da Daniele Poto | Giu 15, 2022
Franco Battiato ha lasciato un’eredità di affetti che a poco più di un anno dalla sua scomparsa, dopo quattro anni di effettivo silenzio pre-morte a causa di una devastante malattia neurodegenerativa, non accenna a spegnersi. Il sottotitolo del libro indica la latitudine: “Voli imprevedibili e ascese velocissime…”. Dunque l’omaggio non è un instant book per fare cassa in una bibliografia di suo già abbastanza vasta. Scanzi, si sa, è giornalista polemico che incontra simpatizzanti e detrattori per la secchezza delle proprie scelte. E se ha voluto parlarci di Battiato in questo ennesimo libro è per una sorta di ipnotico gemellaggio, peraltro non accompagnato da una diretta simpatia personale. Figurarsi, Battiato a suo tempo aveva proceduto a una querela per un’acida recensione dell’autore sul film Musikanten. Poi, auspice Travaglio, lo strappo era stato ricucito. Con spirito dichiaratamente di parte Scanzi attua le scelte su una filmografia profonda indicandoci predilezioni e hit. La riproposizione dei testi di Battiato mostra un lessico che non è abituale all’ormai scomparsa generazione di cantautori. I richiami a Guenon, Gurdjieff, le collaborazioni con il filosofo Sgalambro e con il pluri-specialista Giusto Pio (sodalizio che ha resistito fino al 1996) fanno di Battiato un vero e proprio unicum nell’ossificato repertorio della musica leggera italiana. E’ un mondo che l’artista siciliano travalica perché le sue partiture meriterebbero una riscoperta. Un cammino lungo iniziato con la musica sperimentale elettronica all’inizio degli anni ’70. Gavetta dura, a Milano, concerti che neanche cominciavano per mancanza di pubblico. E poi il successo con arrangiamenti felici e mai banali. Un successo meritato mai veramente agognato. E Battiato ha consolidato amicizie, collaborazioni inaspettate, realisticamente adattandosi a tre cd di cover (Fleurs) quando l’ispirazione declinava. Ma è un qualcosa di già vissuto: De Gregori, Guccini e Paolo Conte non sfornano ormai da tempo dischi dal vivo arrendendosi a un’impotenza creativa molto naturale e di cui non bisogna vergognarsi.
data di pubblicazione:15/06/2022
da Paolo Talone | Giu 15, 2022
(Gigi Proietti Globe Theatre – Roma, 10/19 giugno 2022)
Torna dopo il successo dello scorso anno Pene d’amor perdute per la regia di Danilo Capezzani. Lo spettacolo inaugura la nuova stagione del Gigi Proietti Globe Theatre, da quest’anno diretto dal premio Oscar Nicola Piovani.
Pene d’amor perdute è una commedia che parla di giovani amanti e del sottile gioco del corteggiamento. Alla corte di Navarra, un luogo più fiabesco che reale, un re e i suoi compagni decidono di trascorrere tre anni dedicandosi solo allo studio, lontani da ogni tentazione e soprattutto dalle donne. L’arrivo della Principessa di Francia con le sue dame al seguito rovina inevitabilmente ogni pretesa di retta condotta. Le scene e i costumi di Marta Crisolini Malatesta ambientano l’azione nella classe di un liceo, i cui alunni sono presi da pulsioni giovanili che non tardano a manifestarsi. Il desiderio di conquista della propria amata si fa impellente, ma guai a essere scoperti nella propria debolezza. E così, tra regali fatti nel segreto, poesie composte e inviate di nascosto alla propria amata, mascheramenti poi svelati e confessioni solitarie ascoltate da orecchie indiscrete, prende il via una serie di esilaranti gags che riportarle in un racconto sarebbe difficile e noioso. Quello che rimane è la freschezza di uno spettacolo messo in scena da un gruppo di attori il cui entusiasmo, energia e una certa arguta creatività sono senza dubbio il motore portante di questa regia. Felice si conferma la collaborazione, ancora quest’anno, con gli allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Sul palco il Re è Gabriele Gasco, innamorato della Principessa Sofia Panizzi. Al suo seguito Francesco Russo e Luca Carbone, Biron e Dumain, con le rispettive amanti Eleonora Bernazza e Adele Masciello (Rosalina e Caterina). Il nobile francese a servizio delle dame è Davide Fasano, mentre Sara Mancuso è Jaquinette, la contadina contesa tra Zucca (Leonardo Cesaroni) e Don Armado (Michele Enrico Montesano). Sono personaggi che abbozzano tipi comici che torneranno in altre commedie del bardo, come lo sono anche Bruscolino (Samuele Teneggi) e Intronato (Paolo Madonna).
Il merito del successo della regia di Danilo Capezzani è senz’altro nell’aver saputo sfruttare l’estro musicale degli artisti sulla scena nelle voci come nell’utilizzo degli strumenti (la drammaturgia musicale è di Paolo Coletta) e di aver così trasformato un testo difficile da rappresentare per il suo eccessivo lirismo rinascimentale in una fiaba musicale estremamente godibile e vicina al nostro gusto. Ma è specialmente nel linguaggio che il miracolo si compie. Bandito ogni virtuosismo barocco nell’utilizzo della parola, rimane in piedi una lingua limpida sulla quale con facilità poggia l’azione. Il linguaggio si trasforma in un dedalo apparentemente intricato di doppi sensi, allusioni, di frasi che scimmiottano il bel parlare e sfocia in un torrente infinito e sfiancante di parole e battute che suscitano la risata a ogni angolo.
Il finale resta amaro, così lo ha voluto Shakespeare. Le donne si congedano all’improvviso dai rispettivi uomini perché una triste notizia è sopraggiunta. È la prova finale che impone l’esame per la maturità. Un anno ancora di attesa dopo il quale potranno finalmente rivedersi. Ma cos’è in fondo un anno? È il tempo giusto che rimanda a un lieto fine che di certo arriverà.
Qui di pene non ce ne sono. Qui ci si diverte. E tanto.
data di pubblicazione:15/06/2022
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Giu 10, 2022
(Complesso Capo di Bove – Roma, 7 giugno 2022)
Le notti romane si arricchiscono di una nuova rassegna di spettacoli di teatro e danza nell’ambito del progetto Appia nel Mito, volti a mettere in risalto la bellezza del nostro patrimonio storico-artistico, con l’aiuto di interpreti tra i migliori del nostro teatro, davanti a un pubblico di spettatori che finalmente è tornato a godere dell’esperienza dello spettacolo dal vivo.
13 spettacoli e 30 artisti con cui percorreremo insieme dal 18 giugno al 30 luglio una passeggiata nel mito classico (ma con lo sguardo rivolto al presente) che parte dalla chiesa di San Nicola di fronte al Mausoleo di Cecilia Metella e, viaggiando idealmente sulla via Appia, arriva fino alla Villa Torlonia di Frascati. Ricordare il presente è il titolo dato a questa prima edizione, un ossimoro il cui significato si chiarisce nel sottotitolo della rassegna, Echi di voci e suoni dal passato per raccontare il presente.
Il progetto è nato da un’iniziativa della Compagnia teatrale Zerkalo – vincitrice di un bando della Regione Lazio – ed è stato presentato presso la stupenda cornice del Casale all’interno del Complesso di Capo di Bove, nel Parco Archeologico dell’Appia Antica. “Oltre a essere visitabili, i luoghi della cultura devono anche vivere, essere aperti alla cittadinanza tramite attività culturali”, afferma nel suo saluto iniziale Simone Quilici, Direttore del Parco Archeologico, a cui fa seguito un intervento di Amedeo Ciaccheri, Presidente del Municipio VIII, che sottolinea con entusiasmo la soddisfazione di poter essere riusciti a dare vita a un progetto di valorizzazione dell’Appia, grazie soprattutto al contributo della Regione Lazio.
I luoghi diventano allora veicolo di nuova funzionalità che, secondo Fabrizio Federici, alla direzione artistica della rassegna insieme a Alessandro Machìa, “vanno abitati e non soltanto visti”. E vanno abitati dalle persone che è necessario rieducare nell’arte, attraverso il teatro, la danza e la musica.
Questa prima edizione ha poi una particolare dedica. Nel suo discorso di presentazione, Alessandro Machìa omaggia Paolo Graziosi, grande attore – e per lui anche maestro – da poco scomparso. Sarà ricordato nella chiesa di S. Nicola la prima sera, il 18 giugno, con lo spettacolo Clitemnestra di Luciano Violante, che ha per protagonista proprio la figlia, Viola Graziosi (la regia è di Giuseppe Dipasquale), “interprete di grande sensibilità e talento, protagonista di importanti spettacoli di teatro classico e contemporaneo.”
In calendario il 19 giugno Ifigenia in Cardiff di Gary Owen per la regia di Valter Malosti e per l’interpretazione di Roberta Caronia, “un’Ifigenia moderna che non ci sta ad essere la vittima sacrificale di un sistema già scritto.”
Si continua il 24 giugno con Edipo … seh! che ha per interprete il Nastro d’Argento Andrea Tidona. Un one man show raffinatissimo che reinventa con leggerezza la tragedia di Sofocle, senza però intaccarne l’intensità (la regia è di Carla Cassola).
Spazio alla danza la sera del 29 giugno con Daphne, rivisitazione del mito tratto dalle Metamorfosi di Ovidio per la regia e coreografia di Aurelio Gatti.
Drammaturgia tutta al femminile per Circe. L’origine, scritto da Alessandra Fallucchi e Marcella Favilla, rispettivamente interprete e regista del lavoro. Insieme propongono la visione di una donna che racchiude in sé le molte potenzialità del femminile (30 giugno).
Il primo luglio chiude la prima parte della rassegna – quella che si svolge nella chiesa di S. Nicola – il reading a cura di Daniele Salvo, Inno ad Afrodite – serata per Saffo, con Melania Giglio.
Il programma continua a Villa Torlonia a Frascati il 2 luglio con Vinicio Marchioni in In vino veritas, “un viaggio meraviglioso nella letteratura, nella musica e nell’umanità che si è sviluppata intorno al culto del vino e a tutto quello che il vino rappresenta”, per poi continuare il 10 luglio con un debutto regionale del Teatro Libero di Palermo con lo spettacolo Onísio Furioso di Laurent Gaudé, con Giuseppe Pestillo.
Si dà voce anche a un mito della storia più vicina a noi con il debutto di Pasolini. Una storia romana, spettacolo scritto e interpretato da Massimo Popolizio sul grande poeta friulano, che ha fatto del mito stesso la sua fonte massima di ispirazione. “Un racconto biografico di Pasolini, dal suo arrivo nella città eterna nei primi anni cinquanta fino alla sua tragica morte nel 1975.” Le musiche sono eseguite dal vivo al violoncello da Giovanna Famulari.
Sabato 23 luglio andrà in scena La donna di Samo di Menandro, commedia riproposta con l’utilizzo delle maschere atellane, in pieno rispetto della classicità. La regia è di Roberto Zortut.
Sempre nell’ambito della commedia, il 24 luglio verrà messo in scena un adattamento di Mostellaria (la commedia del fantasma), per la direzione di Vincenzo Zingaro, uno dei massimi esperti del commediografo latino Plauto.
Prima nazionale dopo il debutto francese per lo spettacolo di danza Prometheus, con Antonio Filardo, che danzerà all’interno di uno spazio super tecnologico, grazie alle luci e al video-mapping di Alice Felloni. Ideazione e coreografia di Ludovic Party.
Chiuderà la rassegna il 30 luglio Ifigenia in Aulide di Euripide, nella traduzione adattata da Fabrizio Sinisi, per la regia del direttore artistico Alessandro Machìa. Interpreti Andrea Tidona, Laura Lattuada, Ester Pantano, Alessandra Fallucchi e Roberto Turchetta.
In concomitanza con gli appuntamenti sul palco ci saranno altri eventi, come la presentazione di libri e la possibilità di poter partecipare a dei laboratori gratuiti di teatro integrato prima di ogni spettacolo. Un altro aspetto dell’abitare i luoghi caro allo spirito che anima le serate di questa rassegna.
I biglietti possono essere prenotati scrivendo a info@zerkaloteatro.com o al numero 3516853330.
data di pubblicazione:10/06/2022
da Paolo Talone | Giu 4, 2022
(Silvano Toti Globe Theatre – Roma, 20 maggio 2022)
Imminente l’inizio della stagione shakespeariana del Globe Theatre di Roma, immancabile appuntamento estivo per il pubblico romano e non solo. Si comincia il 10 giugno con Pene d’amor perdute per la regia di Danilo Capezzani.
Importantissima novità di quest’anno è la nomina del nuovo Direttore artistico, il Maestro Nicola Piovani, salutato con commozione da Carlotta Proietti, sul palco del teatro insieme alla sorella Susanna, il giorno della presentazione della stagione teatrale 2022.
Progetto innovativo e coraggioso, il Silvano Toti Globe Theatre nasce nel 2003 grazie a Gigi Proietti, che lo diresse fino la 2020, anno della sua scomparsa. Proprio l’anno scorso, per volontà dell’Amministrazione Comunale – e per generosa disponibilità della Fondazione Silvano Toti – il Globe ha preso il suo nome diventando il Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti. Trovare una persona che fosse in grado di dare continuità a un lavoro che va avanti da diciannove anni non è stato facile. “L’unico nome possibile era quello di una persona amica, un artista più che qualificato, sensibile e di grande prestigio.” Annuncia così Carlotta Proietti il nuovo Direttore artistico Nicola Piovani, nel quale vede l’unica persona che può raccogliere l’esperienza maturata lungo tutti questi anni e l’unica in grado di farla vivere ancora e sempre meglio.
Per il nuovo direttore il Globe è un “luogo magico e capolavoro di Gigi Proietti”, dove la magia dello spettacolo non avviene solo sul palco ma anche tra il pubblico, suggestionato dalla bellezza di grandi lavori. Sottolinea l’importanza di un teatro vivo, che sa dialogare con gli spettatori, che sa farsi capire e arrivare a tutti, così come era nel volere e nel desiderio del suo ideatore. L’unico scopo che allora Piovani si prefigge accettando questo nuovo incarico è quello di lavorare in continuità con quanto è stato creato, di continuare a dare acqua a una pianta che è cresciuta e continua a crescere folta e rigogliosa (crescita assicurata anche grazie al contributo del Banco BPM, nella persona di Mauro Paoloni – Vicepresidente del Consiglio di Amministrazione della banca –, main sponsor del teatro).
A salutare in videomessaggio il nuovo Direttore artistico anche l’Assessore alla Cultura del Comune di Roma, Miguel Gotor, che individua in Nicola Piovani la persona in grado di incarnare il bisogno di “una successione omogenea possibile per stile, cultura, esperienza, qualità e presenza artistica.” Nel suo intervento ricorda anche che il 21 giugno, in apertura dell’Estate Romana, proprio nel teatro di Villa Borghese si svolgerà una serata dedicata a Gigi Proietti (programmazione da definire), durante la quale verrà proiettato il documentario sul grande attore girato da Edoardo Leo.
Vita nova, dunque, per il teatro con questa nuova Direzione artistica. Così la definisce Maria Teresa Toti, in rappresentanza della Fondazione grazie alla quale fisicamente questo spazio vive. Prende ispirazione da un lavoro su Dante del 2015 del Maestro Piovani per ricordare quanto il teatro shakespeariano sia un veicolo di trasmissione di valori necessari alla vita, rivolto soprattutto ai giovani, per i quali Gigi Proietti aveva particolare amore e attenzione.
Ma è nel segno della varietà e della ricchezza della proposta che si vuole ulteriormente dare continuità al lavoro iniziato da Proietti e qui portato avanti soprattutto dalle figlie Carlotta e Susanna. “La varietà è fondamentale”, dice Susanna (responsabile tra l’altro del reparto costumi del teatro) ricordando le parole del padre, ed è con orgoglio che presenta una programmazione intensa che in soli quattro mesi, fino al mese di ottobre, vedrà svolgersi un calendario fitto e interessante.
Sono otto i titoli tratti dal ricco elenco dei lavori del Bardo inglese, tutti prodotti dalla Politeama srl. Continua la collaborazione con l’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico – direttori Francesco Manetti e Daniela Bortignoni – che offre la possibilità ai giovani allievi di sperimentare il proprio talento sul prestigioso palco del Globe. Quattro gli spettacoli in scena per questa collaborazione: la commedia Pene d’amor perdute, prima in scena dal 10 al 19 giugno per la regia di Danilo Capezzani (riproposta quest’anno dopo il successo della scorsa stagione), Racconto d’inverno per la regia di Valentino Villa (per la prima volta al Globe) dal 19 al 28 agosto, e un interessante lavoro sulla Tempesta, in cui i registi Luigi Siracusa e Andrea Lucchetta metteranno in scena una doppia versione del dramma nelle traduzioni di Salvatore Quasimodo e Eduardo De Filippo (supervisione del progetto a cura di Arturo Cirillo, dal 13 al 16 ottobre).
Torna anche un altro lavoro, Falstaff e le allegre comari di Windsor o le “libere mogli”, come le definisce il regista Marco Carniti. Uno spettacolo molto musicale, caro a Gigi Proietti, in cui è protagonista lo scontro tra i sessi. Il mondo di Falstaff decaduto e vecchio in contrasto con quello delle comari, costruito su un’immensa burla (dal 24 giugno al 10 luglio).
Dal 15 al 31 luglio andrà in scena una nuova produzione de La commedia degli errori, per la regia di Loredana Scaramella. Il tema della commedia è caro alla regista da anni perché, a discapito della leggerezza di cui è portatore, “obbliga sempre a una riflessione del suo opposto, sul mondo che ci circonda”. In particolare, attraverso questo testo, alla questione dell’identità che si lega all’esperienza dell’altro e alla relazione in generale.
Nella prima metà di agosto torna poi lo spettacolo cult delle notti estive del Globe, Sogno di una notte di mezza estate, nella versione amata nel tempo di Riccardo Cavallo (3-15 agosto). A grande richiesta ritorna anche un altro spettacolo che vide il debutto nel 2017, Macbeth per la regia di Daniele Salvo, tragedia che mostra la lenta demolizione di un re autocrate e dittatore, proposta particolarmente attuale per il periodo che stiamo vivendo (2-25 settembre).
Infine Othello in lingua originale con la compagnia inglese The Bedouin Shakespeare Company, dal 28 settembre al 9 ottobre per la regia di Chris Pickles.
Ad arricchire questo prezioso cartellone altre iniziative e appuntamenti. Around Shakespeare è la rassegna di spettacoli intorno alla figura di Shakespeare appunto, che ha luogo i lunedì e i martedì. Il primo spettacolo è Quel copione di Shakespeare di e con Vittorio Viviani, a cui seguirà un lavoro sul corpo e le emozioni prodotto dall’Accademia Nazionale di Danza, Motion and emotion. A chiudere, un lavoro di Carlo Ragone sul Riccardo III, Il racconto di Riccardo, un viaggio dall’opera al racconto per la regia di Loredana Scaramella.
Prosegue anche la collaborazione con il Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere dell’Università Roma Tre (con cui nel 2020 è nato un archivio del Silvano Toti Globe Theatre) con i Globe Talks a cura di Daniela Pennacchia, una serie di otto appuntamenti per approfondire con professori esperti le opere di William Shakespeare in scena quest’anno. Gli incontri avranno luogo il sabato nello spazio all’esterno del teatro.
Ritorna per il quarto anno consecutivo la rassegna di spettacoli pensata per i più piccoli, Al Globe con mamma e papà. Quattro i lavori in scena scritti e diretti da Gigi Palla, Riccardino Terzo, Johnny Fatstaff e le perfide Cheerleader di Windsor, Catarina dei Pupazzi (ispirato alla Bisbetica domata) e lo spettacolo bilingue Good afternoon Mr. Scrollanza.
Per finire dal 6 settembre al 5 ottobre, nello spazio esterno al teatro denominato “Globino”, andrà in scena una micro-stagione che ospita lavori di piccole compagnie per la rassegna Proposte d’attore.
da Antonio Jacolina | Giu 3, 2022
Lo sconosciuto autore tedesco che si firma con lo pseudonimo francese di Pierre Martin prosegue con le sue storie poliziesche ambientate nella francesissima Provenza. In Germania ove sono già usciti 10 volumi sulle indagini di Madame le Commissarie, i suoi libri sono ormai un caso letterario e commerciale di successo. In Italia, per ora, siamo solo al secondo romanzo della serie.
Sempre caratterizzato dalla stretta connessione con la realtà della Provenza, l’autore sviluppa ulteriormente il suo stile, le sue storie ed i suoi personaggi. La narrazione si fa infatti più ricca e fluida rispetto al romanzo iniziale. La protagonista Isabelle Bonnet, i fatti ed il contesto sono ormai consolidati e quindi i caratteri, gli aspetti psicologici e gli approcci polizieschi si delineano sempre meglio ed in maniera più reale e coerente. L’intrigo narrativo è ben congegnato e l’aspetto poliziesco diventa ora prevalente sugli elementi di mero colore e tutto l’insieme è quindi più vivace e ricco di colpi di scena ben calibrati che si susseguono con ritmo serrato.
Madame le Commissaire ha ormai assunto contorni ben definiti. E’una protagonista coraggiosa, e determinata che però si è concessa di riscoprire ed apprezzare anche il Tempo per se stessa: fa tardi la sera, ama dormire, chiacchierare con i compaesani, giocare alla pétanque con il Sindaco del paesino ed apprezzare i ritmi lenti della Regione. Con lei si definisce meglio anche il suo stravagante ma intelligente assistente.
Al centro del romanzo ci sono sempre i panorami e le atmosfere locali, e questa volta il Mistral. Il forte vento locale che fa impazzire, che genera insonnia e riflessioni anche alla ex Capo Squadra Antiterrorismo di Parigi che ha ormai deciso di restare nei luoghi della sua infanzia, nel paesino/rifugio dell’entroterra della Costa Azzurra senza rimpianti né per Parigi né per il precedente prestigioso ruolo. Si accontenterà dell’incarico (creato ad hoc per lei) di Commissario con Compiti Speciali per i casi insoluti della zona. Una carica che dice tutto e niente ma le consente di restare in servizio ed in Provenza. Impossibilitata a dormire a causa del Mistral, Isabelle scende fino alla Costa, va in spiaggia e passeggiando nella notte, scopre per caso un cadavere. Ci sono analogie con un omicidio insoluto di 10 anni prima, La Commissario cercherà di scoprire la Verità e contemporaneamente cercare anche di garantire la sicurezza di un testimone giudiziario che deve restare in incognito nel suo paesino.
Il nostro Autore ripropone brillantemente e scientemente atmosfere e situazioni tipiche dei “gialli classici” tutti centrati sulla capacità investigativa, con poca violenza ma molto lavoro di indagine sul campo e molto intuito. Il risultato (come per quelli assai simili di Bannalec) è un romanzo scorrevole e piacevole dotato di una trama semplice ma ben costruita e credibile, dallo stile chiaro e preciso. Un libro vivacemente ritmato con una tensione che regge fino alla fine.
La seconda avventura di Madame le Commissaire è dunque un piccolo noir credibile ed efficace arricchito dal saporito contorno dei paesaggi, dei colori, delle atmosfere e dei cibi provenzali. Breve, rassicurante, coinvolgente e gratificante.
data di pubblicazione:03/06/2022
da Daniele Poto | Giu 1, 2022
Si può anche leggere come un giallo il dotto saggio che valuta le influenze degenerative del progresso crollo dell’impero romano d’occidente. Con un linguaggio aperto anche ai non specialisti l’autore si apre a un gran ventaglio di potenziali cause della decadenza, misurando il limes, la vastità dei confini, il ruolo giocato dalle personalità imperiali, della burocrazie, alla corruzione, l’influenza religiosa nell’irrompere del Cristianesimo di Stato, la gestione della giurisprudenza. Fa opera di divulgazione approfondendo cause che possano avere attualità e riscontri ancora oggi vista la dipendenza antropologica da quel passato importante per la nostra civiltà. Quindi non semplice storia di sviluppo cronologico secondo un metodo di investigazione lineare ma una vera e proprio discesa approfondita nel cuore del problema e in base a un principio indiscutibile: ogni civiltà si porta sempre dietro le ragioni della sua nascita e, potremo aggiungere, della sua caduta. Una spiegazione monocausale espunge il necessario tema della complessità. Perché ascesa e declino partono da una valutazione complessiva il più ampia possibile. Dunque il metodo è cartina di tornasole tracciante. L’economia è al centro dell’esame in un affascinante caleidoscopio che ci riassume una forza vigorosa e poi una crescente debolezza. Spaccato suggestivo che ci restituisce un’epoca di lussi e conquiste, non prescindendo dall’incidenza nella storia delle storie, cioè delle biografie degli imperatori che si avvicendano nel proscenio di un territorio immenso. E fa effetto intuire che il centro dell’impero, all’apogeo del proprio sviluppo, non era Roma ma mete e obiettivi centrati sempre più a est. Su questo impero poi, in maniera deflagrante, si innestano le conseguenze delle invasioni barbariche, un altro elemento che ne determinerà la progressiva ancorché gloriosa fine. D’Eredità ha messo l’economia al centro della propria ricerca in altri due saggi pubblicati per lo stesso editore.
data di pubblicazione:01/06/2022
da Rossano Giuppa | Mag 29, 2022
(Teatro Argentina 26 maggio/5 giugno 2022)
In scena al Teatro Argentina di Roma Il filo di mezzogiorno, romanzo autobiografico di Goliarda Sapienza nel riadattamento teatrale di Ippolita di Majo per la regia di Mario Martone, con Donatella Finocchiaro e Roberto De Francesco.
Un lavoro intenso e delicato al tempo stesso, che ci permette di entrare nel mondo di Goliarda Sapienza, raccontando l’esperienza psicoanalitica vissuta dall’autrice dopo il periodo di depressione, sfociato nel tentativo di suicidio. Un dialogo terapeutico, dilatato nel tempo, che si tramuta presto in uno scontro, quasi un corpo a corpo, in una riflessione acuta e sensibile sulla condizione femminile (foto di Mario Spada).
Goliarda Sapienza, donna fuori da tutti gli schemi e dalle ideologie politiche del suo tempo, ha combattuto le sue battaglie prima da partigiana, poi da femminista, sempre controcorrente, sempre contro il conformismo e con tutti i mezzi che aveva a disposizione, primo fra tutti la scrittura. Passionale e autentica, è stata ignorata in vita quanto celebrata oggi come una delle più interessanti autrici italiane. Gli elettroshock le hanno strappato via i ricordi. Uno psicanalista voluto dal compagno Cetto, crede che la memoria si possa recuperare parlando, raccontando, abbandonandosi. E così Goliarda si affida a lui quasi innamorandosene.
Attraverso le parole che la protagonista rivolge al suo medico, con cui instaurerà questo intimo rapporto coinvolgente e appassionato, si rivive tutto il suo doloroso percorso di vita: la partenza da casa, i corsi d’arte drammatica, la persecuzione fascista, la follia della madre, la difficoltà nei rapporti con l’altro sesso, l’amore devastante per Citto.
Seduta dopo seduta, tra memorie, sensazioni e libere associazioni, Goliarda esplora il suo buio, i ripetuti elettroshock, per poi riemergere, provando a ritrovarsi.
Donatella Finocchiaro e Roberto De Francesco, ci guidano nel labirinto della mente, nell’unico luogo in cui è possibile accarezzare le ferite dei sogni. La scena è doppia, come riflessa in uno specchio aperto. Identici i divani, le poltrone, gli scrittoi, le librerie a muro, le fotografie. Potrebbe trattarsi del salotto di uno psicanalista o di un interno borghese o di entrambi.
Goliarda insegue la sua memoria, insegue i ricordi, le sensazioni, le libere associazioni, lo psicoanalista la guida, la accompagna, la segue, e riuscirà a condurre la scrittrice dalle tenebre alla luce della coscienza e al recupero della propria identità.
Una rappresentazione molto coinvolgente basata sulla relazione e dipendenza che lega i due personaggi, enfatizzata dall’alchimia generata dai due bravissimi interpreti, indispensabili l’uno all’altro nel sofisticato adattamento di Ippolita di Majo, che riesce in maniera intelligente a legare il racconto autobiografico, le vicende sociali, la componente terapeutica e scientifica, attraverso passaggi continui e fluidi grazie alla impeccabile regia di Mario Martone, in grado di miscelare il linguaggio filmico e quello teatrale, la vicenda e le intimità, i respiri e le emozioni.
data di pubblicazione:29/05/2022
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Mag 21, 2022
(Teatro Belli – Roma, 20/22 maggio 2022)
Marianne e Ronald vivono la loro relazione di coppia catapultati in infinite realtà possibili. Arriva a Roma direttamente da New York il testo recitato in lingua originale del drammaturgo inglese Nick Payne.
La straordinaria forza di Constellations di Nick Payne risiede certamente nell’idea di applicare un principio della fisica come il multiverso a un’ordinaria coppia di amanti molto diversi tra loro, ma attratti con passione l’uno dall’altra. L’ipotesi secondo la quale possano coesistere infinite possibilità di poter vivere la stessa realtà con sviluppi e esiti diversi – oltrepassando necessariamente il tradizionale concetto lineare di tempo – è la stabile impalcatura che sorregge la struttura drammaturgica.
Rappresentato la prima volta al Royal Court Upstairs di Londra nel 2012, il testo ha avuto molta fortuna e oggi arriva in lingua originale sul palco del teatro Belli di Roma – con date previste nei prossimi giorni anche a Genova e Torino – nella versione andata in scena al Gene Frankel Theatre di New York per la regia di Kim T. Sharp, con protagonisti Francesca Ravera e Michael Chinworth.
Non occorre essere esperti di fisica quantistica per apprezzare questo lavoro che la regia di Kim T. Sharp rende incredibilmente comprensibile. Tuttavia, proprio per questa caratteristica di mostrare la possibilità dell’esistenza di mondi paralleli, la storia non si può raccontare seguendo un limpido sviluppo narrativo. Quello che abbiamo davanti è un mosaico ricco di variabili e sfumature, che uno spettatore attento e libero da schemi è in grado di poter mettere insieme. È dato sapere solo che Marianne e Ronald sono due personaggi diametralmente opposti. Lei è una cosmologa, lui un apicoltore. Due mondi distanti e per molti aspetti contrastanti che si incontrano per la prima volta a un barbecue. Fanno amicizia, si piacciono e decidono di vivere insieme. Poi si lasciano e si rivedono di nuovo a una lezione di ballo, dove riprendono la loro relazione interrotta. Due personaggi visti come due particelle perse in un universo siderale, fatto di buio infinito e stelle. Due atomi che vanno a comporre una varietà incredibile di molecole, sospesi intorno a una pedana esagonale, che ricorda proprio il disegno di una formula chimica.
Non serve neanche essere madrelingua inglese per seguire lo spettacolo. Anzi, si apprezza maggiormente il contesto culturale e sociale a cui il linguaggio fa riferimento e che una traduzione inevitabilmente potrebbe ingannare. L’ostacolo della lingua è superato non solo grazie ai soprattitoli, ma anche per merito della regia e della recitazione realistica e misurata dei due attori. Basta un breve movimento, un repentino cambio di luce o il suono di due note al pianoforte per trasportare lo spettatore su altre realtà del tutto logiche e credibili.
Sul palco, Francesca Ravera e Michael Chinworth sono veri nelle emozioni, veloci e cadenzati con il ritmo di una partitura registica esigente, ma chiara e pulita. Il perfetto equilibrio di una formula chimica.
data di pubblicazione:22/05/2022
Il nostro voto:
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