OCCHIALI NERI di Dario Argento – Sky Cinema Uno, 2022

OCCHIALI NERI di Dario Argento – Sky Cinema Uno, 2022

A dieci anni di distanza dal suo ultimo lavoro il maestro decaduto del thriller si ripropone in una pellicola che nulla aggiunge alla sua filmografia. Con un’immagine metaforicamente efficace nel film, un autentico splatter senza capo né coda, c’è il peggio del suo inconfondibile touch, dando per scontato la perdita del meglio.

C’è voluta una sorta di catena di Sant’Antonio di sette produttori (compresa la volenterosa figlia Asia) per consentire a Dario Argento di tornare alla ribalta con un film che ha resistito poche ore nelle sale, ancora meno a pagamento su Sky, introdotto ora quasi di soppiatto e senza enfasi nella programmazione ordinaria della tivù a pagamento. 84 minuti di noia con una sceneggiatura che  fa acqua da tutte le parti abdicando a un minimo di verosimiglianza. La Pastorelli, sbalzata da Verdone ad Argento, è una escort di lusso poco credibile. Quale il motivo dello scatenamento del serial killer? Un apprezzamento della ragazza sulla sua scarsa pulizia prima di intrattenere un rapporto. Non scherziamo, è quello il movente. E poco importa se il killer uccide prima, dopo e durante questo match a due, altre colleghe professionali della protagonista. Argento copia i suoi predecessori (Bava and company) per l’abbinamento eclisse/cecità  ma i suoi personaggi sono maschere vaniloquenti che si distinguono per la povertà dei dialoghi. Poi il partner della escort è un ragazzino cinese che appare e scompare senza preavviso, come il cane da compagnia. In compenso circola tanto sangue e un pizzico di nudo per cercare di rialzare la pressione di un pubblico presumibilmente annoiato e depresso da tanta prevedibilità della sinossi narrativa. Badate bene, il killer per farsi individuare meglio gira con un vistoso furgone bianco. E nell’ambientazione romana capita che a un certo punto la Pastorelli finisca in una pozza d’acqua, quasi stritolata da una ventina di serpenti. Succede a Roma? Attinenza con la trama? Nessuna. Chiamare happy end la morte dell’assassino sembra quasi un ossimoro. Provvede il cane, misteriosamente liberatosi. L’ultima scena girata all’aeroporto romano è di rara banalità. La sceneggiatura è stata scritta nel 2002 ma sarebbe sembrata modesta anche 20 anni prima. Al momento il film ha incassato 170.000 euro, un decimo di quanto è costato. Con queste premesse sarà anche l’ultimo film di Dario Argento.

data di pubblicazione:10/08/2022


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SPOSA IN ROSSO di Gianni Costantino, 2022

SPOSA IN ROSSO di Gianni Costantino, 2022

Esce oggi nelle sale, in una caldissima giornata di agosto, Sposa in rosso gradevole commedia di sentimenti dalla trama frizzante e non scontata, scritta e diretta da Gianni Costantino che vede come protagonisti Sarah Felberbaum e lo spagnolo Eduardo Noriega, affiancati da Massimo Ghini, Anna Galiena, Cristina Donadio, Dino Abbrescia, Maurizio Marchetti e Roberta Giarrusso.

 

Roberta (Sarah Felberbaum), pugliese di origine e incinta del suo primo figlio, e il giornalista Leòn (Eduardo Noriega), sono due quarantenni con un lavoro precario che si incrociano su un autobus a Malta: la donna, che di mestiere fa la guida turistica in bicicletta sull’isola, sviene tra le braccia dell’uomo. In un attimo i due si ritrovano sull’autoambulanza perché lei che sta per partorire e i loro destini si fondono nel momento in cui, nato il bambino, i genitori di lei (Anna Galiena e Maurizio Marchetti) e suo zio Sauro (Dino Abbrescia) si presentano a sorpresa in ospedale. Roberta decide di far passare Leòn come il padre del bambino: il passo per celebrare il matrimonio in Puglia alla presenza di un numero indefinito di inviati è breve, assieme ad una serie di disavventure che da questi fatti ne scaturiranno. Compongono il cast di questa soffocante famiglia del sud, con donne dominanti e uomini inidonei e infantili, Cristina Donadio nella parte della bizzarra ed anticonformista zia di Roberta, costumista teatrale con un ingombrante segreto da celare, in lite da sempre con la sorella Lucrezia-Anna Galiena, ed un irriconoscibile Massimo Ghini nel ruolo – un po’ forzato – di una sorta di camaleontico fotografo, improbabile amico di Leòn.

Il film, seppur non rappresenti una pietra miliare nel panorama delle commedie italiane degli ultimi anni, ha quanto meno il pregio di essere ben recitato e di presentare qualche spunto di originalità, ricco di siparietti ed equivoci che fanno da contorno ad una stramba storia d’amore. Primeggiano i temi della precarietà non solo lavorativa dei quarantenni di oggi, generazione che non trova ancora un posto nel mondo, schiacciata tra i millennials e la generazione X, nella spasmodica ricerca della libertà per tentare di respirare e brillare di luce propria. Ed anche se non è un’idea del tutto originale che, come afferma lo stesso regista, “la vera storia d’amore inizia quando il film finisce”, la pellicola nel complesso è gradevole e può rappresentare una piacevole sorpresa in questa torrida estate.

data di pubblicazione:04/08/2022


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LA COMMEDIA DEGLI ERRORI di William Shakespeare, regia di Loredana Scaramella

LA COMMEDIA DEGLI ERRORI di William Shakespeare, regia di Loredana Scaramella

(Gigi Proietti Globe Theatre – Roma, 15/31 luglio 2022)

Una doppia coppia di gemelli mette in subbuglio un’intera città. Tra giochi di scambi e ricerca di un’identità perduta, va in scena la Globe di Villa Borghese un gruppo di talentuosi artisti con una commedia esilarante e divertente.

 

 

 

In scena fino a domenica 31 luglio al Gigi Proietti Globe Theatre La commedia degli errori per la regia di Loredana Scaramella, nuovo spettacolo prodotto da Politeama S.r.l. per il teatro elisabettiano di Villa Borghese. Nell’elenco dei lavori di Shakespeare figura come la prima opera scritta dal Bardo ancora in giovane età e come tutte prende ispirazione dalla tradizione classica. I Menecmi di Plauto è la fonte principale dell’intreccio, che Shakespeare complica moltiplicando le coppie di gemelli sulla scena. L’azione si svolge nell’arco di una giornata in una Efeso di fantasia, che Loredana Scaramella immagina come un porto vicino al mare sommerso dall’acqua e i cui abitanti, sempre per un gioco di immaginazione che solo Shakespeare può consentire, sono vestiti in abiti da charleston anni Venti. Un’orchestrina jazz suona in un locale che si affaccia sul porto ed è testimone ammiccante, insieme agli avventori del locale e al pubblico seduto a guardare, della serie di equivoci che si formano sulla scena, sempre un passo avanti rispetto alla verità della storia che si sbroglia davanti ai loro occhi. Le musiche sono di Mimosa Campironi (arrangiate da Adriano Dragotta), mentre costumi e scene sono rispettivamente di Susanna Proietti e Fabiana Di Marco, della talentuosa scuderia del teatro.

Il mare che Loredana Scaramella immagina non è fatto solo di acqua. Ci sono molti cuori perduti che si cercano tra loro e si interrogano sulla propria identità, aspetto che la regia sottolinea in modo particolare. Il vecchio Egeone di Siracusa approda a Efeso in cerca dei figli che il mare aveva diviso. Per l’inimicizia tra le due città questi viene arrestato dal Duca che lo condanna a morte. Ma al porto approdano anche Antifolo, suo figlio, con il servo Dromio, in cerca dei rispettivi fratelli che il mare in tempesta aveva diviso molti anni prima e che invece ora riunisce. Non sanno ancora che chi stanno cercando si trova proprio in quella città. Le coppie di gemelli sono perfettamente uguali e a renderle così non è solo il nome o il costume che indossano, ma nel caso del nostro spettacolo, una sorprendente maniera di recitare quasi allo stesso modo. Da questo antefatto si scatena tutta la serie di errori e scambi di persona che caratterizzano la commedia, mostrando al pubblico che solo il confronto con l’altro, dopo essere andati instancabilmente in cerca della cosa perduta, rende possibile il riconoscimento e quindi la soluzione alle proprie inquietudini.

Della regia si apprezza la capacità di aver saputo sciogliere in maniera limpida i nodi di un intreccio complesso e articolato, frutto certamente di un attento e approfondito studio dell’opera. Ma la bravura sta nell’aver saputo cesellare i personaggi basandosi sulle abilità espressive degli attori, eccellenti tanto nella recitazione quanto nel canto e nei movimenti (le coreografie sono di Laura Ruocco e i movimenti di scena di Alberto Bellandi). Un esempio tra tutti sono le acrobazie da slapstick comedy messe su dalla coppia di servi Dromio. Insomma, uno spettacolo totale e ben fatto che appaga il nostro desiderio di teatro.

data di pubblicazione:24/07/2022


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HISTORY OF VIOLENCE di Thomas Ostermeier, 2022

HISTORY OF VIOLENCE di Thomas Ostermeier, 2022

(Festival dei Due Mondi – Spoleto, 24 giugno/10 luglio 2022)

La vigilia di Natale del 2012, tornando a casa dopo una cena con amici, Édouard incontra per strada un uomo, Reda. I due parlano, scherzano e decidono di passare insieme il resto della notte. Reda racconta la storia della sua infanzia e l’arrivo in Francia di suo padre, fuggito dall’Algeria. Dopo una serie di bagordi a sfondo sessuale, alle sei del mattino Édouard viene insultato, violentato, rischiando seriamente di essere persino ucciso…

 

Con una palese sfida a quello che si può definire politically correct, si chiude questa 65ma edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto con la direzione artistica di Monique Veaute che è riuscita, in due settimane, a concentrare quanto di meglio ci si possa aspettare, a livello nazionale e internazionale, sia in campo musicale che teatrale. In apertura della rassegna ci eravamo già confrontati con il monologo L’appuntamento, tratto dal noto romanzo d’esordio di Katharina Volckmer, spettacolo quanto mai sovversivo e irriverente che usa senza alcun riserbo un linguaggio a dir poco audace. In chiusura, il pubblico ha potuto apprezzare History of Violence, racconto autobiografico dello scrittore francese Édouard Louis, dove viene proposto il dramma dello stupro vissuto dal protagonista (e autore) con un intreccio di temi specificatamente personali con quelli più generali e sociali come l’emigrazione, il razzismo e l’omofobia. Il soggetto proposto, tra desiderio, passione e violenza, non poteva non interessare un regista teatrale della portata di Thomas Ostermeier oggi direttore artistico della Schaubuhne di Berlino e già insignito del Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2011. In effetti il lavoro di Édouard Louis non è solo il racconto di una violenza sessuale subita da un uomo da parte di un altro uomo, ma è la testimonianza dello specifico disagio di una classe sociale emarginata che tenta disperatamente, con ogni mezzo possibile, di integrarsi in un contesto che politicamente e culturalmente non gli appartiene. Il protagonista parla inoltre della sua omosessualità, una sorta di autodafé, e del suo problema di farsi accettare all’interno del proprio nucleo familiare e dalle istituzioni in generale. Il linguaggio drammaturgico di Ostermeier è vario e include una recitazione piena di pathos da parte dei due principali protagonisti Laurenz Laufenberg e Renato Schuch, rispettivamente nel ruolo del violentato e del violentatore, il tutto accompagnato da proiezioni video dal vivo degli stessi attori sulla scena e da una musica in sottofondo piuttosto fredda, ma essenziale per evidenziare i vari passaggi della narrazione. Uno spettacolo quindi di forte impatto emotivo che investe tematiche ancora oggi irrisolte quali l’auto-accettazione della propria sessualità e la contrapposizione, quasi innaturale, tra l’impulso personale di odio verso lo stupratore e il sentimento di empatia verso colui che a sua volta è continuamente vittima di oppressione. History of Violence è un lavoro ben fatto perché racconta di violenza, omofobia, povertà ma che in fondo racconta anche di amore che, come afferma lo stesso regista, è la leva più importante che sorregge la vita umana.

data di pubblicazione:12/07/2022


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IF THERE IS NO SUN creazione a cura di Luca Brinchi, Karima 2G e Irene Russolillo

IF THERE IS NO SUN creazione a cura di Luca Brinchi, Karima 2G e Irene Russolillo

(Teatro India – Roma, 4/5 luglio 2022)

L’Africa e l’Europa. Due mondi e due comunità a confronto. Due lingue e due culture che divergono e convergono. Una interessantissima performance pensata e realizzata dal regista e visual artist Luca Brinchi, insieme alla danzatrice e coreografa Irene Russolillo ed alla cantante e beatmaker Karima 2G. Nell’ambito degli appuntamenti del festival dedicato alla danza contemporanea Fuori Programma diretto da Valentina Marini, il 4 e 5 luglio nella Sala Oceano Indiano del Teatro India è andato in scena in prima nazionale lo spettacolo IF THERE IS NO SUN (foto di Monia Pavoni).

 

Un viaggio da affrontare e confini da superare. Sul palcoscenico i danzatori senegalesi Antoine Danfa e Mapathe Sakho e il performer tunisino Ilyes Triki, insieme a Karima DueG e Irene Russolillo, per provare a condividere sogni e desideri legati ai luoghi e alle persone che fanno parte della propria essenza. Un viaggio lungo il quale si aprono crepe comunicative per le differenti lingue, per le differenti caratteristiche fisiche, per le diverse storie che ci sono dietro. Rimane forte il desiderio di superare limiti e convenzioni interiori. C’è un mare agitato da attraversare se si vuole andare oltre. Le figure si muovono in mezzo alle altre creature, ci sono funi da cui forse liberarsi ma sono corde che aiutano ad emergere, che diventano dread che guidano il rito tribale. E’ il momento in cui la nuova comunità emerge dal suo stato di invisibilità. Il problema è il dialogo, la babele di lingue non aiuta, e la parola diventa discorso ma anche urlo, a testimonianza della lotta di sopravvivenza e dell’affermazione dell’identità.

Luca Brinchi insieme alla cantante e beatmaker Karima 2G e alla performer Irene Russolillo si sforzano di raccontare, ognuno col proprio linguaggio, la complessità della comunicazione e dei gradi di separazione che coesistono tra Africa ed Europa, fra viaggi e confini sfocati.

Ne deriva un lavoro di ricerca intelligente, mai scontato, basato su individualità e fisicità ma anche sulla ricerca di una nuova declinazione del concetto di comunità in cui anche la luce e i suoni assumono connotazioni innovative.

“Si vorrebbero vedere i propri diritti riconosciuti e i propri fantasmi scomparire – affermano i tre artisti –. E intraprendere una lotta che è un discorso e un viaggio, in cui l’ambiente muta per consunzione e sfocatura. Il dialogo tra visione, movimento e suono si adatta e riassesta a ogni passaggio, come dopo un terremoto, quando bisogna ricostruire certezze andate in frantumi. Con le parole if – there – is – no – sun si evocano coloro che ci hanno preceduto e che hanno acceso altri soli, immaginando nuove possibili umanità”.

data di pubblicazione:07/07/2022


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ELVIS di Baz Luhrman, 2022

ELVIS di Baz Luhrman, 2022

Biopic di pretta impronta americana. Il primo tempo scorre come una videoclip adrenalina condita di effetti speciali. Veloce e impressionista come l’ascesa del popolare Elvis Presley. Nel secondo tempo la storia si fa racconto e scivola nella maniera. In effetti la rottura sentimentale con la consorte e lo scivolamento del mondo anfetaminico degli psicofarmaci è espressa esteticamente con modi trasandati e superficiali..

 

Il cinema americano non dimentica i suoi miti. 42 anni di veloce parabola con escalation fulminante (e ancheggiante), uno scandalo per l’America puritana e razzista, fondendo il talento individuale con l’ammiccamento alla musica nera (BB King, Mahalia Jackson). Il film si snoda esclusivamente con il racconto del discusso manager che decretò trionfi e cadute di Elvis the Pelvis. E questo il pregio ma anche il limite della ricostruzione che, ripercorrendo i fatti reali, è fedele ed accurata quantunque necessariamente stringata. Il regista senza limiti di budget e di racconto visto che il film si snoda per 160 minuti anche se qualche taglio finale avrebbe evitato ripetizioni e maniera. Ad ogni modo lo snodo è affascinante e, ovviamente, condito da ottima musica. Presley è stato il cantante solista che ha venduto più dischi nella storia del vinile frazionando la propria carriera con 61 dischi incisi e una parentesi non esigua di 29 film, per la verità nessuno dei quali memorabile. Si può dire che sia stata vittima del suo successo. E non è un caso che i film ci ricorda le morti di Marthin Luther King e di Bob Kennedy. L’America uccide i suoi eroi anche se il cinico manager vieterà per sempre a Elvis le trasferta oltreoceano per presunti e indimostrabili motivi di sicurezza, relativi in realtà al proprio discusso status di apolide, impossibilitato a viaggiare. Per la cronaca fuori dagli States Presley ha suonato e cantato solo in sei concerti in Canada. Anche per questo il suo mito oggi, 45 anni dopo la morte, si riverbera più nell’altro continente che in Europa. Austin Butler è un perfetto Presley anche se appare meno bolso dell’originale nel finale di carriera e di vita. Tom Hanks, quasi irriconoscibile, offre una delle sue interpretazioni più mature e convincenti.

data di pubblicazione:05/07/2022


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ALCARRÀS – L’ULTIMO RACCOLTO di Carla Simòn, 2022

ALCARRÀS – L’ULTIMO RACCOLTO di Carla Simòn, 2022

La famiglia Solé coltiva da generazioni un frutteto su un vasto terreno che i proprietari gli avevano ceduto, in segno di riconoscenza, per un “favore” speciale ricevuto durante la dittatura franchista. La vita nei campi è dura in quella parte assolata della Catalogna, ma i Solé lavorano sodo e nel tempo sono riusciti a crearsi una certa agiatezza economica. Un bel giorno gli verrà comunicato che, al posto della piantagione, verranno presto istallati pannelli solari per la realizzazione di un impianto fotovoltaico…

  

Carla Simòn è una regista e sceneggiatrice catalana che si è fatta già notare dalla critica internazionale per la sua pellicola di esordio Estate 1993, candidata come miglior film straniero agli Oscar 2018. Con, Alcarràs – l’ultimo raccolto, sua seconda opera, ha vinto l’Orso d’oro all’ultima edizione della Berlinale, primo film in lingua originale catalana a ricevere tale premio. La giuria, presieduta dal regista indiano Shyamalan, ha voluto così premiare un film all’insegna della semplicità, una storia intrisa di puro verismo per fotografare oggettivamente la realtà sociale e umana di una famiglia di agricoltori. Il presente è presente con i problemi di natura politica ed economica legati al duro lavoro nei campi, ma tutto ciò non svilisce il clima positivista che aleggia attorno ai personaggi, tutti, ognuno per la propria parte, impegnati a portare avanti il bene comune, senza peraltro trascurare il vantaggio personale. Appena sfiorato il tema della passata dittatura spagnola in una regione, appunto quella rurale della Catalogna, dove accanto a una economia prettamente agricola, si iniziano a intravedere i primi concreti tentativi di apertura a un nuovo mondo tecnologico. Gli attori, tutti rigorosamente non protagonisti, sono stati scelti proprio per interpretare una realtà semplice ma anche non scevra di impegno sociale. La Simòn intende così lanciare un messaggio, quanto mai attuale, per salvare un’agricoltura oramai in via di estinzione: la globalizzazione impone prezzi politici che non consentono più ai contadini la giusta remunerazione per il lavoro svolto. Quimet, il padre padrone, interpretato da Jordi Pujol Dolcet, è un uomo all’antica che crede nel suo lavoro anche perché da sempre fa questo lavoro e non cede alla proposta, da parte dei reali proprietari del frutteto, di diventare custode di un campo sterminato di pannelli solari. Certo potrà lavorare di meno e guadagnare di più, ma lui è sempre stato un agricoltore e tale vuole rimanere, rifiutando ogni forma di compromesso. La regista dimostra di conoscere molto bene quel tipo di realtà agricola, la realtà peraltro delle sue vere origini, che fa poi da filo conduttore di tutta la storia. I bambini che giocano a fare la guerra o a improvvisarsi astronauti, occupando il rottame di una vecchia auto, rappresentano sicuramente un ritorno alla sua infanzia, un tratto autobiografico che aggiunge pura genuinità al contesto. Tutto si svolge con i tempi giusti per fare così assaporare al meglio un mondo senza malizia né artificio dove i vari personaggi si muovono con i gesti del quotidiano, interpretando se stessi. Merito quindi della Simòn è quello di aver portato sullo schermo una realtà poco artefatta, forse destinata a sparire, ma che dà spazio a un sentimento puro e non a un falso sentimentalismo, qui meno che mai inopportuno.

data di pubblicazione:01/07/2022


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NATO IL 29 GIUGNO di e con Maurizio Battista, ospiti speciali Los Locos, alias Renato Zero, il corpo di ballo, Gianluca Giugliarelli

NATO IL 29 GIUGNO di e con Maurizio Battista, ospiti speciali Los Locos, alias Renato Zero, il corpo di ballo, Gianluca Giugliarelli

(Teatro Olimpico di Roma, 29 e 30 giugno, in coincidenza del compleanno del comico)

Amato e odiato, non lascia indifferenti il comico del’Appio Tuscolano in una sorta di festosa auto-celebrazione per il genetliaco. Due giorni di teatro pieno con fan entusiasti per una maratona celebrativa di tre ore.

Tre mesi di tournèe con capolinea romano nell’insolita data di fine giugno. Perché Battista, malumori della critica a parte, è sempre sold out con la sua comicità virale e di pancia, bassa e proletaria. Di fronte alla quale persino l’intellettuale più engagé non può rifiutarsi alla risata. Lo spettacolo ha vari condimenti spettacolari e si può dire che valga il prezzo del biglietto tra divagazioni, imitazioni, balletti e persino una torta riservata agli oltre mille spettatori presenti creando un problema logistico-organizzativo non da poco. Battista straripa con le sue felici interazioni con gli utenti delle prime file, tra cui amici della prim’ora. Incurante della sovraesposizione cabarettistica (con forti riflessi televisivi) offre sempre novità aggiornate. Possiamo dire che solo il 10% del repertorio della scena recente fa parte di antichi copioni (vedi Covid, vaccini). Battista si tiene prudentemente lontano dai temi politici (la guerra, per carità..) ma picchia forte sui malesseri di Roma. Tanto è vero che uno dei momenti più incisivi dello spettacolo è il confronto tra le metropolitana di Roma e quelle invocate dal pubblico (Londra, Parigi, Barcellona). Roma sfigurerebbe anche al confronto di Paesi meno ricchi come la Grecia e la Russia. Con il suo eterno problema delle scale mobili, delle stazioni chiuse con navette sostitutive con gli orari da autentico coprifuoco. Un altro leit motiv vincente è ovviamente il rapporto con le donne. Irrisolto perché Battista in queste settimane è alle prese con l’ennesima separazione. I refrain dei battibecchi coniugali possono apparire scontati e brignaneschi ma portano a un riconoscimento che provoca buonumore. E del resto nulla si chiede di più a uno spettacolo per definizione disimpegnato.

data di pubblicazione:01/07/2022


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CLITEMNESTRA di Luciano Violante, regia di Giuseppe Dipasquale, con Viola Graziosi

CLITEMNESTRA di Luciano Violante, regia di Giuseppe Dipasquale, con Viola Graziosi

(Chiesa di San Nicola, Appia Antica – Roma, 18 giugno 2022)

Una luce vespertina illumina di stupore le rovine della chiesa di San Nicola sull’Appia Antica. In questo luogo sono in scena gli spettacoli di Appia nel Mito, la rassegna ideata da Alessandro Machìa e Fabrizio Federici della Compagnia Zerkalo con il contributo della Regione Lazio, che a luglio continuerà la programmazione a Frascati, a Villa Torlonia. Un percorso teatrale di prosa e danza che indaga il presente attraverso il ricordo di storie e eroi del passato classico.

 

 

Inaugura il viaggio della I Edizione di Appia nel Mito Clitemnestra di Luciano Violante, per l’interpretazione di Viola Graziosi, figlia dell’attore Paolo Graziosi, a cui è dedicata la serata. È Alessandro Machìa – che lo diresse nel 2016 nella versione dell’Agamennone di Eschilo adattata da Fabrizio Sinisi – a tracciare un ricordo commosso e sincero dell’attore scomparso a febbraio.“Eri un attore immenso, radicale, feroce, privo di retorica, dritto. Eri ‘l’attore’ per me. Una montagna da scalare, un mistero di forza e tenerezza assoluti. Quegli opposti che in te coesistevano perfettamente”. Paolo Graziosi si distingueva per concretezza e umanità, tratti della sua persona che aveva saputo trasmettere attraverso il lavoro in teatro.

Profondamente umano è anche il personaggio di Clitmnestra, tra i più famosi del teatro greco. La sua è una storia di dolore, che Luciano Violante raccoglie dalla tradizione letteraria e mette insieme in un lavoro didattico, pieno di spunti di riflessione sulla condizione della donna. Clitennestra è uno spirito che vaga nel tempo, incastrato in un eterno presente, costretta a ricordare il tragico destino che l’ha vista protagonista. L’abito che indossa non si addice alla regina di Micene che un tempo era, ma racconta la condanna e la colpa che è costretta a sopportare per non aver obbedito al volere degli dei. Dopo la vittoria a Troia i greci, guidati dal possente Agamennone – nome che Clitennestra pronuncia scandendo ogni sillaba, come a scriverlo per non dimenticare ciò che le dà tormento – sono bloccati con le navi nel porto di Aulide. Per volere di Artemide il vento ha cessato di soffiare impedendo alle vele di gonfiarsi. Agamennone, uomo spavaldo e vanitoso, aveva ucciso una cerva bianca, sacra alla dea. L’ira di questa poteva essere saziata solo da un sacrificio. Così Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra, viene condotta con un inganno ad Aulide e lì viene uccisa per mano del padre.

Il dolore per la morte della figlia genera in Clitennestra il desiderio di vendetta e non appena il tempo è maturo – il tempo delle donne è tempo di pensiero e attesa, non come quello degli uomini che è solo azione, dirà la madre straziata – ucciderà il proprio marito. Sarà lei stessa a trovare giustizia, contro un destino che la voleva succube di un marito violento e prepotente. Per questo il suo spirito ora vaga sulla terra e non ha riposo, in cerca di una ragione, in eterna lotta contro un destino fissato e contro il quale si oppone. Così come ha fatto il capitano Achab, tormentato dallo stesso desiderio di governare il proprio destino, che lei incontra nel suo vagare.

Il testo è soprattutto un viaggio letterario, a cui Viola Graziosi sa fornire spessore e sentimento. La sua è una recitazione intensa e sincera, consapevole e attenta. È certamente lei il punto focale di tutto lo spettacolo. Non solo perché è l’unico personaggio sulla scena, ma perché da sola è in grado di sollevare un’emozione tale che non occorrono commenti musicali o scenografie a sostenerla.

data di pubblicazione:25/06/2022


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ORGOGLIO BRETONE – MORTE SUL FIUME BELON di Jean Luc Bannalec – ed. ISBN 2022

ORGOGLIO BRETONE – MORTE SUL FIUME BELON di Jean Luc Bannalec – ed. ISBN 2022

Siamo arrivati alla quarta puntata delle inchieste del Commissario Dupin. Il tedesco Jorg Borg, nom de plume J. Luc Bannalec, finto francese, prosegue le sue storie ambientate nella francesissima Bretagna. I suoi romanzi che continuano a spopolare in Germania ed in Francia, complice anche una trasposizione in una serie TV molto ben riuscita, stanno ora trovando evidentemente un loro seguito anche in Italia.

Ritroviamo quindi ancora una volta il nostro Commissario esiliato a Concarneau da ormai 5 anni. La nuova storia prende avvio dalla scoperta di un cadavere che però scompare prima che la polizia giunga sul posto. Un’indagine difficile fra ulteriori omicidi, connessioni scozzesi, traffici illeciti di ostriche, sabbia rubata dalle spiagge … Port Bélon, perla della Bretagna, è il teatro della nuova inchiesta ed anche l’occasione per il “parigino” Dupin per scoprire le tradizioni celtiche ed entrare nel mondo dell’allevamento e commercio delle ostriche più raffinate e rinomate. Un’opportunità per l’Autore per confermare il suo amore per la Regione, emulo di grandi scrittori come Simenon nel dipingere atmosfere, luoghi e personaggi fortemente caratterizzati dalle ambientazioni provinciali. Il Commissario è onnipresente nell’indagine e la sua personalità, unitamente alla sua vita privata, sono ormai ben delineate, meno letterarie più umane e reali così come la sua psicologia, le manie, l’amore per il buon mangiare e la sua vulnerabilità per i troppi caffè.

Gli accertamenti procedono senza grandi sbalzi, quasi dolcemente, ogni pista è seguita con minuzia sino in fondo. L’intrigo anche se complesso si evolve armoniosamente, le descrizioni sono piacevoli ed arricchiscono la trama senza appesantirla. La vicenda appare infatti meglio definita, più coerente, più accattivante e più sottile delle storie che l’hanno preceduta. Bannalec sembra aver trovato il giusto equilibrio narrativo, stesso ritmo veloce e stessi incessanti colpi di scena ma senza le lungaggini dei primissimi romanzi come se lo scrittore non avesse più niente da dover dimostrare e nessuno da dover convincere.

Un polar che risuona come un pianoforte perfettamente accordato e che, come dicevamo, ha lo charme desueto di un buon vecchio e normale giallo di una volta, quei gialli che si basavano tutti sui metodi investigativi, sul ragionamento piuttosto che sull’azione. Orgoglio Bretone non è certo un thriller palpitante ma è un romanzo accattivante, piacevole a leggere, con un plot ben sviluppato e con buoni e credibili intrighi e colpi di scena. Discretamente accettabili poi anche la suspense e la nebbia che permangono sino alla fine.

L’interesse vero è tutto sui fatti, sulle indagini, sui luoghi ed il paesaggio. Sulla splendida Bretagna, le sue cittadine, il suo mare, gli abitanti e le tradizioni presentati tutti con tale dovizia di particolari e ricchezza di atmosfere da divenire a loro volta protagonisti. Dunque un buon piccolo poliziesco che intriga il lettore e gli fa venir voglia di andarsi a gustare qualche frutto di mare sulle rive dell’estuario del Bélon accompagnandolo con dell’ottimo vino.

data di pubblicazione:16/06/2022