da Antonio Iraci | Ott 14, 2022
(Festa del Cinema di Roma, 13/23 Ottobre 2022)
Alexandre O. Philippe, regista svizzero molto apprezzato per i saggi da lui fatti su film di riconosciuta fama internazionale, ci accompagna questa volta nel mondo, a dir poco surreale, di David Lynch spiegandoci come la sua intera opera cinematografica sia stata influenzata da “Il mago di Oz”. Si tratta del film di Victor Fleming che è diventato un classico della storia del cinema anche per l’indimenticabile interpretazione di Judy Garland.
Il film, presentato nella seconda giornata della Festa del Cinema di Roma, si può senz’altro considerare un saggio che il regista ha inteso realizzare, con l’aiuto di alcuni critici e cineasti molto addentro al cinema di David Lynch, con l’obiettivo di capire come mai il grande regista americano si sia fatto così ispirare da ciò che si può considerare una pura e semplice favola.
Dorothy è la giovane protagonista del film di Fleming e, per una serie di strane vicissitudini, si trova catapultata in un mondo fuori dal mondo reale, dove lei stessa dovrà barcamenarsi tra forze del bene e avverse forze del male.
In quasi tutti i film di Lynch, che sicuramente da piccolo fu coinvolto emotivamente da quella storia dove regna la fantasia, ci troviamo di fronte a un bivio che non porta a strade divergenti, ma dove ogni direzione è comunque giusta per raggiungere la meta. Ognuno di noi, come Dorothy, è alla ricerca della verità e della salvezza alle quali si arriva con ogni mezzo pur invadendo sfere a noi sconosciute. Nelle opere di Lynch ci troviamo spesso di fronte a un sipario, curiosi di scoprire cosa si possa trovare dietro di esso: ecco che ci addentriamo così in un mondo fatto di sogni, dove il reale di qua non corrisponde più al reale di là. Sono due mondi diversi e contrapposti, dove quello che appare, perché di pure apparenze si tratta, non si allinea mai con ciò che è il vero. Ecco che Lynch non si fermai mai ad indagare l’inconscio, dove spazio e tempo sono pure illusioni, per arrivare alla conclusione che tutto è diverso da quello che noi pensiamo sia.
La piccola Dorothy viaggerà quindi con il suo amato cagnolino Totò Over the Rainbow per raggiungere una nuova dimensione, fatta di personaggi e situazioni dove ogni cosa è interpretazione di un sentimento realmente avvertito e non un semplice delirio psichico come da molti affermato. Lo stesso Lynch, parlando dei propri lavori, afferma che in ogni istante della sua vita, in ogni decisione intrapresa, non c’è stato un solo minuto in cui non abbia pensato a “Il mago di Oz”, ai suoi personaggi e persino a quelle strane scarpette rosse luccicanti portate con disinvoltura dalla ragazzina e che ritroviamo ai piedi delle sue eroine. Un simbolo di potere o un mero mezzo per trovare finalmente la strada di casa?
data di pubblicazione: 14/10/2022
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da Antonio Iraci | Ott 13, 2022
(Festa del Cinema di Roma, 13/23 Ottobre 2022)
Marco Carrera, in famiglia da piccolo chiamato colibrì per la sua bassa statura, attraverso i ricordi racconta la sua storia fatta di amori passati, mai veramente cancellati, e di amori presenti, mai veramente vissuti. Una vita passata nell’illusione di realizzare qualcosa che inevitabilmente gli sfugge di mano. Da uomo oramai fatto, imparerà che non bisogna mai arrendersi di fronte a un destino crudele che sembra accanirsi contro di lui. Sarà la nipote Miraijin, ultimo vero affetto rimastogli, che lo aiuterà a sopravvivere al buio della propria esistenza.
Francesca Archibugi, con il suo Il Colibrì, inaugura questa 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma per la prima volta sotto la Direzione Artistica di Paola Malanga, giornalista, critica cinematografica e tra i principali collaboratori di Paolo Mereghetti per il Dizionario dei Film. Succede a Antonio Monda che ha ricoperto questo ruolo per ben 7 anni e che è riuscito a portare sul red carpet dell’Auditorium grandi star internazionali. Alla presentazione de Il Colibrì, grande era l’attesa del pubblico, per la verità un poco scarso in sala rispetto alla calca degli anni passati, soprattutto per la presenza di un cast di tutto rispetto, impegnato in una recitazione faticosa per la tematica drammatica certamente non facile. Il film è tratto dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi, vincitore nel 2020 per la seconda volta del prestigioso Premio Strega, riconoscimento già attribuito all’autore nel 2006 per il libro Caos calmo. La buona performance dei vari attori, a cominciare da Pierfrancesco Favino nella parte di Marco Carrera e a seguire quella di Kasia Smutniak, Laura Morante, Alessandro Tedeschi, Bérénice Bejo e Nanni Moretti per citare alcuni nomi più di spicco, non è sufficiente a riscattare il film e a renderlo più fruibile al pubblico. La sceneggiatura, in parte curata dalla stessa regista, fa fatica a seguire la trama a innesto che caratterizza il libro di Veronesi: il susseguirsi quasi frenetico di continui e brevi flash back, appesantisce la narrazione che risulta alla fine alquanto “pasticciata”. La vita del Carrera è scandita da tragedie affettive e da problematiche irrisolvibili verso le quali lui stesso ne rimane invischiato, come una mosca all’interno di una sottile ragnatela, incapace di prendere una posizione univoca e responsabile. Il montaggio scelto non facilita certamente la struttura generale del film fatto di ricordi frammentari da parte del protagonista che riportano ad un puzzle irrealizzato e quanto mai discontinuo. Forse da una regista del calibro della Archibugi, nota anche al pubblico internazionale per i tanti premi e riconoscimenti ottenuti dai suoi film, ci si sarebbe aspettato qualcosa di più, un maggiore coinvolgimento emotivo, un’attenzione più ricercata. Sui titoli di coda un inedito di Sergio Endrigo, un brano bellissimo che la stessa figlia del grande cantautore, morto nel 2005, ha voluto far eseguire da Marco Mengoni, un nome e una garanzia.
data di pubblicazione:13/10/2022
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da Antonio Jacolina | Ott 13, 2022
Una buona immagine vale più di un lungo discorso … In un mondo ormai dominato dalle immagini, dai simboli e dall’esiguità del tempo dedicato alla lettura è divenuto più facile avvicinarsi alla comprensione di soggetti complessi analizzando un’immagine piuttosto che studiando un lungo testo scritto. L’Infografia è, per l’appunto, la rappresentazione grafica di una serie di informazioni tramite un’equilibrata commistione di brevi testi, mappe, grafici e dati numerici e consente una lettura ed una comprensione più sfaccettata ed istantanea di argomenti compositi, quali la Storia.
Sull’onda del notevole successo già avuto nel 2020 con Infografica della seconda Guerra Mondiale la casa editrice L’Ippocampo ripropone coraggiosamente questo nuovo approccio storico con un lavoro dedicato questa volta ad un tema altrettanto articolato: ben un millennio di Storia!
Lo studio della struttura del Mondo Romano dalla sua fondazione alla caduta dell’Impero d’Occidente. Ci riesce egregiamente concentrandosi sugli elementi strutturali di una realtà articolata quale era lo Stato romano: prima la Repubblica e poi l’Impero. L’opera è scorrevolmente articolata in 3 parti che si focalizzano con abbondanza di dati, mappe, grafici comparativi e testi di accompagnamento atti a contestualizzare i fatti in esame e dare un senso ai tanti elementi rappresentati. La Prima sono i territori e le Popolazioni, il quadro d’insieme: focalizzando in particolare lo sviluppo del Potere nel mondo romano, le sue caratteristiche e le sue strutture sociali, esaminando come poi esse si siano evolute dall’iniziale villaggio di capanne vicino al Tevere all’Urbe imperiale. La Seconda è dedicata al funzionamento dello Stato: le istituzioni, le tante religioni o culti ammessi a Roma e soprattutto l’economia romana, tema quest’ultimo estremamente interessante ed estremamente innovativo ed ancora oggetto di dibattito teorico fra “modernisti” e “primitivismi”. Infine, la Terza: la potenza militare romana: le ragioni del suo strapotere continuo su tutti i suoi avversari, con dovizia di motivazioni e valutazioni tecniche, organizzative, demografiche, tattiche e strategiche con anche mappe e precise analisi geopolitiche dei principali conflitti, conquiste e battaglie.
Anche questa volta lo sforzo è compensato da un risultato veramente rimarchevole. L’opera è infatti ben strutturata ed utile quale che sia il livello di chi la legge. Costituisce un’opportunità più che unica di una visione d’insieme, precisa, semplice, completa ed incisiva di più di mille anni di Storia. Il libro è un panorama veramente esaustivo ed al contempo una sintesi efficace che chiarisce ed illustra graficamente gli eventi salienti, le loro conseguenze su una realtà composita quale era la Società Romana. Un risultato che pochi dei tantissimi libri scritti sugli argomenti possono offrire ad un pubblico vasto e non necessariamente specializzato, per di più fornendo elementi incisivi, facili da comprendere e da ricordare. Una vera miniera di stimoli, suggestioni ed informazioni da consultare o, volendo, da approfondire successivamente. Sicuramente un punto di vista del tutto inedito ed anche un’opportunità per immergersi nel mondo di Roma che può veramente interessare e soddisfare sia gli appassionati sia i neofiti. Un libro arricchente da avere nella propria biblioteca. Un libro che ha certo anche il piccolo difetto di alcune grafiche troppo complesse, ma poco danno vista la qualità generale e, giova ribadirlo, l’assoluta originalità e validità dell’opera.
data di pubblicazione: 13/10/2022
da Daniele Poto | Ott 11, 2022
La scrittura bulimica di una candidata non premiata allo Strega si diffonde per quasi 700 pagine chiedendo uno sforzo supplementare al lettore per una conclusione che non si prevede in poche ore, stante anche la scansione in capitoli, tessere di un puzzle molto diverse le une dalle altre. La confusione che induce nel lettore è di tipo primordiale. Se gli episodi raccontati sono legati a un percorso personale la bulimia è anche sentimental/amorosa/sessuale. Se invece è tutta opera della fantasia tanto di cappello alla fantasiosa creatività dell’antropologa che, giornalisticamente, non sbaglia un colpo e che brilla per l’eccedenza della propria personalità. La chiara rivendicazione di una posizione femminile (non diremo propriamente femminista) è garanzia di continui colpi di scena. Scriviamo che i maschi non escono bene dal confronto anche se sono più spesso quelli che lasciano il personaggio principale. Che si da anche molte colpe e qualche meno generosa assoluzione per un ending che raramente è happy. Chi resiste è l’amico M. , immancabile conforto nelle situazioni di crisi, indispensabile stampella psicologica. Dove più abbiamo penato per mancata conoscenza della materia è nelle labirintiche dissertazioni sui profumi, più che una passione una vera e propria monomania. Bene fa la Ranieri a precisare a fine volume che non c’è alcun coinvolgimento affaristico nelle citazioni dei prodotti eviscerati. In quei capitoli ci si arrampica sull’Everest per poi planare in placide colline nelle scorribande amorose dove la simpatia per la protagonista irride alla ritualità eterodiretta di tanti comportamenti maschili. Il personaggio dell’amante trascurata troneggia ma le sfumature se non sono cinquanta e non sono grigie sono pluricolore. A un certo punto il reticolo avvolge anche un prete che molto abilmente riesce a uscire dal cunicolo della seduzione. In definitiva un libro vario, eccessivo, a tratti travolgente e definitivo.
data di pubblicazione:11/10/2022
da Antonio Jacolina | Ott 10, 2022
Londra inizio anni’50. In occasione dei festeggiamenti per la 100ma replica teatrale di “Trappola per topi” di Agatha Christie, il regista americano(Adrien Brody)che ne doveva curare la trasposizione cinematografica, viene ucciso dietro le quinte del teatro stesso. L’ispettore Stoppard (Sam Rockwell) e la giovane agente Stalker (Saoirse Ronan) indagano sul delitto. L’omicida è sicuramente fra i presenti … tutti possono avere un movente …
Da sempre, fino anche al recente Cena con Delitto (2019) i gialli alla Agatha Christie, centrati tutti sulla ricerca del colpevole, hanno avuto un loro proprio spazio ed un notevole apprezzamento anche al Cinema fino a divenire un vero e proprio Genere cui poi gli inglesi hanno saputo anche aggiungere un gradevole tocco di British Black Humour. Difficile quindi pensare di poter ancora sorprendere con un nuovo approccio, per una formula più che collaudata e che non può che funzionare sempre che allo stesso modo. Cosa mai potrà fare allora un regista oggi? Limitarsi semplicemente a rendere omaggio al Genere senza nemmeno provare a rinnovarlo? Stravolgerne tutti i codici? Giocarci e aggiungervi un pizzico di moderno?
Tom George con il suo film d’esordio, ci prova ma si ferma a metà strada! Da una parte c’è un evidente e gradevole british touch ed un’attenzione ai canoni classici dei polizieschi vecchia maniera con tutto lo charme che ne deriva; dall’altra c’è un tentativo di prendere le distanze dal filone con un approccio marcatamente più ironico e molto più britannico (a tratti sembra quasi rimandare, ma molto alla lontana, a Wes Anderson). Lo humour funziona, soprattutto grazie ad un cast di gran qualità e sempre convincente in ogni ruolo. La realizzazione è gradevole ed il regista gioca su una ricostruzione impeccabile dei luoghi, dei costumi e delle atmosfere e sembra volersi prendere tutto il suo tempo per una classica indagine sui sospettati, ma poi, pian piano devia e si concentra invece sull’insolita coppia di inquirenti Ronan e Rockwell, sui loro caratteri, sulle loro azioni, sulle loro storie. I due personaggi finiscono però per prevalere ed eclissare quasi totalmente l’intrigo poliziesco. Il film viene così a perdere il suo equilibrio e la tensione dell’indagine.
Ciò non di meno Omicidio nel west End, pur con questo sbilanciamento, resta un film apprezzabile con una buona messa in scena, con personaggi ben costruiti ed ottimamente interpretati e soprattutto con due protagonisti veramente molto bravi.
Sia ben chiaro è un piccolo film, ma un gradevole “piccolo film” che brilla fra il poco che è attualmente in sala! Da vedere per passare gradevolmente poco più di un’ora, specie poi se apprezzate lo humour inglese, la buona recitazione e non avete timore di vedere ancora un poliziesco quasi alla vecchia maniera.
data di pubblicazione:10/10/2022
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da Rossano Giuppa | Ott 10, 2022
Presentato fuori concorso alla 79esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, il nuovo film di Paolo Virzì, Siccità, è una fotografia distopica di quello che siamo e di quello che potremmo diventare.
A Roma non piove più e l’acqua è drammaticamente razionata per (quasi) tutti. L’aridità ha colpito la terra, le piante, gli animali ma soprattutto gli uomini: le regole di sopravvivenza hanno infatti stravolto gli animi oltre che le abitudini. Come scarafaggi impazziti nella città sporca e polverosa, si muove un nugolo di personaggi, giovani e vecchi, emarginati e di successo, vittime e approfittatori. Nessi di causa-effetto legheranno le loro esistenze, mentre cercano ognuno la propria sopravvivenza e la propria identità.
La luce è gialla e l’aria è secca e afosa, il letto del Tevere ha riportato alla luce reperti archeologici e l’acqua è diventata un bene riservato solo ad alcuni. Un’accozzaglia sorda e disgraziata ha smarrito “la diritta via” e prova a sopravvivere.
Un avvocato di successo (Vinicio Marchioni) è sposato con una dottoressa (Claudia Pandolfi), il cui ex marito (Valerio Mastandrea) da autista di autoblu è finito a fare l’autista di taxi. Un ex detenuto (Silvio Orlando), appena uscito da Rebibbia, dove ha scontato una lunga condanna per aver ucciso la moglie, vaga in cerca della figlia. Un attore di teatro a spasso (Tommaso Ragno), si è reinventato influencer in rete, trascurando la moglie (Elena Lietti) che per campare ha accettato di fare la cassiera in un supermercato. Una giovane infermiera in dolce attesa (Sara Serraiocco), è sposata con poco di buono (Gabriel Montesi), che ha appena trovato lavoro come bodyguard di una ricca famiglia proprietaria di una Spa in pieno centro, minacciata da manifestanti arrabbiati. Un’attrice molto famosa (Monica Bellucci) seduce un importante e buffo scienziato (Diego Ribon), divenuto improvvisamente celebre in televisione.
Siccità utilizza come espediente narrativo un futuro utopico per parlare di oggi e di una società sempre più classista, condizionata dai nuovi modelli di vincenti e perdenti; complici le condizioni climatiche tutti appaiono però indeboliti, in perenne movimento sì, ma in preda ad un sonno apatico che rischia di uccidere più di qualsiasi virus. Ognuno vive isolato e perduto, vittima del proprio egoismo e della propria miseria. Non comunicano, non si parlano, i loro destini si incrociano ma non c’è spazio per risate e allegria in questa commedia contemporanea, proprio perché c’è ben poco da ridere in un mondo nel quale ognuno ha da addossarsi delle colpe, per quanto sta accadendo ad ambiente e socialità.
Un film inquietante e sconvolgente, ben diretto e scorrevole. Forse uno dei migliori prodotti italiani in questo 2022, o comunque il più originale, in quanto dopo due anni di forzato confinamento, prova a misurare la salute mentale degli italiani. Un film che ha anche una sua bellezza ed una sua poesia. Non tutti gli episodi sono riuscitissimi, non è un dramma apocalittico, alla fine la pioggia porterà un lieto fine, ma il film ha una innegabile forza ed una sincera carica emotiva.
data di pubblicazione:10/10/2022
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da Paolo Talone | Ott 8, 2022
(Teatro Cometa Off – Roma, 1/9 ottobre 2022)
Debutta al Teatro Cometa off di Testaccio il Macbeth di Alessandro Sena. Una lettura personale e contemporanea del personaggio shakespeariano che per la sete di dominio, insieme alla moglie, perpetua una serie infinita di omicidi ai danni di chi minaccia la sua terribile ascesa al trono. Una visione che desidera farsi riflesso dell’umanità intera da oriente a occidente, con i suoi complessi meccanismi di conflitto e ambizione sfrenata di cui è preda.
All’inizio Macbeth è un eroe vittorioso. Il merito sta nell’aver sedato una rivolta contro il re Duncan insieme ai compagni Banquo e Macduff. Ma il destino dei re è quello di essere traditi, come lo fu Cesare pugnalato da chi più avrebbe dovuto amarlo. Così l’incontro con le Tre Streghe, sorelle fatali apparse sul cammino di Macbeth e Banquo, instilla nel valoroso condottiero il pensiero che un giorno otterrà anche il trono. Per farlo però dovrà uccidere a tradimento il sovrano ospite nella sua casa. Dubbioso se compiere l’assassinio o lasciare che il corso degli eventi lo porti a governare, viene spronato sulla strada della conquista dalla consorte. È Lady Macbeth a scavare nella coscienza del marito e a muovere la sua ambizione. Incastrato nel buio di una scena che rispecchia la notte dell’anima, in preda a una frenesia che lentamente fa breccia nella sua mente portandolo quasi alla pazzia, alimentata dalla presenza in scena oltre lo spazio concesso da Shakespeare delle Tre sorelle fatali – riflesso di una mente ottenebrata dall’avidità più che espressione del dato esoterico dell’opera – il misfatto si compie con un realismo che sgomenta, tanto che il corpo assassinato del re viene mostrato addirittura sulla scena. Ma il tradimento non si ferma con la morte del sovrano. Banquo, a cui le streghe avevano predetto che sarebbe stato padre di una stirpe regale, deve morire insieme ai suoi figli. Dunque anche l’amicizia verrà tradita e con essa ogni soluzione di pace e armonia tra gli uomini. Solo la volontà del giovane re Malcolm, assurto al trono dopo la sconfitta di Macbeth, stanco alla vista del male, metterà fine a questa catena di delitti e abbandonerà a terra la corona imbevuta di troppo sangue e dolore.
Il Macbeth di Alessandro Sena mantiene solo in parte la natura di tragedia dell’ambizione. Il dramma, tradotto e adattato dal regista romano, sposta la riflessione sull’ossessione per il potere e sulle dolorose ferite provocate dal tradimento, in un allestimento moderno, imperniato di un esplicito linguaggio simbolico, ma nella totalità fedele alla tradizione. Un lavoro visivamente coerente e ben pensato, messo in scena da una compagnia di attori di diversa esperienza e formazione, ma coesa nella realizzazione, tra cui spicca per intensa profondità di interpretazione l’attrice armena Marine Galstyan nel ruolo di Lady Macbeth. Menzione particolare poi per Stefano Antonucci nei panni regali di un saggio e distinto Duncan, che illumina il personaggio di quella giusta rettitudine esemplare che verrà drasticamente azzittita.
Il lavoro drammaturgico ridotto all’essenziale per numero di personaggi e scene salva l’ossatura originale della tragedia. Alessandro Sena poggia il piede su Shakespeare e insieme pesca nel fluire ininterrotto del fiume della creatività immagini e parole che arricchiscono la storia di armoniose interpolazioni fino a condurre la tragedia verso una catarsi inaspettata, che passa per il pentimento e il risveglio della coscienza. Il cuore ostaggio dell’odio alla fine si ravvede e implora quella bontà e quella gentilezza che Chaplin – citato alla fine della pièce con le parole che concludono il suo capolavoro Il grande dittatore – esalta più che l’abilità a compiere il male. La bellezza del mondo è quella di essere un luogo dove c’è posto per tutti.
data di pubblicazione:08/10/2022
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da Rossano Giuppa | Ott 7, 2022
(Teatro Argentina – Roma, 5/6 ottobre 2022)
Torna al Roma Europa Festival La Veronal, compagnia di danza con sede a Barcellona, rivelazione della scena coreografica europea degli ultimi anni, guidata dal coreografo Marcos Morau definito dalla stampa internazionale come “uno dei danzatori (e coreografi) più intelligenti della scena europea degli ultimi anni”. Opening Night è il loro ultimo spettacolo, un omaggio al mondo del teatro, al fulgore magico delle sue luci, ma anche alle sue ombre e, ovviamente, ai suoi fantasmi. (foto di May Zircus &TNC).
Lo spettacolo Opening Night intende celebrare gli spazi del teatro e i suoi protagonisti, rendendo omaggio a Pina Bausch e a Tilda Swinton de La voce umana.
Una scatola magica che Morau racconta entrandoci dentro in via progressiva, attraverso i condotti di areazione, le tubature, le centraline, i corridoi. Quella scatola, che è palcoscenico, è anche muri scrostati, porte, botole e sotterranei, carrelli e corde.
Con la sua scrittura coreografica, fortemente ancorata alla tradizione del teatro-danza ma al contempo aperta ad una dimensione visiva e percettiva e alla sperimentazione di peculiari tecniche di movimento, Marcos Morau ha imposto la sua La Veronal all’attenzione internazionale.
Opening Night è anche un elogio all’architettura delle macchine sceniche, dei riflettori e dei sipari, un dietro le quinte in cui i ballerini presentano una danza fatta di delicati ed esplosivi frammenti, di drammatiche accelerazioni e pause espanse. Ecco allora che la luce si spegne, il sipario sale e si illumina lo spazio in cui appaiono le creature, i suoni e le ombre, i pianoforti e le corde, le sedie e le nebbie, giocando nello spazio in armonia dinamica.
Situazioni e personaggi si incontrano passando da un momento all’altro e da un luogo all’altro e la magia sta proprio nel fatto che la scena contiene tutti gli spettacoli possibili e tutte le storie possibili senza essere nessuna di quelle.
“La scena e il teatro sono spazi che abbiamo inventato per poter ampliare un po’ le nostre vite, in cui salire di qualche centimetro sopra il suolo e levitare, e in cui, nonostante tutto, non si sa mai se il vuoto che vogliamo colmare è più grande di quello che ci lascia quando finisce” afferma Morau.
Opening Night vuole essere un omaggio all’essenza del teatro, alla sue diavolerie, alle sue ombre, allo spazio e soprattutto al tempo, scandito quest’ultimo da debutti, platee piene e vuote, sipari in movimento, da pavimenti di legno che scricchiolano, un universo magico dove le leggi, la vita e la verità entrano in confusione, perchè tutto è vero e tutto è inganno, con gioia.
data di pubblicazione:07/10/2022
Il nostro voto:
da Antonio Jacolina | Ott 7, 2022
In attesa che nelle prossime settimane vadano in onda gli 8 episodi della Prima Stagione della preannunciata Serie TV tratta dai suoi libri, è uscito da poco, per i tipi Einaudi, il sesto volume dei casi dell’Avvocato Vincenzo Malinconico di De Silva. Il felice personaggio, dalla vita a dir poco complessa, creato dall’abile penna e dalla ricca ed ironica fantasia dello scrittore napoletano.
De Silva è uno degli scrittori italiani di maggior successo di vendite in questi ultimi anni. Il suo avvocato Malinconico è un antieroe, un avvocato delle cause perse, “un avvocato d’insuccesso” o delle situazioni più strambe e paradossali. Paradossale è, già di per sé, anche il fatto stesso che si sia creata una “saga” di successo su un personaggio che non è poi il solito poliziotto/commissario, o il solito magistrato, o il solito penalista abile, brillante, determinato e fascinoso, ma, al contrario, su un personaggio che è invece un professionista di scarso o nullo successo che vivacchia con pochi improbabili clienti sapendo di tutto e di nulla. Un uomo assolutamente instabile oltre che lavorativamente anche affettivamente che affronta però la Vita con una filosofia tutta sua e con un approccio distaccato ma pungente ed umanamente profondo.
Questa volta il protagonista si trova, suo malgrado, a dover affrontare legalmente il tema degli “amori impantanati”, cioè di quelle relazioni di coppia senza futuro ove i sogni, i desideri ed i progetti ristagnano fra impedimenti e promesse mentre il Tempo scorre inesorabile. Al centro la paradossale pretesa di alcuni clienti di intentare una class action risarcitoria dell’infelicità generata da queste storie d’amore senza futuro.
Ancora una volta personaggi e vicende assolutamente singolari. Un romanzo vivo, dinamico, intenso, originale ed irriverente in cui De Silva con la sua bella penna, il suo stile chiaro, gradevole e scorrevole sa dare vita alle sue storie e riesce a farci divertire ed al contempo anche a farci riflettere. Il ritmo narrativo è quello ormai consolidato, ricco di eventi paradossali e di colpi di scena. I personaggi e le ambientazioni sono vivi, pulsanti ed autentici come se presi direttamente dalla realtà quotidiana della vita cittadina. Tutto è potenzialmente reale, ma visto con un occhio ironico, mai banale e con un tocco distaccato e lievemente filosofeggiante. Insomma una buona conferma del talento dello scrittore, una lettura gradevole che scorre veloce.
Un po’ di leggerezza ed ironia, e tanta autoironia non guastano in questi nostri tempi in cui abbondano i problemi e soprattutto anche tanti personaggi ed autori seriosi e supponenti.
data di pubblicazione:07/10/2022
da Rossano Giuppa | Ott 6, 2022
(Teatro Vascello –Roma, 4/9 ottobre 2022)
Finalmente a Roma, al teatro Vascello, Resurrexit Cassandra, il testo di Ruggero Cappuccio messo in scena dal geniale artista belga Jan Fabre, con una immensa Sonia Bergamasco. La sacerdotessa inascoltata, risorge dalla mitologia greca e rinasce nel passato e nel presente per ben cinque volte, cercando di parlare agli uomini ancora una volta per avvertirli del disastro a cui stanno andando incontro; ma le parole cadono nel vuoto, nel completo disinteresse, nessuno mostra complicità e fiducia. Un viaggio attorno e dentro l’umanità, tra sicurezze e dubbi, illusioni e rischi di una consapevolezza che continuamente rischia di sfuggire (foto di Marco Ghidelli).
Cassandra, condannata da Apollo ad essere infelice e inascoltata, come narra la mitologia, per aver rifiutato il suo amore, appare sulla scena vestita di nero, muovendosi tra figure di serpenti cobra di diverse dimensioni, simbolo del male diffuso tra gli uomini. E’ rinata da quella terra che l’aveva inghiottita e preannuncia imminenti disgrazie, ancora una volta ignorate. In realtà non è affatto morta nell’Agamennone di Eschilo sgozzata dalla furia di Clitennestra, ma continua a vivere e riprodursi nei secoli, voce della coscienza di generazioni successive, con il suo carattere, la sua sapienza ed il suo bisogno di conoscenza e giustizia.
Come i serpenti cambia pelle e contesto. Si toglie una pelle-vestito e sotto ce n’è un’altra. Come scatole cinesi, gli abiti emergono via via uno dentro l’altro: nero ed austero il primo come il suo monito, rosso luccicante il secondo come il sangue dei giovani troiani morti, ingannati ed uccisi dai Greci, come lei stessa aveva profetizzato invano; blu il terzo, il colore della modernità decadente e del nichilismo del XX secolo.
Cinque i movimenti della protagonista come gli abiti (realizzati da Nika Campisi per Farani) e cinque elementi con cui dialogare ed immedesimarsi. E’ nebbia, vento, è fuoco e fumo, vapore, pioggia. Movimenti politici e ideologici radicali, cambiamenti climatici, enormi isole di plastica negli oceani, inquinamento. Lei si adagia accanto al cobra e la metamorfosi si avvia; così risorge nuovamente, spinta da un’altra profezia, sibilata nell’orecchio dal serpente. Ogni colore rispecchia una condizione. Ora il suo vestito è verde, il futuro assurdo in cui vede la volontaria distruzione della natura. Cassandra partecipa alle vicende di una natura disprezzata e umiliata, la catastrofe ecologia diventa visibile attraverso la fusione di immagini, suoni, luci. La voce esprime rabbia, denuncia sociale. E poi l’ultima rinascita, il suo vestito è bianco, colore della purezza originale, l’appello accorato di Cassandra, una preghiera per agire tutti insieme, per salvare il pianeta e liberare finalmente la sua anima dalla terra, permettendole di congiungersi all’amore puro del cielo.
Lo spettacolo è un’accusa contro l’incomprensibile talento dell’essere umano per l’auto-inganno. Un tour de force che passa anche per la variazione cromatica degli abiti da cui progressivamente liberarsi, involucri di dolore ma al tempo stesso patrimoni di sapienza e coscienza. La guerra, la violenza, il sangue, la contaminazione del pianeta, il clima, le risorse.
Sulla scena appoggiata a uno schermo, un’ascia che rende più concrete e reali le immagini offuscate di una donna che proprio con un’ascia si difende e si protegge. Così come gli echi di musica e canto che talvolta la protagonista intona, creando un paesaggio sospeso e concreto al tempo stesso, carico di suggestioni.
Sonia Bergamasco miglior attrice 2022 a Le Maschere del Teatro Italiano, incarna una indimenticabile Cassandra che vede e prevede, una profetessa ma anche una donna, densa di vitalità nel passato, nel presente e nel futuro. Cassandra avrebbe potuto salvare il mondo già diverse volte. Avrebbe potuto prevenire e mettere l’umanità al riparo dai disastri che essa stessa sta provocando. La sua voce è monito ma è anche ricchezza. Le parole vibrano di vero, ognuno se la porterà dentro. Forse quando smetterà di essere eterna, noi avremo finalmente capito.
data di pubblicazione:06/10/2022
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