COSE DELL’ALTRO MONDO, tratto da testi di fine ‘800, inizio ’90, con Vittorio Aparo, Mirella Banti, Paolo Bonanni, Luana Cannistraci, Francesca Di Meglio,  Francesco Madonna, Annachiara Mantovani, regia di Sergio Ammirata (anche attore)

COSE DELL’ALTRO MONDO, tratto da testi di fine ‘800, inizio ’90, con Vittorio Aparo, Mirella Banti, Paolo Bonanni, Luana Cannistraci, Francesca Di Meglio, Francesco Madonna, Annachiara Mantovani, regia di Sergio Ammirata (anche attore)

Teatro Anfitrione – Roma, 19 febbraio/13 marzo 2022)

Deliziosa farsa vintage di quella che non si tentano più con tanti attori, tanti costumi con un profumo irresistibile di vaudeville e di passatismo nel teatro giusto per la rappresentazione. E un abbondante pizzico di nostalgia.

Sergio Ammirata a 85 anni non si è stancato di animare la compagnia La Plautina che per quasi un mese intero (fatto più unico che raro) tiene banco nell’abituale parterre casalingo del teatrino di San Saba. Calore e partecipazione meritata per un testo che viene da lontano, addirittura da due secoli fa. E brava la compagnia a approfondire uno spunto da barzelletta per 80 minuti di rappresentazione. La coloritura e gli eccessi sono all’ordine del giorno in questa pochade in cui ovviamente l’ importante è calcare la mano. Si rappresenta una morte scomoda. Tutti i variegati personaggi si sono abituati alla morte dell’amico, ora non più così amico da morto. Così il ritorno in scena è una parentesi scomoda e imbarazzante. Meglio il ritorno a miglior vita, un ritorno al passato che fa comodo a tutti. Ovviamente l’innesco è propedeutico a una riflessione pessimistica sullo stato dei rapporti tra gli esseri umani, improntati a una finta solidarietà che si scioglie per incanto di fronte alla straordinari emergenza. Ammirata non gigioneggia ma trasmette un solido mestiere alla compagnia in cui, incredibile dictu, ricompare Mirella Banti, apprezzata attrice di cinema alla prese con un’inaspettata riconversione. E poi ad animare la serata la coda di canzoni napoletane chiamando sul palcoscenico a viva forza anche spettatori più o meno intonati per una proposta decisione riuscita. La dedica di fine recita è ovviamente nel segno di Patrizia Parisi, animatrice in loco di tanti spettacoli oltre che fedele partner di Ammirata.

data di pubblicazione:04/02/2022


Il nostro voto:

IL RITRATTO DEL DUCA di Roger Michell, 2022

IL RITRATTO DEL DUCA di Roger Michell, 2022

Inghilterra 1961: Campton Bonton (Jim Broadbent), sessantenne tassista a Newcastle, è un iperattivo protestatario per ogni causa sociale e … riesce a “rubare” il quadro di Goya del Duca di Wellington appena acquisito dalla National Gallery di Londra. Un’azione eclatante, tutta e solo politica, volta essenzialmente – prima con le condizioni per il riscatto, poi, una volta arrestato, durante il processo – a richiamare l’attenzione a sostegno della sua iniziativa per l’esenzione degli anziani dall’obbligo di pagare il canone per la BBC…

 

Giunge finalmente sui nostri schermi la commedia sociale di Roger Michell (regista di Notting Hill, scomparso nel 2021) che, realizzata nel 2020 e presentata con successo fuori concorso a Venezia 77, era poi rimasta bloccata a causa del Covid.

Il Ritratto del Duca è una commedia agrodolce, con un significativo sottofondo umano e sociale, permeata di quell’impareggiabile British humour che rende gli inglesi maestri nel realizzare commedie di genere molto gradite a chi va al cinema per vedere qualcosa di intelligente che faccia sorridere e nel contempo riflettere. Una storia realmente avvenuta, uno spaccato della working class e dei problemi di una certa Inghilterra che sarebbe molto piaciuto a Ken Loach ma che Michell rivisita, centrandone ed esaltandone con un velo di malinconia gli aspetti ironici senza trascurare i risvolti che sottostanno alla vicenda. Il tutto in buon equilibrio tra leggerezza e drammi individuali e collettivi.

Un film “vecchia maniera” ma comunque interessante. Il regista, da maestro qual era, gioca infatti abilmente con un’estetica visiva Anni ’60, utilizzando colore e diversi tipi di inquadrature. La sua direzione è contenuta e delicata, sempre supportata da una buona sceneggiatura e da dialoghi intelligenti. Il ritmo è talora discontinuo e varia molto fra prima e seconda parte. Forse qualche minuto in più dedicato a meglio delineare i contesti familiari dei protagonisti avrebbe giovato ad una maggiore comprensione dei loro comportamenti e del colpo di scena finale.

Il punto di forza del film è un cast delizioso, caratteristi e secondi ruoli compresi. Su tutti primeggia Jim Broadbent, al suo meglio con il suo talento ed il suo capitale di simpatia, malizioso, stravagante e capace di adattarsi alle tante sfaccettature del personaggio genera immediatamente empatia nello spettatore. Accanto a lui Helen Mirren, fantastica nel ruolo che fa da controcampo razionale agli ardori protestatari e velleitari del coniuge.

Il Ritratto del Duca è un film che palati molto raffinati o molto esigenti potrebbero anche giudicare solo come “cinema popolare o superficiale”. Non direi! È piuttosto un piccolo film che di certo punta ad intrattenere ma che ha anche un suo cuore con delle verità profonde. Un piccolo film senza grandi ambizioni ma pur sempre un film gradevole, tenero e molto ben interpretato. Un film molto inglese, in cui le emozioni sono tutte molto contenute ma arrivano a toccare lo spettatore.

Ce ne fossero di piccoli film così!

data di pubblicazione:04/03/2022


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THE BATMAN di Matt Reeves, 2022

THE BATMAN di Matt Reeves, 2022

C’è del marcio a Gotham City e di questo Bruce Wayne ne è ben conscio, anche se è solo da due anni che veste i panni di Batman. Si trova comunque ad affrontare un pericoloso serial killer, l’Enigmista anche lui a caccia di influenti concittadini di Wayne (corrotti?). Qualcuno, nuovi e vecchi alleati, gli darà una mano a scoperchiare la rete di corruzione che attanaglia la città.

La sceneggiatura di The Batman si basa originariamente sui fumetti di Bob Kane, ma lo stile del regista Matt Reeves (Cloverfield, Il Pianeta delle Scimmie) che l’ha scritta insieme a Peter Craig (Hunger Games), sembra attingere più a quello del miglior Frank Miller di Sin City . Questo per restare nel campo dei cultori dei comics. Fortunatamente, questo The Batman, ennesimo episodio di un super eroe già visto n volte sugli schermi con esiti non sempre memorabili (a parte la notevole trilogia di Nolan, s’intende) ambisce ad entrare nel grande cinema tout court, attraverso una pellicola ricca e sfaccettata di grande impatto visivo ed emotivo.

Uno spettacolo che abbraccia più generi e che non si sottrae nell’affrontare problematiche anche scomode (la povertà diffusa, la corruzione dilagante, il razzismo sociale) amalgamandole all’interno di un tessuto “noir” quando non “horror”. Sin dalle prime immagini il film si preannuncia dark: atmosfere cupe che riportano al miglior Blade Runner, una Gotham City post- industriale ripresa , non a caso, sulle note di, Something in The Way dei Nirvana. In quel contesto   fa la sua apparizione il nuovo Cavaliere Oscuro che in sella alla sua bat-moto, sussurra: Io sono la vendetta! suggerendo il filo conduttore della trama.

Se si mettono da parte pregiudizi sul genere (ma quale nella circostanza?) ci si trova a cospetto di una pellicola di tre ore girata con grande mestiere, pregna di invenzioni e soluzioni visive altamente coinvolgenti, con un quadro psicologico quantomai attento ai vissuti dei protagonisti. Oltre il fumetto dunque, seppure con la stessa accurata ricerca dei particolari e dell’estetismo dei migliori disegnatori, ma con scelte cromatiche, colonna sonora, sensazioni più dei dialoghi, personaggi, anche colpi di scena, in grado di creare/ricreare nello spettatore atmosfere che bene rappresentano lo spirito di Gotham City, una città che vive di notte e con la pioggia, ricettacolo di criminali e corruzione. In questo mondo batte il cuore di Wayne/Batman, il più “nero” dei Batman mai visti al cinema, un personaggio dilaniato perché sin da ragazzo, costretto a fare i conti con un passato avvolto nel mistero. Robert Pattison, con ciuffo nero e occhi diabolici incarna bene il nostro eroe, accanto a lui un cast eccezionale in cui ritroviamo, Paul Dano (già apprezzato in 12 Anni Schiavo) nel ruolo dell’Enigmista, Zoe Kravitz (Big Little Lies) l’alleata enigmatica Catwoman, il misurato Jeffrey Wright (No Time to Die) nei panni del tenente Gordon e ancora John Turturro, il mafioso Carmine, Falcone, Colin Farrell, il Pinguino e Andy Serkis, l’affezionato maggiordomo Alfred.

Nel nostro caso e in conclusione, si può affermare che la vera grande protagonista è la città, non la Napoli o la Roma di Sorrentino, ma un’ immaginaria Gotham City che sembra esistere solo nella pioggia e nella notte come e più della Los Angeles di Ridley Scott, e nel ricordo degli spettatori.

data di pubblicazione:02/03/2022


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LA VERA STORIA DI LUISA BONFANTI di Franco Angeli, 2022

LA VERA STORIA DI LUISA BONFANTI di Franco Angeli, 2022

Un mockmuntary italiano in piena regola con la descrizione della vita immaginaria di un’attrice che però percorre passi e stralci di una vita reale. Con realtà e finzione continuamente alternatesi su un piano di interessante sintesi per lo spettatore. Il capolinea con un suicidio che avviene in una squallida stanza d’albergo nello stesso giorno in cui muore Enrico Berlinguer. 38 anni fa.

 

Affascinante nel giorno dell’anteprima constatare la passione con cui la coppia Angeli-Bonifazi ha perseguito il completamento e la definitiva uscita di una pellicola che, tra vari intervalli, ha portato via un bel pezzo dei tredici anni di vita della coppia. Anzi, il plot ha una genesi ancora più antica dato che segue, con un grosso taglio di scrittura, un omologo spettacolo teatrale che debuttò nel 2001 con musiche originali abbondantemente utilizzate nel movie odierno. C’è tanta storia d’Italia nelle immagini di repertorio. Tra terrorismo, complottismo, gavetta e prime esperienze di un’attrice immaginaria che parte dal Mandrione pasoliniano con tante speranze di carriera che si perdono tra particine, provini umilianti e l’ingresso nel cinema porno, mallevadore di tante scene di sesso. Così con continui salti cronologici il presente è un meditato suicidio in una stanza di un albergo equivoco dove vengono sparse sul letto tutti i memorabilia di un’esistenza. Luisa Bonfanti ci ha fatto vivere la propria storia e esce di scena a 36 anni con tante vite vissute e tante storie inespresse non vissute. La vicenda circoscrive la propria forbice temporale tra il 1980 e il 1984 e gioca sulla continua schizofrenia dei piani aristotelici predisponendo a varie letture e a un gioco assortito di fruizioni. Livia Bonifazi asseconda l’ambizioso progetto artistico del marito-regista con assoluta credibilità e un notevole coraggio anche per la scabrosità di molte scene. Grazie anche a un volto e a un corpo oggi senza età.

data di pubblicazione:02/03/2022


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LO ZOO DI VETRO di Tennessee Williams, regia di Leonardo Lidi, con Tindaro Granata, Anahì Traversi, Mariangela Granelli e Lorenzo Bartoli, scene di Nicolas Bovey

LO ZOO DI VETRO di Tennessee Williams, regia di Leonardo Lidi, con Tindaro Granata, Anahì Traversi, Mariangela Granelli e Lorenzo Bartoli, scene di Nicolas Bovey

(Teatro Vascello – Roma, 22/27 febbraio 2022)

Leonardo Lidi interpreta Lo zoo di vetro di Tennessee Williams usando la metafora come principale strumento di comunicazione e ponte per l’immaginazione. La famiglia Wingfield è una compagnia di clown che fa esercizi su una pista di sconvolgente tenerezza.

 

Chi ha mai affrontato un trasloco sa che per trasportare oggetti fragili è necessario fare molta attenzione. Se poi sono fatti di vetro il lavoro è ancora più delicato. Sarà per questo che la scena di Nicolas Bovey è cosparsa interamente di morbidi fiocchi di polistirolo, per attutire almeno un poco quello che vi cade sopra: corpi esistenze e alla fine l’intera casa della famiglia Wingfield, una grossa scatola di cartone rosa. È il contenitore nel quale Tom, il personaggio che narra la storia, chiude i suoi ricordi. Sua madre Amanda (Mariangela Granelli) è una sposa abbandonata dal marito tanto tempo prima. Cammina in equilibrio sulla vita, attenta a non inciampare con le sue lunghe scarpe da pagliaccio, nel tentativo di tracciare una strada sicura dove far passare i suoi due figli, in un contesto sociale impoverito di un’America in piena depressione. Il sorriso di questa madre dalla corporatura robusta, e quindi goffa e impacciata – i costumi sono di Aurora Damanti –, non va mai via dalle sue labbra. Il merito però è del trucco che maschera all’esterno la fatica e la preoccupazione per una vita precaria che non regala nulla. Tom (Tindaro Granata) è il figlio minore, costretto a prendere sulle spalle la responsabilità della famiglia. Svolge con fatica un lavoro che non è il suo e va tutte le sere al cinematografo per nutrire la sua anima di sognatore. La sua volontà lo porterebbe altrove, lontano, magari anche sulla luna, a cui guarda nascosto nei panni di un malinconico Pierrot. È preoccupato per la sorella Laura (Anahì Traversi) che la zoppia a una gamba ha reso fragile e insicura. Nell’immaginazione del regista il personaggio diventa un mimo dalle movenze leggere, capace di comunicare con sottile dolcezza la sua paura per la vita. Serve un matrimonio per garantire un futuro sereno alla ragazza e così viene invitato a cena Jim (Lorenzo Bartoli), un collega amico di Tom, che però si rivelerà una delusione. Il ragazzo infatti è già promesso a un’altra donna. È l’unico personaggio a non vestire i panni dell’immaginazione, ma quelli della cruda e sterile realtà.

La regia del talentuoso e giovane Leonardo Lidi (classe 1988) rompe il rigido schema imposto dal realismo e si avventura verso un’interpretazione che tiene conto dell’aspetto sentimentale, che fa appello alla memoria e ai ricordi che questa riesce a tenere. “Il dramma è sentimentale, non realistico”, sottolinea più volte Tom con crescente intensità all’inizio della recita. E dal testo pesca il lato grottesco, amplificandolo non solo nelle gag messe su dal gruppo di clown, ma anche dalla proiezione tra un atto e l’altro del cortometraggio disneyano The haunted house, dove Topolino è protagonista di disavventure in una casa infestata da fantasmi. Il risultato è un lavoro che arriva a mostrare con struggente poesia la malinconica verità che si nasconde dietro le buffe maschere che a volte mettiamo per nascondere la fragilità di animali di vetro, che si sbeccano anche solo se qualcuno li guarda.

data di pubblicazione:1/03/2022


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LUCE SULL’ARCHEOLOGIA – VIII EDIZIONE – terzo appuntamento

LUCE SULL’ARCHEOLOGIA – VIII EDIZIONE – terzo appuntamento

(Teatro Argentina – Roma, 6 febbraio/8 maggio 2022)

Claudio Strinati introduce questo terzo appuntamento domenicale con l’Archeologia parlandoci di un soggetto che esula dall’argomento della giornata per dare invece una lezione vera e propria di Storia dell’Arte. Questa volta ha intrattenuto il pubblico in sala parlando del celebre quadro del Domenichino La caccia di Diana, oggi alla Galleria Borghese di Roma. Commissionata dal cardinale Pietro Aldobrandini, l’opera fu sottratta al pittore dal cardinale Scipione Borghese, affermatosi soprattutto come uno dei più importanti mecenati e collezionisti d’arte del primo seicento. Non riuscendo con le buone maniere a farsi cedere il dipinto, l’alto prelato era ricorso alla forza facendo addirittura trattenere per alcuni giorni in prigione il Domenichino per poi risarcirlo con una somma, anche per quei tempi, ritenuta irrisoria. Il Prof. Alessandro D’Alessio, Direttore del Parco Archeologico di Ostia Antica, ha parlato di Neropolis, tra realtà e utopia nella Roma di Nerone, concentrandosi soprattutto sull’incendio che nel 64 d.C. in nove giorni aveva raso al suolo la capitale dell’Impero e di cui era stato accusato ingiustamente dai cristiani lo stesso imperatore. Ma gli storici sono oggi tutti concordi nel ritenere che il più grande disastro della storia di Roma sia dovuto al caso, visto che era scoppiato in estate con giornate caldissime in una città che era quasi interamente costruita in legno. Il Prof. Antonio Marchetta, dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ha preso la parola per parlare del Tieste, tragedia scritta da Seneca, che narra della maledetta stirpe di Tantalo, personaggio della mitologia greca che per i suoi numerosi delitti era stato punito dagli dei e sottoposto ad un eterno supplizio nelle tenebre del Tartaro. Questo racconto è lo spunto per parlare ancora di Nerone e del suo terzo, poi risultato vano, tentativo di uccidere la madre Agrippina, invitandola a viaggiare su una nave difettosa in modo che sarebbe morta a causa di un naufragio. L’imperatore aveva dato scandalo per aver fatto costruire, con enorme sperpero di soldi pubblici e impiego di famose maestranze, la Domus Transitoria per collegare le tenute imperiali del Palatino con gli Horti Maecenatis sull’Esquilino. Le pitture, gli stucchi e i marmi che la decoravano andarono distrutti nel citato incendio del 64 d.C. ma erano solo un’anticipazione dello splendore della famosa Domus Aurea, costruita successivamente sempre con dilapidazione dell’erario di stato. Chiude la giornata la scrittrice Annarosa Mattei che ha parlato del suo libro Sogno notturno a Roma (1871-2021) per svelare i traumi subiti dalla città eterna a partire dal 1871, anno in cui fu proclamata capitale del Regno d’Italia, fino ai giorni nostri, come per esempio la demolizione totale dell’area intorno al Campidoglio, ricca di edifici di incomparabile valore storico e architettonico. Prossimo appuntamento per domenica 6 marzo quando verrà affrontato il tema della donna cristiana e del suo inserimento nel contesto sociale dell’Impero romano.

data di pubblicazione:28/02/2022

LA FANTASTICA SIGNORA MAISEL – IV stagione, su Amazon Prime

LA FANTASTICA SIGNORA MAISEL – IV stagione, su Amazon Prime

 La serie ambientata a partire dal 1958 descrive il percorso di emancipazione femminile di Miriam “Midge” Maisel, giovane donna della buona borghesia ebrea newyorchese decisa ad affermarsi come cabarettista in un mondo fino allora a forte prevalenza di ruoli maschili.

 

La serie, prodotta da Amazon Studios, giunta alla sua quarta stagione, è in assoluto una delle più premiate della categoria fra Golden Globe e SAG Awards, diversamente distribuiti ad attori, attrici, sceneggiatori etc, e riconosco una delle più riuscite (seconda forse alla sola Breaking Bad, peraltro di diverso genere). Tecnicamente si definisce un dramedy ed è una creatura della coppia di sceneggiatori Amy Sherman e Daniel Palladino (già famosi negli USA per la serie Una Mamma per Amica, di cui non so…). Certamente si tratta di una complessa rappresentazione, ora decisamente divertente, ora drammatica-ma-senza- esagerare (gli americani si sa amano i drammi ma solo con il lieto fine), sempre intelligente ed arguta, come la sua splendida protagonista, la fantastica signora Maisel del titolo, interpretata dalla bella, brava e soprattutto, spontanea Rachel Brosnahan. Una ragazza che ha sempre fatto tutto bene, gli studi, il matrimonio, la mamma e la moglie, almeno finché non viene a conoscenza di un tradimento del suo ex perfetto maritino Joel , aspirante cabarettista. Tutto cambia e Midge non trovando l’auspicato conforto nelle famiglie (la sua e quella dell’ex marito) si ritrova al Gaslight, luogo reale del mitico Village di New York, e dopo la conoscenza di Lenny Bruce (altra reale figura carismatica di quegli anni) s’improvvisa cabarettista caustica e sboccata, Con la trama mi fermo e per due ragioni, la prima perché non avrebbe senso raccontare quattro stagioni ricchissime di eventi che è meglio scoprire guardando le diverse stagioni, la seconda perchè, se vogliamo, non sono gli accadimenti il pregio maggiore della serie che ha in ben altro i suoi punti forti. Ovvero, in primis, i dialoghi mai banali, direi, piuttosto brillanti e “deliziosamente” colti o inevitabilmente spinti. I personaggi: non solo la deliziosa Midge, ma certamente la sua amica-promoter Susie (Alex Borstein, tanto rozza quanto incontenibile) come i suoi incredibili genitori Abe e Rose Weissman, splendidamente caratterizzati da Tony Shalhoub (il padre) e Main Hinkle (la madre) due amabili snob, per (non) tacer del marito, Joel Maisel (un Michael Zegen, misurato e credibile) e dei suoi tipici genitori ebrei alla woodyallen ,Moishe Maisel (Kevin Pollak) e Shirley Maisel (Caoline Aaron). Che dire poi dell’ambientazione, perfetta in ogni dettaglio, dai cappellini di Midge ai locali fumosi del Greenwich, dalle canzoni e musiche d’epoca alle località di villeggiatura, tutto ci permette di calarci appieno negli anni a cavallo fra il ‘50 e il ‘60.

Qualche limite? Quello di tutte le serie : il graduale peggioramento nel senso di “già visto” che inevitabilmente affiora man mano che le stagioni vanno avanti. E’ quindi troppo facile dire che le prime due siano state certo le migliori,ma, altrettanto, onestamente va riconosciuto che il livello generale si sia mantenuto comunque sempre molto decoroso. Da non perdere!

data di pubblicazione:27/02/2022

DESTINAZIONE NON UMANA di Valentina Esposito

DESTINAZIONE NON UMANA di Valentina Esposito

(Teatro India – Roma, 22/27 febbraio 2022)

In scena al Teatro India di Roma Destinazione non umana, nuovo spettacolo scritto e diretto da Valentina Esposito con la Compagnia Fort Apache Cinema Teatro, che vede coinvolti attori, performer ed ex detenuti formatisi all’interno delle carceri di provenienza ed oggi, professionisti di cinema e palcoscenico. Sette cavalli da corsa oramai vecchi e malandati condividono gli ultimi crudi momenti di un’esistenza fatta di fugaci attimi di esaltazione a fronte di dolore e sopraffazione, nel solco di una predestinazione che è per loro condanna e morte straziante.

Torna a distanza di tre anni al Teatro India di Roma la drammaturga e regista Valentina Esposito e la sua meravigliosa factory Fort Apache Cinema Teatro. A gennaio 2019 ci aveva sorpreso e commosso con lo spettacolo Famiglia, foto ricordo di una famiglia con le sue tre generazioni tra vivi e morti riunite il giorno del matrimonio dell’ultima e unica figlia femmina, testimonianza di un’umanità  marginale, perdente che cannibalizza e divora affetti e sentimenti.

Con Destinazione non umana Valentina Esposito colpisce ancora di più al cuore con la drammatica storia dell’ospizio prigione per ex cavalli da corsa, cavalli pensanti, esseri sopraffatti e mai liberi, vittima ognuno di un destino imposto dall’essere pensante per eccellenza, l’uomo, la magnifica creatura che lo ha fatto nascere senza amore, lo ha privato di sentimenti, drogato e seviziato, facendolo sentire apparentemente invincibile, per poi costringerlo ad una fatiscente reclusione in attesa di essere smembrato e venduto a pezzi al migliore offerente.

In scena tanti attori straordinari (ex detenuti e non) che danno vita al dramma: uno spettacolo che prova a scandagliare l’anima dei personaggi facendo perno anche sulla sofferenza legata ai lunghi anni di reclusione affrontata da molti di loro. Ecco allora i ricordi sbiaditi di corse e inseguimenti, di anfetamine e veleni, di inseminazioni artificiali ed uteri in affitto, di amori non vissuti, in nome di un gioco e di una corsa stupida e senza senso. Ci si ritrova così vecchi e zoppi, malati e storditi in attesa del supplizio.

Un teatro mistico e ancestrale, fatto di dolore e polvere, di imbracature e pastelli, scandito dal rumore di frustini e catene ma anche dal suono di nenie e dialetti, forte di una coralità estrema, di fotogrammi intensissimi, un teatro voce degli ultimi e dei deboli, una poesia sulla dignità dell’esistenza che va riconosciuta a tutti.

data di pubblicazione:26/02/2022


Il nostro voto:

IL CAPANNO DI FLIPKE e altri racconti di Georges Simenon – ed. GLI ADELPHI, 2022

IL CAPANNO DI FLIPKE e altri racconti di Georges Simenon – ed. GLI ADELPHI, 2022

Georges Simenon scrittore dalla compulsiva prolificità scrisse oltre 200 romanzi, ben 178 racconti ed innumerevoli brevi storie, raccontini, articoli, novelle e reportage dei suoi viaggi. Tutti questi ultimi venivano scritti per essere pubblicati sui giornali, sui settimanali o sulle riviste le più svariate, oppure spesso venivano dimenticati o lasciati più o meno volutamente nei cassetti. Alcuni sono piccoli gioielli che, se sviluppati, sarebbero potuti divenire poi splendidi romanzi, alcuni sono tracce, idee, situazioni o personaggi poi effettivamente ripresi ed ampliati nei suoi libri, parecchi altri sono invece solo e soltanto brevi schizzi di situazioni o di psicologie umane o spunti di storie poi abbandonate. Tutto quest’ultimo materiale, spesso trascurato dall’autore stesso quando in vita, è stato talora recuperato ed assemblato in raccolte dai vari editori un po’ a caso.

Accanto ai capolavori: i Romans Durs, i Maigret, abbiamo così anche un Simenon de i Racconti Sparsi. Un Simenon “minore”!

Abbiamo sempre detto che “di Simenon non si può buttare via proprio nulla”, è vero! Anche nei suoi raccontini ritroviamo in nuce i temi e le atmosfere letterarie del mondo dello scrittore belga: piccoli ritratti incisivi, accenni del dramma del vivere umano, del gioco beffardo del Destino, dei conflitti familiari e delle eterne inutili illusioni.

Quest’ultima raccolta Il Capanno di Flipke contiene 10 brevissimi raccontini scritti tutti tra il 1941 ed il 1945, e sette di essi sono totalmente inediti in Italia. Da un punto di vista letterario non aggiungono ovviamente nulla di nuovo alla figura dello scrittore.

Questa volta però, oserei dire sono proprio degli “avanzi di cassetto”, aggregati senza alcun filo conduttore, che molto probabilmente per esigenze commerciali o per vincoli editoriali una casa editrice seria come Gli Adelphi si è insolitamente trovata costretta a dover stampare e poi portare in libreria. La sensazione sgradevole è che si stia proprio raschiando il fondo! Mi auguro che non si sia trattato invece di un’operazione meramente economica. Un’operazione che comunque sia proietta più ombre che luci.

Come detto, da un punto di vista letterario si tratta veramente di ben poca cosa. Pur volendo ritrovare in essi lo stile asciutto ed essenziale dell’autore ed accenni alle umane vicende ed a personaggi disegnati con quell’acutezza psicologica con cui Simenon descriveva la sua umanità piccola, piccola, la loro brevità od esiguità è tale da non rappresentare affatto in modo degno lo scrittore, nemmeno il Simenon “minore” e la loro lettura non può che indispettire gli appassionati.

data di pubblicazione:24/02/2022

URBANA di Vincenza Salvatore – Bertoni editore, 2020

URBANA di Vincenza Salvatore – Bertoni editore, 2020

Una caduta nell’abisso della depravazione in una storia italiana di ordinaria dissipazione. Più che un’immersione sociologica nel mondo deraciné dei barboni borderline l’autrice si sofferma su un personaggio femminile che è l’onnivoro e patologico centro del racconto. Legata al personaggio che racconta da un misto di attrazione e repulsione che si sviluppa per tutta la durata del romanzo o racconto breve. Un’ossessione che nasce dal tentativo frustrato di riscatto, di un possibile aiuto per sottrarla a una condizione a cui sembra inevitabilmente destinata. I legami con la vendita sessuale, con la droga, con la mancanza di cibo, con l’abdicazione a qualunque forma di dignità rimandano al presente in chiaroscuro di tanti abitanti di San Lorenzo e dintorni. Non c’è il tentativo di disegnare una mappa corale della sofferenza perché il focus è esclusivamente puntato su Urbana, in una serie di incontri, sparizioni, abdicazioni che danno all’incerta cronologia degli avvenimenti un carattere vago e sfrangiato. Il rischio è quello del bozzettismo di genere ma crediamo che il più grosso inciampo della prova sia un certo compiacimento nella ripetizione, nel ritorno concentrico alla speranza disillusa. Urbana non è convertibile ad alcuna forma di cambiamento, destinata a inabissarsi in questo inferno che lei stessa ha creato. Storia vera di una donna irrimediabile, storia presa dalla realtà. Il fragile corpo di Urbana non resisterà a un’overdose. Se ne andrà, non rimpianta, se non dal protagonista, a soli 45 anni di età disegnando un percorso di solitudine che è proprio a molti sans papier dell’Urbe. Un linguaggio semplice e accessibile rende il libro di facile comprensione anche se una sottile inquietante linea di angoscia lo percorre per il centinaio di pagine di svolgimento. Non è un caso che l’autrice sia impegnata nel sociale e nel volontariato da tempo e che abbia affrontato vis a vis le tematiche su cui si diffonde.

data di pubblicazione:24/02/2022