IL MALATO IMMAGINARIO di Molière, adattamento e regia di Guglielmo Ferro con Emilio Solfrizzi

IL MALATO IMMAGINARIO di Molière, adattamento e regia di Guglielmo Ferro con Emilio Solfrizzi

(Teatro Quirino di Roma, 6/11 dicembre 2022)

Un evegreen che non tramonta che si riaffaccia a grande richiesta in una sala piena e plaudente. Trascinante Solfrizzi che non prevarica i compagni di una scena ricca e non priva di sorprese.

Argante è il malato molto immaginario che deve sistemare la figlia. La malattia prende il sopravvento all’inizio e alla fine come scioglimento e possibile rimedio filosofico nella scappatoia del cura te ipsum. Ma in mezzo c’è la tradizionale vicenda amorosa. Un impossibile matrimonio combinato per forza salta in aria come tutta la concatenazione degli affetti familiari. Quando Argante si finge morto si vede tutto l’interesse delle moglie matrigna e, come contraltare, il sincero affetto della figlia, destinata al convento per aver rifiutato il giusto marito. Ecco che Argante esce dalla preoccupazione dei propri mali, si ravvede e torna umano, spinto dalla lucidità del fratello. Costumi d’epoca, prendendo in giro lo stesso Molière che si auto-crocifigge ironicamente nel testo recitato. Solfrizzi è bravo nel mutare colorazione in capo a due tempi equilibrati. E il logico happy end è sfumato quando il protagonista rimane solo e può tirare un punto a capo sulla complessa vicenda che lo ha riguardato. La malattia è una via di fuga per non affrontare problemi reali. Ma quando questi ultimi saranno affrontati di petto anche la malattia inventata diventerà un rebus risolvibile. Si ride, si pensa, si medita con un testo che ha solo bisogno di un’adeguata spolveratina ma che non viene mai banalmente virato sull’attualità. L’autore lo ha scritto per se stesso e Solfrizzi si fonde nei panni dell’autore francese. Overdose di clisteri non mostrati per una malattia che è tutto e niente insieme, come i possibili rimedi adottati da medici fanfaroni. C’è lo spirito del tempo ma anche un sentore del tempo nuovo.

data di pubblicazione:07/12/2022


Il nostro voto:

FURORE di John Steinbeck, adattamento di Emanuele Trevi con Massimo Popolizio

FURORE di John Steinbeck, adattamento di Emanuele Trevi con Massimo Popolizio

(Teatro Argentina – Roma, 6/18 dicembre 2022)

John Steinbeck, insignito del premio Nobel per la letteratura, nel 1939 pubblica Furore frutto di un lavoro giornalistico in massima parte dovuto al suo impegno civile e alla sua denuncia sociale. Nonostante l’incubo della grande depressione si ritenesse oramai del tutto vanificato, ci sono grandi masse di contadini che muoiono di fame a causa della siccità che colpisce alcune regioni degli Stati Uniti. Le tempeste di sabbia coprono irrimediabilmente i raccolti di cotone e le piantagioni di mais, da tutto ciò nasce questo racconto destinato a diventare un insuperabile capolavoro letterario.

  

Emanuele Trevi, critico letterario, autore di diversi saggi e romanzi, ha vinto lo scorso anno il Premio Strega con il libro Due vite, una densa biografia dei suoi più cari amici Rocco Carbone e Pia Pera. Per il Teatro di Roma – Teatro Nazionale cura un adattamento dell’opera di John Steinbeck, riuscendo perfettamente a sintetizzare gli aspetti più salienti di una drammaturgia che non può che colpire la sensibilità dello spettatore. La buona riuscita di questo spettacolo, che verrà presentato nei prossimi giorni al Teatro Argentina di Roma, è soprattutto dovuta alla presenza unica sulla scena di Massimo Popolizio, cresciuto professionalmente come attore teatrale anche per la lunga collaborazione artistica con il regista Luca Ronconi. Tra pacchi di giornali accatastati e una vecchia macchina da scrivere, per ricordarci che Steinbeck era stato anche uno stimato giornalista, Popolizio ci racconta l’odissea di quei contadini costretti dalla miseria a lasciare l’Oklahoma, oramai ridotta ad un deserto di sabbia, per migrare verso la lontana California, un paradiso dove sperano, e forse si illudono, di trovare lavoro e condurre una vita più umana. Le percussioni, curate dal vivo da Giovanni Lo Cascio, accompagnano l’attore nel racconto-resoconto di un dramma che non può non coinvolgerci visto che rimanda ai giorni nostri con l’inarrestabile esodo di migliaia di migranti, alla ricerca di un posto dove vivere e dove sfamare i propri figli. Ecco perché risulta geniale questa trasposizione teatrale che di fatto sintetizza tutti i grandi problemi sociali, ambientali e climatici che riguardano oggi, più che mai, il nostro pianeta. Le immagini video proiettate sulla scena (create da Igor Renzetti e Lorenzo Bruno) segnano i diversi capitoli e ci fanno vedere, oltre che sentire, la disperazione negli sguardi di quegli uomini che, pur essendosi ribellati al brutale sfruttamento, non riescono tuttavia a venir fuori da quell’inferno sociale e morale di quegli anni. Il reiterato problema della globalizzazione, un’economia di mercato che preferisce distruggere grandi masse di prodotti agricoli al fine di mantenere un certo livello dei prezzi, lo sfruttamento dei migranti che si continuano a guardare con diffidenza e paura se non addirittura con odio, ecco la miscela esplosiva che viene proposta in Furore. Massimo Popolizio è un grande interprete che sa calibrare bene i suoi tratti per farci comprendere appieno quanto di disumano ci sia nell’umanità di oggi. Al Teatro Argentina fino al 18 dicembre.

data di pubblicazione:07/12/2022


Il nostro voto:

BENTIVOGLIO LEGGE FLAIANO, da La solitudine del satiro, in collborazione con Bubba Music, suoni e atmosfere a cura di Ferruccio Spinetti

BENTIVOGLIO LEGGE FLAIANO, da La solitudine del satiro, in collborazione con Bubba Music, suoni e atmosfere a cura di Ferruccio Spinetti

(Teatro Palladium – Roma, 4 dicembre 2022)

Nel cinquantennale della morte un corrosivo omaggio al cittadino di Montesacro, abruzzese inurbato a Roma. Teatro pieno, dieci minuti di applausi a un protagonista decisamente poco espansivo.

Flaiano non è solo il mago degli aforismi. Tieni a stento il paragone umoristico con Campanile. Una solida infrastruttura di pensiero sorregge le divagazioni satiresche che Bentivoglio, utilizzando tutte la capacità di relazionarsi con il microfono, valorizza anche nell’esibizione romana in capo a una fortunata tournèe. Non ricordiamo tanti applausi per un reading. Dieci minuti ininterrotti a prolungare la magia di 75 minuti di intense letture con alcuni punti forti e altri meno intensi (lo si capisce dalla scarsa reattività del pubblico a intuire la fine e, di conseguenza, ad applaudire). Platea radical chic (dalla Comencini in giù) con spruzzi di intellighentzia Ma ne valeva la pena per riscoprire la modernità intatta di valutazioni che hanno almeno sessanta anni. L’uggia per Roma, per l’immutato carattere italiano da parte di uno scrittore di un solo romanzo, di tante sceneggiature, di un enorme mare di scritti. L’arcipelago Flaiano qui viene parzialmente circumnavigato documentando che per i nostri connazionali la linea che collega due punti non è lineare ma è un infinito arabesco. L’anniversario, messo in ombra da quello di Pasolini, conosce un colpo d’ala prima della fine dell’anno. Un po’ in ombra la parte di Ferruccio Spinetti, componente degli Avion travel. Contrappunti e sottofondi senza mai essere nominato dal partner amico. E quando i due escono di scena si attende invano un bis. Inusitato ma certamente possibile anche all’interno di un felice reading. All’uscita clima salottiero da dibattito per contenuti che non lasciano certo indifferenti in una città sempre più cupa, imbruttita e scostante, anche sotto Natale.

data di pubblicazione:05/12/2022


Il nostro voto:

CIARA, UNDRESSED SOLO di David Harrower, con Roberta Caronia, regia di Elena Serra

CIARA, UNDRESSED SOLO di David Harrower, con Roberta Caronia, regia di Elena Serra

(Teatro Belli – Roma, 16 novembre 2022)

A conferma dell’alta qualità degli spettacoli portati in scena nell’ambito della XXI edizione di Trend. Nuove frontiere della scena britannica, Ciara, undressed solo vede protagonista Roberta Caronia, che interpreta una donna determinata a sfidare le difficoltà di una società fosca e complessa attraverso una piccola galleria d’arte. Diretto da Elena Serra, il lavoro di David Harrower torna sul palco del Belli dopo un primo studio presentato nel 2019, sempre per Trend, su progetto di Walter Malosti.

 

La donna gigante, sdraiata nuda sotto il cielo di nuvole che sovrasta la città scozzese di Glasgow, sembra dormire. È il quadro preferito di Ciara, una donna che gestisce una piccola galleria d’arte alla periferia della città. Questa attività è il suo orgoglio e il suo strumento di riscatto. Per questo il nome che ha dato alla galleria è Belisama, prendendo ispirazione dalla divinità celtica simbolo del fuoco e della luce, ma anche delle arti e della creatività. Roberta Caronia, interprete di Ciara, accoglie il pubblico tenendo in mano un bicchiere di vino rosso come in occasione di un vernissage o di un cocktail party. La scena però è vuota, scura, sobria. Anche lei è vestita di nero, fatta eccezione per la camicetta rosso acceso che indossa con disinvoltura e eleganza. Una macchia ben visibile di colore in un contesto spento e anonimo, come lo è in fondo Ciara per la città di Glasgow. L’autore del quadro è Alan Torrence, un pittore locale che con abilità lei riesce a vendere bene. Ciara è affascinata dal suo lavoro, lo osserva mentre crea i suoi quadri, lo va a trovare a casa per vedere come vive. Si attacca a lui come a volergli rubare un briciolo della sua bellezza creativa, della sua serenità. La stessa che mette nei quadri che raffigurano le donne giganti.

Di serenità e bellezza Ciara ne ha davvero bisogno. Così la chiacchierata davanti al bicchiere di vino si trasforma in uno sfogo accorato e il linguaggio diventa lo strumento terapeutico che serve a lenire il dolore che la protagonista porta dentro. Roberta Caronia è straordinaria nel far emergere lentamente il disagio di Ciara, aiutata da un disegno luci che le accarezza il corpo. Con delicatezza veniamo trascinati nei luoghi dove si svolge il racconto. Ciara è sposata con Brian, un uomo che al contrario di lei è interessato al commercio, al successo e agli affari sporchi. È riuscito a farsi strada conquistandosi la fiducia del defunto padre di Ciara, anche lui invischiato in brutte storie di scommesse e gioco d’azzardo. Una sorta di capo malavitoso molto rispettato in città, ma protettivo nei confronti della figlia. Ciara aveva anche un fratello, Ciaran, morto troppo giovane a causa della droga. Particolari di una storia che sporcano la bella immagine che ci eravamo fatti all’inizio.

Per quanto cerchi di tenersi lontano dai problemi nei quali la trascina il marito e dal peso che sente nell’essere stata la figlia di un gangster, Ciara è costretta a fare i conti con la criminalità. La violenza ha divorato il mondo di cui è parte, ma lei resiste continuando a cercare la bellezza. Anche quando la sua galleria viene incendiata e in testa le appaiono le immagini sfocate di facce minacciose e nemiche (il progetto video, che mostra volti deformati e sciolti nello stile che ricorda i dipinti di Francis Bacon, è di Donato Sansone). Nella società descritta da David Harrower, l’innocenza è una qualità che non può esistere. Vincono l’arroganza, l’invidia, le risse fuori da un pub per futili motivi. Roberta Caronia ce lo racconta con un’intensità drammatica che trascina e avvolge lo spettatore, costringendolo alla riflessione e alla consapevolezza. Lo fa con convinzione e straordinaria energia, trasformando in chiare immagini le emozioni che la abitano. Quale realtà si troverà davanti agli occhi la donna gigante appena si sveglierà? Sarà stata brava Ciara ad accendere una piccola luce per illuminare anche solo un poco tutta questa devastazione?

data di pubblicazione:04/12/2022


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IL PIACERE È TUTTO MIO di Sophie Hyde, 2022

IL PIACERE È TUTTO MIO di Sophie Hyde, 2022

Nancy, insegnante di religione in pensione, si ritrova a fare i conti con la propria vita passata, ma anche con quella presente: vedova di un uomo con il quale non ha mai avuto una vera intesa affettiva, né tantomeno sessuale, due figli con cui ha rapporti puramente formali, un insegnamento rigido e ai limiti del bigottismo. Finalmente si palesa tanta voglia di recuperare il rapporto con gli altri ma soprattutto con se stessa, iniziando da un oggetto di desiderio per lei finora considerato tabù: il sesso.

 

Sophie Hyde è una regista e produttrice australiana per la verità poco conosciuta in Italia anche se ha già ricevuto diversi riconoscimenti internazionali, in particolare al Sundance Film Festival nel 2014 per il film 52 Tuesdays. Questo suo ultimo lavoro (dal titolo originale Good Luck to You, Leo Grande) è già da qualche tempo distribuito nelle sale italiane e sta riscuotendo un discreto successo anche tra il pubblico, dopo essere stato elogiato dalla critica. Il film ha praticamente due soli protagonisti – la matura Emma Thompson e l’avvenente Daryl McCormack – e l’intera vicenda si svolge all’interno della camera di un hotel, sufficientemente elegante ma anonimo. Il motivo dell’appuntamento tra i due sconosciuti è molto preciso: da un lato l’insicura Nancy è in cerca di una genuina emozione sessuale che culmini in quell’orgasmo che non ha mai raggiunto in tutta la sua vita precedente, dall’altro l’intraprendente Leo Grande (nome di fantasia per nascondere la vera identità di un escort), è il professionista che gliela può regalare. I primi dialoghi, molto verbosi da parte della donna, sono tutti incentrati sul sesso: qualcosa di cui lei non è mai riuscita a parlare, un poco per i propri dubbi, ma soprattutto per un mero senso di vergogna. Durante i ripetuti incontri, sembra che il gioco delle parti proceda via via in senso inverso dal momento che i tentennamenti di lei passano a lui, rivelando in Leo una natura fragile e infelice per l’abbandono da parte della madre che lo rifiuta come figlio. Ma in definitiva ci si chiede: come mai la regista si accanisca su questo argomento? La risposta sta forse nell’iniziale e prolungato imbarazzo della protagonista che mostra al tempo stesso anche attrazione verso qualcosa che è sostanzialmente al centro dei propri desideri me che le è stato da sempre negato da colui, suo marito, che è stato l’unico con il quale abbia fatto sino ad allora le sue esperienze sessuali. Ed è proprio in quella “stanza ad ore” che si realizza inconsapevolmente quanto di fatto non ci si aspettava. Attraverso i dialoghi, preludio poi di una sexual session vera e propria, si mettono a nudo i problemi di entrambi, problemi che poi porteranno ad una sorprendente intimità e complicità. Lo spettatore percepisce una certa elettricità nell’aria, un certo impatto emotivo, una certa attrazione fisica per quanto ovvio più verso il seducente Leo che non per l’attempata Nancy, ma tutto ciò non toglie nulla al fatto che il film ci faccia stare bene, ci faccia fare qualche sana ed intelligente risata e ci suggerisca quanto sia semplice affrontare cose solo in apparenza complicate. Inutile sottolineare la bravura drammatica di Emma, assolutamente disinibita nel mostrarsi nuda, e l’altrettanta bravura di Daryl, per metà irlandese e per metà afroamericano, anche lui disinibito, ma con qualche difficoltà in meno considerata la giovane età ed il fisico da statua greca. Entrambi danno comunque prova di grande coraggio nel mettersi “a nudo” ed il film ci rende partecipi di quello che è il percorso di entrambi, divertendoci con intelligenza.

data di pubblicazione:04/12/2022


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ARRANGIATI, MALINCONICO di Diego De Silva – ed. Einaudi, 2022

ARRANGIATI, MALINCONICO di Diego De Silva – ed. Einaudi, 2022

Sull’onda della positiva accoglienza della miniserie TV di RAI1, tutta centrata sulle avventure/disavventure dell’Avvocato Vincenzo Malinconico, “l’avvocato d’insuccesso” dalla vita a dir poco complessa, creato dall’abile penna di De Silva, ecco subito pronto in libreria, per i tipi Einaudi, una raccolta dei primi tre volumi di quella che è divenuta una vera e propria saga di successo. Un ottimo formato, intelligente e comodo per chi ama leggere e vuole poter conoscere ed approfondire, in tutte le sfumature, il personaggio creato dalla ricca ed ironica fantasia dello scrittore napoletano. In effetti sono i primi tre libri, i primi tre capitoli della serie: Non avevo capito niente, Mia suocera beve e Sono contrario alle emozioni in cui la figura del protagonista inizia a definirsi e ad assumere le sue peculiari caratteristiche fra situazioni strambe o paradossali.

Un professionista di scarso successo, un uomo instabile oltre che lavorativamente anche affettivamente che affronta però la Vita con una filosofia tutta sua e con un approccio distaccato e pungente ma umanamente profondo. Il nostro antieroe, avvocato delle cause perse, è infatti un uomo qualunque che attraversa gli alti ed i bassi della sua vita riflettendo e divagando, con una miriade di pensieri stravaganti, ironici e divertenti, sui fatti quotidiani in cui tantissimi lettori si possono, a loro volta, rispecchiare. L’Autore ci porta in giro per una Realtà ed una Società che Malinconico riesce, talora inconsapevolmente, ad osservare con distacco quasi scientifico: … l’improbabile difesa d’ufficio di un camorrista con poi risvolti tragicomici, i rapporti, a dir poco, complicati con la sua ex moglie e con la sua famiglia, un sequestro di persona in un supermercato, le vicende affettive personali e l’incontro con uno psicologo … Tutto questo vivere quotidiano e, talora, anche quotidiano arrangiarsi davanti ai vari problemi si alterna con le acute ed ironiche/autoironiche, dissacranti riflessioni sulla Realtà, sulle sue mille sfaccettature e sulle sue tante variabili. Quasi un continuo, divertente e talora esilarante esame di coscienza o disincantato filosofare in cui ognuno può ritrovarsi e soprattutto cogliere quel sottile confine fra il ridicolo ed il normale su cui spesso non si ha tempo per soffermarsi.

Un approccio autoironico e spiritoso sui fatti, ed è proprio questo approccio, mai banale, che contraddistingue l’Avvocato Malinconico, lo rende peculiare, piacevole e divertente ed è poi la vera chiave del suo crescente successo fra il pubblico.

La lettura è gradevole e scorre veloce fra riflessioni spassose nonostante qualche rara prolissità. La penna di De Silva è originale ed irriverente, lo stile semplice ma chiaro, leggero e pungente. Tutto è potenzialmente reale, come se preso direttamente dalla realtà quotidiana della vita cittadina, ma visto con una verve distaccata e brillante.

Un avvocato che pur serio non si prende mai sul serio … e … fa bene! E regala così un po’ di leggerezza apprezzabile ai suoi lettori.

data di pubblicazione:01/12/2022

TRIANGLE OF SADNESS di Ruben Östlund, 2022

TRIANGLE OF SADNESS di Ruben Östlund, 2022

Carl e la sua ragazza Yaya, entrambi impegnati nella moda come modelli, sono a bordo di un panfilo di lusso per una crociera tra miliardari più o meno stravaganti e capricciosi. A loro lo sfarzoso viaggio è stato offerto gratis in cambio della pubblicità che procureranno sui social in quanto influencer di tutto rispetto. Un’improvvisa tempesta si abbatterà sulla nave e, quel che è peggio, sugli ospiti mettendo a nudo le loro fragilità e paradossalmente anche i loro punti di forza.  

 

Ruben Östlund è un regista svedese che non ha più bisogno di grandi presentazioni per il pubblico internazionale e italiano in particolare. Ha già vinto a Cannes per ben due volte la Palma d’oro, nel 2017 con The Square e quest’anno con Triangle of Sadness, mentre nel 2014 era stato premiato sempre a Cannes nella sezione Un Certain Regard con il film Forza maggiore. La critica ha in diverse occasioni evidenziato come i suoi film siano preminentemente rivolti a mettere in luce i lati più nascosti, o meglio sconosciuti, della complessa e quanto mai enigmatica natura umana. L’individuo sostanzialmente è un essere fragile, pieno di paure e tentennamenti, soprattutto quando è di fronte a difficoltà e a situazioni estreme poco prevedibili. In Triangle of Sadness i due giovani protagonisti Carl e Yaya si trovano per caso catapultati in un mondo di lusso esagerato tra oligarchi russi e magnati guerrafondai, dove pur sforzandosi di integrarsi non potranno certamente ignorare le loro eccentricità. Tra i facoltosi croceristi e il personale, addestrato a soddisfare ogni loro desiderio, si viene a creare un inevitabile gioco di potere dove si trovano contrapposti gli oppressori e gli oppressi. Il regista vuole così raccontarci come da sempre esistono questi due mondi che solo eventi straordinari riescono a sovvertire, ribaltando le posizioni delle rispettive parti. Il film, forse un po’ prolisso di suo, ha dei momenti tragicomici funzionali a stemperare le situazioni che potrebbero altrimenti risultare pesanti e poco attendibili. I dialoghi, soprattutto quello iniziale tra i due giovani protagonisti (rispettivamente Harris Dickinson e Charlbi Dean, modella e attrice sudafricana da pochi mesi venuta precocemente a mancare) risultano a volta tediosi e ripetitivi, volutamente costruiti per suscitare nello spettatore un palese stato di insofferenza. Ma sicuramente è proprio questo l’obiettivo del regista, che ha curato anche la sceneggiatura, cioè di costringere il pubblico a fare una scelta e decidere forzatamente da che parte stare. Determinante, per la buona riuscita del film, anche la partecipazione di Woody Harrelson, attore statunitense con un curriculum da capogiro avendo lavorato con i migliori e più famosi registi di Hollywood, che nel film interpreta la parte del capitano Smith, per natura grande ubriacone, che tra un bicchiere e l’altro riesce a sciorinare con vera convinzione le più sottili teorie marxiste. Una commedia divertente, e profonda nello stesso tempo, che ci fa comprendere come il potere non è mai solo da una parte e che non occorrono le grandi rivoluzioni sociali per fare spostare drasticamente l’ago della bilancia a favore di uno e a sfavore dell’altro. Sostanzialmente un film ben riuscito.

data di pubblicazione:01/12/2022


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I VICERÈ, regia di Guglielmo Ferro

I VICERÈ, regia di Guglielmo Ferro

(Teatro Quirino – Roma, 29 novembre/4 dicembre 2022)

Liberamente ispirato, ma in realtà abbastanza fedele, al romanzo di Federico De Roberto, martedì 29 novembre 2022 ha avuto luogo al Teatro Quirino di Roma la prima de I Vicerè nella riuscitissima trasposizione scenica della compagnia del bravo Pippo Pattavina, per la regia di Guglielmo Ferro.

Pubblicato nel 1894 a pochi anni dall’uscita di Mastro don Gesualdo del Verga, il romanzo di De Roberto tocca uno dei più alti vertici della letteratura italiana, al pari del più celebre Il Gattopardo. Nell’opera si narra la saga della nobile, e discretamente corrotta, famiglia degli Uzeda destinati a dominare “a prescindere” dalle istituzioni governanti. Lo faranno durante la dominazione spagnola, sotto il Regno delle due Sicilie, dopo l’impresa dei Mille… non a caso la rappresentazione teatrale, come il romanzo, si conclude con il lapidario commento del cinico Don Blasco: “ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri!”. Se ci pensate, mutatis mutandis, non è differente dalla battuta che Giuseppe Tomasi di Lampedusa mette in bocca a Tancredi ne Il Gattopardo: “se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi!”. Forse il finale di De Roberto suona ancora più irridente, ma la sostanza sembra essere la stessa come pure l’affresco che riproduce attraverso le vicende degli Uzeda una realtà, purtroppo, immutabile nel tempo, quella di un / del potere legato alla ricchezza, al tradimento, alla finzione, all’ipocrisia. Tutto questo ed altro è ottimamente trasposto nella narrazione teatrale andata in scena al Quirino, dove, testo a parte, a farla da padroni sono stati gli ottimi e affiatati protagonisti dello spettacolo. L’io narrante, Don Blasco (splendidamente interpretato da Pippo Pattavina) è forse il personaggio più controverso, ma anche la figura centrale: è un religioso, invidioso, baro, “puttaniere”, meschino e reazionario. Intorno a lui tutta la famiglia non è esente dai vizi tipici della peggiore aristocrazia siciliana (e non solo). Nei diversi ruoli segnalo fra gli altri le puntuali interpretazioni di Sebastiano Tringali (lo zio progressista), Rosario Marco Amato e Francesca Ferro. La rappresentazione è di ottima fattura (dalla scenografia, ai costumi, alle musiche) e tiene sempre vivo l’interesse del pubblico: i dialoghi sono intelligenti, serrati e spesso ricchi di umorismo, merito certamente dell’incompreso De Roberto, ma anche della rilettura della regia teatrale odierna.

data di pubblicazione:30/11/2022


Il nostro voto:

THE BELIEVERS. I BUONI VICINI di Bryony Lavery, regia di Gianluca Iumiento

THE BELIEVERS. I BUONI VICINI di Bryony Lavery, regia di Gianluca Iumiento

(Teatro Belli – Roma, 11/13 novembre 2022)

In una notte di tempesta una coppia viene ospitata a casa dei vicini. Qualcosa di terribile accade e le due famiglie sono costrette a confrontarsi. (foto di Giuseppe Galante)

 

Al centro del dramma di Bryony Lavery, portato in scena per Trend – festival di drammaturgia contemporanea inglese a cura di Rodolfo Di Giammarco – c’è la misteriosa sparizione di una bambina. I genitori della piccola Grace, Marianne e Joff, cercano disperatamente di ricostruire i fatti accaduti la notte prima a casa dei loro vicini. La forte pioggia caduta quella notte ha messo a rischio inondazione la loro abitazione, così sono stati costretti ad accettare l’ospitalità di Maud e Ollie. Anche loro hanno una figlia, Joyous. La piccola Grace sparisce improvvisamente, forse spinta nell’acqua proprio dall’amichetta, gettando nella disperazione i genitori. Il clima piovoso, i tuoni che rimbombano nell’aria, la casa in procinto di essere sommersa dalla piena delle acque, sembrano essere tutti elementi di un racconto thriller. Invece, Bryony Lavery parte da questa atmosfera sospesa e confusa per mettere a confronto due coppie dagli stili di vita opposti, alle prese con lo stesso problema: l’educazione dei figli. Maud (Maria Sand) e Ollie (Gianluca Iumento, anche regista dello spettacolo) hanno una fede incrollabile in un dio non meglio identificato a cui rivolgono costantemente preghiere e suppliche. Vivono nell’assoluta convinzione di essere dalla parte giusta e sono orgogliosi della propria figlia, che ai loro occhi è ovviamente perfetta. Quando accettano di ospitare Marianne (Valentina Carli) e Joff (Giuseppe Tantillo) si sentono come minacciati dalla loro mediocre “normalità”, tanto che sentono il bisogno di redimerli e accompagnarli per la giusta strada. Soprattutto avvertono la necessità di offrire consigli su come educare Grace, per loro troppo capricciosa e irrequieta. Il confronto è in particolare visto sotto l’aspetto femminile delle due madri – personaggi molto più incisivi e strutturati rispetto ai due uomini – di cui Maria Sand e Valentina Carli ne sono ottime interpreti.

Nonostante ci sia un grosso divario tra lo stile di vita delle coppie, la scena disegnata da Jessica Koba le accomuna delimitandole in spazi perfettamente simmetrici, disegnati all’interno di un perimetro di lampade al neon. La scelta registica di Gianluca Iumento invece si affida a un’analisi piuttosto fredda della vicenda, segnata da una recitazione straniata che vede in scena i personaggi, fermi e muti in un angolo, anche quando non hanno parte nella vicenda. Scelta a cui dà risalto la voce fuori campo di Paolo Leccisotto, nascosto in scena da due pareti convergenti, che legge le didascalie e accompagna l’azione con le sue percussioni e la sua chitarra.

Alla fine nessuno si addossa la responsabilità della sparizione di Grace. La coppia dei credenti (the believers, come nel titolo) non accenna a dubitare della propria convinzione di essere nel giuso. Joff e Marianne invece rimangono incastrati nella confusione e nello sconcerto fino a chiedersi con fenomenale pragmatismo perché complicare tutto con l’idea di dio quando si può essere semplicemente carini.

data di pubblicazione:29/11/2022


Il nostro voto:

QUE SERA di Roberta Skerl, con Paolo Triestino, Edy Angelillo, Emanuele Barresi, scene Francesco Montanaro, regia di Paolo Triestino

QUE SERA di Roberta Skerl, con Paolo Triestino, Edy Angelillo, Emanuele Barresi, scene Francesco Montanaro, regia di Paolo Triestino

(Teatro Manzoni – Roma, 10/27 novembre 2022, poi in tournèe a Catania)

Un delicato e non malizioso mènage a trois amicale con sullo sfondo il fine vita. Cortocircuito drammaturgico efficace reso con trasparenza e umanità da attori molto affiatati.

Due volte risuonano in scena le note della popolare canzone che offre il titolo alla piece. La canta Paolo Triestino e poi va in loop l’originale con adeguato arrangiamento. Nel titolo sta un’ipotesi sul futuro, quanto mai inquietante per tutte l’umanità, negli anni del Covid e della guerra ucraina. Ma in questo caso particolare per un trio di amici che passano di botto dei pensieri ordinari delle normali preoccupazioni familiari e/o lavorative, alla rivelazione del padrone di casa di una malattia incurabile. Un disvelamento improvviso, traumatico, torrenziale di fronte al quale i due reagiscono differentemente con i mezzi emotivi a loro disposizione. Ovvio che ci sia in ballo l’amicizia, la solidarietà, la richiesta di aiuto che va a toccare le corde più riposte della loro interconnessione pluriennale. Gli attori campeggiano alla grande con invidiabile sinergia. Paolo Triestino, dopo l’avvio in sordina, richiesto dal copione, porta la contraddizione e il conflitto in scena con sfumature d’umore pregevoli. Edy Angelilo regge magnificamente la parte dell’amica piacente, agè, ma disponibile mentre Emanuele Barresi con i suoi toscanismi, i suoi lazzi, è quello che, soprattutto nella prima parte, regala allegri e battute. Sala piena in capo a ben 17 giorni di esibizioni nell’affollato teatro romano caro alla terza età, spesso con doppio turno per uno spettacolo collaudato nel piccolo teatro di Carbognano e che ora gira l’Italia. Triestino dopo il divorzio con Pistoia è più pimpante che mai e dimostra con grande maestria anche nel padroneggiare la regia oltre che la propria parte, alle prese con un tema scomodo ma di estrema attualità.

data di pubblicazione:28/11/2022


Il nostro voto: