da Daniele Poto | Dic 29, 2022
Pellicola che traduce con rara sensibilità un’intensa storia di montagna, di amicizia, di vita. Se il cinema è abituato a tradire la letteratura nella sua impossibile specifica versione qui si registra un’eccezione preziosa, forse anche grazie alla collaborazione ai dialoghi dello stesso scrittore da cui è tratta l’opera.
In montagna sono importanti i silenzi. Si parla solo quando si arriva sulla cima e si può commentare e dispensare fiato. Così il film si prende pause funzionali, ragiona per ellissi temporali (la pubertà, la maturità, il declino, nel caso specifico del padre impersonato dal bravo Timi) e logistiche (Torino, la montagna centrale dove vivono sentimenti e case, il Nepal).
Una o otto montagne? In questa simbologia alternativa ruotano i destini dei due amici che, pur provenendo da ambienti sociali, completamente diversi, si completano, si scambiano la fidanzata, si assorbono completamente, uniti da un unico padre reale che li ha alimentati. Dunque il non detto, il sottotesto assorbe lo spettatore che non è necessariamente un appassionato di montagna ma che con questo film impara a apprezzarla, a rispettarla e anche a temerla visto come inghiotte le energie dei protagonisti e, in parte, anche il loro destino. La natura da una parte e la ricerca dell’identità dall’altra in due personalità in cerca di formazione e ancoraggi. E non possiamo immaginare che il rapporto duale sia retto da attori diversi da Marinelli e Borghi, sodali dai tempi di Non essere cattivo in una sinergia affabulativa praticamente immigliorabile e che sostiene un film intenso, onesto il cui unico difetto forse consiste nella costante immedesimazione al testo con il rischio di prolungare la tensione in una versione filmica eccessivamente lunga.
I viaggi in Nepal sono l’ovvio corollario alla fedeltà del libro. Ma il successo è garantito da segnali precisi: il silenzio in sala, rotto solo dall’abitudine dipendente di accendere il telefonino per controllare sei il mondo ha bisogno di noi.
data di pubblicazione: 29/12/2022
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da Daniele Poto | Dic 27, 2022
Con il passare degli anni i three men show si prestano sempre più intelligentemente a film corali con una maggior cura di sceneggiature, dialoghi, fondali e caratteristi fino a cucire un film ambizioso. Tristanzuolo e malinconico. Del resto non sono più i Natali di una volta e il mainstream cinematografico ci si adatta.
Hanno saputo risalire dall’abisso di film flop con un’analisi introspettiva dei propri pregi e limiti. Mantenendo ad Aldo il ruolo di centravanti di sfondamento. Così anche un pretesto esile come la preparazione di un matrimonio, innesco già ripetutamente visto, diventa momento ispirativo pacatamente fervido nella cronologia di un lento avvicinamento a sponsali in cui va tutto a male. Le bottiglie di Bordeaux precipitano nel lago, il cantante Renga, finisce in ospedale (e poi si accontenterà di più modica provvigione). E all’orizzonte c’è persino la sorpresa più impensabile per i due diversissimi genitori degli aspiranti sposi. Non faremo spoiler se non per dire che l’happy end non è dietro l’angolo. Un film con eccellenti caratteristi (l’ottimizzatore di matrimoni, il prete, la servitù, le mogli) con una Mascino nel ruolo di guastafeste rompiscatole (la parte che le riesce meglio). L’ambizione borghese di una cerimonia sopra le righe deflagra in una serie di siparietti comici che potrebbero essere gustati, una tantum, oltre il confine di Chiasso. Le musiche di Brunori Sas sono un tocco di classe in più. Sinceramente fuori contesto il classico finale con lo svelamento del futuro dei protagonisti del film. Trovarne uno dei principali a fare l’allenatore dei ragazzi aspiranti calciatori del Burkina Faso in compagnia di un religioso, presto sparito dei giochi nella prima parte, sembra una goliardica divagazione senza senso che poco ha a che fare con l’unitarietà autoriale del film, figlio comunque di una sceneggiatura di gruppo.
data di pubblicazione:27/12/2022
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da Rossano Giuppa | Dic 26, 2022
The Fabelmans, di Steven Spielberg, già vincitore del Premio del pubblico all’ultimo Toronto Film Festival e presentato in anteprima italiana il 19 ottobre nel programma della Festa del Cinema di Roma e di Alice nella Città, ripercorre in modo intenso e personale l’infanzia e l’adolescenza dello stesso Spielberg, dalla scoperta di uno sconvolgente segreto di famiglia al sogno, poi realizzato, di diventare regista. Il film si può considerare un racconto di formazione ed esplora il potere del Cinema come osservatorio fuori e dentro il mondo ma soprattutto fuori e dentro se stessi.
La critica statunitense già considera The Fabelmans uno dei titoli di punta nella corsa agli Oscar. Il film racconta in parte l’infanzia e soprattutto l’adolescenza di Sammy Fabelman (Gabriel LaBelle), e il suo sogno di fare del cinema la sua vita. Il suo amore per il cinema prende forma e assume più forza ogni giorno, sperimentando e assemblando idee e mezzi più creativi per raccontare le storie, inventando piccoli effetti speciali artigianali che già denunciano il suo talento nel rendere il sogno realtà. Un sognatore romantico già pieno di talento che deve confrontarsi, crescendo, con il trasferirsi continuamente seguendo i vari incarichi del padre (Paul Dano) un geniale e ingenuo ingegnere; l’impatto con l’antisemitismo che gli rovesciano addosso a scuola e la crisi matrimoniale dei sui genitori, causata dal legame della incantevole madre Mitzi (Michelle Williams) sempre dalla sua parte con lo ‘zio’ Bennie (Seth Rogen). Il film è stato scritto da Spielberg insieme al drammaturgo, Premio Pulitzer, Tony Kushner, storico collaboratore del regista.
Sammy cresce con la macchina da presa come fedele compagna che lo protegge anche nei momenti difficili. Quando i suoi divorziano, lui si immagina di riprendere la scena come se fosse qualcosa che non sta accadendo realmente e, attraverso i suoi film, scopre verità non visibili all’occhio nudo, che cambiano la sua vita per sempre. The Fabelmans si sviluppa attorno alle emozioni di chi sta per raggiungere la maggiore età a tratti delicato e divertente, a tratti spietato e drammatico.
Sam sviluppa la giusta sensibilità verso quello che accade intorno a lui, riesce a comprendere la mamma e gli amici attraverso l’obiettivo, e trova alla fine la sua strada.
Girato in maniera impeccabile con una sceneggiatura che aderisce in maniera straordinaria ad ogni fotogramma, il film ha forse la pecca di risultare perfetto ma con un’anima predefinita. Ci teniamo stretto il nostro Nuovo Cinema Paradiso che con la sua tenerezza emotiva ha reso magico il mondo del cinema.
data di pubblicazione:26/12/2022
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da Maria Letizia Panerai | Dic 23, 2022
Presentato in anteprima mondiale nel gennaio 2022 al Sundance Film Festival e in apertura tra i film Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Living è la storia di un uomo ordinario che decide, in seguito ad un evento che stravolgerà la sua vita, di fare qualcosa in extremis per poter dare un senso alla sua esistenza grigia, vissuta in un angolo: decidendo di Vivere, appunto.
Remake del film del 1952 Ikiru di Akira Kurosawa, sceneggiato da Kazuo Ishiguro (Quel che resta del giorno e Non lasciarmi), “reimmaginato” dal regista Oliver Hermanus in una Londra anni cinquanta, Living è un film poetico e piacevolmente lento, emozionante e profondo, che racconta una piccola storia senza tempo, fatta di altruismo, riscatto e generosità, magnificamente interpretata dall’attore inglese Bill Nighy, da poco nominato come miglior attore ai Golden Globe.
Mr Williams (un Bill Nighy da Oscar) è il responsabile di un ufficio amministrativo comunale londinese preposto al rilascio di autorizzazioni per l’utilizzo di luoghi pubblici e alla loro eventuale riqualificazione. L’uomo, distaccato e di poche parole, è temuto e rispettato dai propri collaboratori che ne ammirano la puntualità, i suoi modi impeccabili e la sua presenza costante, doti che lo fanno essere una colonna portante dell’ufficio, oltre che un punto di riferimento per tutti. Finché un bel giorno, quest’uomo così irreprensibile, non fa rientro sul posto di lavoro senza dare alcuna giustificazione, decidendo di stravolgere quella sua vita così maledettamente uguale, intrisa di solo rigore, per tornare ad assaporare le piccole belle cose della vita, iniziando proprio con il cancellare quella routine così oppressiva che lo ha anestetizzato per troppi lunghissimi anni.
Il film regala una misurata emozione che tuttavia prende corpo piano piano, facendocene apprezzare la lentezza con cui si insinua in noi, sino a regalarci un finale poetico in cui ognuno può interrogarsi sull’importanza di lasciare una traccia del nostro passaggio su questa terra. È uno di quei film che non si fa fatica a consigliare, una storia universale che non ha una vera e propria collocazione spazio-temporale ma che, nel farci assaporare la felicità di Mr Williams per aver dato un senso alla propria vita, ci mette in pace con noi stessi e con tutto ciò che ci circonda.
data di pubblicazione:23/12/2022
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da Daniele Poto | Dic 23, 2022
(Teatro Vascello di Roma, 20 dicembre 2022/22 gennaio 2023)
La meditata ultima performance di uno showman che è difficilmente recensibile. Questa volta scenografia spartana ma tanti co-personaggi in scena. Corpi plasmabili e poco parlanti.
Antonio Rezza rappresenta un solitario caso a parte nel teatro italiano. Come Carmelo Bene, anche se imparagonabile al genio di Campi Salentina. Come si fa a giudicare un teatro che non è solo di parola, non è solo di azione ma è molto di complicità, di provocazione. Basti pensare che Rezza in scena finge di copulare con una donna della prima fila oltre che con la prima madre, in incestuoso simulato amplesso e che, a un certo punto, si propone impudicamente completamente nudo. Teatro che ha scavallato ogni pudore in un tentativo iperrealista di descrivere la realtà, non scevro da pronunciamenti politici , pur essendo le mille miglia lontano da Brecht. E Rezza alimenta un mito e un pubblico fedelissimo per riempire puntualmente il teatro della Kustermann, tutte le sere, per un mese fino all’apoteosi dello spettacolo di Capodanno inclusivo di una demenziale asta di beneficenza a prezzo morigerato e a portafoglio libero. Per dire della sua empirica presenza tra l’altro in questi giorni alla Sala Troisi si può gustare anche una sua opera filmica. Questa volta in scena Rezza non si presenta provvisto del solo abituale partner muto Ivan Bellavista ma si circonda di figure spalla che manipola poco democraticamente a suo piacimento. Entra e esce da una porta, inventa una parete di vetro che proibirebbe la percezione delle parole emesse, demonizza il concetto sacrale della famiglia facendo incontrare parenti che a stento si riconoscono in un carosello interminabile di saluti. L’apoteosi della destrutturazione dell’incongruo in un teatro che è pure funzionalmente meccanicamente studiato e in cui il suo corpo-acrobata recita il ruolo più importante. Porte che si aprono sul nulla e in cui il bussare diventa pura schizofrenica ripetizione.
data di pubblicazione:23/12/2022
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da Daniele Poto | Dic 21, 2022
(Teatro Sette – Roma, 6 dicembre 2022/8 gennaio 2023)
Magnifico formati di commedia brillante/natalizia. La giovialità attoriale di La Gnestra timbra lo spettacolo in perfetta sinergia con gli altri due funzionalissimi partner.
Teatro leggero ma intelligente, adatto al pubblico borghese e a quel particolare tipo di spettatore che magari si accosta a una sala solo per Natale. Nonostante il capello brizzolato La Ginestra è il ragazzone di sempre, pronto a rituffarsi a marzo nei panni di Rugantino nel più capiente Sistina. Ma qui, nel suo regno, nello spazio di propria gestione, tiene banco per un mese con un testo che funziona e che al di là dell’apparente superficialità o levità regala qualche eloquente pillola di saggezza, rimbombante sin dal titolo. “L’attesa del piacere è in fondo essa stessa piacere”. E difatti il vivaista/piantologo, impersonato dall’attore principale, non ha alcuna fretta di accasarsi. Una scontrosissima e efficiente dipendente di una seriosissima azienda, specchio dei nostri tempi frenetici, prima lo prende di petto, poi man mano recepisce il suo messaggio. E si invaghisce del quiet man fino a sedurlo con un crescendo che alimenta spunti comici. Merita un applauso il terzo protagonista. Il giovane di studio, tutto mamma e nonna, che è il sandwich dialettico tra i due. Ariele Vincenti è cresciuto molto e qui ricorda la lezione di Nicola Pistoia tanto che alcune battute potrebbero essere recitate dal suo maestro di teatro, con 40 anni in più di esperienza sulle spalle. La scenografia è all’altezza della situazione. E le deliziose musiche (Dalla, Daniele, Bongusto) sono un delizioso contrappunto a separare i vari momenti dell’azione. Commedia garbata, a tratti malinconica, che scandisce il passare del tempo ma anche la sua immutabilità. E’ talmente happy end alla fine che il pubblico applaude a scena aperta abbracci e baci dei protagonisti finalmente uniti anche grazie a una inaspettata gravidanza.
data di pubblicazione:21/12/2022
Il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Dic 19, 2022
È da alcuni giorni uscito nelle sale italiane lo ”stiloso” e sofisticato film di Marie Kreutzer Il corsetto dell’imperatrice. Ambientato a Vienna nel 1877 in occasione del compimento dei 40 anni dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, il film ci restituisce un’immagine dell’imperatrice, conosciuta come la principessa Sissi, molto distante da quella interpretata anni orsono da Romy Schneider. Costretta dal suo rango a comparire in pubblico, Elisabetta è attanagliata dal timore che la sua bellezza stia sfiorendo, e da una profonda infelicità che le genera violenti ed incontrollati gesti di ribellione.
Il film è il ritratto di una donna indubbiamente bella, che per gestire il proprio aspetto si sottopone a diete ferree, sport di ogni genere e vestizioni con corsetti via via sempre più stretti che possano mettere in risalto un giro vita estremamente sottile. Finti svenimenti, allontanamenti volontari e continui da Corte, intrattenimenti con uomini più giovani che le restituiscono quei complimenti che l’imperatore non le fa più da molto tempo destinandoli solo a giovanissime dame di corte, sono gli ingredienti di una profonda e costante inquietudine che pervade la vita di una Sissi oramai quarantenne (in un epoca in cui iniziava anagraficamente il declino verso un’età matura) e stanca, sovente sopraffatta da istinti suicidi, madre distante di due figli infelici.
Personaggi ben delineati, come l’imperatore Francesco Giuseppe e gli stessi figli oltre alle dame di corte, fanno da sfondo a Vicky Krieps (splendida interprete ne Il filo nascosto accanto al magnifico Daniel Day-Lewis) che incarna magistralmente una principessa soffocata dalla gabbia dorata che il suo rango le impone, alla quale si ribella con tutte le sue forze, dando vita al ritratto di una donna che va ad aggiungersi alla fitta schiera di personaggi di spicco restituiteci negli ultimi tempi dal cinema in chiave contemporanea, a partire da Marie Antoinette di Sofia Coppola sino al recente Spencer di Pablo Larrain.
Costumi, ambientazioni, paesaggi sono particolarmente esaltati da un accompagnamento musicale indimenticabile e persistente che sottolinea questo clima claustrofobico in cui la protagonista, angosciata solo da doveri di facciata, deve suo malgrado muoversi e vivere, metaforicamente rappresentato da quel corsetto che si fa via via sempre più stretto, sino a toglierle il respiro come la vita a corte accanto ad un uomo che non la ama più e verso il quale ha come unica arma quella di alternare atteggiamenti volubili ed egocentrici a fughe continue, sino ad assaporare verso la fine dei suoi giorni una apparente ed effimera pace regalatele dall’eroina.
Presentato al Festival di Cannes nella Sezione Un Certain Regard, il film ha ottenuto un premio per la miglior interpretazione a Vicky Krieps e rappresenterà l’Austria agli Oscar 2023.
Decisamente da non perdere.
data di pubblicazione:19/12/2022
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da Daniele Poto | Dic 15, 2022
Succede tutto in una notte. Il personaggio maschile sorprende la propria donna in atto di palese tradimento. Corna fraudolente si direbbe anche perché non era atteso a casa. Ma poi il puzzle delle motivazioni si compone di tante schegge mancanti. La donna, attraente il giusto, aveva bevuto, e si era fatta accompagnare a casa da un autista che da galante si era trasformato in intraprendente. Rapporto sessuale consensuale o stupro? Il romanzo ruota tutto attorno al dubbio, a tratti atroce del tradito, che cerca di riconquistare un’autonomia e un indipendenza di giudizio ma è chiaramente influenzato dalla fedifraga e dall’amica di lei. Tutto ruoterebbe per una controversa ricomposizione del rapporto ma in mezzo ci sono molte incertezze. Come bastone tra le ruote c’è un’altra donna che però alla lunga si rivela più che leggera (eufemismo). Un romanzo che ruota attorno alla complessa psicologia tentatrice al femminile. La paziente opera di seduzione di chi si deve far perdonare sarà portata a termine. Non vogliamo spoilerare la conclusione che matura in una tensione avvincente per il possibile ma non certo happy end. Picecco bypassa gli schemi del politicamente corretto per ricercare un ritrovamento possibile nei rapporti uomo- donna. Il primo sembrerebbe destinato a soccombere rispetto alla malizia della seconda. Il sesso è moneta di scambio pratica e per come viene rappresentato si conforma molto al modello maschile. Ci sono momenti pruriginosi che accompagnano la descrizione dei tipi caratteriali e delle vicende. L’amore è anche ossessione, inseguimento, fuga. Posizioni e atteggiamenti che ben rispecchiano il complesso universo dei rapporti uomo-donna. Il libro attua un processo di rispecchiamento. I lettori potranno infatti confrontarsi coi i due protagonisti e riconoscerci con buona credibilità in essi, pregi e difetti compresi. Riconoscendo la necessità della dialettica per venire a capo delle inevitabili contraddizioni create dalla loro intrinseca diversità.
data di pubblicazione:15/12/2022
da Antonio Iraci | Dic 11, 2022
Tori e Lokita vivono in un centro di accoglienza per migranti in Belgio. Si sono conosciuti su un barcone che dall’Africa li ha catapultati direttamente in Europa dove stanno cercando di crearsi un futuro lontano dagli orrori dei propri paesi d’origine. Pur non essendo parenti, dichiarano alle autorità di essere fratelli in modo tale che anche l’adolescente Lokita possa dimostrare di avere i requisiti necessari per ottenere un riconoscimento legale. Con questo obiettivo preciso saranno disposti a tutto, anche a collaborare con la malavita locale…
Con questo ultimo lavoro, recentemente premiato a Cannes, i fratelli Dardenne ancora una volta rivolgono il loro sensibile sguardo al sociale ed ancora una volta utilizzano l’innocenza dei giovani, costretti per necessità a confrontarsi con il mondo, sovente spietato, degli adulti. In questo film i due giovanissimi protagonisti, fuggiti dall’Africa, dovranno ricorrere a tutte le proprie risorse per cercare di convincere le autorità del Belgio a riconoscere il proprio stato sociale e permettere così di integrarsi legalmente nella vita del paese che li ospita. Tema tristemente di attualità, che riscontriamo ogni giorno sui notiziari e sui social, che ci riporta a quelle problematiche con cui ognuno di noi si trova a confrontarsi, anche se preferirebbe volgere a volte altrove la propria attenzione. Tori anagraficamente è un bambino ma ha già il carattere di un uomo fatto, che sa bene ciò che è necessario fare affinché anche Lokita possa ottenere lo status di rifugiata che le permetterà di trovare un lavoro dignitoso e vivere soprattutto nella legalità. I Dardenne mirano al cuore dello spettatore non per parlare di finzione, ma per darci uno spaccato di vita vera osservata dal punto di vista dei due giovani protagonisti, vittime di una società burocrata e ottusa, che mira alla forma e poco alla sostanza. Il loro cinema è fatto di persone vere e delle loro storie: non solo intrattenimento ma riflessione su ciò che è giusto per arrivare a costruire tutti insieme, migranti e non, un futuro migliore, senza pregiudizi e inutili conformismi. Ottima la scelta dei due attori non professionisti Pablo Schils che interpreta Tori e Joely Mbundu nella parte di Lokita, entrambi perfetti nei loro ruoli di vittime di un sistema corrotto che sfrutta la loro semplicità per il proprio tornaconto e per portare avanti affari disonesti. La loro “fratellanza” è reale anche se non di sangue: entrambi, dopo aver attraversato l’inferno, sono alla ricerca di una vita migliore che solo la spensieratezza della loro età acerba può ancora dare loro. Non casuale la scelta di quella canzone- filastrocca che tanti anni fa portò Angelo Branduardi a diventare famoso: alla fiera dell’est diventa il simbolo di ribellione alla schiavitù, il desiderio di liberarsi da ogni fanatismo, il grido disperato di chi vuole solo vivere e lavorare in pace. Ecco quindi che il messaggio dei Dardenne si traduce in una denuncia all’attuale sistema di immigrazione attuato attraverso gli occhi di chi desidera ancora illudersi di trovare in questo mondo la piena libertà e un’adeguata dignità.
data di pubblicazione:11/12/2022
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da Daniele Poto | Dic 11, 2022
(Teatro Basilica di Roma, 1/11 dicembre 2022)
I tradimenti di Pinter nel fedele tradimento (ossimoro) di Sinisi. Ardita e felice rivisitazione di un quasi classico del teatro inglese. Perfetta sinergia del trittico attoriale e le sorprese in scena non mancano nel sobrio fondale del teatro. Tipo polli in cottura con la fiamma ossidrica e metaforica polvere a indicare la consunzione di un rapporto.
Nel teatro di parola e di conflitto la fondamentale presenza del silenzio. Attimi interminabili che fissano il gioco a tre. Abolita ogni pretesa di perfetta cronologia nel’arco di un decennio si sviluppa l’amicizia e il disvelamento di un tradimento. Notizia non così misteriosa sulla cui genesi ballano quattro anni. L’amante è incupito e perplesso, il tradito si macera dentro, non la da a vedere la sofferenza, spara parole con impressionante velocità. E la concupita tra i due, tra un viaggio in Italia con il marito nella mitizzata Torcello (e qualche acidula notazione sul carattere degli italiani) si barcamena con i routiniari pomeriggi di libero amore con l’amante in un appartamento che non riesce a diventare casa. In Inghilterra e nello spettacolo si beve molto, anzi quasi non si riesce a vivere l’emotività se non con un ingrediente alcoolico che in questo caso nella finzione è prosecco. La Medri strabilia da provetta ballerina rock (Madonna, Clash, The Cure, etc) in un siparietto con alcune delle hit di quegli anni a ritmi da discoteca, perfetta danseuse mentre l’amante, che si è dichiarato da ubriaco e proprio il giorno del matrimonio del suo migliore amico (ha fatto il testimone) si compiace a guardarla. Il tradimento come frattura, iato, strappo, Buffo pensare che la data di partenza è ’68 mentre il capolinea è il ’77. Numeri casuali? Nei settanta minuti di svolgimento una scena di grande simulata violenza. Il marito prende a calci la moglie con efferatezza. Spettacolo che scuote con parole e azioni, quasi una frustata scenica.
data di pubblicazione:11/12/2022
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