79. MOSTRA INTERNAZIONALE d’ARTE CINEMATOGRAFICA di VENEZIA: TERZA GIORNATA

79. MOSTRA INTERNAZIONALE d’ARTE CINEMATOGRAFICA di VENEZIA: TERZA GIORNATA

La terza giornata del Festival di Venezia 2022 è quella del nostro Luca Guadagnino con il suo Bones and All in Concorso, interpretato dall’attesissimo Timothée Chalamet, assieme a Taylor Russel e Mark Rylance.

Ambientato nel centro America all’epoca di Reagan (ma l’epoca è assolutamente irrilevante), narra del primo amore di due esseri “speciali”, Maren e Lee, entrambi vagabondi, due diseredati che vivono ai margini della società, tema che ha affascinato il regista durante il periodo del lock down al fine di indagare i modi e i varchi che si possono aprire a persone come i due protagonisti nonostante le impossibilità che il loro modo di vivere e di essere imprime alle loro vite. E se il cinema è finzione, Guadagnino con questo film ha amplificato il concetto per esprimere, attraverso il cannibalismo di cui sono affetti i personaggi, l’isolamento in cui sono costretti a vivere e l’inevitabile crisi di identità che li travolge. Le scene a cui si assiste sono molto esplicite e solo chi riesce ad andare oltre quella che è una visione molto cruenta, può vedere ciò che c’è dietro tutto questo, cogliendo l’urgenza di un messaggio così “gridato”. Non siamo tutti uguali soprattutto quando siamo intrappolati in qualcosa che non riusciamo a controllare, ma l’amore per Guadagnino vince su tutto, anche su diversità così esasperate perché riesce ad aprire delle porte che sino ad allora sembravano invalicabili. Bones and All ci sferra forti pugni nello stomaco sino a farci stare male. Inutile sottolineare che gli attori sono superbi e le ambientazioni perfette. Il pubblico deciderà se era necessario tutto questo: chi vi scrive ci sta ancora pensando…

Il secondo film della giornata, anch’esso in Concorso, è Monica di Andrea Pallaoro, che si conferma regista sensibile e profondo nel tornare su tematiche legate a personaggi femminili tormentati da segreti e paure, come fu per il suo splendido Hannah con la strepitosa Charlotte Rampling; questa volta il personaggio è una giovane donna che fa ritorno a casa dopo aver abbandonato la sua famiglia in età adolescenziale; ne viene tratteggiato un ritratto intimo, molto profondo, autoriale, e toccati temi come l’abbandono, l’accettazione ed il riscatto. Ritorna anche in questa pellicola il tema dell’identità e soprattutto della sua precarietà, una sorta di fil rouge di questa edizione del Festival, espressa nei modi più disparati attraverso la sensibilità e la genialità dei registi: ”ci siamo addentrati nel mondo emotivo e psicologico di Monica per riflettere sulla natura precaria dell’identità di ciascuno di noi quando viene messa alla prova dalla necessità di sopravvivere e trasformarsi”.

data di pubblicazione:03/09/2022

79. MOSTRA INTERNAZIONALE d’ARTE CINEMATOGRAFICA di VENEZIA: SECONDA GIORNATA

79. MOSTRA INTERNAZIONALE d’ARTE CINEMATOGRAFICA di VENEZIA: SECONDA GIORNATA

La seconda giornata del Festival di Venezia 2022 è caratterizzata da un’altra pellicola in Concorso molto attesa: si tratta di BARDO, Falsa crónica de unas cuantas verdades di Alejandro G. Iñárritu.

Il regista messicano affronta la crisi di identità di Silverio, un noto giornalista e documentarista messicano, che vive oramai da 15 anni a Los Angeles con la moglie e i loro due figli: ce ne sarebbe anche un terzo di nome Mateo, ma è meglio non rivelare questa ed altre “sorprese” di cui il film è particolarmente ricco. Silverio torna con moglie e figli nel suo paese per ritirare un prestigioso premio internazionale, ma il viaggio sarà rivelatore di ricordi, fantasmi e paure da affrontare, ed anche portatore di idee politiche contrastanti che gli faranno amare ed odiare alternativamente sia il paese che lo ha accolto ma anche quello da cui proviene. Travolto da una vera e propria crisi di identità, il protagonista reagisce nascondendosi e non concedendo interviste, scontentando la sua gente e gli amici che vogliono festeggiarlo. Il film è una vera e propria maratona (dura quasi 3 ore!) che ci fa viaggiare nel mondo interiore ed esteriore di Silverio: le domande che il regista fa porre al suo protagonista non sono solo intime ma universali e mettono in evidenza interrogativi complessi, che abbracciano il vissuto di Silverio ma anche la storia del suo paese. Le produzioni Netflix, come questa, hanno sovente la caratteristica di essere interminabili e sorge spontanea la domanda di quanto l’aspetto commerciale dell’avvento delle piattaforme abbia in qualche modo danneggiato il prodotto finale, in quanto i tagli che una volta probabilmente i produttori ed i distributori imponevano ai registi, in qualche caso “salvavano” le pellicole da un inevitabile lungaggine che “diluisce” l’aspetto artistico della pellicola stessa di cui anche il film di Alejandro G. Iñárritu, pur essendo una pellicola d’autore con immagini e battute di assoluta genialità, ne è rimasto inevitabilmente vittima.

Per la sezione Orizzonti è decisamente da segnalare il film giapponese di Kei Ishikawa dal titolo Aru Otoko (Un uomo): anche in questa pellicola si affronta il tema dell’identità da cui si fugge, che si vuole cambiare perché, come lo stesso regista ha dichiarato, ogni essere umano è fatto di tante componenti che si possono amare o odiare. Rie è una giovane donna separata con un bambino piccolo che porta lo stesso nome di un altro figlio morto a soli 2 anni per un tumore. Nonostante la sua triste esistenza, la vita riserva alla donna una seconda opportunità: incontra il giovane e gentile Daisuke di cui si innamora, ben presto creeranno una famiglia insieme e dal loro matrimonio nascerà anche una bambina. Ma la morte improvvisa di Daisuke le farà scoprire delle sconcertanti verità sull’uomo che amava. Il film induce a riflessioni molto interessanti e gli interpreti sono davvero bravi (soprattutto l’attore che interpreta l’avvocato che si dovrà occupare di scoprire la vera identità del defunto): fondamentalmente ci fa scoprire come il dato di fatto e la verità non sempre sono combacianti e che spesso, scoprire verità nascoste, non sempre rappresenta un elemento per cancellare quanto di buono si è vissuto o per cambiare il giudizio sulla persona amata.

Ultima pellicola della giornata, anch’essa in Concorso, è francese dal titolo Un couple del regista Frederick Wiseman e tratta della relazione durata quarantotto anni tra Leo Tolstoj e sua moglie Sofia detta Sonja, donna di origini nobili, di forte temperamento, assidua copista delle opere del marito e sua amministratrice. La coppia ebbe tredici figli, alcuni dei quali morirono, e Sofia li allevò tutti personalmente. Entrambi erano soliti scrivere un diario e Leo pare che la prima notte di nozze lesse il suo, ricco di particolari intimi, alla diciottenne sposa. Il film si basa sulle lettere che si scrissero e sul contenuto del diario di Sofia. Girato in Bretagna nel giardino La Boulaye, sull’isola di Belle Île, il film gode di una ambientazione perfetta ed ha una impostazione teatrale nella forma di monologo: il pregio è di portare a conoscenza attraverso le pagine di un diario i sentimenti contrastanti della lunghissima vita coniugale dei coniugi Tolstoj irta di crisi e litigi che portarono sovente lo scrittore a voler abbandonare la famiglia, ma che sicuramente fu un elemento importante per la stesura delle sue opere.

data di pubblicazione:02/09/2022

79. MOSTRA INTERNAZIONALE d’ARTE CINEMATOGRAFICA di VENEZIA: FILM DI APERTURA

79. MOSTRA INTERNAZIONALE d’ARTE CINEMATOGRAFICA di VENEZIA: FILM DI APERTURA

Il Festival di Venezia 2022 apre le sue porte e, nonostante il sistema di prenotazione delle proiezioni abbia creato non pochi problemi, i film ripagano pienamente i disagi di un sistema che si spera venga abbandonato presto per tornare a quelle splendide file sotto il sole del Lido, alle chiacchiere che precedono le proiezioni e ai commenti che le seguono: a quello che potremmo definire il romanticismo di una kermesse così importante che i tempi moderni, traghettati dal covid, hanno un po’cancellato.

 

Apre la 79ma edizione del Festival Noah Baumbach con il suo White Noise, film ambizioso ricco di riflessioni su dubbi e ossessioni, paure sulla vita e sulla morte, interpretato da Greta Gerwig, moglie di Baumbach, interprete e cineasta di pregio, e il bravissimo Adrian Drive alla sua quinta esperienza con il regista, che già nel 2019 era presente al Lido con Marriage Story dello stesso Baumbach, e che in un certo senso con White Noise replica tematiche legate anche agli affetti e al rapporto di coppia. Seppur ambientato negli anni ’80, ai tempi di Reagan, è lampante il riferimento alla contemporaneità che stiamo vivendo e nella quale ci riconosciamo, ma non abbastanza da renderlo “coinvolgente”, empatico. Un buon esercizio di regia, algido e a tratti autoreferenziale, con sprazzi di genialità che non riescono tuttavia a reggere l’intera durata della pellicola. Empatia e commozione profonda invece giunge dal film che apre la sezione Orizzonti, Princess di Roberto De Paolis, alla sua seconda prova da regista, che vede Rai Cinema tra i produttori e Lucky Red come distributore. E’ un film potente, originale e di grande spessore, che non parla solo di immigrazione clandestina e prostituzione, ma di anima, narrando una storia che nasce da dentro, con una assenza assoluta di ogni genere di giudizio morale, con linee difficili da tratteggiare e raccontare, che vanta tra i protagonisti attori veri e ragazze nigeriane realmente strappate alla vita di strada. Questi si muovono come equilibristi in modo esemplare, creando quell’empatia in una storia che ha i tratti del documentario ma che è un film a tutti gli effetti, anche se con ruoli capovolti, in cui i veri attori “assecondano” la vita di Glory Kevin e delle altre ragazze. “Ho costruito Princess fondendo il mio punto di vista con quello di alcune ragazze nigeriane, vere vittime di tratta, che hanno scritto con me e poi hanno interpretato se stesse”. Il messaggio del film potremmo sintetizzarlo nel concetto che ognuno deve salvarsi da solo, ma per farlo ci vogliono le condizioni; ed anche se alcuni incontri, come quello di Princess con il personaggio interpretato da Lino Musella (bravissimo assieme agli altri due interpreti Salvatore Striano e Maurizio Lombardi) possono fare aprire gli occhi alla protagonista perché carichi di un istinto positivo, non le regala tuttavia tutti quegli elementi necessari per liberarsi dalle catene. Il film ci insegna sul finale che ci vuole una spinta interiore per romperle quelle catene, che ci inchiodano ad una vita in cui si crede che sopravvivere sia vivere. Tra i film Fuori Concorso è sicuramente da segnale Living, ovvero il capolavoro di Kurosawa Ikiru “reimmaginato” dal regista sudafricano Oliver Hermanus, con una accuratissima sceneggiatura di K.Ishiguro. Film poetico, umano, lieve, Living è la storia di un uomo ordinario che decide, in seguito ad un evento che stravolgerà la sua vita, di fare qualcosa in extremis per poter dare un senso alla sua esistenza grigia, vissuta in un angolo, decidendo di vivere appunto. Magnificamente interpretato dall’attore inglese Bill Nighy ed ambientato in una Inghilterra degli anni ’50, il film è piacevolmente lento per apprezzarne le innumerevoli sfumature, e tutte quelle piccole cose che assumono così dimensioni immense. Ma la prima giornata della 79ma edizione del Festival del cinema di Venezia si conclude con la divina Cate Blanchett e la sua stupefacente interpretazione di Lydia Tár nel film TÁR  di Todd Field presentato in anteprima alla stampa, incentrato sulla figura della prima donna della storia a divenire direttore di una delle più importanti orchestre tedesche. Il film è stato scritto per la sua protagonista che conferma la sua immensa bravura in una maratona di 2 ore e 40 minuti senza mai fare un passo falso, con una interpretazione che già profuma di candidatura all’Oscar. Peccato che nel film ci sia… una assenza totale di musica. Una vera e propria contraddizione: occasione mancata? Il pubblico deciderà.

data di pubblicazione:01/09/2022

CRIMES OF THE FUTURE di David Cronenberg, 2022

CRIMES OF THE FUTURE di David Cronenberg, 2022

In un futuro distopico, l’enigmatico Saul Tenser si esibisce di fronte ad un folto pubblico, accompagnato dalla sua assistente Caprice, in ciò che si potrebbe definire una body performance. Con godimento e compiacimento l’uomo si sottopone a una ripetuta espiantazione di nuovi organi che lui stesso genera all’interno del proprio corpo. L’umanità sta coscientemente affrontando un lento processo evolutivo e il nuovo organismo, geneticamente modificato, si sta così adattando a nutrirsi di scarti di materiale plastico opportunamente rielaborato.

Dopo alcuni anni di preoccupante silenzio ritorna sul grande schermo il cineasta canadese David Cronenberg (Toronto, classe 1943) con il suo nuovo Crimes of The Future, presentato all’ultima edizione del Festival di Cannes. Cronenberg, in questo suo ultimo lavoro, ricalca per grandi linee il soggetto del suo omonimo film del 1970 in cui già si potevano riscontrare i temi caratteristici della sua singolare produzione.

Il corpo umano, con gli organi che lo costituiscono al suo interno, è oggetto e soggetto di una continua evoluzione che comporta un doversi necessariamente adattare a prevedibili mutazioni della specie umana. L’uomo diventa così carne da macello sottoponendosi beatamente ad interventi chirurgici poiché oramai è annullata la soglia del dolore. Il lavoro di Cronenberg, del resto, è incentrato sul corpo e sulle sue provocate deformazioni, ciò che è brutto e doloroso diventa fonte di piacere e puro nutrimento dell’anima. Gli stessi valori basici vengono ora sovvertiti e sacrificati in virtù di una nuova etica comportamentale: uccidere è la soluzione più semplice ma non ci sono colpe da espiare. Tutto cambia e le relazioni interpersonali sono in funzione del mostrarsi interiormente perché ciò che conta è il bello interiore, l’arte ridisegnata sui propri organi, anch’essi in continua metamorfosi. Anche il piacere corporeo diventa per Cronenberg pretesto per sovvertire ogni formula tradizionalmente costituita e una alterazione corporea o una semplice cicatrice possono diventare zona erogena e fonte di appagamento sessuale. Tutti i personaggi, e tra questi i due protagonisti Viggo Mortensen nel ruolo di Saul e Léa Seydoux in quello di Caprice, si muovono in un mondo polveroso e arrugginito dove il passato, oramai remoto, deve ancora imporsi per riaffermare i propri valori in un futuro ancora incerto, dove si fa fatica ad identificarsi.

Un film certamente di nicchia destinato a cinefili raffinati che non si fermano certo alle immagini esteriori, talvolta disturbanti, ma che vanno oltre per ricercare ogni nuova forma di arte concettuale, al di là dell’immagine estetica in senso tradizionale. Con Crimes of The Future, Cronenberg sembra raggiungere il punto di arrivo del suo percorso creativo caratterizzato da una rivoluzione e un sovvertimento di ogni linguaggio visivo: in lui c’è la volontà di sottrarre il cinema ad ogni vincolo formale e culturale per spingere lo spettatore a guardarsi dentro e ritrovare forse quella bellezza interiore svalutata se non addirittura ignorata.

data di pubblicazione: 30/08/2022


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BULLET  TRAIN di David Leitch, 2022

BULLET TRAIN di David Leitch, 2022

Ladybug (coccinella), un killer non particolarmente assistito dalla fortuna in altre missioni, per di più in crisi esistenziale, è inviato dal suo capo a Tokyo su un treno ad altissima velocità (?) con obiettivi apparentemente di facile soluzione (salire su un treno e recuperare una valigetta). Lo sfigato sicario non vuole deludere il committente ma l’avventura si complica a dismisura per la concorrenza inattesa di un manipolo di assassini ben più determinati del nostro. Seguono inenarrabili peripezie sul treno in corsa.

Presentato a Roma il 24 agosto nell’ambito della III edizione del Floathing Theatre, manifestazione ideata da Alice nelle Città (quasi a non farci rimpiangere le produzioni USA della gestione Monda della Festa del Cinema?), Bullet Train è un divertente action movie con un grande merito: non prendersi mai sul serio! Innegabili e dichiarati echi e crediti verso il cinema di Tarantino, di Park Chan-wook, di Guy Ritchie, di Bong Joon-ho: quasi omaggi, che sul concetto non originalissimo della sorte inanellano una serie di situazioni ora splatter, ora decisamente comiche, ora divertenti tout court. Il tutto al solo scopo di un totale divertimento cui per primi sembrano partecipare gli attori, individuati dal poliedrico David Leitch (Deadpool 2 e poco altro). Dunque, poco importa se nelle pieghe del racconto ci sono sprazzi di temi universali (la sorte che si può mutare) o filosofici , il film è un puro intrattenimento scanzonato, lo ribadisco, è come tale dev’essere fruito in tempi davvero grami per il cinema su grande schermo. Alla festa partecipa un cast di attori in grande, direi, grandissimo spolvero. Non c’è solo Brad Pitt , in splendida forma (le signore confermano!) a regalarci gags e scazzottature d’altri tempi. Con lui ci sono uno stuolo di grandi professionisti, tra cui cito Joey King, Aaron Taylor-Johnson, Brian Tyree e il super cattivo Michael Shannon, tutti in armonia, e, come dicono i “ggiovani” tutta gente fichissima! Adattamento per lo schermo di un best seller giapponese, I sette killer dello Shinkansen, dello scrittore Kotaro Isaka, Bullet Train è scritto da Zak Olkewicz e ben diretto da David Leitch, già stunt man di Brad Pitt in altre pellicole. Ovviamente il romanzo originario viene traslato secondo i parametri hollywoodiani accentuandone i momenti d’azione a scapito dei dialoghi filosofici e dei personaggi giapponesi, orientali, come pure il regista calca la mano sulla caratterizzazione dei criminali, un coacervo di mafia russa, Yakuza giapponese, killer statunitensi. Film corale all’insegna di intrattenimento “scacciapensieri”, un ibrido tra un film di Guy Ritche e uno di Quentin Tarantino. Un assordante ma giustificato commento hard rock si incastra alla perfezione.

data di pubblicazione:26/08/2022


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OCCHIALI NERI di Dario Argento – Sky Cinema Uno, 2022

OCCHIALI NERI di Dario Argento – Sky Cinema Uno, 2022

A dieci anni di distanza dal suo ultimo lavoro il maestro decaduto del thriller si ripropone in una pellicola che nulla aggiunge alla sua filmografia. Con un’immagine metaforicamente efficace nel film, un autentico splatter senza capo né coda, c’è il peggio del suo inconfondibile touch, dando per scontato la perdita del meglio.

C’è voluta una sorta di catena di Sant’Antonio di sette produttori (compresa la volenterosa figlia Asia) per consentire a Dario Argento di tornare alla ribalta con un film che ha resistito poche ore nelle sale, ancora meno a pagamento su Sky, introdotto ora quasi di soppiatto e senza enfasi nella programmazione ordinaria della tivù a pagamento. 84 minuti di noia con una sceneggiatura che  fa acqua da tutte le parti abdicando a un minimo di verosimiglianza. La Pastorelli, sbalzata da Verdone ad Argento, è una escort di lusso poco credibile. Quale il motivo dello scatenamento del serial killer? Un apprezzamento della ragazza sulla sua scarsa pulizia prima di intrattenere un rapporto. Non scherziamo, è quello il movente. E poco importa se il killer uccide prima, dopo e durante questo match a due, altre colleghe professionali della protagonista. Argento copia i suoi predecessori (Bava and company) per l’abbinamento eclisse/cecità  ma i suoi personaggi sono maschere vaniloquenti che si distinguono per la povertà dei dialoghi. Poi il partner della escort è un ragazzino cinese che appare e scompare senza preavviso, come il cane da compagnia. In compenso circola tanto sangue e un pizzico di nudo per cercare di rialzare la pressione di un pubblico presumibilmente annoiato e depresso da tanta prevedibilità della sinossi narrativa. Badate bene, il killer per farsi individuare meglio gira con un vistoso furgone bianco. E nell’ambientazione romana capita che a un certo punto la Pastorelli finisca in una pozza d’acqua, quasi stritolata da una ventina di serpenti. Succede a Roma? Attinenza con la trama? Nessuna. Chiamare happy end la morte dell’assassino sembra quasi un ossimoro. Provvede il cane, misteriosamente liberatosi. L’ultima scena girata all’aeroporto romano è di rara banalità. La sceneggiatura è stata scritta nel 2002 ma sarebbe sembrata modesta anche 20 anni prima. Al momento il film ha incassato 170.000 euro, un decimo di quanto è costato. Con queste premesse sarà anche l’ultimo film di Dario Argento.

data di pubblicazione:10/08/2022


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SPOSA IN ROSSO di Gianni Costantino, 2022

SPOSA IN ROSSO di Gianni Costantino, 2022

Esce oggi nelle sale, in una caldissima giornata di agosto, Sposa in rosso gradevole commedia di sentimenti dalla trama frizzante e non scontata, scritta e diretta da Gianni Costantino che vede come protagonisti Sarah Felberbaum e lo spagnolo Eduardo Noriega, affiancati da Massimo Ghini, Anna Galiena, Cristina Donadio, Dino Abbrescia, Maurizio Marchetti e Roberta Giarrusso.

 

Roberta (Sarah Felberbaum), pugliese di origine e incinta del suo primo figlio, e il giornalista Leòn (Eduardo Noriega), sono due quarantenni con un lavoro precario che si incrociano su un autobus a Malta: la donna, che di mestiere fa la guida turistica in bicicletta sull’isola, sviene tra le braccia dell’uomo. In un attimo i due si ritrovano sull’autoambulanza perché lei che sta per partorire e i loro destini si fondono nel momento in cui, nato il bambino, i genitori di lei (Anna Galiena e Maurizio Marchetti) e suo zio Sauro (Dino Abbrescia) si presentano a sorpresa in ospedale. Roberta decide di far passare Leòn come il padre del bambino: il passo per celebrare il matrimonio in Puglia alla presenza di un numero indefinito di inviati è breve, assieme ad una serie di disavventure che da questi fatti ne scaturiranno. Compongono il cast di questa soffocante famiglia del sud, con donne dominanti e uomini inidonei e infantili, Cristina Donadio nella parte della bizzarra ed anticonformista zia di Roberta, costumista teatrale con un ingombrante segreto da celare, in lite da sempre con la sorella Lucrezia-Anna Galiena, ed un irriconoscibile Massimo Ghini nel ruolo – un po’ forzato – di una sorta di camaleontico fotografo, improbabile amico di Leòn.

Il film, seppur non rappresenti una pietra miliare nel panorama delle commedie italiane degli ultimi anni, ha quanto meno il pregio di essere ben recitato e di presentare qualche spunto di originalità, ricco di siparietti ed equivoci che fanno da contorno ad una stramba storia d’amore. Primeggiano i temi della precarietà non solo lavorativa dei quarantenni di oggi, generazione che non trova ancora un posto nel mondo, schiacciata tra i millennials e la generazione X, nella spasmodica ricerca della libertà per tentare di respirare e brillare di luce propria. Ed anche se non è un’idea del tutto originale che, come afferma lo stesso regista, “la vera storia d’amore inizia quando il film finisce”, la pellicola nel complesso è gradevole e può rappresentare una piacevole sorpresa in questa torrida estate.

data di pubblicazione:04/08/2022


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LA COMMEDIA DEGLI ERRORI di William Shakespeare, regia di Loredana Scaramella

LA COMMEDIA DEGLI ERRORI di William Shakespeare, regia di Loredana Scaramella

(Gigi Proietti Globe Theatre – Roma, 15/31 luglio 2022)

Una doppia coppia di gemelli mette in subbuglio un’intera città. Tra giochi di scambi e ricerca di un’identità perduta, va in scena la Globe di Villa Borghese un gruppo di talentuosi artisti con una commedia esilarante e divertente.

 

 

 

In scena fino a domenica 31 luglio al Gigi Proietti Globe Theatre La commedia degli errori per la regia di Loredana Scaramella, nuovo spettacolo prodotto da Politeama S.r.l. per il teatro elisabettiano di Villa Borghese. Nell’elenco dei lavori di Shakespeare figura come la prima opera scritta dal Bardo ancora in giovane età e come tutte prende ispirazione dalla tradizione classica. I Menecmi di Plauto è la fonte principale dell’intreccio, che Shakespeare complica moltiplicando le coppie di gemelli sulla scena. L’azione si svolge nell’arco di una giornata in una Efeso di fantasia, che Loredana Scaramella immagina come un porto vicino al mare sommerso dall’acqua e i cui abitanti, sempre per un gioco di immaginazione che solo Shakespeare può consentire, sono vestiti in abiti da charleston anni Venti. Un’orchestrina jazz suona in un locale che si affaccia sul porto ed è testimone ammiccante, insieme agli avventori del locale e al pubblico seduto a guardare, della serie di equivoci che si formano sulla scena, sempre un passo avanti rispetto alla verità della storia che si sbroglia davanti ai loro occhi. Le musiche sono di Mimosa Campironi (arrangiate da Adriano Dragotta), mentre costumi e scene sono rispettivamente di Susanna Proietti e Fabiana Di Marco, della talentuosa scuderia del teatro.

Il mare che Loredana Scaramella immagina non è fatto solo di acqua. Ci sono molti cuori perduti che si cercano tra loro e si interrogano sulla propria identità, aspetto che la regia sottolinea in modo particolare. Il vecchio Egeone di Siracusa approda a Efeso in cerca dei figli che il mare aveva diviso. Per l’inimicizia tra le due città questi viene arrestato dal Duca che lo condanna a morte. Ma al porto approdano anche Antifolo, suo figlio, con il servo Dromio, in cerca dei rispettivi fratelli che il mare in tempesta aveva diviso molti anni prima e che invece ora riunisce. Non sanno ancora che chi stanno cercando si trova proprio in quella città. Le coppie di gemelli sono perfettamente uguali e a renderle così non è solo il nome o il costume che indossano, ma nel caso del nostro spettacolo, una sorprendente maniera di recitare quasi allo stesso modo. Da questo antefatto si scatena tutta la serie di errori e scambi di persona che caratterizzano la commedia, mostrando al pubblico che solo il confronto con l’altro, dopo essere andati instancabilmente in cerca della cosa perduta, rende possibile il riconoscimento e quindi la soluzione alle proprie inquietudini.

Della regia si apprezza la capacità di aver saputo sciogliere in maniera limpida i nodi di un intreccio complesso e articolato, frutto certamente di un attento e approfondito studio dell’opera. Ma la bravura sta nell’aver saputo cesellare i personaggi basandosi sulle abilità espressive degli attori, eccellenti tanto nella recitazione quanto nel canto e nei movimenti (le coreografie sono di Laura Ruocco e i movimenti di scena di Alberto Bellandi). Un esempio tra tutti sono le acrobazie da slapstick comedy messe su dalla coppia di servi Dromio. Insomma, uno spettacolo totale e ben fatto che appaga il nostro desiderio di teatro.

data di pubblicazione:24/07/2022


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HISTORY OF VIOLENCE di Thomas Ostermeier, 2022

HISTORY OF VIOLENCE di Thomas Ostermeier, 2022

(Festival dei Due Mondi – Spoleto, 24 giugno/10 luglio 2022)

La vigilia di Natale del 2012, tornando a casa dopo una cena con amici, Édouard incontra per strada un uomo, Reda. I due parlano, scherzano e decidono di passare insieme il resto della notte. Reda racconta la storia della sua infanzia e l’arrivo in Francia di suo padre, fuggito dall’Algeria. Dopo una serie di bagordi a sfondo sessuale, alle sei del mattino Édouard viene insultato, violentato, rischiando seriamente di essere persino ucciso…

 

Con una palese sfida a quello che si può definire politically correct, si chiude questa 65ma edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto con la direzione artistica di Monique Veaute che è riuscita, in due settimane, a concentrare quanto di meglio ci si possa aspettare, a livello nazionale e internazionale, sia in campo musicale che teatrale. In apertura della rassegna ci eravamo già confrontati con il monologo L’appuntamento, tratto dal noto romanzo d’esordio di Katharina Volckmer, spettacolo quanto mai sovversivo e irriverente che usa senza alcun riserbo un linguaggio a dir poco audace. In chiusura, il pubblico ha potuto apprezzare History of Violence, racconto autobiografico dello scrittore francese Édouard Louis, dove viene proposto il dramma dello stupro vissuto dal protagonista (e autore) con un intreccio di temi specificatamente personali con quelli più generali e sociali come l’emigrazione, il razzismo e l’omofobia. Il soggetto proposto, tra desiderio, passione e violenza, non poteva non interessare un regista teatrale della portata di Thomas Ostermeier oggi direttore artistico della Schaubuhne di Berlino e già insignito del Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2011. In effetti il lavoro di Édouard Louis non è solo il racconto di una violenza sessuale subita da un uomo da parte di un altro uomo, ma è la testimonianza dello specifico disagio di una classe sociale emarginata che tenta disperatamente, con ogni mezzo possibile, di integrarsi in un contesto che politicamente e culturalmente non gli appartiene. Il protagonista parla inoltre della sua omosessualità, una sorta di autodafé, e del suo problema di farsi accettare all’interno del proprio nucleo familiare e dalle istituzioni in generale. Il linguaggio drammaturgico di Ostermeier è vario e include una recitazione piena di pathos da parte dei due principali protagonisti Laurenz Laufenberg e Renato Schuch, rispettivamente nel ruolo del violentato e del violentatore, il tutto accompagnato da proiezioni video dal vivo degli stessi attori sulla scena e da una musica in sottofondo piuttosto fredda, ma essenziale per evidenziare i vari passaggi della narrazione. Uno spettacolo quindi di forte impatto emotivo che investe tematiche ancora oggi irrisolte quali l’auto-accettazione della propria sessualità e la contrapposizione, quasi innaturale, tra l’impulso personale di odio verso lo stupratore e il sentimento di empatia verso colui che a sua volta è continuamente vittima di oppressione. History of Violence è un lavoro ben fatto perché racconta di violenza, omofobia, povertà ma che in fondo racconta anche di amore che, come afferma lo stesso regista, è la leva più importante che sorregge la vita umana.

data di pubblicazione:12/07/2022


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IF THERE IS NO SUN creazione a cura di Luca Brinchi, Karima 2G e Irene Russolillo

IF THERE IS NO SUN creazione a cura di Luca Brinchi, Karima 2G e Irene Russolillo

(Teatro India – Roma, 4/5 luglio 2022)

L’Africa e l’Europa. Due mondi e due comunità a confronto. Due lingue e due culture che divergono e convergono. Una interessantissima performance pensata e realizzata dal regista e visual artist Luca Brinchi, insieme alla danzatrice e coreografa Irene Russolillo ed alla cantante e beatmaker Karima 2G. Nell’ambito degli appuntamenti del festival dedicato alla danza contemporanea Fuori Programma diretto da Valentina Marini, il 4 e 5 luglio nella Sala Oceano Indiano del Teatro India è andato in scena in prima nazionale lo spettacolo IF THERE IS NO SUN (foto di Monia Pavoni).

 

Un viaggio da affrontare e confini da superare. Sul palcoscenico i danzatori senegalesi Antoine Danfa e Mapathe Sakho e il performer tunisino Ilyes Triki, insieme a Karima DueG e Irene Russolillo, per provare a condividere sogni e desideri legati ai luoghi e alle persone che fanno parte della propria essenza. Un viaggio lungo il quale si aprono crepe comunicative per le differenti lingue, per le differenti caratteristiche fisiche, per le diverse storie che ci sono dietro. Rimane forte il desiderio di superare limiti e convenzioni interiori. C’è un mare agitato da attraversare se si vuole andare oltre. Le figure si muovono in mezzo alle altre creature, ci sono funi da cui forse liberarsi ma sono corde che aiutano ad emergere, che diventano dread che guidano il rito tribale. E’ il momento in cui la nuova comunità emerge dal suo stato di invisibilità. Il problema è il dialogo, la babele di lingue non aiuta, e la parola diventa discorso ma anche urlo, a testimonianza della lotta di sopravvivenza e dell’affermazione dell’identità.

Luca Brinchi insieme alla cantante e beatmaker Karima 2G e alla performer Irene Russolillo si sforzano di raccontare, ognuno col proprio linguaggio, la complessità della comunicazione e dei gradi di separazione che coesistono tra Africa ed Europa, fra viaggi e confini sfocati.

Ne deriva un lavoro di ricerca intelligente, mai scontato, basato su individualità e fisicità ma anche sulla ricerca di una nuova declinazione del concetto di comunità in cui anche la luce e i suoni assumono connotazioni innovative.

“Si vorrebbero vedere i propri diritti riconosciuti e i propri fantasmi scomparire – affermano i tre artisti –. E intraprendere una lotta che è un discorso e un viaggio, in cui l’ambiente muta per consunzione e sfocatura. Il dialogo tra visione, movimento e suono si adatta e riassesta a ogni passaggio, come dopo un terremoto, quando bisogna ricostruire certezze andate in frantumi. Con le parole if – there – is – no – sun si evocano coloro che ci hanno preceduto e che hanno acceso altri soli, immaginando nuove possibili umanità”.

data di pubblicazione:07/07/2022


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