SICCITA’ di Paolo Virzì, 2022

SICCITA’ di Paolo Virzì, 2022

Presentato fuori concorso alla 79esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, il nuovo film di Paolo Virzì, Siccità, è una fotografia distopica di quello che siamo e di quello che potremmo diventare.

A Roma non piove più e l’acqua è drammaticamente razionata per (quasi) tutti. L’aridità ha colpito la terra, le piante, gli animali ma soprattutto gli uomini: le regole di sopravvivenza hanno infatti stravolto gli animi oltre che le abitudini. Come scarafaggi impazziti nella città sporca e polverosa, si muove un nugolo di personaggi, giovani e vecchi, emarginati e di successo, vittime e approfittatori. Nessi di causa-effetto legheranno le loro esistenze, mentre cercano ognuno la propria sopravvivenza e la propria identità. 

La luce è gialla e l’aria è secca e afosa, il letto del Tevere ha riportato alla luce reperti archeologici e l’acqua è diventata un bene riservato solo ad alcuni. Un’accozzaglia sorda e disgraziata ha smarrito “la diritta via” e prova a sopravvivere.

Un avvocato di successo (Vinicio Marchioni) è sposato con una dottoressa (Claudia Pandolfi), il cui ex marito (Valerio Mastandrea) da autista di autoblu è finito a fare l’autista di taxi. Un ex detenuto (Silvio Orlando), appena uscito da Rebibbia, dove ha scontato una lunga condanna per aver ucciso la moglie, vaga in cerca della figlia. Un attore di teatro a spasso (Tommaso Ragno), si è reinventato influencer in rete, trascurando la moglie (Elena Lietti) che per campare ha accettato di fare la cassiera in un supermercato. Una giovane infermiera in dolce attesa (Sara Serraiocco), è sposata con poco di buono (Gabriel Montesi), che ha appena trovato lavoro come bodyguard di una ricca famiglia proprietaria di una Spa in pieno centro, minacciata da manifestanti arrabbiati. Un’attrice molto famosa (Monica Bellucci) seduce un importante e buffo scienziato (Diego Ribon), divenuto improvvisamente celebre in televisione.

Siccità utilizza come espediente narrativo un futuro utopico per parlare di oggi e di una società sempre più classista, condizionata dai nuovi modelli di vincenti e perdenti; complici le condizioni climatiche tutti appaiono però indeboliti, in perenne movimento sì, ma in preda ad un sonno apatico che rischia di uccidere più di qualsiasi virus. Ognuno vive isolato e perduto, vittima del proprio egoismo e della propria miseria. Non comunicano, non si parlano, i loro destini si incrociano ma non c’è spazio per risate e allegria in questa commedia contemporanea, proprio perché c’è ben poco da ridere in un mondo nel quale ognuno ha da addossarsi delle colpe, per quanto sta accadendo ad ambiente e socialità.

Un film inquietante e sconvolgente, ben diretto e scorrevole. Forse uno dei migliori prodotti italiani in questo 2022, o comunque il più originale, in quanto dopo due anni di forzato confinamento, prova a misurare la salute mentale degli italiani. Un film che ha anche una sua bellezza ed una sua poesia. Non tutti gli episodi sono riuscitissimi, non è un dramma apocalittico, alla fine la pioggia porterà un lieto fine, ma il film ha una innegabile forza ed una sincera carica emotiva.

data di pubblicazione:10/10/2022


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MACBETH di William Shakespeare, traduzione – adattamento e regia di Alessandro Sena

MACBETH di William Shakespeare, traduzione – adattamento e regia di Alessandro Sena

(Teatro Cometa Off – Roma, 1/9 ottobre 2022)

Debutta al Teatro Cometa off di Testaccio il Macbeth di Alessandro Sena. Una lettura personale e contemporanea del personaggio shakespeariano che per la sete di dominio, insieme alla moglie, perpetua una serie infinita di omicidi ai danni di chi minaccia la sua terribile ascesa al trono. Una visione che desidera farsi riflesso dell’umanità intera da oriente a occidente, con i suoi complessi meccanismi di conflitto e ambizione sfrenata di cui è preda.

 

All’inizio Macbeth è un eroe vittorioso. Il merito sta nell’aver sedato una rivolta contro il re Duncan insieme ai compagni Banquo e Macduff. Ma il destino dei re è quello di essere traditi, come lo fu Cesare pugnalato da chi più avrebbe dovuto amarlo. Così l’incontro con le Tre Streghe, sorelle fatali apparse sul cammino di Macbeth e Banquo, instilla nel valoroso condottiero il pensiero che un giorno otterrà anche il trono. Per farlo però dovrà uccidere a tradimento il sovrano ospite nella sua casa. Dubbioso se compiere l’assassinio o lasciare che il corso degli eventi lo porti a governare, viene spronato sulla strada della conquista dalla consorte. È Lady Macbeth a scavare nella coscienza del marito e a muovere la sua ambizione. Incastrato nel buio di una scena che rispecchia la notte dell’anima, in preda a una frenesia che lentamente fa breccia nella sua mente portandolo quasi alla pazzia, alimentata dalla presenza in scena oltre lo spazio concesso da Shakespeare delle Tre sorelle fatali – riflesso di una mente ottenebrata dall’avidità più che espressione del dato esoterico dell’opera – il misfatto si compie con un realismo che sgomenta, tanto che il corpo assassinato del re viene mostrato addirittura sulla scena. Ma il tradimento non si ferma con la morte del sovrano. Banquo, a cui le streghe avevano predetto che sarebbe stato padre di una stirpe regale, deve morire insieme ai suoi figli. Dunque anche l’amicizia verrà tradita e con essa ogni soluzione di pace e armonia tra gli uomini. Solo la volontà del giovane re Malcolm, assurto al trono dopo la sconfitta di Macbeth, stanco alla vista del male, metterà fine a questa catena di delitti e abbandonerà a terra la corona imbevuta di troppo sangue e dolore.

Il Macbeth di Alessandro Sena mantiene solo in parte la natura di tragedia dell’ambizione. Il dramma, tradotto e adattato dal regista romano, sposta la riflessione sull’ossessione per il potere e sulle dolorose ferite provocate dal tradimento, in un allestimento moderno, imperniato di un esplicito linguaggio simbolico, ma nella totalità fedele alla tradizione. Un lavoro visivamente coerente e ben pensato, messo in scena da una compagnia di attori di diversa esperienza e formazione, ma coesa nella realizzazione, tra cui spicca per intensa profondità di interpretazione l’attrice armena Marine Galstyan nel ruolo di Lady Macbeth. Menzione particolare poi per Stefano Antonucci nei panni regali di un saggio e distinto Duncan, che illumina il personaggio di quella giusta rettitudine esemplare che verrà drasticamente azzittita.

Il lavoro drammaturgico ridotto all’essenziale per numero di personaggi e scene salva l’ossatura originale della tragedia. Alessandro Sena poggia il piede su Shakespeare e insieme pesca nel fluire ininterrotto del fiume della creatività immagini e parole che arricchiscono la storia di armoniose interpolazioni fino a condurre la tragedia verso una catarsi inaspettata, che passa per il pentimento e il risveglio della coscienza. Il cuore ostaggio dell’odio alla fine si ravvede e implora quella bontà e quella gentilezza che Chaplin – citato alla fine della pièce con le parole che concludono il suo capolavoro Il grande dittatore – esalta più che l’abilità a compiere il male. La bellezza del mondo è quella di essere un luogo dove c’è posto per tutti.

data di pubblicazione:08/10/2022


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ROMA EUROPA FESTIVAL OPENING NIGHT compagnia La Veronal, regia di Marcos Morau

ROMA EUROPA FESTIVAL OPENING NIGHT compagnia La Veronal, regia di Marcos Morau

(Teatro Argentina – Roma, 5/6 ottobre 2022)

Torna al Roma Europa Festival La Veronal, compagnia di danza con sede a Barcellona, rivelazione della scena coreografica europea degli ultimi anni, guidata dal coreografo Marcos Morau definito dalla stampa internazionale come “uno dei danzatori (e coreografi) più intelligenti della scena europea degli ultimi anni”. Opening Night è il loro ultimo spettacolo, un omaggio al mondo del teatro, al fulgore magico delle sue luci, ma anche alle sue ombre e, ovviamente, ai suoi fantasmi. (foto di May Zircus &TNC).

Lo spettacolo Opening Nightintende celebrare gli spazi del teatro e i suoi protagonisti, rendendo omaggio a Pina Bausch e a Tilda Swinton de La voce umana.

Una scatola magica che Morau racconta entrandoci dentro in via progressiva, attraverso i condotti di areazione, le tubature, le centraline, i corridoi. Quella scatola, che è palcoscenico, è anche muri scrostati, porte, botole e sotterranei, carrelli e corde.

Con la sua scrittura coreografica, fortemente ancorata alla tradizione del teatro-danza ma al contempo aperta ad una dimensione visiva e percettiva e alla sperimentazione di peculiari tecniche di movimento, Marcos Morau ha imposto la sua La Veronal all’attenzione internazionale.

Opening Night è anche un elogio all’architettura delle macchine sceniche, dei riflettori e dei sipari, un dietro le quinte in cui i ballerini presentano una danza fatta di delicati ed esplosivi frammenti, di drammatiche accelerazioni e pause espanse. Ecco allora che la luce si spegne, il sipario sale e si illumina lo spazio in cui appaiono le creature, i suoni e le ombre, i pianoforti e le corde, le sedie e le nebbie, giocando nello spazio in armonia dinamica.

Situazioni e personaggi si incontrano passando da un momento all’altro e da un luogo all’altro e la magia sta proprio nel fatto che la scena contiene tutti gli spettacoli possibili e tutte le storie possibili senza essere nessuna di quelle.

“La scena e il teatro sono spazi che abbiamo inventato per poter ampliare un po’ le nostre vite, in cui salire di qualche centimetro sopra il suolo e levitare, e in cui, nonostante tutto, non si sa mai se il vuoto che vogliamo colmare è più grande di quello che ci lascia quando finisce” afferma Morau.
Opening Night vuole essere un omaggio all’essenza del teatro, alla sue diavolerie, alle sue ombre, allo spazio e soprattutto al tempo, scandito quest’ultimo da debutti, platee piene e vuote, sipari in movimento, da pavimenti di legno che scricchiolano, un universo magico dove le leggi, la vita e la verità entrano in confusione, perchè tutto è vero e tutto è inganno, con gioia.

data di pubblicazione:07/10/2022


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SONO FELICE, DOVE HO SBAGLIATO?  di Diego De Silva – ed. Einaudi, 2022

SONO FELICE, DOVE HO SBAGLIATO? di Diego De Silva – ed. Einaudi, 2022

In attesa che nelle prossime settimane vadano in onda gli 8 episodi della Prima Stagione della preannunciata Serie TV tratta dai suoi libri, è uscito da poco, per i tipi Einaudi, il sesto volume dei casi dell’Avvocato Vincenzo Malinconico di De Silva. Il felice personaggio, dalla vita a dir poco complessa, creato dall’abile penna e dalla ricca ed ironica fantasia dello scrittore napoletano.

De Silva è uno degli scrittori italiani di maggior successo di vendite in questi ultimi anni. Il suo avvocato Malinconico è un antieroe, un avvocato delle cause perse, “un avvocato d’insuccesso” o delle situazioni più strambe e paradossali. Paradossale è, già di per sé, anche il fatto stesso che si sia creata una “saga” di successo su un personaggio che non è poi il solito poliziotto/commissario, o il solito magistrato, o il solito penalista abile, brillante, determinato e fascinoso, ma, al contrario, su un personaggio che è invece un professionista di scarso o nullo successo che vivacchia con pochi improbabili clienti sapendo di tutto e di nulla. Un uomo assolutamente instabile oltre che lavorativamente anche affettivamente che affronta però la Vita con una filosofia tutta sua e con un approccio distaccato ma pungente ed umanamente profondo.

Questa volta il protagonista si trova, suo malgrado, a dover affrontare legalmente il tema degli “amori impantanati”, cioè di quelle relazioni di coppia senza futuro ove i sogni, i desideri ed i progetti ristagnano fra impedimenti e promesse mentre il Tempo scorre inesorabile. Al centro la paradossale pretesa di alcuni clienti di intentare una class action risarcitoria dell’infelicità generata da queste storie d’amore senza futuro.

Ancora una volta personaggi e vicende assolutamente singolari. Un romanzo vivo, dinamico, intenso, originale ed irriverente in cui De Silva con la sua bella penna, il suo stile chiaro, gradevole e scorrevole sa dare vita alle sue storie e riesce a farci divertire ed al contempo anche a farci riflettere. Il ritmo narrativo è quello ormai consolidato, ricco di eventi paradossali e di colpi di scena. I personaggi e le ambientazioni sono vivi, pulsanti ed autentici come se presi direttamente dalla realtà quotidiana della vita cittadina. Tutto è potenzialmente reale, ma visto con un occhio ironico, mai banale e con un tocco distaccato e lievemente filosofeggiante. Insomma una buona conferma del talento dello scrittore, una lettura gradevole che scorre veloce.

Un po’ di leggerezza ed ironia, e tanta autoironia non guastano in questi nostri tempi in cui abbondano i problemi e soprattutto anche tanti personaggi ed autori seriosi e supponenti.

data di pubblicazione:07/10/2022

RESURREXIT CASSANDRA regia di Jan Fabre con Sonia Bergamasco

RESURREXIT CASSANDRA regia di Jan Fabre con Sonia Bergamasco

(Teatro Vascello –Roma, 4/9 ottobre 2022)

Finalmente a Roma, al teatro Vascello, Resurrexit Cassandra, il testo di Ruggero Cappuccio messo in scena dal geniale artista belga Jan Fabre, con una immensa Sonia Bergamasco. La sacerdotessa inascoltata, risorge dalla mitologia greca e rinasce nel passato e nel presente per ben cinque volte, cercando di parlare agli uomini ancora una volta per avvertirli del disastro a cui stanno andando incontro; ma le parole cadono nel vuoto, nel completo disinteresse, nessuno mostra complicità e fiducia. Un viaggio attorno e dentro l’umanità, tra sicurezze e dubbi, illusioni e rischi di una consapevolezza che continuamente rischia di sfuggire (foto di Marco Ghidelli).

Cassandra, condannata da Apollo ad essere infelice e inascoltata, come narra la mitologia, per aver rifiutato il suo amore, appare sulla scena vestita di nero, muovendosi tra figure di serpenti cobra di diverse dimensioni, simbolo del male diffuso tra gli uomini. E’ rinata da quella terra che l’aveva inghiottita e preannuncia imminenti disgrazie, ancora una volta ignorate. In realtà non è affatto morta nell’Agamennone di Eschilo sgozzata dalla furia di Clitennestra, ma continua a vivere e riprodursi nei secoli, voce della coscienza di generazioni successive, con il suo carattere, la sua sapienza ed il suo bisogno di conoscenza e giustizia.

Come i serpenti cambia pelle e contesto. Si toglie una pelle-vestito e sotto ce n’è un’altra. Come scatole cinesi, gli abiti emergono via via uno dentro l’altro: nero ed austero il primo come il suo monito, rosso luccicante il secondo come il sangue dei giovani troiani morti, ingannati ed uccisi dai Greci, come lei stessa aveva profetizzato invano; blu il terzo, il colore della modernità decadente e del nichilismo del XX secolo.

Cinque i movimenti della protagonista come gli abiti (realizzati da Nika Campisi per Farani) e cinque elementi con cui dialogare ed immedesimarsi. E’ nebbia, vento, è fuoco e fumo, vapore, pioggia. Movimenti politici e ideologici radicali, cambiamenti climatici, enormi isole di plastica negli oceani, inquinamento. Lei si adagia accanto al cobra e la metamorfosi si avvia; così risorge nuovamente, spinta da un’altra profezia, sibilata nell’orecchio dal serpente. Ogni colore rispecchia una condizione. Ora il suo vestito è verde, il futuro assurdo in cui vede la volontaria distruzione della natura. Cassandra partecipa alle vicende di una natura disprezzata e umiliata, la catastrofe ecologia diventa visibile attraverso la fusione  di immagini, suoni, luci. La voce esprime rabbia, denuncia sociale. E poi l’ultima rinascita, il suo vestito è bianco, colore della purezza originale, l’appello accorato di Cassandra, una preghiera per agire tutti insieme, per salvare il pianeta e liberare finalmente la sua anima dalla terra, permettendole di congiungersi all’amore puro del cielo.

Lo spettacolo è un’accusa contro l’incomprensibile talento dell’essere umano per l’auto-inganno. Un tour de force che passa anche per la variazione cromatica degli abiti da cui progressivamente liberarsi, involucri di dolore ma al tempo stesso patrimoni di sapienza e coscienza. La guerra, la violenza, il sangue, la contaminazione del pianeta, il clima, le risorse.

Sulla scena appoggiata a uno schermo, un’ascia che rende più concrete e reali le immagini offuscate di una donna che proprio con un’ascia si difende e si protegge. Così come gli echi di musica e canto che talvolta la protagonista intona, creando un paesaggio sospeso e concreto al tempo stesso, carico di suggestioni.

Sonia Bergamasco miglior attrice 2022 a Le Maschere del Teatro Italiano, incarna una indimenticabile Cassandra che vede e prevede, una profetessa ma anche una donna, densa di vitalità nel passato, nel presente e nel futuro. Cassandra avrebbe potuto salvare il mondo già diverse volte. Avrebbe potuto prevenire e mettere l’umanità al riparo dai disastri che essa stessa sta provocando. La sua voce è monito ma è anche ricchezza. Le parole vibrano di vero, ognuno se la porterà dentro. Forse quando smetterà di essere eterna, noi avremo finalmente capito.

data di pubblicazione:06/10/2022


Il nostro voto:

VERAMENTE FALSO di Daniele Poto – Porto Seguro editore, 2022

VERAMENTE FALSO di Daniele Poto – Porto Seguro editore, 2022

Conosco troppo bene Daniele per cui stento a credere che questo sia veramente il suo ultimo libro. E penso da suo lettore che sia invece un bene che continui a sfornare ora saggi impegnati, ora gialli intriganti ora, come nella fattispecie, una singolare raccolta di racconti e -non solo- come reciterebbe una ovvia pubblicità. Nell’occasione si tratta, in realtà, di un “ibrido” in quanto contiene più situazioni non facilmente etichettabili.

Nel mondo delle fake news e della globalizzazione è difficile tracciare un identikit del ricco/povero Paese che è l’Italia. Ci prova attraverso il connubio letteratura/saggistica Daniele Poto che nell’antologia di racconti Veramente falso si destreggia tra realtà e virtualità rispondendo inconsciamente alla domanda: “Ma è un’autobiografia?” con l’ovvia replica: “Si, un’autobiografia ma di un altro”. Così scorre il racconto di un migrante che viene accolto ipocritamente con presunti buoni sentimenti da “politicamente corretto” che celano ben altro sottofondo, le vicende di un pugile un po’ coatto mandato allo sbando inseguendo il sogno americano, un femminicidio d’altri tempi nell’ancora profondo sud. Tipologie bizzarre che vanno a chiudere un insieme omogeneo. Come sottolinea la nota di copertina “il sottotesto disegna un’Italia gretta cinica e meschina con qualche sprazzo di vitalismo e un piccolo barlume di speranza”. Tra invenzioni vivaci e sulfuree osservazioni sulla vita di tutti i giorni come quando indica vari gradi di manutenzione (nell’amore, nella cura della città e delle amicizie). Il volumetto ha ambizione della piccola guida etica nel difficile percorso quotidiano e giunge alla fine di un lungo cammino dell’autore, intrecciato nella diversità, attraverso 23 libri. Sarà il punto d’arrivo dopo i dossier sulla mafia nel calcio, l’azzardo, la povertà? Poto lo promette anche in virtù della manifestata stanchezza di una parola scritta e raramente letta, memore di una statistica illuminante. Solo un italiano su due legge almeno un libro all’anno. Tendenza enfatizzata dalla pandemia: i lettori forti hanno aumentato le dosi, quelli deboli si sono dedicati al loisir delle serie televisive. La visione e la superficialità hanno avuto la meglio sull’approfondimento e la riflessione. E il mondo dell’editoria, sempre più crudele e vorace, ne paga immancabilmente le conseguenze. Ovviamente consigliato a quanti dispongono ancora di un cervello e di un cuore non atrofizzati

data di pubblicazione:04/10/2022

TI MANGIO IL CUORE di Pippo Mezzapesa, 2022

TI MANGIO IL CUORE di Pippo Mezzapesa, 2022

Michele Malatesta è appena un bambino quando assiste allo sterminio della sua famiglia da parte del clan dei Camporeale. Dopo quarant’anni, queste due famiglie di malavitosi, rivali ed in guerra da sempre per contendersi il controllo del territorio del Gargano, sembrano aver trovato una tregua duratura anche grazie all’intercessione di una terza famiglia, quella dei Montanari.

Sono passati molti anni e Michele è un uomo, sposato con Teresa con cui è legato da un rapporto ancora molto passionale e da cui ha avuto tre figli: due maschi e una femmina. Andrea, il primogenito, s’innamora perdutamente di Marilena, la giovane e avvenente moglie del latitante Santo Camporeale nonché madre dei suoi due figli. Nonostante gli avvertimenti di Michele che esorta il figlio a togliersi quella donna dalla testa “ho riempito il camposanto per farti vivere tranquillo”, Andrea non segue i consigli del padre. La storia proibita tra i due giovani amanti, vissuta quasi alla luce del sole, riaccenderà la guerra tra le loro rispettive famiglie, dando vita ad una faida senza esclusione di colpi.

L’ambientazione del film è perfetta: una campagna in cui si allevano maiali e pecore, in cui il sangue si mescola al fango e dove le persone sembrano animali e le loro passioni bestiali, il tutto avvolto da un agghiacciante bianco e nero, dove non si percepisce alcuna sfumatura e in cui tutto è mescolato. Tuttavia le immagini, eleganti e cupe al tempo stesso, ci fanno quasi percepire l’odore acre di sterco, sudore e sangue che avvolge le vite dei protagonisti. Passione, violenza, legami malvagiamente indissolubili e forti, investono i personaggi, interpretati magistralmente da un gruppo di attori di tutto rispetto: da Tommaso Ragno a Michele Placido, da Lidia Vitale a Francesco Di Leva, dal quasi esordiente Francesco Patanè, alla sua seconda interpretazione sul grande schermo, sino alla sorprendente Elodie Di Patrizi, protagonista assoluta della storia, che incarna una donna piena di sfaccettature, la quale scatenerà un eccidio da cui nessuno si salverà, seminando morte tra gli uomini e lasciando donne vestite a lutto per il resto della loro vita.

Presentato quest’anno al Festival del cinema di Venezia nella Sezione Orizzonti, Ti mangio il cuore è una storia d’amore e sangue, un film a tinte forti che appassiona e colpisce, soprattutto quando sul finale scopriamo che si tratta di fatti realmente accaduti, narrati nell’omonimo romanzo-inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini sulla mafia foggiana. Se ne consiglia la visione.

data di pubblicazione:02/10/2022


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DANTE di Pupi Avati, 2022

DANTE di Pupi Avati, 2022

Dante Alighieri, esiliato e umiliato dalla sua Firenze, muore a Ravenna nel 1321. Trent’anni dopo Giovanni Boccaccio, studioso dell’opera dantesca, riceve, per conto e per ordine della Compagnia di Orsanmichele, un incarico singolare: andare nel convento dove risiede la figlia del Sommo Poeta, divenuta monaca con il nome di suor Beatrice, e consegnarle un risarcimento in denaro per l’esilio ingiustamente subito da suo padre. Per Boccaccio sarà un viaggio faticoso, ma che gli consentirà di ricostruire i momenti più importanti della vita dell’Alighieri.

 

 

Dopo che è passato pressoché in sordina l’anniversario per i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta, Pupi Avati sente quasi il dovere morale di avverare un sogno ambizioso che teneva nel cassetto da diversi anni. Prima di lui nessun cineasta aveva osato rappresentare Dante né tantomeno la Divina Commedia, universalmente riconosciuta come la massima opera della letteratura mondiale, ma il regista bolognese ci riesce e realizza un piccolo capolavoro, dando prova di grande maestria e di estrema sensibilità artistica. Raccontare della vita di Dante, del suo impegno politico a fianco dei guelfi bianchi e del suo sconfinato amore verso Beatrice non era impresa facile, si rischiava infatti di realizzare qualcosa di estremamente melenso o eccessivamente didascalico e verboso. Avati sceglie il giusto equilibrio con l’inserimento, al momento giusto della narrazione, di citazioni poetiche, ma anche il silenzio fa la sua parte. Dante e Beatrice non si parlano mai e i loro rari incontri sono fatti di sguardi, le parole qui sembrano eccessive, quasi elemento ingombrante che possa persino disturbare l’amore tra i due giovani. Il soggetto narrante è affidato alla figura di Boccaccio (Sergio Castellitto) egregiamente inserito in quel momento proprio del Medioevo volto all’apertura verso nuove conoscenze ma anche considerato come periodo bellicoso e buio. Il regista ci porta in un mondo fatto di arte e di religiosità e sembra soffermarsi sugli affreschi delle chiese di quel tempo dove erano le stesse immagini che parlano una lingua diversa, a volte aristocratica a volte sostanzialmente povera. Un universo sporco e maleodorante ma dove si ha conferma, proprio nella figura di Dante, come il tormento e il dolore possano elevare l’essere umano ad un livello superiore, quasi divino. Alessandro Sperduti e Carlotta Gamba, rispettivamente nel ruolo di Dante giovane e di Beatrice, recitano in maniera convincente e ci inducono a riconsiderare il pessimo approccio che ognuno di noi aveva avuto a scuola in quanto costretti ad imparare a memoria quelle terzine di endecasillabi, tanto odiose quanto incomprensibili in quella lingua volgare fiorentina. Grazie a questo film possiamo riscoprire l’umanità di un genio assoluto, con la fragilità di un giovane che rimane tale per sempre anche se possiamo immaginarlo “nel mezzo del cammin di nostra vita”. Ottima la fotografia firmata Cesare Bastelli e i costumi curati da Andrea Sorrentino che hanno contribuito alla realizzazione di un film compiuto, che si lascia seguire bene e che probabilmente ci farà dimenticare quel Dante scolastico, di cui tutti noi abbiamo triste ricordo.

data di pubblicazione:28/09/2022


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I FIGLI DEGLI ALTRI di Rebeca Zlotowski, 2022

I FIGLI DEGLI ALTRI di Rebeca Zlotowski, 2022

Presentato nell’ultima edizione del Festival di Venezia appena conclusasi, Les enfants des autres di Rebeca Zlotowski, arrivato da qualche giorno nelle nostre sale fortunatamente con lo stesso titolo ma non valorizzato dal doppiaggio, è un film sicuramente originale per contenuti, ben diretto, con interpreti misurati nei loro ruoli, uno di quei piccoli film francesi di cui non se ne può fare a meno.

 

La quarantenne insegnante di liceo Rachel (Virginie Efira), separata senza figli, segue con molto interesse i propri allievi studiandone attentamente le attitudini, al fine di indirizzarli correttamente nell’iniziale inserimento nel mondo del lavoro. Come svago serale Rachel prende saltuariamente lezioni di chitarra dove, a volte, viene accompagnata dal suo ex compagno con il quale ha mantenuto un cordiale rapporto di amicizia. Durante una di queste lezioni conosce Alì e se ne innamora. L’uomo è separato ed ha una figlia, Leila, di 4 anni con la quale Rachel, seppur senza difficoltà, riesce a stringere un legame molto intenso, fatto anche di quelle cure che una madre mette in atto con un figlio proprio.

Rebeca Zlotowski, quarantaduenne regista e sceneggiatrice francese, dichiara di aver girato il film che lei stessa avrebbe voluto vedere al cinema su una quarantenne senza figli che si innamora di un padre single. Mentre cerca i trovare spazio nella famiglia dell’uomo, la donna incomincia a sentire il desiderio di avere una famiglia sua. Ma da personaggio tradizionalmente in secondo piano… è costretta a scomparire con la fine della storia d’amore.

Di fronte a tante pellicole che “urlano” urgenze, questo film sussurra con un linguaggio semplice ed essenziale un tema niente affatto marginale, su quanto senso materno ci sia in alcune “madri secondarie” a cui la vita non ha concesso di essere genitrici. Tra i tanti modi di esplorare le cure legate alla maternità, o al desiderio di essa, il film dimostra che queste non sono di appannaggio esclusivo delle sole madri biologiche, ma quasi un’essenza dell’essere donna: esplorando il tema della cura di quei figli che, come dice la protagonista, fanno penare i veri genitori per compensare la gioia di averli avuti, la regista pone l’accento su un tema piccolissimo, ma importante al tempo stesso, su come certi atteggiamenti materni possano sgorgare spontanei e profondi anche da chi madre non lo è, o per natura o per scelta, seppur di fronte ad una temporalità breve che non gioca a favore.

E senza voler svelare altro della storia, lo spirito lieve ma intenso che si coglie nel visionare questo film è ulteriormente esplicitato sul finale dalla scelta, decisamente vincente, della versione di Les eaux de Mars cantata da George Moustaky.

data di pubblicazione:26/09/2022


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NIDO DI VIPERE di Kim Yong-Hoon, 2022

NIDO DI VIPERE di Kim Yong-Hoon, 2022

Joong-Man proprietario con la vecchia madre di un negozio oramai sull’orlo del fallimento, lavora come dipendente part-time in una sauna. Un giorno, nel ripulire gli armadietti destinati alla clientela, trova una borsa apparentemente abbandonata che contiene un patrimonio in contanti. Da quel momento diversi personaggi senza scrupoli si fronteggeranno per entrare in possesso di quell’ingente somma di denaro.

 

Sulla scia del successo planetario ottenuto da Parasite di Bong Joon-ho (Palma d’oro alla 72° edizione del Festival di Cannes e a seguire quattro Premi Oscar, di cui uno per il miglior film) il sudcoreano Kim Yong-Hoon presenta il suo film di esordio Nido di Vipere. La sceneggiatura, curata dallo stesso regista, è congegnata come un meccanismo di precisione: i vari personaggi ruotano attorno ad un unico obiettivo che è quello di impossessarsi di una borsa (di Louis Vuitton sic!) ricolma di denaro. Sicuramente, nel corso della narrazione, lo spettatore riconosce un tratto “tarantiniano” che caratterizza l’intera storia con un mix di thriller-noir-splatter drammatico, con scene sanguinolente di cui si tralasciano i particolari per non impressionare più del dovuto. Ciascuno, per motivi diversi, si sente legittimato ad entrare in possesso della borsa che, come spesso accade nelle favole a lieto fine, finirà nella mani di chi non c’entra proprio niente in tutta questa pasticciata faccenda. Il film è suddiviso in vari capitoli i cui titoli servono per focalizzare l’attenzione dello spettatore sul tema principale al fine di assecondare la cosiddetta quadratura del cerchio poiché la storia si conclude nel punto in cui era iniziata. Decisamente convincente la recitazione dei vari attori anche se è opportuno riconoscere che la tendenza leggermente sopra le righe delle situazioni è dovuta essenzialmente al tipo di atteggiamento interpretativo orientale che si discosta molto da quello occidentale. Tra le interpreti femminili riconosciamo Youn Yuh-jung, già Premio Oscar nel 2021 come miglior attrice non protagonista nel film Minari di Lee Isaac Chung. Con Nido di Vipere abbiamo certamente ulteriore conferma che il cinema sudcoreano stia attirando molta attenzione nel panorama cinematografico mondiale, specializzandosi in un genere dove la famiglia e l’individuo stanno al centro delle storie anche se poi ci sono interferenze cruente e spietate che sembrano rimandare inevitabilmente alla prima filmografia dei fratelli Coen. Il film è accattivante, i personaggi sono ben assortiti e le situazioni ben concatenate dove nulla è lasciato al caso. Il regista, che con questa sua prima opera ha già vinto diversi premi, dimostra di saper cogliere gli aspetti essenziali dei fatti senza indugiare nelle situazioni e senza prolungare i tempi oltre il dovuto. Esperimento interessante in una pellicola di cui si consiglia la visione.

data di pubblicazione:25/09/2022


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