IL SOCCOMBENTE da Thomas Bernhard, riduzione di Ruggero Cappuccio, regia di Federico Tiezzi, con Sandro Lombardi

IL SOCCOMBENTE da Thomas Bernhard, riduzione di Ruggero Cappuccio, regia di Federico Tiezzi, con Sandro Lombardi

(Teatro Vascello – Roma, 21/26 marzo 2023)

Continua l’indagine della Compagnia Lombardi-Tiezzi sulle arti tratta dalla trilogia di romanzi dello scrittore e drammaturgo austriaco Thomas Bernhard. Questo secondo capitolo dedicato alla musica segue Antichi maestri, che rifletteva invece sulla funzione dell’arte pittorica. In scena al teatro Vascello Il soccombente nella riduzione teatrale di Ruggero Cappuccio dalla traduzione di Renata Colorni. (foto di Giusva Cennamo)

 

 

 

Al centro della scena, alta e imponente, si staglia una cornice di luce a forma triangolare. La rigida geometria di questa immagine colpisce per eleganza e simmetria. L’occhio si abitua fin da subito a un’idea di perfezione. Non ci sono dubbi che si tratti della raffigurazione simbolica della relazione che lega i tre personaggi di cui narra la vicenda. Una relazione prima di tutto professionale nata anni prima al Mozarteum, prestigioso conservatorio musicale di Salisburgo, dove i tre avrebbero dovuto perfezionare la loro tecnica pianistica a lezione da Vladimir Horowitz. In realtà solo uno di loro riuscirà per tenacia, genialità e dote naturale ad arrivare alle vette della perfezione musicale e del virtuosismo artistico. È Glenn Gould, famoso per aver lasciato una delle più stupende esecuzioni delle Variazioni Goldberg di J. S. Bach. Nella struttura triangolare non può che occupare il vertice in alto, mentre gli altri due, Wertheimer e l’amico narratore della storia, sono destinati a rimanere schiacciati in basso e a soccombere. Al centro della scena un pianoforte Steinway che rimane però muto oggetto, più simile a un catafalco che a uno strumento di espressione artistica, simbolo di un potere distruttivo che può avere l’arte se presa come sfida e sconfitta anziché come esempio.

Fu proprio durante il primo ascolto delle Variazioni suonate da Gould che i due amici decisero di abbandonare lo studio del pianoforte, rinunciando per sempre alla carriera di concertisti. Fu quello il momento che decretò il loro fallimento, la loro frustrazione. Wertheimer infatti si sarebbe suicidato anni dopo, impiccandosi a pochi passi dalla casa della sorella che, stanca di essergli a servizio, lo aveva abbandonato al suo destino; mentre l’altro sarebbe rimasto a vagare per l’Europa torturato dai ricordi con il solo scopo di scriverne un libro.

La storia prende forma proprio da ciò che vive nella memoria del personaggio narratore impersonato da Sandro Lombardi. Un uomo ormai anziano ossessionato dal ricordo di Glenn Gould, il quale non compare però in scena se non rievocato in immagini di repertorio proiettate da uno schermo. Con lui sul palco appaiono due figure evanescenti, i fantasmi di Wertheimer e della sorella di questo, a cui danno corpo Martino D’Amico e Francesca Gabucci. Sono gli interlocutori di un dialogo interiore, che rimangono incastrati in una luce secondaria, irreale, mai diretta e naturale come quella che illumina il personaggio narrante. Sono il giusto contrappunto che nella partitura registica di Federico Tiezzi si accompagna alle inconfondibili sonorità della voce di Sandro Lombardi, nonostante il testo drammaturgico non sembri andare oltre o stravolgere la struttura linguistica e narrativa del romanzo. La melodia si arresta definitivamente sul finale, quando senza riuscirci il narratore si siede sullo Steinway per un ultimo inutile tentativo di farlo suonare. La verità è che l’uomo è infelice nella sua essenza, impossibilitato a raggiungere la perfezione. Non gli resta che aspettare muto la morte che venga a liberarlo.

data di pubblicazione:25/03/2023


Il nostro voto:

FUCKED di Penny Skinner, regia di Martina Glenda, con Chirastella Sorrentino

FUCKED di Penny Skinner, regia di Martina Glenda, con Chirastella Sorrentino

Fucked ovvero il teorema della relazione impossibile. Incastrata nella cornice di una favola, una donna si guarda allo specchio e ripensa a tutte le relazioni di amore finite male, a quante volte la vita l’ha fottuta.

 

Capita nella vita che per poter prendere una decisione, o solo per tirare avanti, bisogna fermarsi e guardare indietro. A volte succede anche di chiedersi da dove si è partiti per arrivare a vivere una condizione che non ci piace. Partendo da un oggi che nella pièce Fucked di Penny Skinner è il 2008, la protagonista di questo racconto ripercorre a ritroso le tappe che hanno segnato il fallimento che grava sul suo presente. Si chiama semplicemente F il personaggio del divertente monologo con il quale l’autrice si è fatta conoscere a un pubblico più ampio. Cerca di guadagnarsi da vivere ballando in un locale frequentato da soli uomini. Ma l’approccio con l’altro sesso si rivela sempre un fallimento sotto un duplice aspetto. Dal punto di vista economico, perché ha la sfortuna di avvicinare solo clienti squattrinati che si riempiono la bocca di storie false sulla loro posizione lavorativa. Ma anche e soprattutto per l’illusione che le danno di essere quel principe azzurro che sognava di incontrare da ragazzina. Le delusioni si ripresentano di regola ogni anno sempre la notte di capodanno. Gli uomini che incontra sono una fregatura costante. Le lasciano addosso sempre quel senso di colpa che si prova dopo una notte di sbronza che lei descrive come l’angoscia degli scemi, usando una parola in norvegese.

“È tutta colpa di Briget Jones …” e delle favole che ti raccontano da bambina, quando immagini che prima o poi verrà un principe azzurro a salvarti. Una favola simile la inventò anche lei quando era piccola e ora se la ritrova tra le mani scritta in un quaderno che sfoglia nella solitudine della sua stanza. Un principe, il più valoroso e forte di tutto il reame, si innamora di una seducente contadina. La passione tra i due amanti si infuoca, ma lui deve partire per terre lontane. La povera contadina non ha altra scelta che aspettare il suo ritorno. È la legge che governa queste storie. Ma nella vita reale il principe non torna e bisogna trovare un modo per andare avanti, o almeno per sopravvivere. L’anestetico F lo trova nell’alcol e nella droga. Non diventa tossicodipendente per disperazione o per trovare una soluzione semplice ai problemi della vita; semmai cade per ingenuità nelle trappole di un mondo sempre pronto a fottere chi è più debole.

F, in fondo, è un personaggio che ispira tenerezza e l’interpretazione di Chiarastella Sorrentino, un’attrice di simpatica e travolgente energia, ce lo fa amare. Racconta questa storia come se fosse realmente sua, sincera quando fa dell’autoironia, arrivando a far capire a chi la segue tutto lo sforzo che mette F per far fronte a ciò che per destino ineluttabile è più grande e difficile per una come lei. Non perde mai il contatto e la complicità con il pubblico, che per simpatia andrà sempre dalla sua parte. Nessuno verrà a salvarla e forse è meglio così. La contadina si stanca di aspettare l’amato e capisce che la realizzazione personale arriva da quello che lei può fare per sé stessa e non da quello che è in potere ad altri di fare. Dopotutto la vera fregatura sta nell’assunto … e vissero felici e contenti, che non si verifica mai.

Lo spettacolo, inserito nella programmazione della scorsa edizione di Trend al teatro Belli di Trastevere, è stato diretto da Martina Glenda e prodotto da Khora Teatro. La traduzione è di Francesca Romana degl’Innocenti e Marco Casazza. Chiarastella Sorrentino sarà impegnata nei prossimi giorni ne La madre di Florina Zeller con Lunetta Savino, in scena al teatro Quirino per la regia di Marcello Cotugno.

data di pubblicazione:18/03/2023


Il nostro voto:

UNO SGUARDO DAL PONTE di Arthur Miller, con Massimo Popolizio, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Mavaracchio, Gabrielle Brunelli

UNO SGUARDO DAL PONTE di Arthur Miller, con Massimo Popolizio, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Mavaracchio, Gabrielle Brunelli

(Teatro Argentina – Roma, 14 marzo/2 aprile 2023)

74 anni dopo la prima stesura di Arthur Miller (poi riveduta e corretta) un classico molto rinfrescato (troppo?). Popolizio artefice e insieme vittima del rango di mattatore, di riconosciuto n. 1 del teatro italiano. Ma il regista invade l’attore in uno spettacolo che dal dramma ha cadute quasi da music hall

Giochino impossibile ma Arthur Miller si sarebbe riconosciuto in questa versione che ha la volontà di riassumere tutto quello che è passato nella storia del teatro e nel cinema per le innumerevoli repliche del testo? Progetto ambizioso nella metabolizzazione che porta a risultati un po’ sconnessi. Popolizio è interprete potente che oggi nel mainstream non pretende di essere guidato se non da se stesso. Ovviamente il pubblico si riconosce nel suo estro che ammacca un po’ il fil rouge del dramma che da par suo è potente ma viene percepito come vintage e dunque ampiamente rimaneggiato. Alcuni ritrovati di scena sembrano pleonastici. Perché a esempio un telefono deve grossolanamente cadere dall’alto per riprodurre una voce con la sua artificialità? Non abbiamo l’età per testimoniare ma siamo sicuri che i vari interpreti tra palcoscenico e set come Van Heflin, Raf Vallone e Paolo Stoppa, abbiamo fatto ricorsi a toni così gridati e stentorei? In realtà un dramma teatrale ha bisogno di pause, sfumature, attimi trattenuti di attesa. E qui invece il ritmo è da puntillismo consumista. Piace al pubblico la gente che piace. E non c’è dubbio che Popolizio strapiaccia secondo un gusto di magnificazione attoriale che poggia solide basi del divismo e sul suo ruolo di n. 1 della scena. Ma se lui è gigante non per forza gli altri devono essere nani. Spicca nel cast la maestria del narratore, l’avvocato che raccorda i fili della tragedia e che si è rivelato impotente nel domare gli eventi luttuosi del plot.

data di pubblicazione:16/03/2023


Il nostro voto:

EMPIRE OF LIGHT di Sam Mendes, 2023

EMPIRE OF LIGHT di Sam Mendes, 2023

Un film sul disagio ma anche un film sul mito del cinema. Con la data ferma al 1980-1981. La protagonista sembra uscire dalla propria bipolarità quando lavorando nella sala per la prima volta riesce ad affacciarsi all’interno, ad ammirare una pellicola. Che nel caso specifico è Oltre il giardino con un meraviglioso Peter Sellers…

 

I criteri di assegnazione degli Oscar, si sa, sono arbitrari e molto americani. Ma per quanto c’è di ammirevole in questa proposta, ambientata nel Kent inglese, non avremo trascurato come attrice protagonista Olivia Colman sulle cui spalle si regge tutta la responsabilità del film drammatico che miscela troppi temi perché lo spettatore possa decantarli in due ore di visione. Cinema nel cinema o meglio cinema nella meccanica e nelle gerarchie di gestione di una sala dove il padre padrone (Colin Firth) approfitta ampiamente della propria posizione per sottomettere al ruolo di schiava sessuale l’instabile impiegata. Che però si ribella e mostra il lato peggiore in un impeto di ribellione che la conduce al ricovero psichiatrico. Di mezzo a sconvolgerla c’è anche la difficile relazione con un suo collega di colore attraverso cui scopre il profondo razzismo della società in cui vive. Dunque tanta carne al fuoco per un film che avrebbe avuto miglior fortuna circoscrivendo gli obiettivi. Però di bello e buono c’è tanto. Dalla splendida fotografia vintage a una colonna sonora abile nel restituire il clima di quaranta anni fa. Una sorta di Nuovo Cinema Paradiso. E la conclusione non è da happy end ma neanche troppo amara. La coppia problematica si separa ma la serenità della donna benedice il viatico del giovane che inaugura il nuovo corso riuscendo ad iscriversi alla facoltà di architettura per spiccare il volo nella vita dopo tanta infelicità. La Colman, anche nei contro piani, vale da sola e ampiamente il prezzo del biglietto.

data di pubblicazione:15/03/2023


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OSCAR 2023

OSCAR 2023

Everything Everywhere All at Once, secondo molti pronostici, ma anche con qualche scetticismo, è l’autentico trionfatore della notte degli Oscar 2023. Il film di Daniel Kwan e Daniel Scheinert si aggiudica sette delle statuette più prestigiose: miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista (Michelle Yeoh), migliore attrice non protagonista (Jamie Lee Curtis), miglior attore non protagonista (Ke Huy Quan), miglior sceneggiatura non originale e miglior montaggio.

Nell’Olimpo dei premi più ambiti si ritaglia il suo posto Brendan Frase, per la sua commovente interpretazione in The Whale di Darren Aronofsky

La migliore sceneggiatura non originale è quella di Sarah Polley per Women Talking – Il diritto di scegliere.

Avatar – La via dell’acqua porta a casa i migliori effetti visivi.

Il miglior film d’animazione, invece, è Pinocchio di Guillermo del Toro.

Nessun risultato positivo per gli italiani in gara: Alice Rohrwacher, candidata con il cortometraggio Le pupille, e Aldo Signoretti, nella categoria del miglior trucco.

Qui di seguito la lista completa delle canditature e dei premi!

 

Miglior film

Everything Everywhere All at Once, regia di Daniel Kwan e Daniel Scheinert

Avatar – La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water), regia di James Cameron

Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin), regia di Martin McDonagh

Elvis, regia di Baz Luhrmann

Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues), regia di Edward Berger

The Fabelmans, regia di Steven Spielberg

Tár, regia di Todd Field

Top Gun: Maverick, regia di Joseph Kosinski

Triangle of Sadness, regia di Ruben Östlund

Women Talking – Il diritto di scegliere (Women Talking), regia di Sarah Polley

 

Miglior regista

Daniel Kwan e Daniel Scheinert – Everything Everywhere All at Once

Martin McDonagh – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)

Steven Spielberg – The Fabelmans

Todd Field – Tár

Ruben Östlund – Triangle of Sadness

 

Miglior attore protagonista

Brendan Fraser – The Whale

Austin Butler – Elvis

Colin Farrell – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)

Paul Mescal – Aftersun

Bill Nighy – Living

 

Miglior attrice protagonista

Michelle Yeoh – Everything Everywhere All at Once

Cate Blanchett – Tár

Ana de Armas – Blonde

Andrea Riseborough – To Leslie

Michelle Williams – The Fabelmans

 

Miglior attore non protagonista[modifica | modifica wikitesto]

Ke Huy Quan – Everything Everywhere All at Once

Brendan Gleeson – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)

Brian Tyree Henry – Causeway

Judd Hirsch – The Fabelmans

Barry Keoghan – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)

 

Miglior attrice non protagonista

Jamie Lee Curtis – Everything Everywhere All at Once

Angela Bassett – Black Panther: Wakanda Forever

Hong Chau –  The Whale

Kerry Condon – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)

Stephanie Hsu – Everything Everywhere All at Once

 

Migliore sceneggiatura originale

Daniel Kwan e Daniel Scheinert – Everything Everywhere All at Once

Martin McDonagh – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)

Steven Spielberg e Tony Kushner – The Fabelmans

Todd Field – Tár

Ruben Östlund – Triangle of Sadness

 

Migliore sceneggiatura non originale

Sarah Polley – Women Talking – Il diritto di scegliere (Women Talking)

Edward Berger, Lesley Paterson e Ian Stokell – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)

Rian Johnson – Glass Onion – Knives Out (Glass Onion: A Knives Out Mystery)

Kazuo Ishiguro – Living

Ehren Kruger, Eric Warren Singer e Christopher McQuarrie – Top Gun: Maverick

 

Miglior film internazionale

Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues), regia di Edward Berger (Germania)

Argentina, 1985, regia di Santiago Mitre (Argentina)

Close, regia di Lukas Dhont (Belgio)

EO, regia di Jerzy Skolimowski (Polonia)

The Quiet Girl, regia di Colm Bairéad (Irlanda)

 

Miglior film d’animazione

Pinocchio di Guillermo del Toro (Guillermo del Toro’s Pinocchio), regia di Guillermo del Toro e Mark Gustafson

Marcel the Shell (Marcel the Shell with Shoes On), regia di Dean Fleischer-Camp

Il gatto con gli stivali 2 – L’ultimo desiderio (Puss in Boots: The Last Wish), regia di Joel Crawford

Il mostro dei mari (The Sea Beast), regia di Chris Williams

Red (Turning Red), regia di Domee Shi

 

Miglior montaggio

Paul Rogers – Everything Everywhere All at Once

Mikkel E. G. Nielsen – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)

Matt Villa e Jonathan Redmond – Elvis

Monika Willi – Tár

Eddie Hamilton – Top Gun: Maverick

Miglior scenografia

Christian M. Goldbeck ed Ernestine Hipper – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)

Dylan Cole, Ben Procter e Vanessa Cole – Avatar – La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water)

Florencia Martin e Anthony Carlino – Babylon

Catherine Martin, Karen Murphy e Bev Dunn – Elvis

Rick Carter e Karen O’Hara – The Fabelmans

Miglior fotografia

James Friend – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)

Darius Khondji – Bardo, la cronaca falsa di alcune verità (Bardo, False Chronicle of a Handful of Truths)

Mandy Walker – Elvis

Roger Deakins – Empire of Light

Florian Hoffmeister – Tár

Migliori costumi

Ruth E. Carter – Black Panther: Wakanda Forever

Mary Zophres – Babylon

Catherine Martin – Elvis

Shirley Kurata – Everything Everywhere All at Once

Jenny Beavan – La signora Harris va a Parigi (Mrs. Harris Goes to Paris)

Miglior trucco e acconciatura

Adrien MorotJudy Chin e Anne Marie Bradley – The Whale

Heike Merker e Linda Eisenhamerová – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)

Naomi Donne, Mike Marino e Mike Fontaine – The Batman

Camille Friend e Joel Harlow – Black Panther: Wakanda Forever

Mark Coulier, Jason Baird e Aldo Signoretti – Elvis

 

Migliori effetti visivi

Joe LetteriRichard BanehamEric Saindon e Daniel Barret – Avatar – La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water)

Frank Petzold, Viktor Müller, Markus Frank e Kamil Jafar – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)

Dan Lemmon, Russell Earl, Anders Langlands e Dominic Tuohy – The Batman

Geoffrey Baumann, Craig Hammack, R. Christopher White e Dan Sudick – Black Panther: Wakanda Forever

Ryan Tudhope, Seth Hill, Bryan Litson e Scott R. Fisher – Top Gun: Maverick

 

Miglior sonoro

Mark WeingartenJames H. MatherAl NelsonChris Burdon e Mark Taylor – Top Gun: Maverick

Victor Prasil, Frank Kruse, Markus Stemler, Lars Ginzel e Stefan Korte – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)

Julian Howarth, Gwendolin Yates Whittle, Dick Bernstein, Christopher Boyes, Gary Summers e Michael Hedges – Avatar – La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water)

Stuart Wilson, William Files, Douglas Murray e Andy Nelson – The Batman

David Lee, Wayne Pashley, Andy Nelson e Michael Keller – Elvis

 

Migliore colonna sonora originale

Volker Bertelmann – Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues)

Justin Hurwitz – Babylon

Carter Burwell – Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin)

Son Lux – Everything Everywhere All at Once

John Williams – The Fabelmans

Migliore canzone originale

Naatu Naatu (musiche di M. M. Keeravani; testo di Chandrabose) – RRR

Applause (musiche e testo di Diane Warren) – Tell It Like a Woman

Hold My Hand (musiche e testo di Lady Gaga e BloodPop) – Top Gun: Maverick

Lift Me Up (musiche di Tems, Rihanna, Ryan Coogler e Ludwig Göransson; testo di Tems e Ryan Coogler) – Black Panther: Wakanda Forever

This Is a Life (musiche di Ryan Lott, David Byrne e Mitski; testo di Ryan Lott e David Byrne) – Everything Everywhere All at Once

 

Miglior documentario

Navalny, regia di Daniel Roher

All That Breathes, regia di Shaunak Sen, Aman Mann e Teddy Leifer

Tutta la bellezza e il dolore – All the Beauty and the Bloodshed (All the Beauty and the Bloodshed), regia di Laura Poitras, Howard Gertler, John Lyons, Nan Goldin e Yoni Golijov

Fire of Love, regia di Sara Dosa, Shane Boris e Ina Fichman

A House Made of Splinters, regia di Simon Lereng Wilmont e Monica Hellstrom

 

Miglior cortometraggio documentario

Raghu, il piccolo elefante (The Elephant Whisperers), regia di Kartiki Gonsalves e Guneet Monga

Haulout, regia di Evgenia Arbugaeva e Maxim Arbugaev

How Do You Measure a Year?, regia di Jay Rosenblatt

L’effetto Martha Mitchell (The Martha Mitchell Effect), regia di Anne Alvergue e Beth Levison

Stranger at the Gate, regia di Joshua Seftel e Conall Jones

 

Miglior cortometraggio

An Irish Goodbye, regia di Tom Berkely e Ross White

Ivalu, regia di Anders Walter e Rebecca Pruzan

Le pupille, regia di Alice Rohrwacher

Nattriken, regia di Eirik Tveiten e Gaute Lid Larssen

The Red Suitcase, regia di Cyrus Neshvad

 

Miglior cortometraggio d’animazione

Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo (The Boy, the Mole, the Fox and the Horse), regia di Charlie Mackesy e Matthew Freud

The Flying Sailor, regia di Amanda Forbis e Wendy Tilby

Ice Merchants, regia di João Gonzalez e Bruno Caetano

My Year of Dicks, regia di Sara Gunnarsdottir e Pamela Ribbon

An Ostrich Told Me the World Is Fake and I Think I Believe It, regia di Lachlan Pendragon

THE WHALE di Darren Aronofsky, 2023

THE WHALE di Darren Aronofsky, 2023

Charlie (Brendan Fraser) è un professore universitario di letteratura che svolge le sue lezioni a distanza, utilizzando il proprio computer. L’uomo ha dei problemi di peso assai gravi, che lo portano a vivere una vita molto solitaria, fatta eccezione per Liz (Hong Chau), amica e infermiera che si prende cura di lui. Dopo un gravissimo malore, che ne peggiora le condizioni di salute, Charlie decide di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente Ellie (Sadie Sink), interrottisi diversi anni prima. Questo incontro è visto da Charlie come l’ultima possibilità di riscatto.

 

 

Protagonista assoluto è l’attore Brendan Fraser, un interprete la cui carriera è però sempre stata molto altalenante, come lui stesso ha dichiarato poche ore fa ricevendo l’Oscar come miglior attore protagonista grazie a questa sua incredibile performance e a quelle movenze alle quali si riesce con difficoltà a restare impassibili. Le ferite che bruciano il suo personaggio non sono solo quelle date da una situazione di salute precaria e terminale, ma soprattutto quelle figlie di un amore perso o di un rapporto interrotto.

Il trucco messo in atto per trasformare il corpo dell’attore è visivamente invadente (anche questo premiato con un Oscar), ma ciò non toglie nulla alla qualità della performance che ci regala l’attore di Indianapolis e all’efficacia dello script, tratto da una pièce teatrale che lo stesso regista, Darren Aronofsky, ha visto personalmente e che ha ispirato la sua opera, parzialmente autobiografica.

Il titolo fa riferimento al capolavoro della letteratura americana Moby Dick, scritto da Herman Melville nel 1851, con cui sono molte le analogie, prima fra tutte la balena bianca che rappresentava non solo l’imprevedibilità e supremazia della natura sull’uomo, ma era anche mezzo di un messaggio volto a sensibilizzare i lettori su tematiche come l’emarginazione e la solitudine. Ci sono poi degli aspetti teologici e religiosi comuni alle due opere, come l’onnipotenza di Dio, la rassegnazione e la morte, elementi che ritornano anche in The Whale, che inizia con la lettura di un tema che ha come oggetto proprio Moby Dick, quasi a rivelare con fierezza allo spettatore le origini nascoste del film che si andrà a vedere.

Aronofsky ha sempre avuto un intuito particolare per gli attori, riuscendo a immaginarli in ruoli diversissimi da quelli cui ci avevano abituati in carriera, come successo anche con Mickey Rourke in The Wrestler, con cui ci sono evidenti assonanze. Tra l’altro, il regista – ancor più che in The Wrestler – sfrutta la natura teatrale ambientando l’intero film dentro il triste appartamento- prigione in cui si è rinchiuso Charlie, dove l’unico contatto con l’esterno è la finestrella nera con cui Charlie tiene le sue lezioni universitarie online a degli studenti. I capitoli del film sono quelli dei giorni della settimana, in cui Charlie affronterà tutte le sue colpe e i segreti del suo passato che ritorna nel presente.

L’opera, infine, sa far male, a tratti è estrema, sferra cazzotti nello stomaco, ma riesce a toccare l’anima e a creare qualcosa di magico, con un protagonista del quale faremo veramente fatica a dimenticarci.

data di pubblicazione:13/03/2023


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BROS di Romeo Castellucci

BROS di Romeo Castellucci

(Teatro Argentina – Roma, 9/12 marzo 2023)

Al Teatro Argentina l’opera di uno dei più autorevoli artisti del teatro contemporaneo, Romeo Castellucci che, con BROS, affronta il tema della responsabilità individuale e collettiva e del nostro rapporto con la legge. I protagonisti dello spettacolo sono un gruppo di uomini anonimi reclutati per andare in scena senza prima avere imparato la parte. Hanno sottoscritto un patto in cui si impegnano a seguire comandi, a compiere azioni senza capire, né prepararsi. Un impegno che devono essere in grado di condurre fino in fondo. In divisa da poliziotto, ricevono ordini tramite un auricolare ed eseguono azioni senza tempo per pensare, per prendere posizione, per formulare una scelta. (foto di Jean Michel Blasco).

 

Regista, creatore di scene, luci e costumi, Romeo Castellucci è conosciuto in tutto il mondo per aver dato vita a un teatro fondato sulla totalità delle arti e rivolto a una percezione integrale dell’opera. In BROS una strana ed invisibile dittatura governa lo spettacolo, impedendo il libero arbitrio. Gli attori selezionati infatti non hanno provato la parte, la improvvisano attraverso l’esecuzione di ordini impartiti.

In questa temporalità improvvisa, che conduce a un presente assoluto, la comicità dei loro gesti frenetici e impreparati si mescola alla violenza della loro esperienza in scena. Spettacolo tanto perturbante quanto geniale, ricco di tracce, immagini anche enigmatiche, tutto nella semioscurità, BROS non ha scrittura realistica, né una trama, ma vi si rispecchiano temi come la spersonalizzazione, l’obbedienza, la sottomissione alla legge, dove gli attori agiscono in scena su precisi ordini impartiti dal regista attraverso gli auricolari e non udibili dal pubblico, in divisa da poliziotto, ed esercitano una esplicita violenza, torturano e percuotono.

La parole scritte a caratteri cubitali sentenziano ordini ed emozioni con il ritmo ed il rigore che solo la lingua latina conosce; la partitura sonora di Scott Gibbons, fra crepitii, tuoni ed acuti, evita ogni accenno di musicalità.

Telecomandati, e travestiti come poliziotti dei film obbediscono senza sapere perché. Gesti liturgici ed interpretazioni soggettive che si trasformano in gag, in una strana atmosfera che oscilla tra comicità e terrore. “Non si tratta di una satira, né tantomeno di un’accusa alle forze dell’ordine, ma di un lavoro antropologico sul fenomeno dell’obbedienza. La polizia diventa una metafora per parlare di tutti noi”, spiega l’artista di fama mondiale, 62 anni, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia e Chevalier des Arts et des Lettres della Repubblica francese.

Un teatro dove non ci sono parole, ma immagini, suoni e atmosfere. Solo in apertura, c’è un prologo pronunciato da un vecchio signore che ha un aspetto di un profeta, in lingua straniera perché nessuno vuole ascoltare la verità.

Bros divulga una riflessione sul sottile spazio tra ordine e libero arbitrio, potere e obbedienza, e sul mistero della violenza. Superbo esteticamente, elegantissimo nei contrasti tra bianco e nero, tra vapore e acqua, in mezzo a fotogrammi, maschere e sangue.

data di pubblicazione:11/03/2023


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L’ULTIMA NOTTE DI AMORE di Andrea Di Stefano, 2023

L’ULTIMA NOTTE DI AMORE di Andrea Di Stefano, 2023

Franco Amore lavora in polizia da 35 anni e può affermare con orgoglio di aver fatto onestamente il suo dovere senza mai aver dovuto sparare a nessuno. Il giorno prima del suo pensionamento, la moglie Viviana organizza a casa una festa a sorpresa con parenti e amici. Una inaspettata telefonata da parte del suo capo lo richiama in servizio…

 

Andrea Di Stefano, che ha già alle spalle un’apprezzabile carriera sia come regista che come attore (in pellicole come Prima che sia notte, Cuore Sacro, In guerra per amore), ha presentato il suo film L’ultima notte di Amore nella Sezione Special Gala della Berlinale appena conclusasi, con Pierfrancesco Favino e Linda Caridi nel ruolo dei protagonisti.

Si tratta di un thriller made in Italy tutto girato a Milano e la prima scena, mentre scorrono i titoli di testa, presenta dall’alto la metropoli con le sue bellezze e con il suo skyline mozzafiato. Non è un caso che è stata scelta Milano per ambientare questa storia di criminalità e corruzione, quasi a indicare il lato oscuro di una città che si presenta al mondo come sinonimo di eleganza e di estrema efficienza. La vicenda narra di due poliziotti dalla carriera ineccepibile, amici e colleghi da vent’anni, che rimangono coinvolti in una operazione architettata dalla malavita cinese. Un film d’azione ben fatto e che riesce a coinvolgere ed entrate nel mood dei vari personaggi, senza sbavature o eccessi di stile. A parte Favino, risulta veramente sorprendente l’interpretazione di Linda Caridi, nella parte della moglie Viviana. Pur nella sua spietata efferatezza, il film comunque rivela il suo lato tenero che è messo in evidenza dalla rettitudine e dai sani principi del protagonista e soprattutto dal suo rapporto sincero di vero amore del protagonista nei confronti della moglie e della figlia. Il finale “aggiusta-tutto” risulta funzionale a dare una morale sana a tutto quell’intreccio di malaffare che è prerogativa della narrazione. Il film è appena uscito nelle sale distribuito da Vision Distribution.

data di pubblicazione:11/03/2023


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MIXED BY ERRY di Sydney Sibilia, 2023

MIXED BY ERRY di Sydney Sibilia, 2023

Tratto da un clamoroso fatto di cronaca che apre una luce sull’antropologia degli italiani. Su quelli che compravano nastrini musicali, messi in commercio da un trio di fratelli napoletani, borderline rispetto a una legge impreparata a bloccarli. La storia prende un po’ la mano al regista che, parlando di un fatto vero, lo mitizza, lo enfatizza spettacolarmente con qualche eccesso.

 

I fratelli Frattasio negli anni ’80 costruirono un vero impero musicale, più potente e diversivo rispetto alle major discografiche. Grazie a dieci studi di riproduzione invadevano l’Italia con i loro nastri pirata. Si calcola che vennero distribuiti 180 milioni di esemplari decretando la fortuna economica del trio che ha assaggiato il carcere e che ora si è ridimensionato vendendo scatole su dimensione più artigianale. Il plot è robusto ma il regista spreca qualche cartuccia. A che pro a esempio farci vedere la fine della storia sin dalle prime inquadrature con il mesto ingresso di Erry in carcere? La vicenda poteva essere trattata come un gustoso giallo ma così evapora in partenza la sua efficacia. C’è molto esagerato folclore nella discrezione di Napoli, dell’ambiente camorrista e nel poliziotto che persegue l’ipotesi di reato fino a incastrare definitivamente il trio. Le caratterizzazioni di Di Leva e di Gifuni certo sono più ficcanti della recitazione del trio dei protagonisti. Viene trasmessa l’immagine di una camorra molto di maniera. In realtà Erri (Enrico), l’inventore di una formula, voleva fare il disc jockey. Difatti in ambito processuale quando viene interrogato se dichiararsi colpevole o innocente sceglie inopinatamente la terza via: “disc jockey”, con lo sconcerto dei giudici. Un’ambizione frustrata che ha provocato una fortuna economica senza precedenti. Probabilmente indenne anche ai massicci sequestri di capitali operati dall’autorità pubblica. Il trio più che gestire una dimensione industriale si comportava in maniera naif e su questo il film è quanto mai esauriente e congruo.

data di pubblicazione:10/03/2023


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NON COSÌ VICINO di Marc Forster, 2023

NON COSÌ VICINO di Marc Forster, 2023

Nel cinema nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto si copia. Ecco perciò che il romanzo L’uomo che metteva in ordine il mondo, portato sul set in Svezia sotto il titolo di Mr Ove, otto anni dopo trasmuta in un film molto americano dove molto ci si dovrebbe commuovere e forse piangere. Tom Hanks è gigantesco in una parte tagliata con l’accetta e a sua completa misura.

Mr. Otto ricorda il Jack Nicholson inavvicinabile di altre pellicole (anche come età quasi ci siamo). Scorbutico fino al midollo quando lascia il lavoro, rifiutando i festeggiamenti dei colleghi, come principale occupazione ha quella di un giro di ronda nel suo circondario per cogliere in fallo le tante inadempienze dei vicini. Antipatico come non si può immaginare. Ma tutto cambia quando nella sua galassia compare una curiosa coppia di sopravvenuti vicini che hanno bisogno di tutto. Otto si lascia suggestionare e si presta persino a fare da baby sitter ai nuovi amici. Ma nel film succedono tante cose. A esempio ad intervalli regolari il personaggio principale tenta il suicidio. Ma una legge di Murphy al contrario sembra favorirlo. Dunque non morirà di impiccagione, né di gas, né di un colpo di fucile. Con un flash back un po’ lacrimevole poi il film spara le sue cartucce emotive. Otto è stato riformato al servizio militare perché ha il cuore troppo grosso e di quello morirà, un giorno o l’altro. E ha sposato l’amore di una vita che però per un terribile incidente sul bus, mentre visitavano le cascate del Niagara, perde mobilità e figlio oltre alla possibilità futura di ricreare. Otto vive per lei e quando ha sistemato i propri averi in destinazione dei nuovi amici è pronto per lasciare la terra non prima di aver ricomposto l’antica amicizia con un vicino di colore. Dunque siamo nel regno di un ritrovato buonismo dopo tanto esasperato cattivismo. Però il film discute i tempi fondamentali dell’amicizia, dell’amore e della morte e questo va a suo indiscutibile merito. Da notare che l’Otto giovane è interpretato dal figlio reale di Hanks, il giovane Truman, quanto mai somigliante al padre.

data di pubblicazione:07/03/2023


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