WAR- LA GUERRA DESIDERATA di Gianni Zanassi, 2022

WAR- LA GUERRA DESIDERATA di Gianni Zanassi, 2022

Tom (Edoardo Leo) laureato in lingue romanze, alleva vongole, deve avere il nulla osta della psicologa Lea (Miriam Leone) per riavere la patente … nel frattempo attorno a loro dilaga il Caos, sta per scoppiare la guerra con la Spagna e c’è di mezzo anche la Francia …

 

Che dire dei ben 130 minuti di questo coraggioso tentativo di fare un Action Movie all’Italiana visto in anteprima alla recente Festa del Cinema di Roma?    Essere indulgenti e girarci attorno?

Diciamolo subito, a noi il film non è piaciuto, e, pur riflettendoci oggi, continua a non piacere del tutto (e lo spiegheremo tecnicamente). Escludendo ovviamente le recensioni fatte per mera piaggeria o cortigianeria o quelle che senza esprimere alcun parere, hanno solo allungato il brodo infilandoci che il regista ha inteso rappresentare il caos della nostra Società, la guerra, le minacce che incombono, il crescente degrado di convivenza civile, il crollo dei valori, gli istinti peggiori che trovano spazio nei momenti bui, i frustrati e repressi che aspettano di rivalersi … anche la Critica più seria non è stata, a tutt’oggi, generalmente molto positiva o accondiscendente verso il film.

Ma che dire veramente del film? Come mi è stato fatto notare: “è sicuramente da apprezzare il tentativo di trovare originalità e brio ad una storia in controtendenza con le solite trame dei film italiani su famiglie e disagi vari”. Siamo d’accordo, e conveniamo anche che certamente il tocco di Zanassi si conferma singolare e meritevole di attenzione. Ma basta?… No! ed ecco i ma …

L’idea fantapolitica è certo originale, coraggiosa ed attraente e sembrava promettere molto bene, guardando poi anche il ricco e qualificato cast gli spunti e sviluppi potevano essere veramente tanti. Ma peccato! Veramente peccato! Un’opportunità non pienamente sfruttata con il giusto respiro. Purtroppo una volta partiti occorre poi riuscire a sapersi mantenere all’altezza delle tante e belle aspettative generate e delle ambizioni. Il film che ne è risultato è infatti un film molto discontinuo con alcuni sicuri pregi ma anche con vari difetti e diverse, troppe imperfezioni!

La sceneggiatura in particolar modo è molto carente: dopo la bella intuizione avuta non riesce infatti a dare all’evoluzione narrativa contenuti che abbiano logica, sostanza, spessore e che reggano alla distanza. Ne consegue che la narrazione filmica si spezzetta, quasi da subito, in un insieme di accenni, in tanti, troppi, temi e spunti messi non sempre a fuoco. Le scene così si accumulano senza essere completate e spesso sono inutili, superflue, disturbanti e poco legate con la stessa vicenda pur nei sui tanti piani di lettura, intenzionali o sottintesi che siano. Il film è troppo lungo! gira talora a vuoto e le troppe ripetizioni lo appesantiscono impedendogli di prendere il volo e trovare la sua vera connotazione. Anche i bei momenti di cinema, che pur ci sono, vengono così opacizzati.

Implausibili e poco definiti sono poi pure i caratteri dei personaggi, troppi infatti i personaggi che si accavallano, si rubano la scena fra di loro, appaiono e scompaiono senza essenzialità ai fini narrativi. Gli effetti di questa carenza di scrittura e di indirizzo ricadono così sugli attori chiamati ad impersonarli. Peccato per Edoardo Leo, per Miriam Leone, per Giuseppe Battiston che ha veramente un bel ruolo (uno dei migliori) e per Stefano Fresi che invece è sacrificato in un personaggio non sviluppato a dovere.

Sicuramente Zanassi ha una sua personalità e non è un autore banale, ma questa volta si è forse troppo innamorato della sua bella idea e ci si è perso dentro. Va seguito ulteriormente.

data di pubblicazione:09/11/2022


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POPS di Charlie Josephine, con Eleonora Barnazza e Massimo Di Michele, regia di Massimo Di Michele

POPS di Charlie Josephine, con Eleonora Barnazza e Massimo Di Michele, regia di Massimo Di Michele

(Teatro Belli – Roma, 4/6 novembre 2022)

Pops di Charlie Josephine, tradotto e adattato in italiano da Natalia di Giammarco e Enrico Luttmann, mostra il fallimento della relazione tra un padre e una figlia. La lotta per la sopravvivenza per due persone che non hanno più nulla dirsi.

  

Quando una figlia prova disgusto nel lavare i propri indumenti insieme a quelli del padre per paura di essere contaminata dalle particelle organiche rimaste attaccate ai vestiti di lui che arriva a farsela addosso per il troppo bere, significa che siamo davanti a una relazione che ha toccato decisamente il fondo. È questa l’immagine forte che rimane dopo aver visto Pops di Charlie Josephine in scena per la XXI edizione di Trend, diretta da Rodolfo di Giammarco. Se si volesse raccontare l’essenza del teatro britannico contemporaneo, non si potrebbe prescindere dal marcare il lato quasi nauseante di una drammaturgia che altera e sconvolge i sensi di chi è seduto a guardare.

In Pops la porta si apre su un appartamento spoglio dove un uomo solitario e alcolizzato che è anche un padre, guarda tutto il giorno programmi spazzatura alla tv. Quando non è la televisione a distrarlo dai pensieri, è la musica a tutto volume a contorcerlo in una danza sconnessa e irritante. Improvvisamente appare la figlia con una valigia in mano. Sembra impacciata e mortificata nel chiedere ospitalità al padre. La ragazza interpretata da Eleonora Barnazza è molto giovane, ma già porta sulle spalle un discreto bagaglio di fallimenti. Non riesce a trovare un lavoro e quindi non ha una casa dove abitare. La relazione tra i due è congelata in una condizione di incomunicabilità e rimprovero da entrambe le parti. Lei non sopporta che il padre abbia rinunciato a vivere la sua vita passando il suo tempo a bere davanti alla tv. Lui disapprova il fatto che la figlia non abbia un compagno e una vita realizzata. Lui non riesce a essere per lei un padre amorevole e ha contro una figlia disgustata dalla sua indolenza. Perfino il ricordo della data in cui la moglie di lui e madre di lei è andata via sono divergenti. E la presenza di un personaggio mediatore è proprio quello che manca a questa relazione. Ciò che rimane è una danza tra solisti, accompagnati da un complesso gioco di luci e suoni che ne intercettano gli umori. La regia e l’interpretazione di Massimo Di Michele si soffermano molto sul dato corporeo. Il padre è un uomo fisicamente preponderante, aggressivo e violento. Eleonora Barnazza mostra umiltà e una grande concentrazione nell’interpretazione di un personaggio fragile e insicuro. Provano a dialogare, sforzandosi di rientrare nel ruolo che la loro relazione padre/figlia impone, ma ogni tentativo di avvicinamento finisce inevitabilmente in un litigio. Nel disegno drammaturgico di Charlie Josephine la narrazione non concede riscatto, ma descrive l’immobilità di due personaggi destinati a mentire sulla realtà del loro completo fallimento.

data di pubblicazione:07/11/2022


Il nostro voto:

DI PIETRE E DI ROSE, uno spettacolo dedicato a Pier Paolo Pasolini, da un’idea di Luciana Lusso Roveto e Paola Maffioletti, creografia e regia di Paola Maffioletti

DI PIETRE E DI ROSE, uno spettacolo dedicato a Pier Paolo Pasolini, da un’idea di Luciana Lusso Roveto e Paola Maffioletti, creografia e regia di Paola Maffioletti

(Teatro di Villa Lazzaroni – Roma, 4/6 novembre 2022)

Un ennesimo intenso omaggio a Pasolini metabolizzato attraverso le tre icone femminili della sua vita, la madre Susanna, la cantora Laura Betti e la divina Callas.

Uno spettacolo coraggioso nel tentativo sincretico di unire il teatro danza alla parola. Diremo che in un confronto vince nettamente la prima espressione anche se la seconda conduce una sfida serrata con alcuni squarci lirici che sono parole (e sangue) del poeta o della sua affezionatissima genitrice. Le tre attrici si spremono senza risparmio davanti a un pubblico che sembra intuire l’arduo compito espressionista. Scenografia e abiti indicano un continuo mettere e levare. L’irrequietezza della Betti, la classicità della cantante conosciuta sul set di Medea e l’amore materno della madre sono tre immagini ben caratterizzate, unite da un difficile tentativo di dialogo. Evidentemente la narrazione è per bozzetti e non può addentrarsi in un linguaggio compiuto. Originale lo straniamento pasoliniano incarnato da una cantante ben mascherata i cui panni di genere in avvio non sono di facile interpretazione. Un teatro di immagine più che di parola, che suggestiona, a tratti strega. L’invasione degli spazi delle tre donne è la metafora dialettica del tentativo di riannodarsi a Pasolini. Un’utopia forse visto che il poeta aveva contemporaneamente vicinanza e distanza dal trittico. Lo spettacolo enuclea il femminile che era contenuto nello scrittore scomparso, ne denuncia la disperata vitalità. Un amore per la vita che alla fine è vizio, dannazione e che evoca la sua tragica fine. In fondo ostinatamente cercata. Uno spettacolo che è un tentativo originale e sofferto di produrre la consistenza della parola scritta attraverso il movimento, il conflitto e la diversità dei caratteri. All’ultima replica ha assistito plaudente Giuliana De Sio.

data di pubblicazione:07/11/2022


Il nostro voto:

PSYCHODRAMA di Matt Wilkinson, con Valentina Virando, regia di Valerio Mieli

PSYCHODRAMA di Matt Wilkinson, con Valentina Virando, regia di Valerio Mieli

(Teatro Belli – Roma, 1/2 novembre 2022)

Un’attrice senza lavoro in cerca di una scrittura. L’occasione di avere una parte in una trasposizione teatrale del celebre Psycho di Hitchcock. Un regista morto ammazzato in circostanze misteriose. Questi gli ingredienti di Psychodrama (produzione Proprietà Commutativa), il lavoro andato in scena al teatro Belli per Trend, la rassegna sulla drammaturgia inglese contemporanea diretta da Rodolfo di Giammarco.

 

 

Il personaggio ironicamente psicotico a cui dà corpo e voce Valentina Virando vive blindato in un mondo tutto suo. Si muove in uno spazio asettico, immerso e isolato in una stanza completamente bianca. La donna che interpreta è un’attrice che non recita da diverso tempo per mancanza di proposte ed è costretta a mantenersi lavorando come commessa in un negozio di abbigliamento. Una condizione fin troppo comune oggigiorno per molte persone, costrette a fare i conti con una realtà che non coincide quasi mai con le aspettative e i desideri che si vorrebbero realizzare. È un individuo dall’eloquio caotico e frammentato appena guarito da un esaurimento nervoso, su cui sono evidenti i segni di una malattia che riguarda la nostra società disorganizzata.

La regia di Valerio Mieli coglie proprio l’aspetto psicotico e schizofrenico del personaggio quando sul muro bianco che fa da fondale alla scena appaiono proiettate sotto forma di allucinazioni le immagini dei luoghi dove la donna svolge la sua esistenza (le creazioni video sono di Giulio Cavallini), ma anche l’ombra di lei, nera e definita, che sdoppia la sua presenza in scena. Il testo drammaturgico è del 2021 e pur non parlando di pandemia ne traccia comunque quelle caratteristiche di disagio che hanno colpito molti lavoratori, in particolare nel mondo dello spettacolo. Valentina Virando ne è un’ottima interprete, mostrando di essere ben calibrata e creativa nella recitazione delle follie del personaggio e nella capacità di adattarsi ai suoni e alle immagini con cui la regia esprime la sua lettura.

Un giorno però il miracolo si compie. La sua agente la chiama al telefono per proporle un provino. In città è arrivato un famoso regista che sta lavorando a un adattamento teatrale di Psycho, il celebre film del 1960 diretto da Alfred Hitchcock. La ragazza si propone per il ruolo di Marion, la giovane segretaria che viene accoltellata nella doccia della celebre scena, ma dai particolari che emergono nel racconto – il regista viene ritrovato nel bagno della sua suite di albergo brutalmente ucciso – capiamo che il suo ruolo si rivelerà più simile a quello di Norman, l’assassino proprietario del motel degli orrori.

data di pubblicazione:04/11/2022


Il nostro voto:

… FINO ALLE STELLE. SCALATA IN MUSICA LUNGO LO STIVALE di e con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, regia di Raffaele Latagliata

… FINO ALLE STELLE. SCALATA IN MUSICA LUNGO LO STIVALE di e con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, regia di Raffaele Latagliata

(Teatro de’ Servi – Roma, 25 ottobre/6 novembre 2022)

Il sodalizio artistico di Tonino e Maria li porta a scalare lo Stivale in tutta la sua lunghezza e vastità partendo da Palermo. Agnese Fallongo e Tiziano Caputo ci prendono per mano e ci portano a visitare la nostra bella Italia, tra racconti e leggende, fino ad arrivare alle stelle.

 

Cos’altro si nasconde dentro quel baule delle meraviglie, quello scrigno pieno di storie e sogni, attrezzature, costumi e personaggi, che Agnese Fallongo e Tiziano Caputo si trascinano dietro sui palcoscenici italiani e non solo? Dopo Letizia va alla guerra e I Mezzalira ecco il terzo capitolo della trilogia che racconta i personaggi e i valori dell’Italia popolare e semplice del dopoguerra. … Fino alle stelle è uno spettacolo divertente e a lieto fine, pieno di musica e ricordi che riaffiorano alla nostra mente. Memoria di un passato che se non ci appartiene per una questione anagrafica, lo è per via del fatto che certe storie ci sono state raccontate.

In una calda estate palermitana degli anni ’50 Tonino, un cuntastorie che sbarca il lunario con la sua musica, incontra Maria per la prima volta al mercato della Vuccirìa. Tra i due nasce un’intesa artistica all’inizio, di sentimento più avanti. La ragazza ha una bellissima voce e si rivela essere la partner ideale per Tonino. L’idea è quella di fare una fuitina artistica e lasciare la Sicilia. Rincorrendo il successo percorrono tutta l’Italia per arrivare nella Roma delle trattorie e degli stornelli, dove sono tanti impresari, per poi proseguire oltre nel Nord del paese, che per due siciliani è praticamente l’estero. Tra litigi e gelosie, sorrisi e riappacificazioni, i due affrontano la fame e le difficoltà. La felicità non cade dal cielo – dicono – ma la si deve conquistare ogni giorno, anche a costo di passare per illusi. Insieme superano ragni e tarantelle, fughe e sparatorie, abbandoni e insulti di un pubblico non sempre benevolo per arrivare fino in America. La storia si snoda attraverso la musica, quella che viene dalle canzoni popolari di un’Italia di racconti e leggende. I testi dei brani più conosciuti si inseriscono all’interno del racconto rispecchiando sempre le caratteristiche e le vicende dei personaggi.

Lo spettacolo celebra l’amore che nasce tra i due personaggi tra le gioie e i dolori, dopo essersi più volte scannati e riconciliati. Ma celebra anche il sodalizio artistico sulla scena dei due attori romani, che chiamarli attori è riduttivo. Non pecchiamo di retorica se li definiamo artisti con la “a” maiuscola. La meraviglia che lascia incantati, con tutti i suoi ingegnosi artifici e le sue mascherate, proviene da quello che questi due talentuosi artisti riescono a fare sul palco. Non sono solo eccellenti nella recitazione e nel canto, ma provvedono da sé al cambio dei costumi, delle scene, all’accompagnamento musicale (Tiziano Caputo è un ottimo musicista e Agnese Fallongo un’eccellente cantante), offrendo così uno spettacolo completo dietro il quale c’è una profonda preparazione tecnica. Il tratto comico, mai volgare e sempre allegramente spiazzante, è solo un aspetto delle loro capacità. Una cosa è certa: quando due talenti di questa bravura si trovano, l’unione delle loro potenzialità non può che portare alle stelle. E le stelle sono ciò che per ora abbiamo trovato nel loro baule. Ma siamo certi che da lì sapranno tirare fuori tanta altra meraviglia.

data di pubblicazione:30/10/2022


Il nostro voto:

PUPO DI ZUCCHERO LA FESTA DEI MORTI di Emma Dante, con Carmine Maringola

PUPO DI ZUCCHERO LA FESTA DEI MORTI di Emma Dante, con Carmine Maringola

(Teatro Argentina – Roma,18/30 ottobre 2022)

Pupo di zucchero. La festa dei morti, opera firmata da Emma Dante e liberamente ispirata al celeberrimo Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile, regala emozioni interiori e purissime. Ricordi d’infanzia che si mescolano a storie familiari nel giorno di celebrazione dei morti, atmosfera sospesa che non ha nulla di pauroso o spaventoso, ma anzi diffonde un dolore che sa di nostalgia e ricordi. In una stanza abitata dalla solitudine di un anziano, le immagini di una vita prendono corpo e fiato, in un vortice di storie sovrapposte e traslate che culminano nello spettrale e suggestivo trapasso finale (foto di Ivan Nocera).

 

In una casa vuota e buia un Vecchio (uno sconvolgente Carmine Maringola) è impegnatissimo nella cura di un impasto: “l’esca pe li pesci de lo cielo”, che non tarderà ad attirare dall’aldilà le sorelle Rosa (Nancy Trabona), Viola (Maria Sgro) e Primula (Federica Greco) e dal buio della solitudine si passa al tintinnio ritmico e squillante dei campanelli. Piano piano la casa si popola. È poi la volta dell’esuberante Pedro (Sandro Maria Campagna), spasimante di Viola, del papà scomparso in mare (Giuseppe Lino), della mamma malata (Stephanie Taillandier), di Pasqualino (Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout), della zia Rita (Martina Caracappa) unita allo zio Antonio (Valter Sarzi Sartori) in un legame di desiderio e violenza. Racconti di famiglia asciutti, sovrapposti, sfocati ma intensissimi, mai banali. Il tempo dell’azione è il giorno dei morti, un tempo preciso eppure sospeso.

Carmine Maringola racconta dei propri cari defunti e ci presenta la sua famiglia che fu, è intento a preparare un pupo di zucchero, un impasto di forma antropomorfa da offrire ai defunti stessi.

Il lavoro di Emma Dante è ben connotato per il suo stile eclettico e originale, che pesca nella tradizione per esternare nuove ricerche estetiche e artistiche di presenza e movimento.

I quadri dei ricordi appaiono e scompaiono, si susseguono, la trama si sfuma, ogni scena si riempie di immagini iconiche, talvolta poetiche, talvolta allegre, alcune potenti altre solo accennate. Sulle teste piovono frammenti di coriandoli lanciati dalla tasca, insieme a zuccheri e farine leggeri e sospesi nell’aria.

Le suggestioni di danza, insieme a quelle del canto, sono i momenti in cui il fervore della vita prende il sopravvento. Ma tutto ciò che accade è sempre e solo nella mente del vecchio, è un flusso di frammenti che si affollano, si accavallano e, scompaiono. È un dolore privato suo e dei suoi morti.

Carmine Maringola popola la solitudine e il buio della sua casa ricostruendo frammenti di vita passata, dove tutta la sua famiglia ridiventa carne e materia. Una matassa di pasta lievitata e zuccherata, dunque, diventa il legame tra la vita e la morte. l vecchio protagonista la lavora, a morsi ne strappa pezzi coinvolgendo famiglia e ricordi in un rituale selvaggio e potente. Legato a loro, come da un cordone ombelicale, il vecchio gioca con una catena a un tiro alla fune.

Ma la vita è anche morte: le straordinarie sculture di Cesare Inzerillo appaiono e si muovono in scena per ricordare l’essenza della materialità e della spiritualità, in una sorta di penombra da cimitero dove brillano solo le fiammelle dei lumini i cadaveri mummificati della famiglia diventano corpi morti, solidificati. Sono sculture realistiche, a grandezza naturale, trasfigurazione del dolore e del trapasso.

Uno spettacolo ancora una volta spiazzante ma non addolorato, un bellissimo specchio che ripercorre e riflette le vite e gli affetti di ognuno di noi.

data di pubblicazione:29/10/2022


Il nostro voto:

LA STRANEZZA di Roberto Andò, 2022

LA STRANEZZA di Roberto Andò, 2022

Girgenti, 1920. Nofrio e Bastiano sono becchini, oltre che “dilettanti professionisti”, pronti a mettere in scena una ‘tragicommedia’; l’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga riporta Luigi Pirandello alla sua città natale e la morte della balia del drammaturgo favorisce il suo incontro con i due. Il Maestro è in crisi creativa, ma osservando di nascosto le prove della compagnia amatoriale di Nofrio e Bastiano trae ispirazione per uno dei suoi lavori più importanti, “Sei personaggi in cerca d’autore”.

 

 

Gran parte del racconto di Andò è ambientato proprio in Sicilia, nel quale si prova a mettere in scena l’essenza della poetica di Pirandello, immaginando il modo in cui il drammaturgo siciliano prenda ispirazione per la sua opera più innovativa. Il titolo del film deriva da una battuta che il fantasma della sua balia d’infanzia rivolge al Maestro in un momento di impasse creativa: “quando eri picciriddo, ogni volta che ti prendeva la stranizza, appoggiavi la testa tra le mie ginocchia”. La storia funziona molto bene sul grande schermo con l’evidente alchimia creata dagli attori in scena: Ficarra e Picone, non più ‘guitti televisivi’ ma vere e proprie maschere siciliane, riescono a coinvolgere anche Toni Servillo che, dall’alto del personaggio che interpreta, riesce a creare un legame particolare con Nofrio e Bastiano, dando origine ad una storia che diverte e fa pensare al tempo stesso.

Liberamente ispirato alla realtà, con un tocco di fantasia circa le dinamiche dell’incontro fatale di Pirandello con questa strana coppia di attori amatoriali, l’opera suscita interesse mischiando realtà e finzione, dramma e commedia (quel tipo di commedia che si vede ormai sempre più di rado sui nostri schermi) in un viaggio tra realtà e immaginazione, vincendo anche la non facile scommessa di riunire un attore ‘impegnato’ con il popolare duo comico, grazie anche alla cura di una ambientazione e una scenografia inappuntabili e ai costumi dell’epoca, facendo tornare in mente anche Andrea Camilleri e la sua immaginaria Vigata, a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

data di pubblicazione:28/10/2022


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THE RIVER di Jez Butterworth, regia di Alessandro Federico

THE RIVER di Jez Butterworth, regia di Alessandro Federico

(Teatro Belli – Roma, 25/27 ottobre 2022)

Secondo appuntamento per la XXI edizione di “Trend. Nuove frontiere della scena britannica” al teatro Belli di Trastevere. The river di Jez Butterworth porta lo spettatore in una baita vicino a un fiume dove un uomo ama andare a pescare. È in cerca della trota di mare che solo per un momento ha tenuto per le mani e forse è in cerca della donna giusta, tra le tante che porta con sé nel suo nido nascosto.

 

Entrando in sala si è accolti dal suono dello sciabordio dell’acqua che scorre incessante nel fiume vicino alla baita. L’uomo interpretato da Alessandro Federico, anche regista dello spettacolo (produzione Proprietà Commutativa), sta approntando con meticolosa pazienza e in solitudine la sua attrezzatura da pesca. Gli stivali di gomma sono calzati, il gilet indossato, l’esca è fissata all’amo. Alle sue spalle entra una donna, la nuova fidanzata. Tra i due sembra esserci una bella intesa. Lei è romantica e arrendevole, curiosa di conoscere meglio quest’uomo che le ha permesso di entrare nel suo remoto rifugio. Lui le trasmette tutta l’eccitazione che prova nel pescare la trota di mare, nell’unica notte all’anno senza luna, quando fuori è così buio da non riuscire a vedere chi hai vicino e l’acqua prolifera di pesci. Ha ancora negli occhi il ricordo del primo pesce pescato, che tenne tra le mani il tempo di un battito di ciglia prima di vederlo sparire per sempre nell’acqua. Nella scena successiva lui è in preda al panico: la donna sembra essere sparita nel nulla durante la pesca notturna. Improvvisamente però riappare, ma è un’altra lei. Un’altra fidanzata, più vivace della prima, dai modi sensuali e provocanti. Al primo impatto sembra di essere davanti a un tradimento, ma gli indizi disseminati nel racconto portano verso una diversa interpretazione dei fatti. Nonostante lo spazio rimanga quello della tranquilla baita sulle rive del fiume, il tempo si blocca e si frantuma in una doppia storia. Le due donne appaiono e scompaiono nel susseguirsi delle scene, diventano quasi dei fantasmi della mente. Come loro probabilmente ce ne saranno state anche altre nella vita di quest’uomo. Il passato è un incubo che il presente non riesce a dimenticare. The river diventa così una metafora dal significato oscuro. L’immagine del fiume riflette il flusso continuo della ricerca senza sosta di un uomo condannato a non ritrovare più qualcosa che ha perso. La differenza caratteriale delle donne è la prova tangibile del fatto che non sa cosa cercare, così lontane tra loro per il mondo che rappresentano. Le due attrici, Silvia Aielli e Mariasole Mansutti, sanno definire in maniera impeccabile e chiara questo contrasto, ottime protagoniste insieme ad Alessandro Federico, che invece manifesta senza eccedere la sua mascolinità e insieme la malinconia di un uomo avvolto nei pensieri più cupi, quelli che capitano di avere quando si pratica uno sport in solitudine come la pesca. E così rimane solo, a vedersi scivolare via dalle mani un’altra trota, un altro tratto di questa misteriosa, insondabile vita.

data di pubblicazione:28/10/2022


Il nostro voto:

TUTTI PAZZI PER MAMMA di Luca Giacomozzi, con Luciana Frazzetto, Nino Taranto, Paciullo e Barbara Russo, regia di Massimo Milazzo

TUTTI PAZZI PER MAMMA di Luca Giacomozzi, con Luciana Frazzetto, Nino Taranto, Paciullo e Barbara Russo, regia di Massimo Milazzo

(Teatro 7 Off – Roma, 26 ottobre/6 novembre 2022)

Un pepato divertissement che irrida alle gabbie del politicamente corretto e scatena la verve travolgente dell’attrice ciclonica Frazzetto, assistita da partner all’altezza della situazione.

Tutti pazzi per Mary? No, per la mamma. Che non è Cameron Diaz ma Luciana Frazzetto, attrice garanzia che caratterizza fortemente tutte le pochade di cui è anima e corpo (e che corpo!). La donna al centro di tutto. Con un segno nel cuore, un ruolo da controfigura in Beatiful rinnegando i legami con figlio, marito e con una possibile nuora. Nel mirino la gaytudine, il fiato cattivo, l’astinenza sessuale del marito in vigore dal 1998. Insomma un quadro familiare poco soddisfacente. Ma la voglia di evasione della protagonista, dopo aver coltivato il sogno americano, si placa con un malinconico ma sentimentale ritorno a casa. Un happy end che ricuce i buchi del disagio. Così dopo tanto ridere quasi ci si commuove. Il copione scatena la verve e non ci si preoccupa certo per qualche parola fuori dall’ordinario. Questo teatro, a torto considerato minore, funzionerà sempre. Gli attori si donano generosamente e qualche arguta macchietta non stona all’interno di una storia che è un pretesto per una serie di gang senza soluzione di continuità. Spettacolo che è una girandola di colpi di scena, di travolgenti risate e di sanguigni scontri. Del resto il mammismo sembra una malattia delle famiglie italiane e senza pretese sociologiche la piéce ruota attorno al tema senza pretendere di sviscerarlo. Il partner della “prima” era pieno di stelline o aspiranti tali con al centro della platea il consacrato Mattioli. Per la Frazzetto la riconferma di doti in mostra che nessuno può discutere in un funzionale teatro di genere che non nutre complessi rispetto alla “scena alta e altra”.

data di pubblicazione:27/10/2022


Il nostro voto:

Ca/1000, drammaturgia di Enrico Manzo, regia di Luisa Corcione

Ca/1000, drammaturgia di Enrico Manzo, regia di Luisa Corcione

(Teatro Vascello – Roma, serata unica 24 ottobre 2022)

In scena per una sola serata lo spettacolo che ha vinto il Fringe Festival 2021. Clima rarefatto, vocalità impercettibile ma crescita emotiva con il passare dei minuti (50’). La vita e le percezioni emotive di Camille Claudel. Supporti multimediali fondamentali su un fondale pittorico e scultoreo ricco e seducente..

Le voci interne e quelle esterne nella parabola di Camille Claudel, proto-femminista che cerca di combinare  la predisposizione artistica con il complicato e ingombrante rapporto con Auguste Rodin. Timori e palpiti, voglia di realizzazione. Arte e vita sono perfettamente fusi nel tentativo minimalistico di restituire il senso di un’esistenza e di una profonda sofferenza. Camille combatte e alla fine perderà ma non rinuncia a combattere la sua battaglia di emancipazione e realizzazione. Il clima d’epoca viene restituito in uno spettacolo per una sola attrice e tante voci e contributi a margine. L’anima di Camille urla incessantemente con il delirio delle proprie visioni interiori e cerca una difficile salvezza. L’insanità mentale è il bivio da cui separa la propria normalità. L’attrice protagonista al centro della scena domina con continui cambiamenti di tono e di ritmo, con improvvise corse, con il gridato manifestato al microfono, simile a un urlo lanciato verso e contro il mondo.  In scena la solitudine, il desiderio di indipendenza, la pesantezza del legame amoroso con una personalità soprabbondante, evocata e in fondo temuta. La rappresentazione dell’intimo sentimentale approda a brividi sottilmente erotici nella perfetta idealizzazione tra corpo e anima, tensione costante. Le vie per l’affermazione di un talento femminile nel mondo dell’arte tutt’altro che scontate.

data di pubblicazione: 25/10/2022


Il nostro voto: