QUE SERA di Roberta Skerl, con Paolo Triestino, Edy Angelillo, Emanuele Barresi, scene Francesco Montanaro, regia di Paolo Triestino

QUE SERA di Roberta Skerl, con Paolo Triestino, Edy Angelillo, Emanuele Barresi, scene Francesco Montanaro, regia di Paolo Triestino

(Teatro Manzoni – Roma, 10/27 novembre 2022, poi in tournèe a Catania)

Un delicato e non malizioso mènage a trois amicale con sullo sfondo il fine vita. Cortocircuito drammaturgico efficace reso con trasparenza e umanità da attori molto affiatati.

Due volte risuonano in scena le note della popolare canzone che offre il titolo alla piece. La canta Paolo Triestino e poi va in loop l’originale con adeguato arrangiamento. Nel titolo sta un’ipotesi sul futuro, quanto mai inquietante per tutte l’umanità, negli anni del Covid e della guerra ucraina. Ma in questo caso particolare per un trio di amici che passano di botto dei pensieri ordinari delle normali preoccupazioni familiari e/o lavorative, alla rivelazione del padrone di casa di una malattia incurabile. Un disvelamento improvviso, traumatico, torrenziale di fronte al quale i due reagiscono differentemente con i mezzi emotivi a loro disposizione. Ovvio che ci sia in ballo l’amicizia, la solidarietà, la richiesta di aiuto che va a toccare le corde più riposte della loro interconnessione pluriennale. Gli attori campeggiano alla grande con invidiabile sinergia. Paolo Triestino, dopo l’avvio in sordina, richiesto dal copione, porta la contraddizione e il conflitto in scena con sfumature d’umore pregevoli. Edy Angelilo regge magnificamente la parte dell’amica piacente, agè, ma disponibile mentre Emanuele Barresi con i suoi toscanismi, i suoi lazzi, è quello che, soprattutto nella prima parte, regala allegri e battute. Sala piena in capo a ben 17 giorni di esibizioni nell’affollato teatro romano caro alla terza età, spesso con doppio turno per uno spettacolo collaudato nel piccolo teatro di Carbognano e che ora gira l’Italia. Triestino dopo il divorzio con Pistoia è più pimpante che mai e dimostra con grande maestria anche nel padroneggiare la regia oltre che la propria parte, alle prese con un tema scomodo ma di estrema attualità.

data di pubblicazione:28/11/2022


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PRINCESS di Roberto De Paolis, 2022

PRINCESS di Roberto De Paolis, 2022

Princess ha 19 anni e si prostituisce nella pineta che costeggia il litorale di Ostia; le sue giornate sono tutte uguali, in equilibrio tra clienti occasionali, compagne di strada e la gestione di una vita ai margini della società.

Princess, la seconda prova da regista di Roberto De Paolis che ha aperto quest’anno la sezione Orizzonti del Festival di Venezia. Co-prodotto da Rai Cinema e distribuito da Lucky Red, è un film potente, originale e di grande spessore, che non parla solo di immigrazione clandestina e prostituzione ma di anima, narrando una storia che nasce da dentro, con una assenza assoluta di ogni genere di giudizio morale, con linee difficili da tratteggiare e raccontare, che vanta tra i protagonisti attori veri e ragazze nigeriane realmente strappate alla vita di strada, che hanno interpretato se stesse e collaborato alla costruzione della storia.

La debuttante Kevin Glory è Princess “non è stato difficile interpretare questo ruolo, perché è quello che ho vissuto anch’io” ed è affiancata dagli straordinari Lino Musella, Maurizio Lombardi e Salvatore Striano nel ruolo di tre differenti tipi di clienti. Tutti, indistintamente, attori professionisti e non, si muovono in modo esemplare sulla scena come equilibristi, creando empatia con il pubblico, in una storia che ha i tratti del documentario ma che è un film a tutti gli effetti, capovolgendo i ruoli in cui i veri attori “assecondano” la vita di Princess e delle altre ragazze.

Il messaggio del film potremmo sintetizzarlo nel concetto che ognuno deve salvarsi da solo, ma per farlo ci vogliono le condizioni giuste; ed anche se alcuni incontri, come quello di Princess con il personaggio interpretato da Musella, possono fare aprire gli occhi alla protagonista perché carichi di positività, non sono sufficienti per liberarsi dalla schiavitù. Il film ci insegna che ci vuole una spinta interiore per riuscire a rompere quelle catene che inchiodano tutte queste giovani donne ad una vita in cui si è portati a credere che sopravvivere sia vivere. Non c’è dramma gratuito né retorica nel messaggio di De Paolis, ma solo la costruzione di un faticoso viaggio alla ricerca della propria identità in cui ognuno è solo, un vero e proprio inno alla ricerca della dignità di ogni essere umano.

data di pubblicazione:27/11/2022


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POKER FACE di Russel Crowe, 2022

POKER FACE di Russel Crowe, 2022

Jack Foley (Russel Crowe) è un giocatore d’azzardo divenuto miliardario con i diritti di un software da lui inventato. Ad un punto cruciale della sua vita riunisce i più cari amici d’infanzia in una sua lussuosa villa per una partita di poker. La partita è solo un pretesto, il suo piano è portarli davanti alla verità delle loro vite ed al di là dei loro intimi segreti. Ci sono però alcuni imprevisti che sconvolgono il piano originario …

 

Dopo i discreti apprezzamenti avuti nel 2014 con il suo esordio alla regia con The Water Diviner in cui toccava (in un mix di film di guerra e di commedia romantica) il tema del rispetto per il dolore e della memoria degli scomparsi, esce oggi sugli schermi romani Poker Face di Russel Crowe, la sua opera seconda, presentata all’ultima Festa del Cinema di Roma. Il film ha avuto diverse traversie produttive e l’attore ne ha riscritto la sceneggiatura, lo ha diretto ed interpretato.

Diciamolo subito, non si tratta certo di un capolavoro, ma credo che ciò non fosse nemmeno nelle pretese di chi lo ha realizzato. E’ solo un discreto film commerciale, un più che discreto B Movie e nulla di più. Ma perché mai da Crowe dovevamo aspettarci per forza un capolavoro? e perché doverlo quindi criticare se non ce lo ha dato? Il suo film è un onesto prodotto e ne ha tutte le caratteristiche nel bene e nel male, semmai unisce e mischia troppi diversi generi e tipi: il thriller, lo psicologico, il film introspettivo, il film sul gioco, sull’amicizia o d’azione. Indubbiamente la somma di tante componenti narrative, accennate, iniziate e poi abbandonate può creare disorientamento e sembrare che siano fra loro del tutto scollegate. Lo spettatore non perde però totalmente il filo narrativo perché il vero ed unico legante sono Russel Crowe, la sua perplessità davanti alla presa di coscienza della propria umana fragilità ed il significativo quesito sul senso della propria vita e sul proprio lascito esistenziale. Questo è il vero tema del film.

Certamente i concetti evocati non sono di poco conto e di sicuro sono di molto superiori alle forze, alle capacità di scrittura ed a quanto il film possa mai riuscire a poter dare, ciò non di meno, sia pure a tratti, ci sono elementi e sprazzi interessanti e di qualità.

Un film dunque sicuramente non perfetto anzi con delle pecche, ma in cui traspaiono però le buone intenzioni, c’è cuore, c’è impegno, ci sono lampi di talento, intensità ed onestà. Di certo manca molto la continuità stilistica a causa dei tanti cambi di registro. Pur con questi difetti veniali ed ammissibili in quella che è solo una “seconda prova”, il racconto si segue, la messa in scena è buona, c’è sempre sufficiente tensione, il ritmo ha i suoi tempi ben scanditi e nulla sembra essere affidato al caso. Come dicevamo, il film è essenzialmente retto tutto dall’interpretazione costante e generosa di Russel Crowe che si conferma ancora come un attore dalla recitazione e dalla presenza scenica ammirevole. Buono è poi, come sempre in queste produzioni, anche il resto del cast che fa da contorno.

Nell’insieme dei film in circolazione, anche un B Movie semplicemente discreto come Poker Face riesce ad interessare.

data di pubblicazione:23/11/2022


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BONES AND ALL di Luca Guadagnino, 2022

BONES AND ALL di Luca Guadagnino, 2022

Presentato in Concorso a Venezia dove ha vinto il Leone d’argento, esce nelle sale l’attesissimo film di Luca Guadagnino Bones and All interpretato da Timothée Chalamet, assieme a Taylor Russel e Mark Rylance.

 

 Ambientato nel centro America all’epoca di Reagan (ma l’epoca non è determinante ai fini del significato profondo del racconto), il film narra del primo amore di due esseri “speciali”, Maren e Lee, entrambi vagabondi, due diseredati che vivono ai margini della società, indagando su i modi e i varchi che si possono aprire a persone come loro, nonostante le “impossibilità” che quel modo di essere imprima alle loro vite. E se il cinema è finzione, Guadagnino con questo film ha amplificato il concetto per esprimere, attraverso il cannibalismo di cui sono affetti i due giovani, l’isolamento in cui sono costretti a vivere e l’inevitabile crisi di identità che li travolge. Le scene a cui si assiste sono molto esplicite e solo chi riesce ad andare oltre quella che è una visione molto cruenta, può cogliere la metafora che c’è dietro tutto questo, accettando anche l’urgenza di un messaggio così “gridato”. Non siamo tutti uguali soprattutto quando siamo intrappolati in qualcosa che non riusciamo a controllare, ma l’amore per Guadagnino continua a vincere su tutto e a rendere liberi, anche su “diversità” così esasperate, perché riesce ad aprire delle porte che sino ad allora sembravano invalicabili.

Bones and All ci sferra forti pugni nello stomaco sino a farci stare male. Inutile sottolineare che tutti gli attori sono superbi e le ambientazioni perfette, così come l’originalità del tema a cui ricorre il regista per farci interrogare sulle dinamiche della vita, che spesso non ci dà scampo e ci obbliga ad attraversarla senza troppi indugi.

Il pubblico tuttavia deciderà se era necessario tutto questo, perché se da un punto di vista registico il film è molto valido ed i due giovanissimi interpreti sono bravissimi (Timothée Chalamet è un divo naturale, nato per fare ciò che fa), per la crudezza delle immagini un film così “estremo” inevitabilmente taglierà fuori una buone fetta di spettatori che si chiederanno, come chi scrive, se era davvero necessario, per parlare della fatica che Maren e Lee fanno a trovare un proprio dignitoso posto nel mondo, scomodare un tema così importante come il cannibalismo, sul quale sorge anche l’interrogativo se sia stato trattato con la dovuta competenza o sia rimasto semplicemente un pretesto per raccontare una storia estrema di due esseri inadeguati in cerca della propria identità la cui natura, che il mondo respinge perché non la può tollerare, li obbliga ad una vita di delitti, solitudine e fuga che non avrebbero mai scelto. Al pubblico il verdetto finale.

data di pubblicazione:23/11/2022


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THE MENU di Mark Mylod, 2022

THE MENU di Mark Mylod, 2022

Una giovane coppia: Tyler (Nicholas Hoult) e l’amica dell’ultimo momento Margot (Anya Taylor-Joy) si imbarcano per una remota isola del Pacifico per cenare in un esclusivissimo ristorante dell’iperstellato chef Slowik (Ralph Fiennes). Con loro pochissimi altri selezionati commensali in lista d’attesa da mesi. Il menu e l’atmosfera claustrofobica riserveranno però delle sorprese …

  

Visto in anteprima alla recente Festa del Cinema di Roma, il film di Mylod è uscito giovedì scorso nelle nostre sale. Sale che, però, sembrano non riuscire a riprendersi dalla crisi in cui sono sprofondate. Tante e diverse la cause dell’inarrestabile disaffezione, di certo non ultima anche la scarsa qualità dei film finora in distribuzione.

The Menu ha, invece, tutti gli elementi per attrarre gli spettatori ed essere apprezzato. Il mondo della Haute Cuisine ha infatti avuto sempre discreto successo cinematografico, soprattutto negli ultimi anni, in parallelo con la crescente attenzione mediatica ed editoriale sull’arte culinaria, figlia e madre, al contempo, dei tanti reality televisivi e dei tanti chef stellati, star fra le star. Un successo tale da divenire un vero Genere Cinematografico a sé stante. Il mondo asettico e sofisticato degli chef e dei gourmet, con il noir, la black comedy, il thriller e l’horror. Cibo ed Orrore, si sposano bene al cinema, a partire dai film di Marco Ferreri e di Peter Greenaway.

In questo filone, il film di Mylod si pone come una brillante e sofisticata black comedy, permeata di ironia pungente, costruita su un’eccellente sceneggiatura, un ottimo ritmo, un buon montaggio, dialoghi eccellenti e buone performance attoriali, combinando abilmente satira umana, commedia, suspense e critica sociale in un susseguirsi di colpi di scena inaspettati ed una giusta dose adrenalinica di horror.

La trama narrativa, abilmente intrecciata, mette in scena da una parte l’Alta Cucina iperconcettuale, sofistica ed elitaria; dall’altra una Società iperbenestante, disposta a pagare 1250 dollari a persona per una cena, ammaliata dalla sola opportunità trendy, senza alcuna capacità critica di valutazione e di apprezzamento di ciò che potrà degustare. Un mortale contrasto tra l’apprezzare, gustare ed assaggiare ed il mero esserci stati. Un peccato da espiare!

Il regista sa affrontare abilmente e con brio i meccanismi del plot giocando con gli schemi dei vari generi, sostenuto, come detto, dalla buona sceneggiatura e da un cast di attori preciso nei vari ruoli e sottoruoli e capace di dare veridicità ad ognuno di essi. Spiccano su tutti: Ralph Fiennes eccellente ed inquietante, tanto psicolabile quanto creativo, capace di evidenziare le sfumature del carattere border line e risentito del suo personaggio tutto compresso fra il romantico idealista e l’autoritarismo folle; e, sull’altro versante, Anya Taylor-Joy bella e brava nella sua caratterizzazione dell’unica imprevista estranea al gruppo di convitati, tanto imperfetta quanto diretta ed astuta, unica capace di spiazzare l’animo dello Chef.

The Menu è un elegante divertimento fra commedia e thriller, tanto originale quanto sconcertante che piacerà agli appassionati del Genere e farà passare un paio d’ore accettabili agli altri spettatori con il brivido leggero di una cena incubo. Un film cui si potrà perdonare, come peccato veniale, un finale troppo semplice e prevedibile da lasciare un po’ insoddisfatti i palati dei cinefili e dei gourmet.

data di pubblicazione:20/11/2022


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THE WASP di Morgan Lloyd Malcolm, con Guenda Goria e Miriam Galanti, regia di Piergiorgio Piccoli

THE WASP di Morgan Lloyd Malcolm, con Guenda Goria e Miriam Galanti, regia di Piergiorgio Piccoli

(Teatro Belli – Roma, 7/9 novembre 2022)

Due amiche si rivedono dopo tanti anni. L’incontro nasconde però un pericoloso piano di vendetta. In scena per Trend. Nuove frontiere della scena britannica contemporanea, un dramma dalle fosche atmosfere e dai continui colpi di scena: The Wasp di Morgan Lloyd Malcolm.

 

Il falco delle tarantole è un tipo di vespa (the wasp in inglese) che ha un modo di riprodursi parecchio raccapricciante per la nostra sensibilità. Una volta individuata la vittima, paralizza il ragno con una puntura e impianta nel suo ventre un ovulo. La larva che nasce pasteggerà con gli organi dello sfortunato ostaggio, che sarà necessario rimanga vivo per portare a maturazione l’ospite. Questa è la terribile immagine sulla quale è basato il thriller psicologico scritto da Morgan Lloyd Malcolm e andato in scena per Trend al teatro Belli (produzione Theama Teatro).

Nel preambolo della vicenda Erica (Guenda Goria), una donna benestante e di buona educazione, dà appuntamento in un bar a Carla (Miriam Galanti), una vecchia amica che non vede dai tempi della scuola. Carla ha tutta l’aria di una che la vita l’ha vissuta dal basso tra problemi e difficoltà, è incinta del quinto figlio e non vede Erica da quindici anni. Il divario sociale che separa le due donne è fin troppo evidente e non è chiaro all’inizio il motivo del loro incontro. In apparenza hanno due vite totalmente distinte e differenti, ma la somma degli indizi che vengono fuori lentamente dal racconto – tradotto in maniera avvincente da Enrico Luttmann – ci fanno capire che la connessione tra loro è molto più stretta di quanto non immaginiamo. Come la vespa ha bisogno del corpo della tarantola per riprodursi, così una ha necessità dell’altra per soddisfare i propri bisogni. Tuttavia non è chiaro chi tra le due sia la vespa e chi la tarantola.

La trappola scatta nel secondo quadro, ambientato nel ricco appartamento di Erica. In bella mostra sugli scaffali della libreria che fa da sfondo alla scena si vede la ricca collezione di insetti di Simon, il marito di Erica (le sculture sono di Giovanni Grey Grigoletto). È qui che la donna chiarisce i motivi che l’hanno spinta a voler rivedere Carla. Facendo leva sulla povertà piuttosto evidente dell’amica, Erica le offre una somma ingente per uccidere il marito. L’aveva vista uccidere un piccione quando erano a scuola tanti anni prima; sarebbe la persona perfetta per compiere il delitto oggi. Ma quella che all’inizio appare come una vendetta personale nei confronti del proprio coniuge, si trasforma in realtà in una vendetta nei confronti di Carla, con la quale ha vissuto un passato burrascoso, costellato di episodi violenti e bullismo. I fatti spiacevoli e le cattiverie subite da ragazzi non si dimenticano facilmente e il presente offre l’occasione per perpetuare la crudeltà e ottenere così una rivalsa.

L’intervento registico opera lo stretto necessario su un copione dal ritmo sostenuto, dove ogni passaggio è studiato nei suoi minimi dettagli. Guenda Goria e Miriam Galanti sono ben calate nella parte e definiscono bene la diversità dei personaggi che interpretano, anche se in alcuni punti l’eccessiva marcatura delle emozioni porta le due attrici a un dispendio notevole di energia. Per chi è amante del genere, The Wasp è il tipo di dramma che ha la capacità di stringere lo spettatore in una morsa di terrore, pieno di colpi di scena e improvvisi risvolti efferati nella narrazione che lasciano ancora sgomenti quando si lascia la sala teatrale.

data di pubblicazione:19/11/2022


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AMLETO di William Shakespeare, regia di Giorgio Barberio Corsetti

AMLETO di William Shakespeare, regia di Giorgio Barberio Corsetti

(Teatro Argentina – Roma,15 novembre /4 dicembre 2022)

Amleto, nella rilettura della tragedia shakespeariana di Giorgio Barberio Corsetti, torna sulla scena nel  teatro Argentinas di Roma fino al 4 dicembre 2022. Nel ruolo di Amleto Fausto Cabra, affiancato da una compagnia di giovani attori professionisti. Corsetti situa la tragedia shakespeariana in un complesso gioco di scatole sceniche a più piani ed in continua trasformazione che danno anima all’immaginaria reggia danese in cui si svolge la tragedia, davanti a un pubblico direttamente coinvolto nei desideri, nelle paure, nella lotta che Amleto ingaggia con personaggi reali e immaginari e con sé stesso, alla ricerca della propria identità (foto di Claudia Pajewski).

 

Amleto è da sempre l’essenza stessa del teatro. Alla cruda vicenda dell’assassinio del padre da parte del fratello per succedergli, alle congiure di corte e agli amori impossibili, il protagonista risponde con la sua apparente follia, riuscendo grazie ad una compagnia di attori a rappresentare e denunciare l’inganno, che porterà al tragico ed inevitabile finale. Amleto stesso diventa il narratore, in un lungo racconto di tutto quanto è successo nella reggia di Elsinore, seguendo il filo del proprio punto di vista all’interno di una macchina scenica (di Massimo Troncanetti) fatta di salite e discese, piani inclinati e false prospettive che identificano i percorsi dell’esistenza.

Mentre luci in sala sono ancora accese Amleto è già sul palco, si toglie la scarpa e poi un calzino, poggia il piede nudo su una presa, mentre ha in mano una bottiglietta d’acqua; recita così il suo “essere o non essere”, sapendo che la caduta di una sola goccia d’acqua potrebbe costargli la vita. Ma che importanza ha, il destino gli ha già inflitto dolorose angosce mentre lo spettro del padre rivendica la sua infame uccisione.

Intorno costruzioni in movimento, fondali con sempre nuove forme, giardinetti con sedie a sdraio, tapis roulant e  pungiball, balconi asimmetrici e tetti spioventi che costringono gli attori a precari equilibri ed affanni. La sensuale Regina Gertrude (Sara Putignano), lo spregiudicato e lucido re Claudio (Michelangelo Dalisi), il cordiale Polonio (Francesco Bolo Rossini), la povera Ofelia (Mimosa Campironi) si muovono vestiti in abiti contemporanei, tra sentimenti e intrighi, dando vita ai loro personaggi con corpo e anima, mentre la macchina implacabile del fato li trascina verso la fine.

Fausto Cabra è un Amleto vitale, combattivo e rock per certi versi, su un telo di plastica con la bomboletta scrive “morte al Re”, ma è anche angosciato dalla colpa, perché Ofelia, a causa dei suoi tormenti interiori, si è suicidata.

Tanti personaggi e diverse modalità recitative non omogenee, anche se lo spettacolo ha il merito di tenere il pubblico attento e partecipe, ponendolo di fronte a una messinscena vitale e rispettosa del testo. Una versione del capolavoro shakespeariano non sofisticata, ma fisica e spettacolare.

La storia di Amleto rimane universale, sintesi di tutta la complessità dell’essere umano, con le sue fragilità e le sue pulsioni, un affresco di lotte e contraddizioni che ai tempi di Shakespeare, come ai giorni nostri, restano insolute, ma drammaticamente presenti.

data di pubblicazione:18/11/2022


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LA SIGNORA HARRIS VA A PARIGI di Anthony Fabian, 2022

LA SIGNORA HARRIS VA A PARIGI di Anthony Fabian, 2022

Nella Londra del secondo dopoguerra Ada Harris (Lesley Manville) si guadagna da vivere facendo la domestica ad ore. Dopo anni di speranze apprende di essere vedova di guerra e, per quanto con i piedi ben saldi nella realtà, è una sognatrice ottimista e vuole realizzare almeno un sogno:un abito di Dior! Risparmia e riesce ad andare a Parigi con la somma sufficiente per l’acquisto. La Maison Dior non è certo come un grande magazzino … eppure …

Tratto dai romanzi di successo di Paul Gallico il film diretto da Fabian, (presentato all’ultima Festa del Cinema si Roma), opta per una realizzazione dagli effetti facili: la simpatica protagonista è una donna di gran cuore, generosa ed ottimista che definitivamente vedova di guerra decide di concentrarsi sul vivere e sui suoi sogni. Si innamora di un abito di Dior ed ecco allora che una serie di fortunate coincidenze le consentono di andare a Parigi con un rotolo di sterline, pensando di poter comprare e portar via in giornata una creazione di Haute Couture. Piacevolmente charmant e superficiale il regista non fa particolari voli di bravura o di fantasia ed il film sembra divenire un’altra delle tante commedie piene di clichès sul fascino di Parigi. Per fortuna la realizzazione non è poi così banale né tantomeno è una cartolina illustrata e, pur non mancando qualche luogo comune, si stacca invece dalla possibile realtà ed i tanti sogni sembrano quasi realizzarsi. Il film prende così sempre più l’aspetto di una favola, anzi di favole nelle favole, in cui tutto sembra risolversi al meglio.

Un’apprezzabile piccola commedia rétro che fa tanto “buon vecchio cinema”, una favola per adulti che si segue con piacere per la gioia dei cuori ed anche degli occhi, davanti agli splendidi abiti e creazioni Dior. Una favola un po’ desueta ma tuttavia graziosa. Uno di quei piccoli gradevoli film che rassicurano soprattutto il proprio ben definito e limitato target di spettatori, ricordando loro che qualcosa di buono può sempre accadere.

Lo scenario, la sceneggiatura, i dialoghi, le location sono perfettamente come dovrebbero essere ed il tutto poggia sulla buona performance degli attori. Lesley Manville regge infatti tutto il film con il suo delicato carisma e la sua recitazione vivace. Accanto a lei a Parigi ci sono Lambert Wilson ed Isabelle Huppert bravi entrambi e poi anche un gruppo di giovani attori ed ottimi caratteristi tutti perfetti nei loro ruoli.

Insomma un film discreto, da vedere e poter gustare che però si scorda con la stessa facilità con cui lo si apprezza. Un film che visti i tempi difficili che stiamo attraversando offre allo spettatore un’apprezzabile boccata d’aria pura, di serenità, di ottimismo ed uno sguardo su un mondo ove tutto si risolve bene … di certo migliore di quello che ci attende fuori del cinema.

data di pubblicazione:17/11/2022


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TUTTO CHIEDE SALVEZZA di Francesco Bruni, serie Netflix 2022

TUTTO CHIEDE SALVEZZA di Francesco Bruni, serie Netflix 2022

La serie, prodotta da Netflix e diretta da Francesco Bruni, è tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli (vincitore del Premio Strega Giovani del 2020) in cui lo stesso autore racconta di aver subito un TSO in gioventù. Nella serie viene narrata la storia di Daniele (Federico Cesari) che, dopo aver avuto uno scatto d’ira, viene sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio e deve, per questo, trascorrere 7 giorni in un reparto psichiatrico. Un’esperienza che cambierà per sempre la sua vita.

 

Il regista, già autore di Scialla! (2011), Tutto quello che vuoi (2017) e Cosa sarà (2020), continua col suo stile tragicomico che ci fa ridere mentre piangi e piangere mentre ridi, a tratti surreale: c’è un reparto di psichiatria con finestre che si aprono, armadietti incustoditi. C’è anche l’aggiunta della storia d’amore tra Daniele e Nina (Fotinì Peluso). La camerata di un reparto psichiatrico in cui si veglia Daniele, assieme a cinque improbabili compagni di stanza con cui pensa di non avere niente in comune, ma con cui deve passare sette giorni lentamente si trasforma in una delle esperienze più intense e formative della sua vita.

L’opera, divisa in sette capitoli, uno per ogni giorno della settimana di TSO, mostra tutte le fragilità della mente umana, e questa struttura narrativa riesce anche a delineare bene le storie dei personaggi secondari: oltre la camerata dei pazienti della clinica impariamo anche a conoscere punti di forza e debolezza degli infermieri e dei medici.

La serie è un crescendo di emozioni, in cui le fragilità dei suoi protagonisti la fanno da padrona, ma al contempo non ci si nasconde dietro pietismi e si affronta la ‘malattia mentale’ riconoscendola, liberandosi così dal pregiudizio, senza aver paura di essere esposti al giudizio di una società fatta di apparenza.

Nella gamma di personaggi secondari, spiccano veramente tutti, ognuno con la sua fragilità, senza nulla togliere al personaggio principale Daniele, dando merito quindi ad una sceneggiatura che gestisce con delicatezza i tratti comici, lasciandoli tuttavia aggirare nei momenti più duri di una malattia difficile.

Da segnalare anche la colonna sonora, mai invadente, e le locations scelte dal regista, popolari ai più, ma molto suggestive.

data di pubblicazione:15/11/2022

L’OMBRA DI CARAVAGGIO di Michele Placido, 2022

L’OMBRA DI CARAVAGGIO di Michele Placido, 2022

La sera del 28 maggio 1606 in Campo Marzio a Roma, a causa di una banale discussione nata durante il gioco della pallacorda, Caravaggio viene ferito e, a sua volta, ferisce mortalmente il rivale, un certo Ranuccio Tomassoni. Il pittore aveva già avuto con lui diverse discussioni, spesso a causa di donne, che inevitabilmente sfociavano in violente risse, alle quali lui stesso era molto avvezzo. Condannato a morte, deve darsi alla fuga per sottrarsi al suo maledetto destino e, con l’aiuto di nobili famiglie romane, riesce in qualche modo a far perdere le sue tracce…

 

 

Come si è già avuto modo di notare, non è facile portare sul grande schermo un personaggio di grande spessore artistico o culturale senza cadere in schemi stereotipati che possano rendere l’immagine stessa del soggetto “sopra le righe”, se non addirittura vicine al ridicolo. Ad esempio, senza voler oscurare la figura del grande regista russo Andrej Koncalovskij, la pellicola da lui diretta e sceneggiata su Michelangelo, nonostante l’impiego di enormi mezzi finanziari e di un cast rilevante, non fu bene accolta da pubblico e critica proprio perché poco credibile nel tentativo di esplorare il mondo dell’artista, così ricco di pregiudizi e di false credenze religiose. Michele Placido, al contrario, riesce in questo film, come autore, interprete e regista, a portare realisticamente sul grande schermo la figura di un uomo che è stato capace di influenzare la pittura del suo tempo e a creare una visione realmente rivoluzionaria del sacro e del profano. Merito proprio di Caravaggio è stato quello di portare nelle grandi pale d’altare personaggi che non erano mai stati rappresentati, sia pur come modelli, quali prostitute, gente del popolo e vagabondi di ogni genere. Il film di Placido ha la forza e la credibilità di portarci in quel mondo, per farci comprendere come l’arte, se è per definizione immagine rielaborata della realtà, mai come in questo caso è proprio tra i poveri e i derelitti che va cercata e mostrata. Frutto di una attenta sceneggiatura curata dallo stesso regista insieme a Sandro Petraglia e Fidel Signorile, il film enfatizza la figura di un pittore maledetto e lascivo che però ha saputo portare l’arte ai massimi livelli di espressione proprio per la sua schiettezza narrativa.

L’Ombra di Caravaggio ha il grande vantaggio di fare riflettere come il passato, tutto sommato, non è altro che una metafora del presente e come dal presente ci si senta spinti ad andare avanti proprio in considerazione degli insegnamenti del passato. Riccardo Scamarcio è un perfetto Caravaggio, sguardo ammiccante e ambiguo in tutte le sue manifestazioni, uomo di mondo ma con quella sensibilità che è prerogativa, paradossalmente, di quegli uomini materiali e poco avvezzi alle buone maniere. L’attore viene egregiamente affiancato da Louis Garrel, nella parte dell’inquisitore, agente segreto del Vaticano, incaricato di ricostruire le vicende del pittore, e da Isabelle Huppert, nel ruolo di Costanza Sforza Colonna, nobile ammiratrice e protettrice del genio. La fotografia, curata da Michele D’Attanasio, introduce sapientemente lo spettatore in quel mondo di luci e ombre tipico della pittura caravaggesca, primi piani perfetti per cogliere l’espressione tormentata dei volti in un contesto ora paludato ora misero e maleodorante. Il film, sicuramente di grande impatto visivo e emotivo, è stato presentato all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma e da qualche giorno è distribuito nelle sale.

data di pubblicazione:09/11/2022


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