da Antonio Iraci | Mag 15, 2023
Freddie ha programmato di trascorrere le sue ferie in Giappone. Il volo viene improvvisamente annullato e senza pensarci troppo decide di cambiare destinazione per Seoul. In effetti la scelta non è casuale anche se presa d’istinto: nata in Corea, la ragazza è stata adottata da una coppia francese e non è mai più tornata al suo paese d’origine. Anche se inizialmente poco convinta, cercherà di contattare i suoi genitori biologici…
Fuori dagli schemi di una cinematografia coreana sempre più presente nelle sale e che, nel bene e nel male, ci sta abituando ad un modus operandi del tutto anticonvenzionale, Davy Chou, regista franco/cambogiano, ci porta in una dimensione del tutto nuova, molto introspettiva se si vuole a tutti i costi darne una definizione. Ispirata ad una storia reale che riguarda una sua amica coreana adottata in Francia, Freddie, la spigolosa protagonista del film, a 25 anni torna per la prima volta nel paese dove è nata e, quasi controvoglia, si ritrova sulle tracce dei genitori biologici. Mentre la madre rifiuta l’incontro, il padre invece la accoglie con grande slancio nella sua nuova famiglia e in maniera quasi “opprimente”, nonostante la difficoltà di comunicare con la figlia che non parla coreano, cercherà in tutti i modi di convincerla a rimanere in Corea. Il regista sembra saper cogliere i differenti stati d’animo dei protagonisti: da un lato un padre ubriacone, ma che dimostra sincera amarezza e non riesce a perdonarsi di aver dato la bambina in adozione, dall’altro la reazione della ragazza, a volte spietata e crudele che non sa, o forse non vuole, scusare i genitori per averla abbandonata al suo destino, in un paese del tutto estraneo alle loro tradizioni. Nel seguire la storia altalenante che accompagnerà la giovane, negli anni a seguire, si viene investiti da un sentimento di pura avversione nei suoi confronti dal momento che i comportamenti di Freddie risulteranno sempre caratterizzati da una evidente forma di aggressività e anaffettività, anche verso i vari uomini che la corteggiano e con i quali ha incontri sessuali effimeri e superficiali. Ma andando più nel profondo, piano piano risulterà più evidente che la ragazza nasconde in sé proprio un bisogno di affetto, di quello sincero però, che ricercherà verso l’unica in grado di darglielo. Davy Chou dirige con maestria degli attori eccezionali tra i quali spicca Ji-Min Park, al suo esordio come attrice, che interpreta alla perfezione il ruolo camaleontico di Freddie, ragazza a volte sensibile a volte dura e collerica, espressione di fragilità interiore che la protagonista cercherà in tutti i modi di tenere nascosta agli altri. Un film che all’inizio potrà destare qualche perplessità, ma che invece richiede la giusta predisposizione d’animo per arrivare ad apprezzarlo.
data di pubblicazione:15/05/2023
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da Antonella Massaro | Mag 13, 2023
I David di Donatello 2023 premiano le pellicole più rappresentative della scorsa stagione cinematografica, confermando molti dei pronostici, ma senza rinunciare a molte “prime volte”, alcune delle quali certamente non scontate.
Il David per il miglior film va alla “rivelazione” Le otto montagne Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersh che, dopo il successo a Cannes, trionfa anche in Italia. Il film italo-belga si aggiudica, poi, le statuette per la miglior sceneggiatura non originale, per la miglior fotografia e per il miglior suono.
Il miglior regista “si conferma” Marco Bellocchio, per Esterno notte, che regala anche il (prevedibile) premio per il miglior attore protagonista a Fabrizio Gifuni, per la sua interpretazione di Aldo Moro.
Una sorpresa rispetto ai pronostici, invece, è il premio per le migliori interpretazioni femminili. La miglior attrice protagonista è Barbara Ronchi per Settembre di Giulia Steigwalt, mentre il David per la migliore attrice non protagonista si lo aggiudica Emanuela Fanelli per Siccità di Paolo Virzì.
Un entusiasta Francesco di Leva si aggiudica invece la statuetta per la miglior interpretazione maschile da non protagonista in Nostalgia di Mario Martone.
La miglior regista esordiente è Giulia Steigwalt, per Settembre.
La miglior sceneggiatura originale è quella de La stranezza di Roberto Andò
La cerimonia di premiazione, condotta da Carlo Conti e Matilde Gioli, è (forse troppo) essenziale e, a tratti, meramente didascalica.
Tra i momenti più significativi della serata deve certamente segnalarsi il David di Donatello alla carriera a Marina Cicogna, mentre il versante più “glamour” è segnato dal premio alla miglior canzone originale, vinto da Proiettili (per il film Ti mangio il cuore) e ritirato dalle due interpreti Elodie e Joan Thiele.
L’obiettivo fondamentale è quello di riportare il pubblico in sala, dopo la lunga pausa imposta dal Covid e le abitudini sociali che sembrano essersi modificate in maniera più radicale di quanto, forse, non si sia disposti ad ammettere. Non passano inosservate, quindi, le parole di Lucia Borgonzoni, sottosegretaria del Ministero della Cultura, la quale annuncia un investimento da parte del governo di 20 milioni di euro a sostegno del cinema, per effetto del quale tutti i film italiani ed europei potranno essere visti con un biglietto da 3,50 euro da metà giugno fino a metà settembre.
Tra i tanti ringraziamenti, più o meno “istituzionali”, che si sono succeduti sul palco dei David di Donatello 2023, le parole di Fabrizio Gifuni interpretano bene il sentimento del cinema, visto tanto dalla parte degli artisti quanto, forse, da quella del pubblico: ringrazio la mia lentezza, la mia fragilità, ringrazio il gioco, la fantasia, l’immaginazione che sono i grandi antidoti a questi tempi così aggressivi e molto decadenti.
Ecco, qui di seguito, tutte le candidature e i premi!
Miglior film
Miglior regia
- Marco Bellocchio (Esterno Notte)
- Gianni Amelio (Il Signore delle Formiche)
- Roberto Andò (La Stranezza)
- Felix Van Groeningen & Charlotte Vandermeersh (Le Otto Montagne)
- Mario Martone (Nostalgia)
Miglior esordio alla regia
- Carolina Cavalli (Amanda)
- Jasmine Trinca (Marcel!)
- Niccolò Falsetti (Margini)
- Giulia Louise Steigerwalt (Settembre)
- Vincenzo Pirrotta (Spaccaossa)
Miglior sceneggiatura originale
- Astolfo (Gianni Di Gregorio, Marco Pettenello)
- Chiara (Susanna Nicchiarelli)
- Esterno Notte (Marco Bellocchio, Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino)
- Il Signore delle Formiche (Gianni Amelio, Edoardo Petti, Federico Fava)
- L’Immensità (Emanuele Crialese, Francesca Manieri, Vittorio Moroni)
- La Stranezza (Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso)
Miglior sceneggiatura non originale
- Bentu (Salvatore Mereu)
- Brado (Massimo Gaudioso, Kim Rossi Stuart)
- Il Colibrì (Francesca Archibugi, Laura Paolucci, Francesco Piccolo)
- Le Otto Montagne (Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersh)
- Nostalgia (Mario Martone, Ippolita Di Majo)
Miglior attrice protagonista
- Benedetta Porcaroli – Amanda
- Margherita Buy – Esterno notte
- Penelope Cruz – L’immensità
- Barbara Ronchi – Settembre
- Claudia Pandolfi – Siccità
Miglior attore protagonista
- Fabrizio Gifuni – Esterno notte
- Luigi Lo Cascio – Il signore delle formiche
- Ficarra e Picone – La stranezza
- Alessandro Borghi – Le otto montagne
- Luca Marinelli – Le otto montagne
Migliore attrice non protagonista
- Giovanna Mezzogiorno – Amanda
- Daniela Marra – Esterno notte
- Giulia Andò – La stranezza
- Aurora Quattrocchi – Nostalgia
- Emanuela Fanelli – Siccità
Miglior attore non protagonista
- Fausto Russo Alesi – Esterno notte
- Toni Servillo – Esterno notte
- Elio Germano – Il signore delle formiche
- Filippo Timi – Le otto montagne
- Francesco Di Leva – Nostalgia
Miglior produttore
- Esterno Notte (Lorenzo Mieli, Simone Gattoni)
- La Stranezza (Angelo Barbagallo, Attilio De Razza)
- Le Otto Montagne (Wildside, Rufus, Menuetto, Pyramide Productions, Vision Distribution, Elastic, Canal+, Ciné+, Sky)
- Nostalgia (Medusa Film, Maria Carolina Terzi, Luciano e Carlo Stella, Roberto Sessa, Angelo Laudisa)
- Princess (Carla Altieri, Roberto De Paolis, Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Viola Prestieri, Rai Cinema)
Miglior fotografia
- Esterno notte – Francesco Di giacomo
- I racconti della domenica, La storia di un uomo perbene –Giovanni Mammolotti
- La stranezza – Maurizio Calvesi
- Le otto montagne – Ruben Impens
- Nostalgia – Paolo Carnera
Miglior compositore
- Esterno notte – Fabio Massimo Capogrosso
- Il pataffio – Stefano Bollani
- La stranezza – Michele Braga, Emanuele Bossi
- Le otto montagne – Daniel Norgren
- Siccità – Franco Piersanti
Miglior canzone originale
- Se mi vuoi – Diodato (Diabolik – Ginko all’attacco!)
- Caro amore lontanissimo – Marco Mengoni (Il colibrì)
- Culi culagni – Stefano Bollani (Il pataffio)
- Margini – Niccolò Falsetti (La palude)
- Proiettili – Elodie e Joan Thiele (Ti mangio il cuore)
Miglior scenografia
- Giada Calabria, Loredana Raffi – La stranezza
- Andrea Castorina, Marco Martucci, Laura Casalini – Esterno notte
- Marta Maffucci, Carolina Ferrara – Il signore delle formiche
- Massimiliano Nocente, Marcella Galeone – Le otto montagne
- Tonino Zera, Maria Grazia Schirippa, Marco Bagnoli – L’ombra di Caravaggio
Migliori costumi
- Maria Rita Barbera – La stranezza
- Daria Calvelli – Esterno notte
- Massimo Cantini Parrini – Chiara
- Valentina Monticelli – Il signore delle formiche
- Carlo Poggioli – L’ombra di Caravaggio
Miglior trucco
- Paola Gattabrusi, Lorenzo Tamburini – Il colibrì
- Enrico Iacoponi – Esterno notte
- Federico Laurenti, Lorenzo Tamburini – Dante
- Luigi Rocchetti – L’ombra di Caravaggio
- Esmé Sciaroni – Il signore delle formiche
Miglior acconciatura
- Desiree Corridoni – L’ombra di Caravaggio
- Alberta Giuliani – Esterno notte
- Samantha Mura – Il signore delle formiche
- Rudy Sifari – La stranezza
- Daniela Tartari – L’immensità
Miglior montaggio
- Esmeralda Calabria – La stranezza
- Francesca Calvelli con la collaborazione di Claudio Misantoni – Esterno notte
- Nico Leunen – Le otto montagne
- Simona Paggi – Il signore delle formiche
- Jacopo Quadri – Nostalgia
Miglior suono
- Gaetano Carito, Lilio Rosato, Nadia Paone – Esterno notte
- Emanuele Cecere, Silvia Moraes, Giancarlo Rutigliano – Nostalgia
- Emanuele Cicconi, Mimmo Granata, Alberto Bernardi – Il signore delle formiche
- Carlo Missidenti, Marta Billingsley, Gianni Pallotto – La stranezza
- Alessandro Palmerini, Alessandro Feletti, Marco Falloni – Le otto montagne
Migliori effetti visivi
- Alessio Bertotti – Dampyr
- Massimo Cipollina – Esterno notte
- Marco Geracitano – Siccità
- Rodolfo Migliari – Le otto montagne
- Simone Silvestri, Vito Picchienna – Diabolik – Ginko all’attacco!
Miglior documentario
- Il cerchio di Sophie Chiarello
- In viaggio di Gianfranco Rosi
- Kill Me If You Can di Alex Infascelli
- La timidezza delle chiome di Valentina Bertani
- Svegliami a mezzanotte di Francesco Patierno
Miglior film internazionale
- Bones and All
- Elvis
- Licorice Pizza
- The Fabelmans
- Triangle of Sadness
David Giovani
- Corro da te
- Il colibrì
- L’ombra di Caravaggio
- La stranezza
- Le otto montagne
da Antonio Iraci | Mag 10, 2023
La quattordicesima domenica del tempo ordinario, secondo l’anno liturgico, è quella che segue la Quaresima e anticipa l’Avvento. In quel tempo forse succedono grandi cose anche per la vita dei giovani protagonisti, Samuele e Marzio che, in una Bologna degli anni Settanta, decidono di formare il duo i Leggenda. Poi entra in scena la bellissima Sandra: tutto sembra andare per il giusto verso quando improvvisamente si spezza il filo sottile che unisce i tre e ogni cosa esplode come in una bolla di sapone…
Pupi Avati, reduce dai successi ottenuti con Lei mi parla ancora, protagonisti di indiscussa bravura Renato Pozzetto e Stefania Sandrelli, e a seguire Dante, che ha molto diviso la critica ma che ha comunque riscosso l’approvazione da parte del pubblico, si presenta ora con un film drammatico che ha suscitato in molti pesanti perplessità. Probabilmente perché da un maestro del cinema come Avati, per quanto poliedrico possa essere, le aspettative sono sempre alte. La storia accompagna i protagonisti da una fase adolescenziale a quella più matura della presa di coscienza dei propri fallimenti, sia professionali che affettivi in senso stretto. I Leggenda, hanno un breve momento di gloria quando arrivano quarti al Festival di Castrocaro, superando persino i Dik Dik di Sognando la California, ma dopo essere stati scartati da Sanremo, tutto sembra ormai destinato all’oblio. L’avvenente Sandra, pur conquistata in modo singolare da Marzio, che riesce persino a sposarla, non vuole rinunciare alla carriera di indossatrice. Un miscuglio di pensieri affollano la mente di Marzio, ricordi di un passato che forse sarebbe meglio dimenticare, abbandoni e ripiegamenti per sfuggire ad un destino avverso per poi ritrovarsi in vecchiaia con un pugno di mosche, senza sapere cosa fare per sbarcare il lunario.
Ma, nonostante il ripescaggio di attori di un certo calibro quali Gabriele Lavia, Edwige Fenech, di un improbabile Massimo Lopez, e nonostante il tentativo di lancio di Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo e Nick Russo, gli stessi personaggi da giovani, il film stenta a decollare, anzi si va ad arenare proprio in quelle scene in cui l’aspetto drammatico avrebbe dovuto dare un maggiore sferzata emotiva all’intera storia. Forse troppa carne al fuoco con un risultato poco credibile anche se il regista bolognese si lascia andare a tratti autobiografici, confidandoci i suoi momenti poco felici, costellati da malinconia e insuccessi. Un film datato nelle immagini e ancor più nei contenuti, e se non tutte le ciambelle riescono col buco, forse questo film è una di quelle.
data di pubblicazione:10/05/2023
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da Antonio Iraci | Mag 10, 2023
(Teatro India – Roma, 9/14 Maggio 2023)
Un orologio luminoso segna il trascorrere inesorabile del tempo. Per Masa, Irina e Olga, le tre sorelle, tutto rimane invece sospeso nel ricordo di un passato, i cui contorni si stanno comunque sbiadendo per non lasciare più alcuna traccia. Per sfuggire a una vita mediocre, in una cittadina di provincia dove ora vivono, nutrono il comune desiderio di trasferirsi a Mosca, loro città di nascita. Le vicende che seguiranno renderanno questo sogno irrealizzabile…
Per il celebre scrittore e drammaturgo russo, in questa penultima opera del suo vasto patrimonio letterario lasciatoci in eredità, sembra che il tempo sfugga di mano: un passato che è passato, un futuro quanto mai incerto e un presente inconsistente. Le tre sorelle si interrogano sul senso della vita e sui loro progetti che convergono solo su un punto: il ritorno alla loro amata Mosca, da anni lontana nei fatti che le hanno portate a vivere un’esistenza grigia e senza entusiasmo. Il loro è un mondo quasi surreale fatto di desiderio, passione e aspettative destinate a rimanere irrisolte perché le vicende le hanno costrette, inesorabilmente, a scelte sbagliate e comunque insoddisfacenti. Gli altri personaggi sono da contorno e non appaiono mai sulla scena, pur avvertendone la presenza ingombrante, come quella del fratello Andrej, ragazzo molto colto destinato a un futuro brillante da intellettuale. Il compleanno di Irina, l’anniversario della morte del padre, un carnevale con ballo in maschera che verrà con un pretesto annullato, un incendio che scuote l’intera famiglia questi e altri eventi portano le tre sorelle ad interrogarsi sul perché di tante avversità e su cosa ne sarà di loro quando tra cento, forse mille anni, ogni ricordo sarà svanito. Ecco che questo vuoto esistenziale dei personaggi lascerà spazio solo a una frustrante rassegnazione, ogni velleitarismo verrà sacrificato e il ritorno a Mosca svanirà. Le tre attrici sulla scena sono Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli unite da movimenti spasmodici che le rendono quasi eteree, fluttuanti in un interno semplice e decoroso, mentre sullo sfondo si intravede il bosco di betulle che avvolge l’intera casa dove si svolge l’azione. Le musiche che accompagnano sono curate dal vivo da Lorenzo Tomio, suoni cadenzati che possono risultare a volte opprimenti quasi a segnare un tempo ritmico e inarrestabile. Le luci stroboscopiche, con la direzione tecnica di Maria Elena Fusacchia, contribuiscono a rendere discontinuità ai movimenti e creano un ambiente a volte quasi psichedelico, funzionale a sottolineare lo stato d’animo generale. Una trasposizione ben riuscita che riesce a coinvolgere sin dal primo momento il pubblico che ha apprezzato e accolto con entusiasmo l’ottima interpretazione delle tre protagoniste. Ha collaborato alla produzione Amat & Teatri di Pesaro per Pesaro 2024, Capitale Italiana della Cultura.
data di pubblicazione:10/05/2023
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Mag 10, 2023
(Teatro al Parioli – Roma, serata evento, 9 maggio 2023)
Nel vuoto della politica perché non fondare un partito che ne riassuma tutti i logori luoghi comuni? Tenta l’impresa Gene Gnocchi con il suo umorismo cosmico e strisciante, fatto di picchi surreali con ovvie risate.
Dalla Leopolda alla Bernarda. Sotto la bandiera del nulla cosmico quel raffinato umorista di testa e non di pancia che è Gene Gnocchi riassume in un’ora e mezzo l’improvvisato e pasticciato programma elettorale di una nuova immaginaria fazione politica che mira a fare a pezzi le concrezioni precedenti. Ovviamente è l’innesco per prendere in giro il mondo. E così ci sono soluzioni per la sanità, per i trasporti (con l’abolizione del traffico ferroviario in ragione di un unico treno universale), per la sanità, per la scuola, per gli anziani, in una sorta di abbecedario revisionista di indubbio impatto. Gnocchi lascia al pubblico la scelta tra due possibili inni. E, guarda caso, sono ambedue mutuati da Forza Italia anche se stravolti con un testo diverso. Vince: “Meno male che Gene c’è”. Gli fa da spalla Cassani a cui raccomanda sempre di non andare fuori copione. E’l’uomo degli effetti speciali quando Gnocchi con buona intonazione canta e si richiama agli U 2 oppure ricorda la sua fantomatica adesione ai Pink Floyd sia pure in forza di un contratto a termine e prima che questi si mettessero a disposizione per suonare nei matrimoni. La convention ha un sottofondo onesto nell’enunciazione del programma elettorale: “Non manterremo le promesse ma almeno noi ve lo diciamo prima”, E ci sono strali per tutti i partiti indifferentemente anche se si manifesta una leggera predilezione per il Partito Democratico. Gradimento leggero e dispotico prima di tornare nell’attuale al vero nulla cosmico della politica reale.
data di pubblicazione:10/05/2023
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Mag 9, 2023
Un delizioso piccolo film che ricostruisce un giallo funzionale ambientato nel 1935. Impeccabile sceneggiatura su un delitto inventato a scopo pubblicitario. I nodi però vengono al pettine quando si palesa la vera assassina in un regolamento di conti che, per l’abilità della protagonista, torneranno comunque tutti a posto.
Si rimprovera a Ozon l’eccessiva frettolosità con cui licenzia i propri film, al ritmo di uno all’anno. Ma se il risultato è questo, il difetto diventa un pregio per la sobrietà con cui tesse una tela a incastro per un avvincente plot in cui le carte sono scoperte fin dall’inizio. La Francia pre-guerra respira un clima euforizzante dove anche la povertà non viene vista con sofferenza. E le risorse per uscire da quella condizione son ben vive nella mente di una ragazza che sembra non avere né arte né parte ma consolida un piano che la porterà all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale. Però quanto tutto sembra procedere a gonfie vele (debiti sistemati, nuova abitazione, popolarità consolidata) irrompe sulla scena una stagionata attrice del muto (Isabelle Huppert) che vuole riprendersi quanto le è stato tolto, cioè la responsabilità del delitto. Non ci addentreremo nella descrizione delle schermaglie ma basti dire che tutti i personaggi principali trovano una soluzione e con essi la dirittura finale di un film coerente, bizzarro, piacevole, fantasioso e frizzante. Con grandi attori di Francia trasformati al trucco per le mode di quasi un secolo fa. Certo che la settantenne Huppert quando fa irruzione nella storia, terremotandola, ci fa capire come sia un mito attoriale che non tramonta. E’ come se dicesse agli altri: “Scansatevi, che ora tocca a me”. Nel film ma anche nella fruizione goduta dello spettatore. Con malizia questo film mette al bando ipocrisia, pruderie e politicamente corretto di una società in fermento e in grande evoluzione di un secolo che poi non è stato tanto breve.
data di pubblicazione:09/05/2023
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da Daniele Poto | Mag 8, 2023
Una slapstick comedy alla francese che attraversa ad escludendum diversi generi. Non è un film politico, non è una pellicola sul terrorismo, piuttosto è un divertissement sull’amore folle e spavaldo di un giovane ordinario per una passeggiatrice che, se se non fosse un oltraggio al politicamente corretto, si definirebbe ninfomane per come si diverte a etichettarla il regista.
Mèlange di genere per un tentativo inconsueto e sfrontato di rappresentare varie facce della schizofrenia contemporanea nell’apparentemente placida Clermont Ferrand. Un atto terroristico confonde i piani amorosi di un protagonista incredibilmente preso da una mondana con venti anni di più sul groppone. Amore torbido, anche per la gelosia irrefrenabile del marito, ma che si scatena nei luoghi più impensabili, compreso il confessionale di una chiesa e con grande ausilio di gemiti e di rumorosi commenti. Candidamente i due si offrono a una serie di nudi e di diverse posizioni (ma non c’è alcuna pulsione pornografica dell’autore) mentre la loro attrazione si scontra con il bisogno di un’ospitalità di un giovane arabo che forse è omosessuale o forse no visto che finisce col fare l’amore con la donna a pagamento, disponibile per quasi tutti, sfruttando i pochi minuti a disposizione. Plot divertente, sbarazzino che nel finale si avviluppa in un crescendo di complicazioni un po’ troppo casuali. Meritoria la descrizione della violenza ricattatoria della banlieue. I vicini di casa inizialmente scettici prima diventano ospitalissimi anfitrioni, poi, come se entrassero, in un videogioco si armano di tutto punto scatenando l’inferno. In definitiva la tragedia del Bataclan è lontana dai climi descritti ma poi neppure troppo. E le facce degli attori sono valido specchio per le intenzioni satireggianti dell’autore. Film di nicchia che non annoia mai. Più che di genere, degenere.
data di pubblicazione:08/05/2023
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da Maria Letizia Panerai | Mag 5, 2023
Il più “morettiano” dei film di Moretti ci traghetta in un mondo nostalgico ma non malinconico, fatto di una “minoranza” felice a cui, se si vuole, ci si può idealmente unire sul finale: una sorta di porzione eterogenea di popolazione che continua a sperare in un presente che abbia ancora una sua forte identità, in cui ognuno possa vivere con uno stile tutto proprio nella consapevolezza che le proprie radici affondano in un passato glorioso che, seppur molto lontano, non bisogna mai dimenticare.
Nanni lascia i panni dell’alterego Michele Apicella per vestire quelli di Giovanni, un regista che crede ancora nel cinema, che vive nella magia e nei riti che lo accompagnano, e che rifiuta le piattaforme come forme alternative ad esso. Il suo produttore è sull’orlo del fallimento e lui non si decide a finire il suo film ambientato a Roma nel 1956 nella sezione del Partito Comunista del Quarticciolo durante l’invasione sovietica dell’Ungheria e che descrive l’attesa di Ennio, il segretario del circolo: questi attende che il partito palesi la sua posizione mentre sua moglie sodalizza immediatamente con la causa ungherese. Ma nei film di Moretti la finzione è realtà e viceversa e quindi i personaggi escono dal loro ruolo e gli attori diventano persone, con le loro idee che non sempre viaggiano all’unisono con quelle del regista: e mentre Vera-Barbora Bobulova vuole a tutti i costi inserire una storia d’amore tra lei e Ennio-Silvio Orlando in un film politico, nella mente di Giovanni, irritato da tanta irriverenza, si affollano i pensieri di altri due pellicole (una tratta da Il nuotatore di Cheever ed un’ altra con tante canzoni italiane) che gli piacerebbe girare e che sovente lo distolgono (seppur in maniera costruttiva) da tutto e da tutti. Nel frattempo sua moglie Paola, che sta andando senza dirglielo in analisi per trovare il coraggio di lasciarlo, è impegnata nella produzione del film di un giovane regista trentenne, astro nascente della cinematografia contemporanea, di cui Giovanni non ha alcuna stima; in tutto questo Emma, la loro unica figlia, decide di sposare un uomo molto più grande di lei.
Ma Moretti palesa immediatamente al pubblico con Il sol dell’avvenire da che parte preferisce stare e ne motiva ogni istante. Inizia così la sua “lotta” contro le piattaforme come Netflix, che chiudono il cinema in una scatola privandolo del suo “respiro”; contro i sabot, scarpe-non scarpe che identificano una “tragica visione del mondo”, una sorta di genere di vita più che una vera e propria scelta modaiola; sogna una storia d’amore con tante (e belle!) canzoni rigorosamente italiane; si infuria per la superficialità di una certa regia contemporanea (regalandoci una autentica lezione di cinema) che sceglie la spettacolarizzazione della violenza, invece di far provare allo spettatore disagio, orrore, fastidio innescando un messaggio sbagliato attraverso immagini sbagliate; e poi cita grandi registi come Fellini e grandi interpreti come Anthony Hopkins, e fa un compendio di tutta la sua cinematografia da Bianca a La messa è finita, da Palombella Rossa a Caro diario, dicendo in allegria tutto quello che gli piace dire non più da splendido quarantenne, ma con la consapevolezza di uno splendido quasi settantenne. E Roma appare in tutta la sua bellezza, a cui il regista si dichiara incondizionatamente. Il film è in concorso a Cannes 2023.
data di pubblicazione:05/05/2023
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da Daniele Poto | Mag 5, 2023
(Teatro Vittoria – Roma, 2/7 maggio 2023)
Focus su un episodio oscuro della Liberazione, pubblicizzato dal film La Ciociara con Sofia Loren. Le nefandezze in libertà dei marocchini sulle donne del Basso Lazio: violentate, uccise, bistrattate in 50 ore di follia, regolarmente permesse dalle autorità.
Ciociara 1944. La guerra vista dal racconto affabulatorio e dialettale del pastore locale Angelo che parlando della vita di tutti i giorni s’imbatte nello zoccolo duro discorsivo degli abusi dei Goumiers, i mercenari marocchini che inferiscono sulla popolazione con particolare riferimento all’accanimento sulle donne. Stupri, furti e razzie in due giorni purtroppo indimenticabili. Anche la compagna del narratore subisce la stessa sorte e come si può immaginare la descrizione è cruda ma non oscena. Per chi ha paura di avvicinarsi allo spettacolo aggiungiamo che c’è sobrietà e non compiacimento descrittivo. Potrebbe essere un episodio di Rai storia e non è casuale l’incursione e l’interessamento di Enzo Biagi la cui voce viene fatta ascoltare in registrata come altre che in precedenza scandiscono le tappe della tragedia. Spettacolo breve ma intenso che compendia tre intelligenze: quelle degli autori Cristicchi e Vincenti, quella del regista Nicola Pistoia. Ma di suo Vincenti aggiunge spontanea ed efficacia nella recitazione con una particolare lode al suo calarsi nel complicato slang ciociaro, riabilitato nel finale dall’inflessione romana, quando interpreta un parente del narratore. Una forma di teatro civile interessante, purtroppo disertata dai giovani. Convince lo sguardo disincantato e derisorio anche sui liberatori americani che regalano cioccolata ma a Roma e non in provincia di Frosinone. Sembra un richiamo-apologo alla guerra attuale. Indubbiamente c’è un aggressore ma nel contesto di una guerra in corso si perdono i contorni dei buoni e dei cattivi. Finché non si parla di pace sono tutti cattivi. Questa proposta gira l’Italia dal 2016 con intatto successo.
data di pubblicazione:05/05/2023
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Mag 5, 2023
(Altrove Teatro Studio – Roma, 30 aprile 2023)
Fatmachine di Matteo Francomano vince la seconda edizione di PROSIT!, il concorso ideato dall’Altrove Teatro Studio. Uno spazio creativo che premia le giovani compagnie emergenti del teatro italiano, ideato e curato da due tenaci e carismatici artisti, Ottavia Bianchi e Giorgio Latini.
Anzitutto l’Altrove Teatro Studio di via Giorgio Scalia 53 a Roma è un luogo dove l’entusiasmo creativo e la seria formazione sono messi al primo posto. Un luogo dove il teatro è mestiere, preparazione, ubertosa passione, azzardo. E se anche registrasse l’esito del fallimento (perché questo è il rischio che si corre a volte quando si affronta un percorso contemporaneo di drammaturgie e messe in scena) il merito rimane comunque quello di vedere la prova come un atto di coraggio e quindi come una vittoria già perseguita.
Percorrendo la rampa in discesa che porta al cortile dove si affacciano le sale dell’Associazione di promozione sociale “I pensieri dell’Altrove”, fondata e diretta dal 2012 da Ottavia Bianchi e Giorgio Latini, si respira già un’aria elettrizzante di attesa e curiosità. Non scoraggia la pioggia che la sera di domenica 30 aprile cade incessante come fosse novembre. La serata in programma chiude il cartellone di questa stagione.
Sul palco sono stati presentati quattro corti teatrali, della durata di poco più di dieci minuti l’uno, scelti tra tutti i lavori inviati al teatro da quelle compagnie emergenti nella scena italiana che hanno voluto confrontarsi con il genere della prosa. Il vincitore è stato decretato da una giuria di esperti insieme a un pubblico giovanissimo presente in sala, chiamati a esprimere la propria preferenza su una scheda di valutazione che poi è stata consegnata allo staff del teatro. Patrizia Ciabatta ha presentato con simpatica e trascinante energia la serata.
Tra i lavori proposti la menzione come miglior testo è andata a Tre giorni di Federico Malvaldi, che affronta con nero umorismo il delicato tema della malattia e delle complesse relazioni che si stabiliscono tra chi assiste e chi è assistito. Silvia Rossetti è invece l’autrice di La danza delle api, dove il mondo degli adulti e quello dei ragazzi è messo a confronto nello studio di una psicologa che indaga le ragioni dell’autolesionismo di Minerva, la sua giovane paziente. Matteo Santinelli trascina lo spettatore nell’atmosfera inquietante dei bagni di una scuola dove una ragazza cerca di dissuadere due studenti dal preparare un attentato; Giganti piccoli piccoli riflette un tema attuale, che riporta alla mente le tristi notizie fin troppo frequenti delle sparatorie che colpiscono le scuole americane.
A vincere il premio del pubblico e della giuria come miglior testo e messa in scena è stato però Fatmachine del giovane attore e autore palermitano (classe 1992) Matteo Francomano. Il monologo, portato in scena da Eleonora Bernazza, tratta con coinvolgente ironia e sicura intelligenza teatrale l’obesità di Gigi, costretto a sfidare l’impossibile – soprattutto estenuanti sedute in palestra – per entrare, anche fisicamente, in un mondo che forse sta stretto un po’ a tutti. Il premio vinto da Francomano è ricco poiché somma il gradimento della giuria e del pubblico. Lo vedremo debuttare quindi nella prossima stagione teatrale dell’Altrove Teatro Studio 2023/2024.
Quando ci si prefissa di rappresentare la realtà nelle sue molteplici angolazioni il traguardo si raggiunge sempre. E il teatro, si sa, è quel luogo dove le storie prendono corpo. Le storie che ci raccontano chi siamo e che ci indicano dove siamo diretti.
data di pubblicazione:05/05/2023
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