V’ANGELO, il Vangelo secondo le donne

V’ANGELO, il Vangelo secondo le donne

uno spettacolo diretto da Simone Toni, con Ippolita Baldini, Federica Castellini, Francesca  Porrini. Produzione Teatro de Gli Incamminati

(Teatro De’ Servi – Roma, 26 novembre/1° dicembre 2024)

Irriverente rivisitazione in chiave femminile (ma non femminista) con rielaborazione dei personaggi ovviamente più vicini a Gesù, a partire da Maria, Maddalena e la samaritana. Borderline tra lo sberleffo e la blasfemia. La secolarizzazione fa si che passi tutto tra fragorose e scroscianti risate del pubblico. Saremmo in forte imbarazzo a gustarci il lazzo davanti a un religioso.

Fanno i salti mortali le tre affiatati attrici nella rilettura dei Vangeli che supponiamo rigorosa quando espongono giustappunto i passi dell’opera base.  Cento minuti di esibizione con congruo impegno fisico e necessario rispetto dei tempi di interazione dialogica.  La cornice è il mondo moderno, fatto di nevrosi, di convulse telefonate da adeguati smartphone. Teatro pieno fino all’ultima poltrona per l’ultima replica, segno che il passaparola all’insegna del gradimento ha funzionato. L’idea canzonatoria dei Monty Python è immersa in salsa romana. Ma c’è anche un uomo in scena che non è il Cristo invano evocato in una chiamata che mette l’accento sulla sua assenza. É un Ponzio Pilato provolone che, secondo tradizione, si lava le mani, salvo ricorrere al ballottaggio Gesù-Barabba. Scenografia essenziale con panchina LBGT, ideale contenitore per i regali dispensati a Maria in vista del lieto quanto imprevisto evento. Trama originale fatta di un affastellamento di spunti sviluppati in ordine cronologico fino al ben noto epilogo. Curioso l’impatto tra la commedia leggera, la profondità dei tempi trattati, i Vangeli e la Bibbia.  Dunque coefficiente di un cocktail ad alto rischio. Il mondo problematico di oggi si confronta con il dramma di ieri per cercare di produrre un messaggio di amore universale nel segno di Maria che non è solo puro strumento del mistero della fede.

data di pubblicazione:2/12/2024


Il nostro voto:

VORREI UNA VOCE di e con Tindaro Granata

VORREI UNA VOCE di e con Tindaro Granata

disegno luci Luigi Biondi, costumi Aurora Damanti, assistente alla regia Alessandro Bandini, produzione LAC Lugano Arte e Cultura in collaborazione con Proxima Res

(in tournée)

Tindaro Granata si fa portavoce in scena di chi una voce non ce l’ha, di chi è troppo lontano da tutto per poter essere ascoltato. Voce di donne che non hanno più la spensieratezza e la libertà per sognare. Racconta le storie di cinque detenute nella Casa Circondariale di Messina, frutto di un lavoro iniziato nel 2019 nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi diretto da Daniela Ursino, che ha visto in scena nel teatro del carcere prima le detenute-attrici e ora, in forma di monologo, l’attore siciliano. (foto di Masiar Pasquali)

Sono storie di madri, di figlie, di mogli quelle che si fa carico di raccontare Tindaro Granata. Donne la cui colpa è spesso quella di aver dato fiducia all’uomo sbagliato, imbrigliate nella morsa di una famiglia che le ha trattenute come filo spinato. Storie di donne abusate, raggirate, truffate che stanno scontando una pena per la quale sono state già condannate e con cui Granata, che racconta anche la sua di storia, invita a empatizzare. Chiama in causa lo spettatore chiedendogli di lasciare da parte il giudizio, per prendere coscienza di una condizione sconosciuta e lontana. Una condizione resa ancora più aspra da un meccanismo di regole e proibizioni del sistema detentivo che ha tra le prime conseguenze per le detenute l’inibizione della femminilità e la libera espressione del proprio essere.

Le canzoni di Mina cantate in playback sono il trucco di finzione dietro il quale si maschera la paura di doversi raccontare, prima di tutto a sé stesse. Proponendo un gioco che Granata faceva da bambino, i testi mimati diventano un veicolo per far venire fuori le emozioni, per tornare a sognare. Immedesimarsi con il personaggio di Mina è tentare di restituire quel senso di femminilità che le sbarre hanno fatto dimenticare.

Le luci di Luigi Biondi evocano le personalità assenti delle detenute, restituite anche nell’imitazione di movenze e dialetti da Granata. Pulsano sul volto dell’attore con il ritmo di un respiro. Sono una polvere luminosa che si stacca dagli abiti fatti di paillettes di Aurora Damanti e cade a terra, lasciando il riverbero di un sogno da recuperare, da riformulare.

Tindaro Granata trasmette un grande rispetto per le storie che racconta. Se ne prende cura, con gentilezza e sensibilità. Lo spettacolo è un omaggio a queste esistenze e a tutti coloro che hanno smesso di sognare. Ma soprattutto è un omaggio al teatro, come mezzo che attraverso l’illusione del “far finta di”, restituisce una libertà negata.

data di pubblicazione:1/12/2024


Il nostro voto:

DOSTOEVSKIJ di Damiano e Fabio D’Innocenzo – serie su sky , 2024

DOSTOEVSKIJ di Damiano e Fabio D’Innocenzo – serie su sky , 2024

Il detective Enzo Vitello è a capo delle indagini che seguono gli spietati omicidi di un serial killer a cui hanno dato il nome Dostoevskij. Alla base di questa scelta c’è il fatto che, dopo ogni esecuzione, l’omicida lascia una lettera in cui manifesta la sua cupa visione del mondo. La polizia cerca di interpretare questi messaggi criptici per costruire un identikit credibile che possa rivelare la personalità dell’assassino…

Dopo il successo di Favolacce, presentato alla Berlinale nel 2020 e premiato per la migliore sceneggiatura, i fratelli D’Innocenzo si presentano con una serie televisiva. In anteprima mondiale al Festival di Berlino di quest’anno, è stata proposta per pochi giorni al cinema, prima di andare ora su Sky. Ancora una volta i due enfant prodige del cinema italiano si trovano impegnati in qualcosa che va al di là di ogni plausibile aspettativa. La trasgressione, in tutte le forme immaginabili, sembra essere il punto di forza di questi giovani registi, per niente convenzionali. Probabilmente condizionati dalle proprie origini, i D’Innocenzo amano descrivere un’umanità di disadattati che vivono in miseria estrema, ai margini della società. Anche in questa storia troviamo che i personaggi coinvolti devono fare i conti con la propria realtà nel tentativo di rappacificarsi con un passato scomodo.

Il racconto tiene ovviamente conto della figura di un killer seriale, ma ciò in cui si concentra l’attenzione riguarda il personaggio del poliziotto (Filippo Timi). Decisivo il suo ruolo, di padre fallito e assente, nei confronti della figlia (Carlotta Gamba), oramai tossica all’ultimo stadio. Proprio questo tentativo di recupero di un rapporto irrecuperabile è ciò che tiene sveglio l’interesse dello spettatore. Il killer da protagonista diventa a questo punto l’attore secondario della scena. L’unica immagine di lui ci arriva tramite le sue lettere, lasciate accuratamente accanto ai cadaveri. Si manifesta un palese disadattamento sociale dove si concretizzano quelle che gli stessi registi definiscono “le estreme conseguenze di essere vivi”. In Dostoevskij ritroviamo di tutto e, tra squallore e degrado estremo, anche gli archetipi di una società oramai alla deriva. Si rimane conquistati dalla recitazione di Carlotta Gamba dove a Berlino era presente anche nel film in concorso Gloria. Con la sua figura eterea, risulta difficile immaginarla nel ruolo di una ragazza istintiva, con una grande fragilità e con un enorme trauma da superare.

data di pubblicazione:30/11/2024

 

LEGGERE LOLITA A TEHERAN di Eran Riklis, 2024

LEGGERE LOLITA A TEHERAN di Eran Riklis, 2024

Dopo pochi mesi dalla caduta dello scià e dall’inizio della rivoluzione khomeinista, la professoressa di letteratura inglese Azar Nafisi e il marito tornano in patria. Sono fiduciosi che la storia del paese cambierà in meglio e Azar è piena di entusiasmo nell’iniziare i propri corsi presso l’università di Teheran. Ben presto si accorgerà che il regime islamico degli Ayatollah avrà un atteggiamento molto ostile. Rigido verso l’emancipazione delle donne e verso ogni riferimento alla cultura occidentale, intesa come contraria alla decenza e alla fede religiosa…

Eran Riklis è un regista israeliano e quindi addentro le problematiche, non poche, del suo paese. Tuttavia in questo lavoro riesce perfettamente a rendere ciò che significa vivere in Iran dopo l’avvento della rivoluzione. Il film è tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Azar Nafisi, scritto dopo la sua fuga, insieme alla sua famiglia, negli Stati Uniti. Riklis fa un’analisi cruda dell’atmosfera cupa in cui vivevano, e ancora vivono, le donne in quella realtà. Azar (Golshifteh Farahani) insegna all’Università e cerca in tutti i modi di far appassionare i propri studenti alla letteratura contemporanea di lingua inglese. Mentre gli uomini accettano malvolentieri i suoi suggerimenti, ritenendoli contrari ai principi religiosi islamici, le donne invece approvano con vero trasporto quegli autori stranieri. La lettura di quei libri, nonostante proibita e condannata perfino con la pena di morte, sarà per loro una forma di ribellione al regime.

Leggere Lolita a Teheran sarà anche un atteggiamento di emancipazione dalla cultura maschilista che vieta alle donne ogni forma di espressione. Azar sarà costretta a lasciare l’Università e a continuare il suo insegnamento a casa con le sue allieve più promettenti. Leggere Nabokov o Jane Austen, rischiando la propria vita, diventa così l’unico modo per sopravvivere a tutte quelle forme di violenza alle quali vengono sottoposte. Convinte della incapacità di ritornare alla normalità, a loro non resterà che fuggire verso paesi dove la libertà di pensiero è diritto irrinunciabile alla dignità. Quelle donne lasceranno l’Iran ma l’Iran non lascerà loro. Un film commovente, espressivo, vero che ci rende impotenti di fronte a una realtà impossibile da accettare e che ha scarse probabilità di cambiare. Se ne consiglia la visione.

data di pubblicazione:29/11/2024


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STUCKY serie gialla in 6 puntate su RAI DUE

STUCKY serie gialla in 6 puntate su RAI DUE

Presso la Questura di Treviso, che non si vede mai, opera in qualità di ispettore capo della Polizia, Stucky, versione veneta del tenente Colombo. La serie è ispirata ai romanzi di Fulvio Evras ed è tutt’ora in onda.

Il riferimento al tenente americano Columbo (da noi ribattezzato Colombo, perchè suona più familiare), autore di una sterminata serie di stagioni nasce dalla constatazione che già dalle prime immagini è noto il o la colpevole. Tutto il giocattolo ruota quindi sulle capacità deduttive del nostro poliziotto volte ad incastrare il cattivo di turno. Stucky svolge le sue indagini rilassate in un’ora, il che non è un merito da poco. Il personaggio calza perfettamente nell’abbondante figura di Giuseppe Battiston, ironico e distaccato quanto basta, ma non per questo meno efficace e plausibile. Stucky, il nome è di origini persiane, per via di padre, si aggira sornione per vicoli, bar e osterie, di una Treviso spesso fotografata in notturni. Il meccanismo investigativo ribalta i normali canoni del thriller. Non ricorda né Montalbano, né Rocco Schiavone e, per fortuna, neanche il terribile ispettore Coliandro o altri svariati marescialli e marescialle delle tv nostrane, ma disegna un personaggio, curioso, “tignoso” alla ricerca della soluzione che lo spettatore conosce dall’inizio. Secondo la migliore tradizione RAI o dovrei dire dei giallisti di casa nostra. abbondano i personaggi di contorno. Ad affiancare un ispirato Stucky/Battiston abbiamo la bella e complice, Marina, medico legale interpretato con sobrietà da Barbora Bobulova e l’oste Secondo, alias Diego Ribon. Le trame sono ben orchestrate, lineari, direi di facile immediatezza narrativa. Non aspettatevi inseguimenti, sparatorie e nemmeno effetti speciali: si sa i budget Rai sono oculati, ma onestamente, in questo caso nemmeno sarebbero funzionali alla tipologia del personaggio. Stucky, infatti, si muove tranquillo, quasi pachidermico, nel suo impermeabile stazzonato, più incline al ragionamento e all’astuzia che non alle armi o agli inseguimenti o alla violenza. Il Veneto era già stato protagonista della serie, L’Alligatore, tratto dai romanzi di ben altro spessore di Massimo Carlotto, ma in tempi decisamente cupi, la versione di Stucky con i suoi ritmi lenti e la sua ironia ce ne offre una versione leggera ma mai banale. Visione rassicurante, quasi per famiglie. Alla regia si succedono, Valerio Attanasio e Matteo Visconti, su Rai2 ogni mercoledì altrimenti su Rai Play.

data di pubblicazione:28/11/2024

NON È IL PAESE DI DRACULA di Paolo Ciampi – edizioni Bottega Errante, 2024

NON È IL PAESE DI DRACULA di Paolo Ciampi – edizioni Bottega Errante, 2024

Un viaggio emozionale in Romania: dalla Transilvania al Mar Nero, cancellando vecchi luoghi comuni. Tipo la Disneyland allestita attorno al Conte Dracula, mito e leggenda locale, che attira gli americani con una location castellana imperniata su finzioni e facili ammiccamenti. In realtà Dracula è soprattutto un personaggio dell’omonimo libro di Bram Stoker, dunque figlio di una letteratura immaginifica. Ciampi, viaggiatore instancabile, ci fa vedere una Romania varia e diversa, viaggiando in modo naturale, su un pullman, senza accelerazioni e forzature. E’ il Paese da poco entrato nella Comunità Europea che ha spedito in Italia oltre un milione di connazionali in cerca di un futuro migliore, che ha recentemente promosso nella politica il pacifista di destra Georgescu, che frequenta un idioma latina molto vicino al nostro e cova secoli di storia e di frontiera, non ultima la coincidenza di seicento chilometri di confine con l’Ucraina a rischio. Ciampi ci fa vivere con partecipazione il percorso e quasi ci sentiamo compagni di viaggio nella condivisione delle esperienze, del culminare nell’affascinante delta del Danubio, verde e non blu dove la natura riprende il sopravvento prima dello sbocco al mare. Storia, geografia e folclore con qualche bagliore del passato regime di Ceasescu, ricordo di 35 anni fa. Immagine inedite, seminali, vive e non retoriche. Narrativa di viaggio instancabile, a tratti febbrile che sembra premesse a altre peregrinazioni. Mai abbandonando il tono leggero Ciampi comunque è rigoroso nell’accumulo di sensazioni e percezioni. Abbracciando con simpatia tutto quello che gli capita lungo il percorso. Bottega Errante si conferma l’editore più attento all’interessante sboccio di una bibliografia sui paesi dell’est. Di cui sappiamo sempre troppo poco. Da domani parleremo un po’ meno di Dracula e un po’ più delle aspirazioni attuali della Romania. Ricordandoci dell’oro trafugato dai romani nelle miniere locali e del tributo al Daci.

data di pubblicazione.28/11/2024  

IL NUOTATORE DI AUSCHWITZ, ispirato alla vera storia di Alfred Nakache

IL NUOTATORE DI AUSCHWITZ, ispirato alla vera storia di Alfred Nakache

tratto da “Uno psicologo nel lager” di Viktor E. Frank, con Raul Bova, testo e regia di Luca De Bei, disegno luci di Marco Laudando, contributi video di Marco Renda, musiche originali di Francesco Bova, aiuto regia Barbara Porta, costumi di Francesca Schiavon

(Teatro Il Parioli, Roma, 27 novembre/8 dicembre 2024)

Un sobrio e sommesso omaggio al nuotatore francese di origine ebraica che vide interrotta la propria carriera dal conflitto e dalla persecuzione razziale pur riuscendo, a titolo onorifico, a partecipare all’Olimpiade del 1948. Nuotatore come Bova che sguazza nel suo ambiente naturale.

Era atteso alla prova nella solitudine dell’attore solo in scena Raul Bova e la prova è superata, come una gara. Non era Don Matteo ma esame ben più severo. Non fanno storia lievi incespicature sul testo nel combinato disposto tra reading e memoria con una scenografia spoglia che poggia su musiche ridotte, l’oscillazione tra due leggii e contributi video che, saggiamente preferiscono non rievocare Auschwitz per non conferire un’attitudine ancora più punitiva al contesto. Al primo racconto di un’adolescenza serena e di un cammino sportivo per il protagonista, fatto di primati e di titoli in Francia, subentra la fissità spettrale della deportazione che rompe i vincoli familiari. Nel campo di concentramento però si riattiva vita e solidarietà. E, quando riemerge dagli orrori della guerra, ma senza più famiglia (sterminata nelle camere a gas) il legame con l’acqua si riannoda e per molti decenni il nuoto sarà ancora passione e hobby con percorsi di tre chilometri giornalieri. Anche la fine, serena, sarà nel contesto dell’elemento naturale che fa di se maggioranza nel corpo umano, conseguenza di un malore marino. Spettacolo denso che richiede impegno e concentrazione senza alcun facile effetto speciale.

data di pubblicazione:28/11/2024


Il nostro voto:

LA SCORTECATA di Emma Dante

LA SCORTECATA di Emma Dante

con Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola

(Teatro Vascello – Roma, 19 novembre/1dicembre 2024)

Torna a Roma al Teatro Vascello dopo otto anni di successi sui palcoscenici di tutto il mondo La scortecata, la rilettura da parte di Emma Dante di una delle novella più celebri della raccolta de Lo cunto de li cunti, scritta nel Seicento da Giambattista Basile. La magia di Emma Dante risiede nella scelta di un napoletano popolato di espressioni gergali, proverbi e slang popolari, secondo una collaudata macchina teatrale fatta di movimento, voce e gestualità che ancora una volta sorprende e affascina.

È la storia di un re che si innamora della voce di un’anziana donna e ingannato dalla bellezza del suo dito mignolo mostratogli dal buco della serratura, invita l’anziana a trascorre una notte d’amore. La donna accetta ma cela il suo corpo deforme tra il buio della stanza e il bianco dell’enorme lenzuolo che copre, e insieme descrive, il rapporto consumato tra i due. Scoperto l’inganno però il re si infuria con la donna e la butta dal balcone. Da lì passa una fata che la trasforma in una bellissima ragazza di cui si invaghisce il re. L’incantesimo svanisce, il lieto fine non arriva e così la povera vecchia, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire, dalla pelle vecchia la pelle nuova e ritornare ad essere, ancora, giovane e bella.

Quattro personaggi (il re, le due sorelle e la fata) per due straordinari interpreti, gli attori Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, in grado di rappresentare al meglio le movenze e le difficoltà fisiche due anziane, in uno spazio segnato da pochi arredi, con un castello in miniatura tra di loro.

Due sedioline di legno, una porta, un baule, oggetti di un quotidiano passato rendono viva e nostalgica la scena, così come la musica ancora una volta perfetta. È la forza del teatro di Emma Dante in grado di far sorridere con leggerezza per poi evolvere in un reale grottescamente bello.

Un forte epiteto sulla vanità, sul senso del ridicolo e sull’inganno dell’apparenza ma anche una riflessione più ampia sui meccanismi tribali della famiglia e sull’accettazione dei segni del tempo.

data di pubblicazione:28/11/2024


Il nostro voto:

THE GARBAGE MAN di Alfonso Bergamo, 2024

THE GARBAGE MAN di Alfonso Bergamo, 2024

Man, come piace farsi chiamare, vive con la madre invalida in un anonimo paesino del Salento dove lavora come netturbino. La sua vita monotona trova ostilità da parte di alcuni che lo ritengono responsabile della morte del padre, uomo violento che lo aveva reso infelice. Un giorno si scontra con la prepotenza del boss malavitoso locale a cui deve ripagare un debito a suo tempo contratto dal genitore…

Alfonso Bergamo è un giovane regista della provincia di Salerno che si è distinto al Noir in Festival dello scorso anno con The Garbage Man. Il film è girato essenzialmente di notte perché di notte si svolge la vita lavorativa del protagonista. Un uso accurato di piani sequenza, un contrasto tra luci e ombre, una ricerca studiata di rimandi scenici, tutto questo rende il film veramente convincente. Se la storia nel suo insieme può sembrare banale e con un finale decisamente scontato, non per questo il risultato ottenuto è da sottovalutare. Man (Paolo Briguglia) non ha veri amici in paese e non parla con nessuno ad eccezione del suo collega di lavoro americano (Randall Paul). A loro piace bere, scherzare e raccattare tra i rifiuti tutto quello che si può utilizzare ancora. In un tempo imprecisato il regista introduce la figura di Rosario (Tony Sperandeo) al quale viene affidata la figura del mafioso locale.

The Garbage Man è un film noir indipendente, che ci parla di violenza e in cui il debole risponde con altrettanta violenza per ottenere giustizia. Alla fine il paese verrà ripulito da ciò che tutti fingono di non vedere, ma che di fatto è a tutti palese. La storia è messa da parte, un pretesto per far emergere invece l’aspetto visivo e musicale. Spazzatura di ogni tipo che la società crea e nella quale siamo sempre più coinvolti. Nel racconto c’è anche l’amore che si fa strada nel cuore del protagonista e che però verrà sacrificato e annientato dagli eventi. Un epilogo sospeso come è giusto che sia per chiederci cosa potrà accadere al nostro antieroe. Un uomo timido e introverso trasformato in un “rambo” che sa il fatto suo e che alla fine cerca vendetta per tutti i torti subiti. Sicuramente un film di genere che usa immagini forti per impressionare lo spettatore e che utilizza un linguaggio cinematografico del tutto originale.

data di pubblicazione:27/11/2024


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ALEX CROSS di Ben Watkins – Serie PRIME VIDEO 2024, Prima Stagione

ALEX CROSS di Ben Watkins – Serie PRIME VIDEO 2024, Prima Stagione

Alex Cross (Aldis Hodge) è un detective e psicopatologo della Omicidi di Washington. Affronta casi complicati lavorando sulla psicologia dei criminali. Cross è però anche un uomo tormentato, segnato dal dolore per la perdita della moglie, dalle angosce del suo passato e dalle difficoltà familiari…

Siamo in tempi in cui davanti alla gran quantità ed alla non pari qualità delle offerte in streaming domina ormai lo zapping. Se però si insiste si possono a volte scovare anche prodotti interessanti. Ecco allora che fra i polizieschi proposti, la serie Alex Cross esce dal classico stereotipo azione adrenalinica e poliziotto con problemi. Un prodotto di spessore che grazie ai tempi dilatati della serialità riesce a coniugare l’indagine investigativa con una buona introspezione psicologica dei protagonisti. In una parola, a saper fondere le vicende umane con il thriller poliziesco.

Dopo varie trasposizioni cinematografiche torna in una Serie di otto episodi il protagonista dei best seller di James Patterson: il detective Alex Cross. Le sue qualità distintive rispetto ai tanti poliziotti cinematografici e televisivi sono la perspicacia, la determinazione e la vulnerabilità con cui affronta le indagini. Un uomo ed un poliziotto normale che sa soprattutto usare la sua conoscenza della psiche dei criminali e lascia l’azione fisica a quando è necessario. Questa prima stagione (la seconda è già in lavorazione) è centrata, fra colpi di scena e battute d’arresto, sulla caccia ad un sadico assassino seriale. Una caccia in cui entrano in gioco la polizia, il criminale ed anche la potenziale vittima e che si intreccia tutta su due piani narrativi: quello investigativo e quello individuale.

L’avvio è però un po’ lento e la presentazione dei personaggi troppo lunga. Si percepisce che la Serie è stata dilatata in un paio di episodi di troppo. Ma, messe le carte in tavola, la vicenda decolla e cattura l’attenzione con ritmo e tensione narrativa in un susseguirsi di colpi di scena. Un discreto polar con personaggi complessi ma ben delineati ed una messa in scena interessante. Una storia un po’ cupa ma dinamica, ben congegnata ed appassionante. La recitazione è apprezzabilmente buona. Sia però ben chiaro Alex Cross è un visual concept televisivo e quindi resta ben lontano da un prodotto cinematografico. Ciò non di meno è un discreto poliziesco che all’azione unisce una buona analisi dei moventi psicologici ed un’acuta riflessione sulla Società attuale. Una Serie di certo interessante per gli amanti del Genere.

data di pubblicazione:27/11/2024