DISCO BOY di Giacomo Abbruzzese – BERLINALE 2023

DISCO BOY di Giacomo Abbruzzese – BERLINALE 2023

(73 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 16 – 26 Febbraio 2023)

Aleksei fugge dalla Bielorussia in maniera illegale con l’obiettivo di lasciarsi alle spalle un passato scomodo e di recarsi in Francia per arruolarsi nella Legione Straniera, unico modo per ottenere la cittadinanza francese. Superato un duro periodo di addestramento, il giovane viene mandato in missione sul delta del Niger allo scopo di liberare degli ostaggi in mano di alcuni guerriglieri sotto il comando di Jomo. Questi non è altro che un rivoluzionario che cerca di difendere il proprio villaggio dalla rovina ambientale causata dalla presenza di impianti petroliferi altamente inquinanti.

 

Disco Boy è l’unico film italiano in concorso, diretto dell’esordiente Giacomo Abbruzzese. Nato a Taranto, ma quasi naturalizzato francese, ha dovuto aspettare dieci anni prima di trovare una produzione francese che potesse realizzare il suo sogno e portare così a termine il suo ambizioso progetto. Il film parla di tre giovani Aleksei, Jomo e sua sorella Udoka, così diversi tra di loro ma che hanno in comune il fatto di voler raggiungere a qualsiasi prezzo la propria libertà, rifiutando condizionamenti imposti e inevitabilmente subiti. Il loro sarà un incontro scontro in una lotta dove però nessuno, pur impegnato a difendere i propri ideali, ha la volontà di annientare l’altro. Aleksei affronta un viaggio, quasi psichedelico, che inizia nella giungla nigeriana e approda poi in una moderna discoteca in città dove le luci stroboscopiche faranno da sfondo ad una presa di coscienza più profonda. Per lui non è facile adattarsi da esule a un nuovo modo di vivere, tra gente pronta a tutto pur di affrancarsi da un passato, che è meglio cancellare, e rinascere con un’identità nuova, scelta e non ereditata. Sarà proprio ballando che incrocerà per la prima volta lo sguardo magnetico di Udoka, andata via dal villaggio perché non crede più nelle idee rivoluzionarie del fratello. Ecco che Abbruzzese ha dimostrato, in questa sua lodevole opera prima, di avere il coraggio di raccontare di guerriglia e di portare dentro di essa la musica e la danza, due mondi diversi ma che riesce a rendere assimilabili perché entrambi richiedono impegno e disciplina ferrea. Il dramma umano si materializza nello sguardo feroce, ma anche smarrito, di Aleksei, interpretato dall’attore tedesco Franz Rogowski, bravissimo nel suo ruolo soprattutto quando dovrà affrontare una propria sfida interiore che metterà seriamente in crisi la sua permanenza nella Legione Straniera e, conseguentemente, il suo futuro in Francia. Disco Boy è un film che sotto le armi nasconde invece un cuore tenero e sensibile, merito del regista che ha saputo raccontare tutto in maniera genuina convolgendo emotivamente lo spettatore. L’arrangiamento musicale è curato da Vitalic, disc jockey francese che è stato uno dei primi a portare il teatro musicale elettronico nella scena underground. Da un esordio così ci si può aspettare solo grandi cose, a cominciare da questa Berlinale, e siamo tutti curiosi di vedere se quest’opera prima alla fine riceverà un meritato riconoscimento. Distribuito da Lucky Red, nelle sale a partire dal 9 marzo.

data di pubblicazione:20/02/2023








THE SURVIVAL OF KINDNESS di Rolf de Heer – BERLINALE 2023

THE SURVIVAL OF KINDNESS di Rolf de Heer – BERLINALE 2023

(73 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 16 – 26 Febbraio 2023)

Una donna nera rinchiusa in una gabbia viene lasciata morire in mezzo al deserto. La zona sembra essere infestata da qualcosa di epidemico e coloro che detengono ora il potere finiscono di annientare crudelmente gli indigeni sopravvissuti. La donna, oramai stremata, riesce però a liberarsi e a intraprendere un viaggio ai confini della realtà. Incontrerà gli orrori di questo mondo e la brutalità dei suoi aguzzini, ma lei riuscirà comunque a cavarsela. Tutto ciò è vero o solo pura immaginazione?

  

Rolf de Heer è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico olandese naturalizzato australiano. Nel 1993 il suo film Bad Boy Bubby ottenne il gran premio della giuria alla Mostra del Cinema di Venezia e nel 2006 con 10 Canoe fu premiato al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard. The Survival of Kindness viene presentato in concorso in questa edizione della Berlinale. Il suo film, il cui titolo in italiano sarebbe “la sopravvivenza della gentilezza”, potrebbe apparire senza senso, ma invece è adatto per indicare un dramma allegorico ambientato nel nulla, in un deserto disseminato di ossa dove i pochi ancora in vita devono sottostare alla spietata violenza di una ristretta classe al potere. I personaggi non parlano, emettono solo rare espressioni incomprensibili che non consentono loro di comunicare. Quando la donna, abbandonata a morire in mezzo al deserto, riesce a liberarsi, non è chiaro se ci troviamo di fronte ad una situazione in contrasto con la realtà del presente, in un futuro distopico oppure in una costruzione simbolica. Il film si basa sulla metafora e gioca sul contrasto tra il reale e il fantastico, raggiungendo in alcuni momenti una dimensione surreale, quasi allucinatoria. Già dalla prima scena introduttiva ci troviamo di fronte ad un quadro apocalittico con figure armate, causa di aberranti atrocità verso vittime inermi. Quel che più lascia lo spettatore disorientato è lo scoprire che tutto ciò non è altro che una torta che sta per essere tagliata e divorata da veri personaggi, irriconoscibili perché indossano tutti maschere protettive antigas. Il ruolo della protagonista è affidato a Mwajemi Hussein, nata nel Congo e poi rifugiata con la sua famiglia in Tanzania ed ora in Australia, dopo aver ottenuto asilo politico. Lei, che mai aveva messo piede dentro un cinema, mai avrebbe immaginato di diventare la figura principale di un film diretto da un regista famoso come Rolf de Heer. Ci si chiede come lei stessa possa rimanere imperturbabile di fronte a scene di inimmaginabile brutalità. Si tratta di una presa di coscienza che nulla potrà essere fatto di fronte alla persecuzione e alla discriminazione, di cui sono ancora oggi vittime i neri, oppure una visione più ottimistica della vita, dove lo spirito buono è tutto quello che non si può ingabbiare ed è destinato comunque a sopravvivere ad ogni costo?

data di pubblicazione:18/02/2023








LAGGIU’ QUALCUNO MI AMA di Mario Martone – BERLINALE 2023

LAGGIU’ QUALCUNO MI AMA di Mario Martone – BERLINALE 2023

(73 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 16 – 26 Febbraio 2023)

Nel giugno del 1994 moriva prematuramente Massimo Troisi, poche ore dopo la fine delle ultime riprese de Il postino, film per il quale avrebbe ricevuto una candidatura postuma al premio Oscar come miglior attore. A questo indimenticabile regista, sceneggiatore e comico napoletano, che proprio in questi giorni avrebbe compiuto settanta anni, Mario Martone dedica un intero documentario in cui si ripercorre la sua storia attraverso la visione di inediti nonché di interventi di amici e colleghi che lo hanno sempre ammirato e amato.

 

Sembrerebbe forse inopportuno, o quanto meno strano, presentare oggi alla Berlinale e alla stampa internazionale un documentario che si ripropone di ricordare la carriera cinematografica di un attore che ha reso famose le peculiarità di una comicità tutta partenopea. Ma non è così. Troisi è e deve essere considerato uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema, italiano e internazionale. Come ci si può dimenticare infatti del film Ricomincio da tre? Così si decretò il suo successo, come attore e come regista esordiente, proprio per il fatto che lì veniva fuori palesemente il suo umorismo, semplice e schietto ma anche talvolta amaro, che avrebbe poi caratterizzato tutta la sua carriera. Il tributo di Martone, coadiuvato in questa sorprendente impresa da Anna Pavignano che è stata compagna e da sempre stretta collaboratrice di Troisi, risulta utile non solo per quella generazione che a partire dagli anni ottanta ha potuto gustare quel tipo di cinema, ma anche per i giovani che sanno poco di quel mondo, non essendo stati in contatto con la realtà di quel tempo. Il riportare sul grande schermo frammenti di scene, che molti ricordano a memoria, risulta funzionale a far capire meglio Troisi e i processi mentali che avevano fatto nascere le sue opere. Era il suo modo proprio di essere che si esprimeva con una gestualità goffa e un modo di dialogare timido e impacciato proprio di fronte all’amore e alle donne, temi sempre presenti nei suoi film. Come lui stesso sosteneva: “il tormento peggiore per l’uomo è l’amore perché, nonostante gli sforzi e le buone intenzioni, risulta sempre irraggiungibile”. Interessante l’intervento di Paolo Sorrentino in cui spiega con estrema chiarezza come sia stato da sempre influenzato da Troisi dal quale spesso ha tratto ispirazione per creare il carattere dei propri personaggi. Obiettivo quindi di Martone è di riportare alla ribalta un attore con il quale lui stesso riesce ancora a dialogare e a rinnovare quel rapporto di vera amicizia che esisteva tra di loro. Troisi è stato un grande e come Eduardo e lo stesso Totò è riuscito a creare un proprio stile espressivo che lo caratterizzava sia nei ruoli esclusivamente comici come in quelli più profondi. Il film è stato presentato nella Sezione Berlinale Special alla presenza di un folto pubblico che non si è risparmiato in una standing ovation a fine proiezione. In distribuzione nella sale italiane a partire dal 23 febbraio.

data di pubblicazione:17/02/2023








SHE CAME TO ME di Rebecca Miller – BERLINALE 2023

SHE CAME TO ME di Rebecca Miller – BERLINALE 2023

(73 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 16 – 26 Febbraio 2023)

Steven è un compositore che da un po’ di tempo non compone più, ha frequenti attacchi di panico ed è in piena crisi creativa. La moglie Patricia, psicoterapista, attraversa uno smarrimento esistenziale e, nonostante un figlio diciottenne, sperimenta una tardiva vocazione religiosa e desidera diventare suora. Per caso compare Katrina, donna eccentrica che vive e lavora su una chiatta nel porto di New York. Sarà proprio lei che involontariamente metterà a posto i diversi tasselli di un puzzle quanto mai irrisolvibile e che poi si comporrà nel più semplice dei modi.

Rebecca Miller, figlia del noto drammaturgo Arthur Miller, inaugura con She Came to Me questa 73esima edizione della Berlinale. Gli organizzatori di questa kermesse cinematografica non a caso hanno scelto una commedia per mettere in moto questo Festival, tra i più importanti a livello internazionale. La tradizione infatti vuole che a Berlino si inizi con un film leggero, forse a voler preparare la stampa ad affrontare l’arduo lavoro che le spetterà nei prossimi giorni con un programma quanto mai impegnativo in tutti i sensi. La Miller, con questo suo ultimo film, affronta il tema dell’amore in tutte le sue sfaccettature, da quello adolescenziale, tra due giovani pronti a giurarsi reciprocamente eterna fedeltà, a quello più maturo tra un uomo e una donna, oramai stanchi di doversi confrontare con il mondo che li circonda e, impresa tanto più faticosa, con se stessi. La sceneggiatura, curata dalla stessa regista, è ben strutturata ma, nel tentativo di voler risultare a tutti i costi anticonformista, ricade purtroppo in una inaspettata banalità. Sullo sfondo di una New York appena abbozzata, sia pur non esente dalle palesi contraddizioni che la caratterizzano, si muovono i vari personaggi che, con i loro diversi substrati sociali, si trovano a dividere e a condividere situazioni possibili, ma quanto mai improbabili. Le difformità fisiche e culturali dei protagonisti non sembrano aver peso nell’articolato contesto, che vuole proprio dimostrare come in amore tutte le combinazioni, anche le più apparentemente bizzarre, possano essere funzionali al raggiungimento della felicità. Il film riesce a riscattarsi grazie alla bravura del cast tra cui spicca Peter Dinklage nella parte del compositore Steven Lauddem e Anne Hathaway nella parte della moglie Patricia, terapista con diverse sindromi ossessive al limite della schizofrenia. La Hathaway, premio Oscar per la sua interpretazione nel film Les Misérables, in Italia è divenuta famosa per aver lavorato accanto a Meryl Streep ne Il diavolo veste Prada, diretto nel 2006 da David Frankel. She Came to Me è un film sottile, di poche pretese, che riesce comunque ad intrattenere senza dimostrare, a tutti i costi, di possedere quel quid che in realtà non ha. Presentato fuori concorso nella Sezione Berlinale Special.

data di pubblicazione:16/02/2023








LA STORIA, tratto dal libro omonimo di  Elsa Morante, drammaturgia di Marco Archetti, regia di Fausto Cabra, con Franco Penone, Alberto Onofrietti, Francesco Sferrazza Papa

LA STORIA, tratto dal libro omonimo di Elsa Morante, drammaturgia di Marco Archetti, regia di Fausto Cabra, con Franco Penone, Alberto Onofrietti, Francesco Sferrazza Papa

(Teatro Vascello – Roma,8/19 febbraio 2023)

Il teatro tenta l’impresa di misurarsi con l’epocale libro del 1974 e la vince con una solida ricostruzione ellittica. Scenografia di grande suggestione e richiesta drammaturgica anche fisica che conta sull’eccezionale disponibilità degli attori.

Drammaturgia d’autore che si presta anche alla didattica se è vero che il teatro era affollato di liceali, assolutamente pronti alla ricezione del messaggio attraverso due ore di spettacolo teso con almeno cinque punti di suggestivo ed emotivo climax. Partendo da lontano, non tentando neanche lontanamente un approccio omogeneo con il film di Comencini, il plot si snoda precipuamente nella forbice pregna di eventi 1941/19457. In mezzo c’è il fascismo, l’improvvisa conversione del figlio della protagonista (metafora del cambiamento di milioni di italiani): dall’adorazione per il fascismo alla ribellione partigiana. In ordine sparso: il dramma degli ebrei, l’immersione negli stenti della guerra, le sconfitte, l’armistizio, una saga familiare, letta attraverso gli occhi di una donna che cerca di assembleare e gestire la piccola famiglia creata, allargata dopo uno stupro. La scelta evocativa scavalla l’esigenza realistica. Sono simboli cane e gatto, un attore capace e adulto si cala nelle vesti del bambino. Le luci e veloci cambi di scena permettono di sdoppiare le interpretazioni. Dunque uno spettacolo che ha richiesto una lunga gestazione, una Storia lunga e che viene da lontano. L’allocuzione dell’attore che si avvicina al pubblico sembra una riflessione d’attualità sull’eterno fascismo (tesi di Umberto Eco), mai scacciato definitivamente dal popolo italiano. Una Storia nuda e cruda che non sembra offrire vie di fuga e anticipate salvezze e dunque non contiene alcun palpito moralistico e sembra proporre allo spettatore la richiesta di risposte possibili e plausibili. Spettacolo di contenuti forti e di forma scenica ineccepibile. Coraggioso anche nella lunghezza (due ore) senza la pretesa di restituire tutti i particolari del complesso poliforme mosaico creato dalla Morante.

data di pubblicazione:16/02/2023


Il nostro voto:

CINEMA, MODA, COSTUME, CIRCOLI VIRTUOSI

CINEMA, MODA, COSTUME, CIRCOLI VIRTUOSI

La moda ripropone continuamente stili, modelli, forme dal passato. Si dice segua un movimento circolare, o meglio a spirale, in cui elementi della moda di decadi o secoli fa ritornano dopo un certo periodo e ispirino il presente e qualcosa di nuovo, o che cerca di esserlo, viene quindi prodotto (foto tratta dalla Mostra Pier Paolo Pasolini TUTTO È SANTO al Palazzo delle esposizioni di Roma).

 

 

Sono gli archivi di moda i custodi di questo patrimonio storico. Ogni anno gli stilisti fanno dei fulminei pellegrinaggi per guardare, studiare, toccare abiti e stoffe conservati attentamente per decenni e così lasciarsi ispirare per le loro imminenti collezioni. Siano essi archivi di impresa o archivi indipendenti di collezioni private poco importa perché in entrambi i casi sono ambienti alquanto esclusivi. Per ragionevoli questioni pratiche (conservazione, spazi, diritti d’autore, privacy) ma anche, probabilmente, per creare l’immagine romantica di misteriosi sancta sanctorum della moda dove vengono conservati i segreti del savoir-faire di un’azienda. Solo raramente possono essere visitati ma in ogni caso mai nella loro interezza (e sempre previo appuntamento ça va sans dire).

Dopotutto, per il pubblico più profano ci sono sempre i musei dedicati e le mostre a tema che catturano l’immaginazione con una varietà di artefatti e di mezzi espressivi (videoproiezioni, schermi interattivi, musica di sottofondo e chi più ne ha più ne metta) che creano esperienze di visita sempre più immersive. Gli abiti non sono meramente montati su tristi manichini senza vita ma diventano i protagonisti di scene evocative o vignette cinematiche il cui scopo è quello di lasciare a bocca aperta il visitatore. Come all’ultima mostra del Metropolitan di New York, In America: an Anthology of Fashion, per il cui allestimento sono stati chiamati a lasciare il proprio imprinting registi come Martin Scorsese, Sofia Coppola, Regina King, Chloé Zhao e l’eclettico Tom Ford.

Ci sono però più spettatori che guardano film e serie tv che visitatori nei musei e nelle gallerie, e sicuramente molti di più di coloro che frequentano gli archivi di moda (nel 2020, il 27.3% della popolazione italiana ha frequentato musei e mostre mentre il 45.3% è andato al cinema, Istat). Il guardare al passato per molti dunque avviene tramite il guardare uno schermo. E il cinema ha un legame stretto con la storia: fin dalle sue origini ha sempre avuto una forte inclinazione per le grandi rievocazioni con i primi kolossal e le trasposizioni di importanti classici della letteratura. E fin da subito (come nella storia dell’arte prima di esso) uno degli strumenti per comunicare il periodo storico allo spettatore è proprio il costume.

A quanti è capitato di ricordare, di leggere, di sentir parlare di un evento storico, un periodo e subito pensare a un film ambientato in quell’epoca?… Un illustre esempio? Se si parla di Risorgimento, come non pensare alle grandiose immagini create da Visconti con Senso e Il Gattopardo? E intrinsecamente anche i meravigliosi abiti a crinolina di Piero Tosi. Si potrebbe dire che il costume può innestare e coltivare una familiarità visuale con l’abito storico, indipendentemente dalle conoscenze dello spettatore, andando a formare una memoria collettiva di moda. Il costume mostra l’esperienza fisica dell’abito di un certo periodo – come veniva indossato, come si muoveva. (Ci sarebbero poi le questioni della loro accuratezza e di come la moda del presente del film si imponga nella ricostruzione storica ma sono temi per altri post).

Per concludere, se della storia della moda l’archivio è il custode, il cinema ne è il divulgatore più capillare che con la sua narrazione contestualizza anche gli usi e le convenzioni sartoriali del passato. Succede poi che i film e i costumi stessi diventino le muse della moda…creando un meraviglioso circolo virtuoso.

data di pubblicazione:13/02/2023

MADONNA CON TESSUTO – Un filo di seta tra artigiani e artisti, Preview collezione S/S23 Le Gallinelle e opere di Eugenio Carbone

MADONNA CON TESSUTO – Un filo di seta tra artigiani e artisti, Preview collezione S/S23 Le Gallinelle e opere di Eugenio Carbone

(Sacriparte Art Gallery – Via Panisperna 59 – Roma, 2/26 febbraio 2023)

Tema della mostra performativa è il rapporto tra arte e sartoria ieri e oggi. Le sale della Sacripante Art Gallery ospitano le opere pittoriche di Eugenio Carbone couturier cosentino che lavorò con Germana Marucelli e le Sorelle Fontana e la preview della collezione primavera/estate de Le Gallinelle, il brand della designer Wilma Silvestri.

 

Il sarto oggi è quella figura professionale in grado di interpretare i figurini dello stilista. I grandi sarti di una volta racchiudevano in se le figure di stilista, modellista, sarto, consulente. capaci di realizzare direttamente con il tessuto, di ideare varianti, modificare dettagli, fare accorgimenti, sviluppare cartamodelli, prototipi, togliere difetti, disegnare, ricercare tessuti e accessori e ogni altra mansione necessaria allo svolgimento di questa arte.

Il compianto Eugenio Carbone ha creato capi couture realizzati con metodo sartoriale, unendo la tecnica della sartoria, la duttilità dello stylist e le capacità artistiche espresse anche attraverso la pittura. Oggi c’è nell’aria il ritorno di questa figura di couturier che crea capi unici non solo,  un nuovo Rinascimento  a cui si ispirano le creazioni attuali di Wilma Silvestri, Le Gallinelle.

In una sala della galleria Sacripante Wilma reinterpreta i canoni della pittura rinascimentale ispirandosi al pittore Cosmé Tura, attraverso un quadro vivente animato da modelle performer protagoniste di una celebrazione della Speranza e della Trasformazione attraverso l’unicità e l’artigianalità. La designer gioca con dettagli di biancheria intima vintage e con tagli ispirati alla storia del costume e trasformati in gusto e forme proprie. Continua l’impegno per la sostenibilità usando tessuti vintage e in particolare alcuni provenienti da San Leucio, piccolo paese in provincia di Caserta che vanta una storia incredibile di arte della tessitura risalente a Ferdinando IV di Borbone.

La performance è stata inserita nel calendario ufficiale di AltaRoma e presentata a stampa e buyer il 2 febbraio alle ore 19.

data di pubblicazione:13/02/2023

VIVERE! di Anna Piscopo e Lamberto Carrozzi

VIVERE! di Anna Piscopo e Lamberto Carrozzi

(Centrale Preneste Teatro – Roma, 4 febbraio 2023)

Unica data per il nuovo lavoro della coppia Piscopo/Carrozzi. In scena al Centrale Preneste Teatro per la rassegna “La city è donna” il monologo che vede protagonista Anna Piscopo nei panni di Calimba, una donna che vive sepolta in casa da anni in cerca di riscatto.

 

 

Cianfrusaglie ovunque, vestiti, carte, una valigia. Un cellulare e una lampada ring light per registrare video da postare sui social, tutto rigorosamente rosa. Il personaggio di Calimba, una donna del sud che si è trasferita nella capitale, appare in scena cercando di farsi spazio tra la miriade indefinita di oggetti che riversano a terra nel suo appartamento. Si respira un’aria di trasandatezza e sciatteria anche nei vestiti che indossa: un paio di scarponcini rosa dal tacco grosso, leggings e reggiseno. Si sta preparando per incontrare Papi, il boss di un Cartello conosciuto in chat con il quale sembra dover passare la serata e forse il resto della vita. Dopotutto sono dieci anni che non esce di casa. Sogna un riscatto, un’occasione che la porti via dal condominio ostile in cui vive. La sua condizione disturba chi le vive intorno e a minacciare la sua apparente sicurezza arriva anche una notifica dalla Asl di sfratto esecutivo.

Prodotto da BAM teatro e Nutrimenti Terrestri, il terzo lavoro portato in scena dalla coppia Piscopo/Carrozzi, dopo “Vai a rubare a san Nicola” e “Mangia” (2020), riflette sulla disperata condizione di chi è affetto da disturbo da accumulo e di chi, inacidito da una società che tende a isolare chi ha problemi, vive ai margini. L’odio per le persone viene compensato dall’estremo attaccamento agli oggetti, che diventano i suoi affetti più cari. Primo fra tutti una parrucca di ricci rosa nella quale vede un cagnolino che si trascina dietro al guinzaglio. La vita non è stata gentile nei suoi confronti, tanto da portarla a pensare che sia lei stessa un oggetto tra gli oggetti. Una patata cruda che rimane sullo stomaco di chi la mangia.

L’unica arma di difesa dal mondo esterno è il sarcasmo e un modo di fare ironicamente aggressivo che allontanano chiunque venga a contatto con lei. Gli sketch che mette su con energia e indiscussa bravura Anna Piscopo sono esilaranti, anche se ricalcano una comicità già collaudata (non si può non pensare a Franca Valeri e simili quando Calimba affronta al telefono un operatore della Asl o chi le propone di partecipare a un programma televisivo per vagabondi e senzatetto, con la sua parlata mista tra dialetto pugliese e inflessione romanesca). Non si limita a vivere il disordine dentro casa, ma vuole mettere in subbuglio anche il mondo fuori di lei. Lo spazio dato alla comicità però diventa dominante, a discapito di una ricerca più approfondita che poteva interessare il personaggio. Di Calimba ci è ben chiara la condizione che vive, ma oltre questo non conosciamo molto delle ragioni che la guidano. Il testo racconta delle burrasche del passato, ma questo da solo non basta a dare struttura al personaggio. Tuttavia, anche il modo di affrontare la vita con sarcasmo e sfrontatezza è un modo per esprimere il proprio desiderio di Vivere!

data di pubblicazione:12/02/2023


Il nostro voto:

LA STOFFA DEI SOGNI DI Riccardo Pirozzi, uno spettacolo di Massimiliano Civica, con Renato Carpentieri, Vincenzo Abbate e Maria Vittoria Argenti

LA STOFFA DEI SOGNI DI Riccardo Pirozzi, uno spettacolo di Massimiliano Civica, con Renato Carpentieri, Vincenzo Abbate e Maria Vittoria Argenti

(Teatro India – Roma, 7/12 febbraio 2023)

Teatro nel teatro con un titolo che rimanda al topos scespiriano ma anche edoardiano. Sperando di non farsi suggestionare dai luoghi comuni di Marzullo.

Un attore dedito a una facile commercializzazione del proprio lavoro si confronta con due interlocutori irrisolti: la figlia che rimprovera al padre l’abbandono, l’allievo che si specchia con ammirazione nel maestro e cerca di ripercorrerne le orme, provando a instaurare un rapporto dialettico, a tratti paritario. In scena non tutte le ciambelle riescono con il buco. La scenografia minimale a disposizione dell’indubbia bravura di Carpentieri non raccoglie palpiti perché i due partner non reggono il gioco con adeguata maestria. L’attrice sfoggia una voce metallicamente monocorde che ci impedisce di entrare nella sua sfera emotiva. Così è un’occasione sprecata per tanto talento, Perché quando il protagonista distilla perle del teatro classico quasi spereresti che si abbandonasse a un lunghissimo monologo. Certo, non erano queste le intenzioni di autore e regista che volevano dare vita a una storia compiuta. Il finale tronco e inaspettato è un altro imprevedibile strappo incoerente. Così i dialoghi a volte si animano ma poi ricadono nella piattezza banale non riuscendo a dare continuità allo sviluppo. Stoffa cucita male, un po’ rattoppata all’ombra del mattatore La magia del teatro si annusa a tratti ma non ammalia come ambirebbe nella sua dichiarazione programmatica di scena. Di diverso avviso evidentemente il pubblico stregato dall’indubbio carisma di Carpentieri. Il Teatro India dal giorno dell’apertura si dibatte nella consueta provvisorietà: parcheggio impossibile, bar ai limiti della presentabilità, spazi teatrali non utilizzati, peraltro ben in linea con la fatiscenza di chi lo gestisce (vedi anche stallo del Teatro Valle, molto più funzionale e vivo quando era occupato).

data di pubblicazione:11/02/2023


Il nostro voto:

THE SON di Florian Zeller, 2023

THE SON di Florian Zeller, 2023

Nicholas, appena diciassettenne, a due anni dal divorzio dei genitori sembra ancora non abituarsi all’idea. Caduto in una forma acuta di depressione, manifesta il proprio disagio rifiutando qualsiasi contatto con la vita sociale, sia in ambito scolastico sia nei confronti dei genitori, sempre più preoccupati della sua salute mentale. Intanto il padre ha costruito per sé una nuova famiglia e da avvocato di successo sta per entrare in politica, a fianco di un senatore in lizza per le primarie…

 

Florian Zeller, drammaturgo francese, dopo il successo internazionale ottenuto con il film The Father (nel 2021 due premi Oscar: a Anthony Hopkins come migliore attore protagonista e allo stesso regista per la migliore sceneggiatura non originale) ritorna con The Son ad affrontare i temi, a lui cari, dei disturbi mentali e dei rapporti all’interno della famiglia. Nel primo film, anch’esso tratto da una pièce teatrale dello stesso Zeller, si affrontava il legame problematico tra un padre, affetto da Alzheimer, e sua figlia. In questo ultimo lavoro, invece, il regista affronta un problema inverso: un figlio che, nonostante i vari tentativi, non riesce più a riconoscere i genitori e ad accettare che la vita possa andare avanti anche dopo la loro separazione. La sua mente rifugge da questa idea e non riesce più a concepire di vivere come una persona “normale”, in un contesto del tutto normale. Vani gli sforzi da parte del padre di affrontare un dialogo costruttivo e di comportarsi come un buon genitore, attento ai problemi del figlio, esattamente l’opposto di quello che aveva fatto suo padre, disinteressandosi totalmente di lui. Ecco che ancora una volta il regista si sente emotivamente coinvolto nel rappresentare tutti gli elementi di un dramma familiare oltre che individuale. Ottima l’interpretazione dei due protagonisti: Hugh Jackman nella parte di Peter, il padre del ragazzo, e il premio Oscar Laura Dern nella parte della madre Kate, attrice californiana poliedrica che ha lavorato con i registi più famosi di Hollywood, tra questi David Lynch, Clint Eastwood, Robert Altman e Steven Spielberg. Assolutamente di tutto rispetto anche l’interpretazione dell’esordiente Zen McGrath, nel ruolo di Nicholas, giovanissimo attore australiano che sa bene interpretare il non facile personaggio dell’adolescente depresso al quale oramai tutto sfugge di mano. Il regista, nel curare anche la sceneggiatura, è stato attento a mostrare in termini asciutti le dinamiche, spesso incontrollabili, all’interno della famiglia, anche nei casi in cui tutto sembra andare avanti nel migliore dei modi. Qui l’amore genitoriale non risulta più sufficiente a colmare il baratro del disagio mentale del giovane Nicholas. Il film, presentato in concorso nell’ultima edizione del Festival di Venezia, è stato accolto benevolmente dalla critica internazionale.

data di pubblicazione:09/02/2023


Scopri con un click il nostro voto: