da Rossano Giuppa | Ott 19, 2023
(ALICE NELLA CITTA’- 18/29 Ottobre 2023)
Tre adolescenti britanniche vanno in vacanza a Creta per abbandonarsi a un divertimento senza limiti, tra alcool, locali notturni e nuove amicizie, alle prese con le prime esperienze sessuali, mentre affrontano la pressione dei loro coetanei nella loro decisione di perdere o no la loro verginità. In quella che dovrebbe essere la più bella vacanza della loro vita scopriranno che sesso, valori e consapevolezza seguono percorsi più complessi di quanto immaginavano. Incredibilmente curato a livello visivo e con una colonna sonora veramente doc, l’esordio di Molly Manning Walker esplicita senza filtri e giudizi di merito l’universo dei giovanissimi, raccontando come le prime esperienze sessuali vengono affrontate.
MUBI e Teodora Film portano in Italia l’atteso debutto alla regia di Molly Manning Walker, How To Have Sex, vincitore di Un Certain Regard a Cannes 2023. Il film è stato presentato in anteprima come evento d’apertura del festival Alice nella Città e verrà distribuito al cinema da Teodora all’inizio del 2024, per arrivare più tardi in esclusiva streaming su MUBI. La pellicola ha per protagonisti i giovani attori Mia McKenna-Bruce, Samuel Bottomley, Lara Peake, Shaun Thomas e le esordienti Enva Lewis e Laura Ambler diretti straordinariamente dalla regista ventinovenne londinese, diplomata alla National Film and Television School, che ha lavorato per molti anni come direttrice della fotografia ed al suo film d’esordio.
Ambientato in un villaggio vacanze a Malia, a Creta, in un’estate segnata dall’attesa dei risultati degli esami, segue le vicende di Tara, Em e Skye: bevono e ballano fino all’alba, di giorno bivaccano in piscina, fanno subito amicizia con i vicini di stanza, l’inconcludente Badger, il furbo e ambiguo Paddy e la volubile lesbica Paige. Mentre le sere diventano notti brave, iniziano ad arrivare i risultati degli esami, che portano le ragazze a capire che presto le loro strade si divideranno.
Non è solo una presa diretta della generazione che vive il sesso come simbolo della sottile linea di confine, ma anche un affresco pieno di declinazioni e sfumature su come i ragazzi vivono l’essere adolescenti oggi: la modalità di stare al mondo in armonia e conflittualità, la mancanza di esperienza reale, la sovrapposizione del virtuale; la conseguente fuga nell’alcool per accantonare tutto ciò che può scalfire la necessità del divertimento. E il sesso, quello tanto desiderato all’inizio, alla fine è banale, svuotato dalla componente erotica, ridotto a uno dei tanti fattori della vacanza, senza turbamento né divertimento. Tutto è veloce e scontato ma resta quel che c’era prima e quel che si dovrà affrontare dopo: c’è da scalare il sentiero tortuoso e ripido che li dovrà portare nel mondo degli adulti.
data di pubblicazione:19/10/2023
da Daniele Poto | Ott 19, 2023
Scende a Roma la mitica e carismatica Ruth Andrè Shammah per presentare il congruo paccheto di iniziative del Teatro Parenti in provvisoria residenza a Roma. Cinquanta anni di vita di una istituzione cultura milanese e degno zigzagare tra cinema e teatro. Il Teatro anzitutto partecipa alle Festa del Cinema di Roma con un docufilm di coproduzione con Rai Cinema ovvero Scarrozzanti e Spiriteli che documenta il mezzo secolo di esistenza di una delle più solide intraprese milanesi. E poi a macchia di leopardo diffusione di spettacoli collaudati nei teatri romani, passando per l’Ambra Jovinelli che ha ospitato la conferenza stampa, il Parioli caro al direttore artistico Piero Maccarinelli, l’India (in mancanza di meglio, l’Argentina, senza direttore artistico da più di un anno, ha latitato) e il Vascello, immancabile per questi appuntamenti. Al centro della scena sul palcoscenico e ieri in presenza Massimo Dapporto e e Antonello Fassari. Il primo è il mattatore de Il Delitto di via dell’Orsina da Labiche, una farsa come quelle “che non si fanno più”. In combinato disposto con Fassari che si palesa anche in Farà giorno dove, sulla scia, dell’interpretazione di un Gianrico Tedeschi a suo tempo over aged, discute con un naziskin e con una figlia brigatista sui destini della vita. E’ invece una coproduzione con il Teatro dei Gordi Sulla morte senza esagerare in prima romana. Ma forse la maggiore attesa si concentra su uno spettacolo molto milanese, una sorta di ritratto reale di Giovanni Testori: la Maria Brasca è uno spaccato meneghino a cui la protagonista Marina Rocco, erede di Adrianaa Asti, contribuisce con grande vivacità. Nell’occasione si è discussa sulla scarsa comunicazione distributiva e produttiva tra il teatro romano e quello milanese. Gli spettacoli del Piccolo sono inaccessibili nella capitale. Le carenze sono quelle logistiche anche legate alla chiusura di Eliseo e Piccolo Eliseo, della mancata riapertura del Valle, già libero da nove anni, della cancellazione de La Cometa e della fatiscenza del Ghione. Tutte tare che rimandano alla gestione colpevole del Comune di Roma. Prima con Raggi e poi con Gualtieri, sindaci sordi e immobili.
data di pubblicazione:19/10/2023
da Antonio Iraci | Ott 18, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
La guerra è da poco finita, Roma è libera anche se di fatto ancora occupata dalle truppe americane. L’Italia intera si appresta ad essere chiamata a decidere tra monarchia e repubblica e le donne, per la prima volta, avranno un ruolo decisivo nel referendum del 2 giugno del ‘46. Delia vive con il marito Ivano e i loro tre figli in una modesta casa, in un quartiere popolare della città. Una vita difficile la sua ma che porta avanti con spirito di abnegazione, facendosi piacere anche ciò che non le piace. Un giorno le viene recapitata una lettera che lei custodirà in segreto…
Questa diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma ha scelto C’è ancora domani come film di apertura, una scelta che sembra proprio voler riconoscere la bravura della poliedrica Paola Cortellesi, al suo primo film come regista. Molti critici e cinefili alla vista dei trailer avevano storto un poco il naso, pensando che dirigere un film in bianco e nero, tuffandosi nel mondo anacronistico di un neorealismo, che aveva fatto e esaurito il suo tempo nel secondo dopoguerra, sarebbe stata una prova troppo grande per la talentuosa attrice e sceneggiatrice romana. Anche le prime scene si presentavano allo spettatore quasi come una forzatura, un qualcosa che di fatto non appartiene al carattere della stessa Cortellesi che abbiamo imparato ad apprezzare e ad amare per i ruoli che ha rivestito nella sua carriera. Via via che il film avanzava e dipanava la sua storia, con i suoi contenuti tragicomici, il pubblico è rimasto invece sempre più convinto della sua validità. Delia, interpretata dalla stessa regista, è una donna fragile, sottomessa a un marito violento, incapace di manifestare una qualsivoglia minima iniziativa che possa dar valore alla sua esistenza. L’arrivo inaspettato di una lettera darà origine a un personale, segreto atto di ribellione e le farà intravedere una larvata possibilità di riscatto sociale e sentimentale. Gli aspetti tristi dell’intera vicenda sono sapientemente dosati e controbilanciati da una comicità mai sopra le righe, fondamentale a riequilibrare un plot che altrimenti sarebbe caduto nella banalità. Cast ben curato, dove emerge un Valerio Mastandrea nella parte del marito Ivano, il tutto ambientato in un contesto scialbo di una borgata romana, dove ognuno si dà ancora da fare come può per sbarcare il lunario ma dove la solidarietà sociale, soprattutto tra donne, è ancora forte per sopperire alle disuguaglianze di genere. Un tema delicato, se vogliamo purtroppo ancora parzialmente attuale, che la regista affronta con quel tocco di misurata comicità che la contraddistingue in tutte le sue performances. Se dovessimo proprio dare un giudizio su questo film non esiteremmo a dare a questa ennesima prova della Cortellesi una sufficienza piena: una donna intelligente che ancora una volta si è dimostrata all’altezza anche nel ruolo, del tutto nuovo per lei, di regista.
data di pubblicazione:18/10/2023
da Rossano Giuppa | Ott 16, 2023
(Roma Europa Festival 2023)
Caterina Barbieri, artista dal background internazionale che esplora gli effetti psico-fisici del suono tra estasi e allucinazioni temporali è tornata al Roma Europa Festival lo scorso 15 ottobre per presentare al Teatro Argentina di Roma il suo ultimo lavoro Spirit Exit che trova ispirazione nelle suggestioni di Santa Teresa d’Avila, Rosi Braidotti, Emily Dickinson e altre donne dalla forza visionaria, grandi figure femminili del passato per sonorità e melodie sperimentali, sintetizzatori e mondi interiori. (foto Furmaan Ahmed).
Caterina Barbieri è una compositrice e musicista italiana che vive e lavora a Berlino. Il suo lavoro esplora gli effetti psicofisici della ripetizione e delle operazioni basate su schemi nella musica, indagando il potenziale polifonico e poliritmico dei sequencer per creare composizioni suggestive, innovative e mistiche al tempo stesso. Nel giro di pochissimi anni è passata dall’essere una delle artiste più significative della scena underground elettronica italiana a uno dei nomi di punta del panorama internazionale. Complice quel suo tocco in grado di tenere insieme sound elettronici più classici e sperimentazione evoluta, algoritmi e mente umana.
Le sue ultime pubblicazioni Fanta Variations e Spirit Exit hanno ricevuto il plauso di critica e pubblico disegnando le tracce di questo slittamento fino all’inaugurazione della propria etichetta Light-Years. Proprio Spirit Exit, presentato sul Palco dell’Argentina con il light designer Marcel Weber e le immagini video di Ruben Spini, scritto in piena pandemia ed ispirato alla figura di filosofe e mistiche, recluse per vocazione o carattere come Santa Teresa D’Avila, Rosi Braidotti e a Emily Dickinson, sembra una sfida all’immobilità, un viaggio che ingloba per la prima volta arrangiamenti integrati, utilizzo di strumenti organici e voce.
Il mondo sintetico e cibernetico a cui l’artista ci aveva abituati, accoglie ora voce e testi che arrivano come lampi fluttuanti nello spazio.
Spirit Exit è perciò un nuovo capitolo della sua vita artistica. È un disco di affascinante abilità musicale, fortemente austero, con sovrapposizioni di sintetizzatore che si incastrano e si separano. Perfetta l’esibizione, mistica ed aliena, la gestualità post moderna, ponte tra poesia ed elettronica, tra umano e post-umano, il light design avvolgente e centripeto, un viaggio esperienziale tra coni di luce ed atmosfere rarefatte.
data di pubblicazione:16/10/2023
da Daniele Poto | Ott 16, 2023
Un goffo finale di carriera per il pluriottantenne regista polacco a cui solo l’antica fama evita sapide stroncature da parte della critica internazionale. Sceneggiatura rimasticata e banale con la concentrazione della vicenda in un solo ambiente, un albergo di lusso. Wes Anderson ha saputo ben altro valore da questo modulo. Qui l’unità di luogo non deflagra e non regala valore aggiunto. Una satira che ricorda alcune volgari cadute della commedia all’italiana.
Ci si meraviglia come una pellicola del genere trovi ospitalità in festival di eccellente lignaggio. Un film girato con la mano destra o, trattandosi di opera visiva, con una benda sull’occhio buono. Una serie di gag non fanno cinema, storia e plot ma immiseriscono la narrazione con beceraggini assortite. Una palesa mancanza di ispirazione permea l’andamento. Luca Barbareschi, bontà sua, ci dice che il film è anticipo sul tempo attuale e che sarà capito solo tra venti anni. Intanto ci regala un pessimo cammeo in tandem e combinato disposto con il personaggio inconsistente tratteggiato dal sempre più irriconoscibile Mickey Rourke. Caricature che vanno di pari passo con la caricatura di un film che avrebbe voluto essere sferzante Ma la deformazione è la caratteristica costante di un film che assemblea peraltro un cast di prestigio. Anche Fanny Ardant, partecipando, rovina la propria filmografia. Lo spunto della fine del secolo e del millennio con l’atteso big bang o bug telematico non decolla. E anche la truffa bancaria manca di sale e di mordente. In questo raduno di vecchie glorie una folla di visi devastati dalla chirurgia estetica tra cui spicca quello belluino, di Sydne Rome. Il paragone con la critica alla borghesia di Luis Bunuel è lontano le mille miglia, ahinoi.
data di pubblicazione:16/10/2023
Scopri con un click il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 14, 2023
(Teatro Vittoria – Roma, 10/15 ottobre 2023)
Qual è la verità intorno al mito di Edipo? L’indagine condotta in maniera beffarda e grottesca nel racconto di Dürrenmatt diventa uno spettacolo teatrale con protagonista la Pizia, sacerdotessa dell’Oracolo di Delfi, a cui fanno visita ombre e fantasmi prima che la morte venga a prendersela. (ph. Le Pera)
Quando Edipo si presenta a Delfi per domandare alla sacerdotessa Pannychis XI chi siano i suoi veri genitori, la Pizia, ormai cenciosa e svaporata su cui grava il peso dei giorni, vaticina al giovane la cosa più assurda che le viene in mente in quel momento: “ucciderai tuo padre e giacerai con tua madre.” Chi avrebbe mai immaginato che l’oracolo, pronunciato in maniera scanzonata un po’ per noia e un po’ perché è divertente burlarsi della credulità dei greci, si sarebbe poi realizzato?
L’assunto da cui parte Dürrenmatt nel racconto La morte della Pizia, pubblicato nel 1976 e da cui prende il titolo l’adattamento teatrale curato da Patrizia La Fonte e Irene Lösch sulla traduzione di Renata Colorni (Adelphi, 1988), descrive un mondo agli albori della civiltà prima che vengano costruiti templi e teatri – nel significato originale di luogo sacro dove il dramma è un rito religioso – in cui la trascendenza è un dato di pura invenzione e i dubbi che attanagliano gli uomini sono risolti facendo ricorso a indovini e oracoli anziché alla ragione.
Stanca e dolorante per i reumatismi causati da una vita vissuta in una grotta a vaticinare fantasiosi responsi per gente credulona, la Pannychis XI di cui è interprete Patrizia La Fonte vede crescere intorno a sé un mondo di feticci, dal gusto kitsch come l’impianto scenografico in cui è immersa, con al centro il gigante ritratto di Edipo dagli occhi sanguinanti contornato da luci acide e finte come i suoi oracoli. Assistita nel suo lavoro dal sacerdote Merops XXVII, devoto alla Pizia per i soldi che fa incassare al tempio, viene raggiunta da Tiresia con cui ripercorre la vicenda delle profezie che hanno portato Edipo a essere l’archetipo di uno dei complessi più indagati della nostra epoca. Se lei, azzeccando casualmente il futuro, ha vaticinato al giovane il futuro con fantasiosa invenzione solo con lo scopo di mettere ordine alle cose, Tiresia lo ha fatto invece per un calcolo politico, per evitare che tirannico Creonte prendesse il potere su Tebe. Uno ad uno fanno la loro comparsa tutti gli attori della tragedia. Edipo, Giocasta e la Sfinge sfilano in forma di ombra davanti alla veggente, ognuno raccontando la propria verità. La storia che conosciamo non è che una parte di un tutto molto più complesso e insondabile. Ci sarà sempre un particolare che aggiunto al precedente smonterà o cambierà il senso delle cose così come le abbiamo conosciute fino a quel momento. In un contesto come questo, il sacro è svuotato di ogni valore e del tragico non rimane che una caricatura. E in fondo anche le apparizioni, nei loro costumi fortemente tipizzati (opera di Helga H. Williams), sono essi stessi delle caricature.
Patrizia La Fonte e Maurizio Palladino da soli interpretano tutti i personaggi, mostrando un’eccezionale bravura attoriale nella capacità di cambiare carattere con la stessa facilità con cui cambiano l’abito di scena, magistralmente guidati Giuseppe Marini. Questo risalta come il dato più teatrale della messa in scena che di contro propone un testo a tratti difficile da seguire per l’intenso filosofeggiare. Tuttavia il comico è assicurato e, come il dubbio, rimane come forte gesto democratico che nasce quando si prende distanza dall’altro. La Pizia affronta così anche la morte, con lo spirito quasi carnevalesco di chi sa mettere da parte il dolore e l’afflizione e accettare il tragico come accadimento inevitabile, incalcolabile, imprevedibile.
data di pubblicazione:14/10/2023
Il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Ott 13, 2023
Sembrerebbe una favola con tanto di lieto fine ed invece Nata per te, film diretto da Fabio Mollo già autore de Il padre d’Italia che raccontava una particolare storia di paternità, narra di una incredibile vicenda realmente accaduta a Napoli nel 2017, una sorta di incontro fatale tra due esseri soli.
Una bambina, affetta da sindrome di Down, una volta partorita in ospedale viene lasciata dalla madre naturale perché sia data in adozione. È l’alba di una calda giornata estiva e Nunzia (Antonia Truppo), l’infermiera che dal primo momento si prende amorevolmente cura della piccola, decide di chiamarla Alba, e con l’amore incondizionato di una madre le da come cognome Stellamia. L’adozione di Alba Stellamia passa immediatamente nelle mani del giudice minorile Livia Gianfelici (una convincente Barbora Bobulova) che si vede costretta ogni giorno ad applicare una legge del 1983 che impedisce ad un single o a coppie omosessuali di adottare; eppure, quella stessa legge di quarant’anni fa prevede, all’articolo 44, che in presenza di un bambino disabile anche un single può ottenerne l’affido. E così Luca (un bravissimo Pierluigi Gigante al suo primo ruolo da protagonista), fondatore di un centro di accoglienza per disabili, cattolico, non sposato e gay, avendo già presentato da tempo richiesta d’affido senza porre alcuna condizione sullo stato del minore ma solo spinto da un forte desiderio di paternità, diventa l’unica persona favorita dal momento che nessuna coppia si palesa nel voler adottare Alba. Verrà aiutato nel perorare la proposta di affido da Teresa Ranieri (una sorprendente Teresa Saponangelo), avvocata molto determinata, senza troppi peli sulla lingua, da poco ritornata dalla maternità per seguire qualche caso in tribunale. Il giudice Gianfelici decide per un affido temporaneo di un mese in favore dell’uomo. Sarà il primo piccolo passo verso qualcosa che sembra irraggiungibile: l’adozione!
Il film, che racconta l’unico caso di adozione in Italia da parte di un genitore single, è basato sulla storia vera di Luca Trapanese, fondatore di una Onlus che da anni svolge attività di volontariato, attualmente assessore al welfare del Comune di Napoli, e di sua figlia Alba. Dallo stile asciutto, convenzionale ma coinvolgente e di pacata ma decisa denuncia, Nata per te affronta temi di ogni genere: dalla discriminazione tra bambini sani e disabili, alla normativa sulle adozioni che a sua volta “discrimina” le persone non sposate che vorrebbero adottare, sino all’annoso problema se il genitore che vuole farlo è anche omosessuale. Nel plot sono molto importanti e centrate le figure femminili: ad iniziare dal giudice, che nel suo essere intransigente farà poi la differenza nel creare un precedente (perché solo un giudice può farlo) concedendo l’adozione ad un genitore single, mettendo così realmente al centro il diritto del minore e non il concetto di famiglia tradizionale; altra figura fondamentale è l’avvocata che non si arrende mai di fronte a nulla così come l’infermiera che si prende cura di Alba come fosse sua figlia, sino ad Antonia, la madre di Luca, interpretata da una brava ed affascinante Iaia Forte che riesce a tratteggiare con il suo comportamento un ambiente familiare scevro da ogni genere di pregiudizio.
Alba Trapanese oggi ha 7 anni, ha un padre ed una intera famiglia paterna che la ama.
data di pubblicazione:13/10/2023
Scopri con un click il nostro voto:
da Antonio Iraci | Ott 12, 2023
Nove personaggi per nove episodi. Ognuno in una differente situazione recita interpretando se stesso. Le varie storie assumono già da subito un carattere divulgativo perché fanno vedere come la gente comune vive a Teheran una giornata comune. Un boato enorme prelude un potente terremoto e la stessa città implode: forse si è di fronte alla temuta apocalisse? E in tutto questo, chi si salverà dalla dannazione eterna?
Se Kafka fosse vissuto oggi in Iran sicuramente avrebbe attirato con i suoi scritti gli strali del Ministero della Cultura islamica, così come di fatto è accaduto ai due registi per il solo fatto di aver descritto la realtà del proprio paese. Ogni singolo individuo, che con il proprio nome dà il titolo ad ogni episodio, è in preda a una angoscia esistenziale, vittima impotente, ognuno per un motivo diverso, di ogni forma di brutalità fisica e psicologica. Ciò che risalta subito come mero paradosso viene invece descritto come atto di pure logica, di normalità che bisogna accettare senza alcuna discussione. Lo spettatore, nonostante al corrente attraverso i media di ciò che accade oggi in Iran, rimane incredulo di fronte al messaggio che, pur rimanendo allegorico, trasmette esattamente un puro sconcertante realismo. I volti dei protagonisti sono ripresi con ben studiati piani sequenza, l’inquadratura rimane statica e la parte in contraddittorio rimane al di qua della cinepresa, si percepisce la sua presenza, se ne vedono i particolari ma non viene mai mostrata apertamente. Ciò che conta, per i due coraggiosi registi, è dimostrare quanto sia presente in quel paese l’impotenza umana del singolo di fronte al mondo che lo circonda con la sua invadente burocrazia e la sua spietata intransigenza. I singoli protagonisti si affidano a una recitazione spontanea, seguendo un copione che comunque non va a sminuire la sensazione di fastidio da parte del pubblico. Per l’ennesima volta si denuncia una sistematica repressione non solo per ogni forma di diritto ma anche per le decisioni più innocenti, come scegliere il colore del proprio vestito da parte di una bambina che si appresta ad entrare in società. Siamo forse tornati ai tempi bui del secoli passati quando l’inquisizione puniva con la morte ogni idea nuova che potesse alterare un ordine precostituito? Sembrerebbe di sì e purtroppo ne abbiamo la prova concreta. Un film di breve durata ma che colpisce con la forza delle immagini, delle situazioni e dei singoli personaggi. Un film che fa riflettere sulla sofferenza di tanti popoli che affrontano quotidianamente la propria vita con angoscia e immenso smarrimento.
data di pubblicazione:12/10/2023
Scopri con un click il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Ott 12, 2023
(Roma Europa Festival 2023)
Può succedere che una idea performativa venga concepita appena prima di addormentarsi, in uno stato di sospensione che spesso è carico di emotività e di creatività. Nell’assolo Somnole, Boris Charmatz, uno dei più celebrati coreografi francesi del panorama contemporaneo e dal 2022 direttore del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, nella doppia veste di coreografo ed interprete, indaga la condizione biologica dell’ibernazione, osservando ciò che succede al di sotto della superficie, dal sognare a occhi aperti alla scossa del risveglio. Il tutto mentre riecheggiano reminiscenze musicali fischiettate dallo stesso, che danno una dimensione sonora al percorso fisico e mentale dell’artista attraverso una danza in divenire fluido (foto Marc Domage).
Sonnecchiare in attesa del sonno. S’intitola Somnole il primo assolo che Boris Charmatz ha scritto per sé ed andato in scena 10 e 11 ottobre al Teatro Argentina per Romaeuropa Festival.
Le coordinate del lavoro sono racchiuse tra il movimento perpetuo, la voglia di ballare, di saltare e di esaurire l’energia del fisico, e un’immagine del corpo più calma, anche più oscura, che rimanda all’arresto dopo l’esaurimento, alla sonnolenza. Nato anche per effetto del confinamento causato dall’emergenza Covid, Somnole vuole evocare soprattutto i gesti degli insonni, dei sonnambuli.
A torso nudo, con una gonna ed emerso dal buio, Charmatz studia e delimita lo spazio a falcate rapide e a passi leggeri; cammina, corre, salta ostacoli immaginari e guarda l’aria attorno a sé da più prospettive; linee e piani verticali ed orizzontali cercando ora un sostegno, ora un nemico contro cui scagliarsi e battersi; sfianca il proprio corpo, ostentando il sudore e battendosi il ventre. Tutto d’un fiato. Dall’inizio alla fine lui stesso fischia le note su cui danza, una performance di suono e gesto, un tour de force poetico, un assolo con il desiderio di dominare la scena, ma anche di condividerla con il pubblico.
Nella costrizione di una coreografia prima pensata e solo in un secondo momento eseguita, Somnole va oltre la stessa sonnolenza da cui nasce, diventando vortice con cui il danzatore interagisce in contrapposizione alla stasi del corpo dormiente e immobile.
Nello sforzo il respiro reclama spazio e detta il ritmo assieme alla voce che ogni tanto si fa largo e vibra tra le corde di un corpo a cui si sta chiedendo sempre di più per una composizione fisica e musicale che Charmatz compone ed interpreta con gran classe.
data di pubblicazione:12/10/2023
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 11, 2023
Più che dignitoso esordio alla regia di Claudio Bisio in un film drammatico dove però le note comiche alleggeriscono la tensione secondo una lezione appresa da Benighi e da Mihaileanu. Il tema del fascismo e dell’apartheid razziale vengono trattati con delicatezza e il necessario distacco per prendere le distanze storiche dall’accaduto.
Accettata la scommessa di partire con handicap affidando la responsabilità delle parti più importante a un poker di giovani ragazzi che, pur con tutta la buona volontà, a tratti fanno decadere le tensione per ovvia inesperienza recitativa. Bisio gioca le proprie carte sul plot ambientando la narrazione nel ghetto romano tra i chiaroscuri dell’adesione al fascismo e l’ovvio profumo di un futuro più incoraggiante. Film con toni da fiaba a cui accedere concedendo qualche debito alla verosimiglianza. Il gioco alla guerra degli adolescenti è la metafora di una guerra crudele tra grandi che lascia sul campo morti, feriti e deportati. Nel quanto mai vago tentativo di raggiungere il loro amichetto ebreo i tre scapestrati fuggiaschi ci portano a osservare divagazioni picaresche con abbondanti noti di costume. Più che l’orbace contano i sentimenti che rendono scostumata persino una suora tutta casa e Chiesa. Così l’esperienza è una pagina aperta sulla vita dei grandi e sull’Italia che si apre a una nuova stagione. Il film esce nelle sale il 12 ottobre, in occasione degli ottanta anni dal rastrellamento del Ghetto di Roma avvenuto il 16 ottobre 1943. L’omaggio è implicito e regalato con toni non pesanti, estremamente disincantati ma sinceri. La colonna sonora di Pivio & Aldo De Scalzi è qualcosa di più di un piacevole sottofondo ed è una sorta di segnalibro per il montaggio.
data di pubblicazione:11/10/2023
Scopri con un click il nostro voto:
Gli ultimi commenti…