da Maria Letizia Panerai | Ott 21, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
“Vi siete mai chiesti come mai accanto alla più grande acciaieria d’Europa non ci sia nemmeno una fabbrica di forchette? Il nostro acciaio serve a costruire la ricchezza di qualcun altro…”. Tra il 1997 ed il 1998 presso l’Ilva di Taranto viene praticato nei confronti di circa 80 impiegati specializzati una operazione di mobbing collettivo allo scopo di “fiaccarli”, per far accettare loro una novazione del contratto che declassava gli stipendi a salari come quelli degli operai.
Ufficialmente la Palazzina LAF (acronimo di Laminatoio A Freddo) era un posto dove i proprietari e i dirigenti dell’Ilva decisero di spedire coloro che erano dei buoni a nulla, in prevalenza impiegati a cui non andava di lavorare, a discapito degli operai che invece tutti i giorni, a differenza di loro, si spaccavano la schiena negli altoforni. Per essersi dunque rifiutati di accettare una variazione delle loro mansioni, 80 impiegati come punizione vennero “confinati” in questo luogo ad occupare stanze vuote dove un tempo c’erano dei vecchi archivi.
Michele Riondino, tarantino e figlio di un operaio dell’Ilva, dopo aver raccolto materiale e testimonianze per diversi anni, esordisce alla regia con questo film di denuncia, di cui scrive anche la sceneggiatura assieme a Maurizio Braucci; l’amico di sempre Antonio Diodato ha curato la colonna sonora e Vanessa Scalera, brindisina, ha accettato un piccolo ruolo pur di esserci, impersonando una impiegata “punita” dal padrone e per questo spedita nella Palazzina LAF. Elio Germano interpreta Giancarlo Basile, direttore del personale viscido e senza troppi scrupoli, mentre Michele Riondino è Caterino Lamanna, un operaio convinto che i “confinati” siano tutti realmente dei lavativi da punire. Caterino (l’unico personaggio parzialmente inventato) farà di tutto per farsi mandare nella Palazzina LAF, contento di essere pagato senza fare nulla e collaborando in qualche modo nello spifferare al padrone tutto ciò che accade al suo interno, senza avere i mezzi per accorgersi realmente che quella sorta di confino rappresenta una grave violazione della dignità dei lavoratori.
Riondino si ritaglia un ruolo scomodo che però rispecchia appieno quella che ingiustamente era l’opinione che circolava in azienda a discapito di persone che, oltre a non poter più lavorare inventandosi qualsiasi cosa per ammazzare il tempo all’interno di uffici fantasma, dovevano anche subire l’umiliazione dell’opinione di colleghi e operai ignari che quella era una punizione nei confronti di pochi per educare i rimanenti 12.000 lavoratori. Per questa vicenda, realmente accaduta, la giustizia penale commisurerà al patron dell’Ilva Emilio Riva una condanna per violenza privata.
Palazzina LAF rappresenta un ottimo esordio di ferma e sentita condanna civile, che denuncia parallelamente anche il tema delle polveri sottili che causò oltre che gravi forme tumorali agli abitanti d’interi quartieri della periferia tarantina, anche l’abbattimento di 600 pecore che pascolavano nelle zone limitrofe gli stabilimenti.
data di pubblicazione:21/10/2023
da Salvatore Cusimano | Ott 21, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
È un fine settimana di gennaio a Roma, quando un’anomala ondata di caldo si impossessa della città. Nell’arco di due giorni i nostri protagonisti vengono messi con le spalle al muro, costretti ad affrontare tutto quello che hanno abilmente evitato nelle loro vite, abituati a usare il sesso, il cibo, le droghe e persino l’amore come via di uscita, adesso non possono più scappare, devono attraversare il caldo e farsi trasformare da esso, ognuno con il suo ritmo, ognuno con la sua voce.
Durante una calda estate romana, dove tutto si scioglie, si pone il seguente interrogativo: e se il mondo fosse così per sempre, caldo, giallo e secco? È questa la premessa fondamentale di questo film, dalla quale non si può certamente prescindere. In mezzo alla catastrofe per così dire ‘biblica’, una serie di peccatori intrecciano le loro storie, ognuno con le proprie disfunzionalità, molto umane, con ovvie complicità di famiglie sgangherate : la pericolosa Gianna (Valeria Bruni Tedeschi) che persegue la pornostar che le ha rubato il marito, Pupa (Valeria Golino); il sacerdote Bill (Danny Huston) e la sorella giunta dall’America (Greta Scacchi) che hanno il compito di spargere le ceneri della madre al cimitero acattolico; l’alcolizzata Caterina (Alba Rohrwacher) che cerca di recuperare il rapporto col marito Riccardo (Riccardo Scamarcio) e il figlio Max (Andrea Rossi); Mila (Sofia Panizzi), figlia di Gianna, alterna bulimia e assistenza all’anziana signora Maria Antonietta (Marisa Borini).
Te l’avevo detto parla di questo. I personaggi del film si confrontano con le proprie debolezze di una vita intera, che si tratti di cibo, sesso, droghe, religione o chirurgia plastica. Ma è arrivato il momento in cui non si può più scappare. Il cast del film è ben assortito, ma una menzione particolare va fatta per le due Valerie, Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi, amiche nella vita, nemiche in quest’opera, che danno luogo ad una serie di splendidi duetti, pieni di comicità surreale per certi versi, ma anche malinconica e cruda.
La scelta di ambientare il film a Roma possiede una sorta di solennità e universalità che è in sintonia con i temi del film, scritto durante la pandemia, che sicuramente dividerà, il che è sempre una buona cosa, un segno di vita; il tutto accompagnato da una fotografia che rende perfettamente questo senso di oppressione, fino a far perdere i contorni e i riferimenti.
data di pubblicazione:21/10/2023
da Paolo Talone | Ott 21, 2023
(carrozzerie n.o.t. – Roma, 13/22 ottobre 2023)
Lui e lei si incontrano finalmente per la prima volta in una stazione da qualche parte al Nord, dopo aver lungamente chattato su una app di incontri. Imparano a conoscersi tra imbarazzo e curiosità. Le cose sembrano andare bene finché non spunta l’altro. In scena alle carrozzerie n.o.t. il nuovo spettacolo della compagnia Teatrodilina. (ph. Manuela Giusto)
La bella amicizia e il sodalizio lavorativo che lega gli artisti della compagnia Teatrodilina – un gruppo di professionisti che occasionalmente si riunisce per dar vita a lavori centrati sulla parola, il suono e i gesti degli attori – si riflette sul palco lasciando lo spettatore meravigliato, divertito, in qualche modo edificato da una storia che in parte lo riguarda perché riflette le fragilità di ognuno. L’idea che regge l’impalcatura di questo loro ultimo lavoro, Meno di due, è estremamente efficace e solida nella sua semplicità.
Lui (Francesco Colella) è professore di greco in un liceo di Catanzaro, ha due figli e un divorzio alle spalle. Lei (Anna Bellato) manda avanti l’azienda di famiglia, anche se avrebbe voluto lavorare nella moda. Di figli non ne ha, ma convive con quattro cani. Si incontrano in una stazione di treni in un giorno piovoso, come lo sono spesso le giornate autunnali. Finalmente un appuntamento per conoscersi dal vero. Dopo aver lungamente scambiato messaggi sui social, ora possono scambiarsi gli sguardi, le esperienze, i dialetti. Davanti a un macchiatone, che è poco meno di un cappuccino ma più di un caffè (come lui e lei sentimentalmente poco più di uno, ma meno di due), iniziano a fare domande l’uno all’altra, tra imbarazzo e reciproco interesse. Chissà quante persone si stanno incontrando ora nella stessa modalità, mentre ne parliamo. Perché storie come questa accadono. È dai tempi antichi che succede così. C’è sempre in giro qualcuno con addosso l’odore di un cane abbandonato che, per lenire la solitudine, va in cerca di compagnia.
Spunta improvvisamente l’altro (Leonardo Maddalena) con cui lei ha una relazione, anche se è sposato con figli. Per un attimo l’idillio iniziale si affievolisce. Ma anche l’altro è uno come loro, come noi, e il gioco di specchi (di superfici riflettenti è fatta la scena di Salvo Ingala) si moltiplica e si arricchisce. Lo specchio è l’amico che ti dice la verità, ma anche lo strumento davanti al quale orchestri i travestimenti. Specialmente quando si vuole apparire migliori di quello che si è in realtà, creando aspettative a volte fasulle sugli altri, ingannando prima di tutto noi stessi.
Giocata sulla bravura e la naturale espressività degli interpreti, affiatati nel lavoro sul palcoscenico, la regia di Francesco Lagi cura ogni più piccolo dettaglio dello spettacolo con la meticolosità di un mastro orologiaio. Il tappeto sonoro di Giuseppe D’amato è così realistico da far dimenticare perfino di essere a teatro. Si ride della goffaggine e dell’ingenuità dei personaggi e finisce che ce ne affezioniamo perché in fondo ci somigliano. Nelle insicurezze. Nei desideri.
data di pubblicazione:21/10/2023
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Ott 21, 2023
(ALICE NELLA CITTA’- 18/29 Ottobre 2023)
La sete di vendetta della tragedia greca classica ispira il racconto corale di Eravamo bambini del regista Marco Mantani, la storia di un gruppo di amici rimasti traumatizzati da un brutale fatto di sangue che da bambini, in un piccolo paese della Calabria dove trascorrevano le vacanze, ha cambiato per sempre le loro vite. Quando uno di loro manifesta l’intenzione di voler tornare, spinto dalla sete di vendetta, gli amici non possono non seguirlo, ma una volta arrivati in quel luogo di vacanze e di ricordi, si renderanno conto che il vero motivo che li ha spinti a ritrovarsi dopo tanti anni sarà affrontare l’orrore che hanno vissuto e fare finalmente i conti con il passato.
Un viaggio nel tempo che scava nei ricordi più oscuri. Ricordi traumatici di una infanzia devastata che ha segnato le loro vite. Marco Martani ha scritto e girato il film Eravamo bambini traendolo liberamente dal testo teatrale Zero di Massimiliano Bruno.
In un paese della costa calabrese, un pacifico trentenne viene arrestato per aver minacciato con un coltello un carabiniere. Durante il suo interrogatorio racconta quello che successe vent’anni prima a lui e ai suoi cinque amici per la pelle: Gianluca, Walter, Peppino, Margherita e il piccolo fratellino di lei, Andrea. Quegli stessi amici (i bravissimi attori Lorenzo Richelmy, Alessio Lapice, Lucrezia Guidone, Francesco Russo, Romano Reggiani), ora poco più che trentenni, tutti con difficoltà emotive e con disturbi della personalità, vivono sparpagliati in tutta Italia. Un messaggio di uno di loro rompe la quotidianità perché manifesta l’intenzione di voler tornare nel paese calabrese per vendicarsi di qualcosa o qualcuno.
Il film, presentato ad Alice nella Città lo scorso 19 ottobre in concorso nella sezione Panorama Italia, è un puzzle emotivo e temporale, una storia di amicizia, un thriller che si fa dramma umano, ma anche una storia di vite spezzate, di sangue e di un feroce e doloroso conto alla rovescia procrastinato per vent’anni. Quel paese, luogo di vacanze e di ricordi, abbandonato traumaticamente vent’anni prima è una calamita troppo potente per loro. Una volta lì, in preda ai ricordi e alla nostalgia, si renderanno conto che devono esorcizzare quel trauma che non ha mai permesso loro di vivere una vita normale bensì l’ha trasformata in un inferno. Ed ineluttabile sarà il loro destino, perché le colpe dei genitori ricadono sempre sui figli.
Il film scorre e coinvolge nella sua onestà di intenti e funziona grazie ad un ritmo stratificato ed altalenante che segmenta le vite incompiute dei protagonisti, reggendosi poi grazie ad un efficace montaggio che da vigore e sussulti al racconto e fa passare in secondo piano qualche forzatura del racconto e dell’identità dei protagonisti.
data di pubblicazione:21/10/2023
da Antonio Iraci | Ott 20, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
Rudolf Hoess, comandante supremo di Auschwitz, vive insieme alla moglie Hedwig e ai suoi cinque figli in una bella villa, adiacente al muro che delimita il campo di concentramento. Mentre lui affronta con consapevolezza e grande senso di responsabilità l’incarico affidatogli, gli altri sembrano invece ignorare la tragedia che si sta perpetuando a pochi metri dalla loro casa, conducendo una vita sociale normale, spensierata e oltremodo agiata…
The Zone of Interest diretto dal regista britannico Jonathan Glazer, che ne ha curato anche la sceneggiatura, è tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis ed è stato presentato per la prima volta in concorso al Festival di Cannes 2023, dove ha ottenuto il Grand Prix Speciale della Giuria. Riconoscimento questo più che meritato per la singolare modalità delle riprese attraverso le quali il regista affronta un tema, quello appunto dell’olocausto, in maniera del tutto originale senza rendere direttamente visiva la tragedia in atto. La telecamera non entra mai nel campo di concentramento ma rimane al di qua del muro, in una zona definita di interesse che circonda appunto il lager, e ci fa vivere gli orrori dello sterminio solo da lontano. Il fumo dell’arrivo costante dei treni, che trasportano masse di ebrei destinati a un programmato e sistematico sterminio, si intravede in lontananza e dal sottofondo si percepiscono rumori indistinti di armi da fuoco e le urla di disperazione di chi viene avviato a morte certa. I colori dei fiori ben curati in giardino, le tavole ben imbandite con ogni prelibatezza sono funzionali a evidenziare quanto di più cupo viene vissuto al di là di quel muro, un sottile ma invalicabile confine tra paradiso ed inferno. Solo le ceneri provenienti dai forni crematori, in funzione giorno e notte, sembrano non rispettare questi divieti di contaminazione imposti dalla logica perversa del nazismo: invadono come possono l’aria, l’acqua dei fiumi e persino il giardino degli Hoess. Glazer presenta allo spettatore un film ridotto all’essenziale, ma lo fa nella maniera corretta e più incisiva perché non porta dentro il campo ma fa partecipi di tutto attraverso i suoni angoscianti che scuotono lo spettatore sin dai primi momenti di proiezione. I fatti più o meno sono noti a tutti, anche le giovani generazioni sono oramai sensibilizzate sull’argomento, ma questo film aggiunge qualcosa di nuovo, di radicalmente diverso all’immaginazione, va diretto a colpire la sensibilità per ricordare di quelle atrocità rimaste indelebili nella storia. Ottima l’interpretazione del cast intero tra cui spicca quella di Christian Friedel, nel ruolo del comandante, come sorprendente la fotografia di Lukasz Zal, a volte velata e dai toni grigi, a volte piena di colori dirompenti, illuminati da una luce fredda ed accecante.
data di pubblicazione:20/10/2023
da Paolo Talone | Ott 20, 2023
(TEATRO SPAZIO 18b – Roma, 9 ottobre 2023)
Con Piaf si è inaugurata lo scorso 12 ottobre la nuova stagione del teatro Spazio 18B. Non uno spettacolo biografico, bensì un viaggio nella vita della cantante de La Vie en rose, nato dalle passioni dell’autore Federico Malvaldi per Parigi e per il canto dell’interprete Veronica Rivolta. La programmazione della piccola ma accogliente sala, situata nel quartiere romano di Garbatella in via Rosa Raimondi Garibaldi il cui numero civico 18B dà il nome allo spazio, continua questa settimana sempre con un testo di Malvaldi e drammaturgia scenica curata da Marzia Ercolani, Nel meraviglioso mondo di Alice. In scena Maria Rosa Toma, protagonista di uno spettacolo non convenzionale, immersivo (come lo sono molti lavori presentati allo Spazio 18B), un viaggio che porterà lo spettatore a capire, attraverso la fragilità e la follia, il meraviglioso dono che è la vita.
L’accoglienza è decisamente la qualità peculiare che meglio di tutte descrive la sala e chi la gestisce. La caratteristica che per prima salta all’attenzione di chi, artista o spettatore, entra in questo spazio. Un luogo di incontro e aggregazione rivolto a tutti, gestito con passione, professionalità e sorriso da Jacopo Bezzi e Massimo Roberto Beato. Insieme hanno dato vita nel 2007 alla compagnia professionale di prosa “La compagnia dei Masnadieri”, riconosciuta dal 2018 come Impresa di Produzione di Teatro e Innovazione nell’ambito della Sperimentazione dal Mibac nell’ambito del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo). Gli spettacoli in cartellone sono quindi selezionati e in parte prodotti dalla compagnia. Una realtà del genere, nel vasto e a volte claudicante panorama teatrale romano e non solo, è davvero incoraggiante. Determinazione, coraggio e azzardo sono infatti gli ingredienti che la nutrono, per un’azione e una missione di resistenza che, come afferma Maresa Palmacci (ufficio stampa del teatro), deve partire dai luoghi piccoli, come lo Spazio 18B.
A fine ottobre (dal 26 al 29) la sala si trasformerà in un teatrino delle marionette. Sarà in scena lo spettacolo Freak Show – e ci chiamano fenomeni da baraccone, che racconta la storia dei gemelli siamesi Tocci. Ci si interrogherà sul concetto di corporeità, tema caro all’autore, Massimo Roberto Beato, e al regista, Jacopo Bezzi.
Leggera di Claudio Massimo Paternò sarà in scena invece il 3 e il 4 novembre. Protagonista e coautrice del lavoro è Caterina Luciani Messinis, che interpreta una donna affetta da disturbi alimentari e affettivi. Il testo, intimo anche nello spazio scenico, è frutto di una ricerca durata sette anni ed è prodotto da Micro Teatro Terra Marique, un’altra realtà piccola, ma innovativa. Sempre a novembre – dal 9 al 19 – rivivrà l’eterno mito del celebre vampiro nello spettacolo Dracula. La leggenda. In scena Massimo Roberto Beato (anche autore) con Tommaso Paolucci, Veronica Rivolta e Carlotta Mangione. La regia è di Jacopo Bezzi.
Madri di guerra, di e con Antonella Caldarella, andrà in scena il 24 e il 25 novembre. Uno spettacolo che impone una riflessione sulla legalità e la lotta a una cultura mafiosa/omertosa, attraverso storie realmente vissute, con musiche eseguite dal vivo da Steve Cable.
Dal 30 novembre al 3 dicembre Luigi Acunzo è protagonista di Nun me piace. Anacronismi in croce, un omaggio a Eduardo De Filippo e José Saramago e a tutte quelle icone adorate e poi messe in croce. La drammaturgia, le scene e la regia sono di Marzia Ercolani.
Il teatro si trasformerà in un hotel durante le feste natalizie per il consueto appuntamento con il giallo di Natale. Il pubblico di Delitto al Grand Hotel sarà trascinato nella Escape room ideata da Jacopo Bezzi per la regia di Massimo Roberto Beato (14-31 dicembre).
Dal 18 al 28 gennaio Francesca Romana Miceli Picardi andrà ad affrontare nel suo testo tutto al femminile Mercoledì. Alle 3 il difficile mondo delle carceri. Lo spettacolo, nato dopo essere venuta a conoscenza della “cella zero” o “acquario” (nel gergo del penitenziario una sorta di stanza delle torture), vedrà in scena anche Lavinia Mancusi e Luana Pantaleo.
Ancora teatro sociale con Della vergogna (di e con Giulia Vannozzi, dal 15 al 18 febbraio), una storia che riflette sul cattivo utilizzo e la pericolosità della tecnologia, liberamente ispirata alla vicenda umana e giudiziaria di Tiziana Cantone che nel 2016 si tolse la vita in seguito alla pubblicazione sul web di video hard e della successiva gogna mediatica.
Sempre a febbraio, dal 22 al 25, Giovanni Greco sarà in scena con Jarrusu, uno spettacolo che mette al centro la vicenda legata alla morte di Pier Paolo Pasolini e alle evidenze nate dall’inchiesta portata avanti dalla giornalista Simona Zecchi nel libro Pasolini, massacro di un poeta. Jarrusu, che in dialetto catanese significa gay, è la parola che è stata gridata più volte al poeta prima di venire ucciso.
Dal 7 al 17 marzo tornano Federico Malvaldi e Veronica Rivolta con La donna di pietra, un omaggio alla vita travagliata, finita in manicomio, della grande scultrice, amante e musa di Rodin, Camille Claudel.
A maggio (9-12) sarà in scena la performance di Agnese Ascioti Limbo, una situazione più che un racconto che presenterà la vita di un individuo come se fosse scarabocchiata a penna su un pezzo di carta. Un compendio di “cose mortifere” (così l’autrice) che rende lo spettatore testimone di una realtà descritta senza orpelli.
Torna infine dal 20 al 22 maggio la rassegna di corti teatrali SOSTANTIVO GENDER – QUINTA EDIZIONE “LA KARL DU PIGNE’”, che si propone di dare un contributo alla costruzione di una società più ricca e accogliente sotto il profilo umano, sociale e culturale. In cui le differenze, legate in particolare alle identità di genere e di orientamento sessuale, siano portatrici di un valore. A seguire, dal 23 al 26 maggio, andrà in scena lo spettacolo C19H28O2 di Riccardo Rampazzo, vincitore della scorsa edizione.
data di pubblicazione:20/10/2023
da Daniele Poto | Ott 20, 2023
(Teatro Prati – Roma, 13 ottobre/26 novembre)
Forse nella stagione teatrale romana non c’è spettacolo di più lunga programmazione di questo. Perché i ritmi di Scarpetta sono aggressivi ed accattivanti e i dodici attori in combinato disposto di farsa assistono meravigliosamente un plot di oltre due ore senza pause e cadute, a parte un frettoloso quanto indispensabile finale consolatorio.
Si sa che da Scarpetta discendono a pioggia i De Filippo (forse più Peppino che Eduardo). Dunque un succo seminale di teatro fatto di guitti, di ammiccamenti, di facilitazioni comiche coraggiose e vigorose. Il Teatro Prati è l’indispensabile presidio di questa comicità, con cultore principale Fabio Gravina che da 25 anni si è specializzato in questa propagazione di testi poco rappresentati e che non hanno niente da invidiare ai ritmi forsennati di Feydeau o Labiche. Un teatro senza lambiccamenti intellettuali di pura intelligente pancia. Gli attori non risparmiano il meglio del proprio impegno con un buon mix uomini/donne e un paio di interpreti che irriconoscibilmente si sdoppiano. Il tema della separazione è alla base del racconto e, incredibile dictu, è uno scaldaletto il tema del contendere. I due coniugi fondano due partiti virtuali e nel terzo tempo, quello della resa dei conti, si ritroveranno in tribunale per lo scioglimento del vincolo salvo ritrovarsi affiattati e ritrovati in un comune denominatore. Galeotto fu il cameriere, bonario ma in fondo perfido. Si ride tanto e con grande soddisfazione. Felice Sciosciammocca è un must e la riattualizzazione è d’obbligo considerando che l’originale è stato scritto nel 1881 ed anche il concetto di famiglia è stata stravolto da allora. Scenografie di pregio e tutt’altro che all’insegna del risparmio.
data di pubblicazione:20/10/2023
Il nostro voto:
da Salvatore Cusimano | Ott 20, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
Catturati da una spietata banda di criminali, Diabolik e Ginko si trovano faccia a faccia. Rinchiusi in una cella, senza via di uscita e certi di andare incontro a una morte inevitabile, Diabolik rivela all’ispettore il suo misterioso passato. Intanto, Eva Kant e Altea sono alla disperata ricerca dei loro uomini.
Chi è veramente Diabolik? È questo l’interrogativo a cui cercano di dare risposta le sorelle Giussani nel loro celebre fumetto e i Manetti Bros in questo film, dove, dopo i due primi capitoli, hanno scelto di chiudere il loro trittico dedicato al mito di un’intera generazione, ovviamente anche la loro. Per fare il tutto, il duo registico ha cercato di mantenersi deliberatamente fedele alle storie su carta, riuscendo ancora una volta a trovare la chiusura di un cerchio magico, riuscendo a spiegare il personaggio e le sue origini senza per questo svelarlo del tutto, lasciando sempre un alone di mistero sulla sua figura e rendendolo per questo ancora più affascinante.
Se nel primo film si era cerato di raccontare Diabolik dal punto di vista di Eva Kant e nel secondo attraverso quello dell’ispettore Ginko, in questo terzo capitolo si è deciso di raccontare Diabolik dal punto di vista di Diabolik stesso, facendo un balzo in avanti di un decennio catapultando la scena negli anni 70 con scenografie, costumi e fotografia cambiati in modo piuttosto evidente: ciò ha dato
un taglio completamente diverso al film rispetto ai precedenti.
Oltre al cast fisso già presente negli altri, Giacomo Gianniotti, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci e Pier Giorgio Bellocchio, si sono aggiunti tanti nuovi attori per dare nuovo spunto all’ultimo capitolo della saga, con Diabolik stesso che viene interpretato da più attori. Un merito particolare va dato alla coppia Leone/Bellucci, donne che si alleano per salvare i loro uomini, in ciò riuscendo a dare un taglio ‘femminile’ all’opera, di cui c’era veramente bisogno. Unica pecca la durata, ma trattandosi di capitolo finale era immaginabile il dilungarsi.
Per concludere, il terzo film è pieno di canzoni di grandi cantanti italiani e non. Per il brano dei titoli di testa, dopo Manuel Agnelli e Diodato, si è passati allo stile frizzante dei Calibro 35 in coppia con Alan Sorrenti.
data di pubblicazione:20/10/2023
da Antonio Iraci | Ott 19, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
Monica soffre di una rara malattia mentale, chiamata sindrome di Korsakoff, che le ha cancellato i ricordi del suo passato reale. La donna vive isolata in una casa al mare, accudita dal marito Edoardo che se ne prende amorevolmente cura e che la asseconda nella sue stranezze. Per lei l’unica possibilità, per ritrovare un senso nella vita, sarà quella di identificarsi in un’altra Monica, e precisamente nei personaggi interpretati da Monica Vitti in film famosi…
Roberta Torre, regista e sceneggiatrice milanese, dà sicuramente un titolo bizzarro a questo suo ultimo film, presentato ufficialmente in questa edizione della Festa del Cinema di Roma. Viene ispirato infatti da una frase, divenuta poi celebre nella storia del cinema italiano, pronunciata da Monica Vitti nel film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni. Come nel film del famoso regista, Monica, interpretata da una brava Alba Rohrwacher soffre, più che di una malattia mentale, di un disagio esistenziale, uno smarrimento che la porta a isolarsi dal mondo reale per rifugiarsi in una realtà filmica di pura illusione. Rivivendo in tutto e per tutto i personaggi interpretati da Monica Vitti, la protagonista riesce a crearsi una vita parallela, che se per gli altri è frutto di pura fantasia, per lei invece assume i caratteri dell’unica realtà accettabile. Al marito (Filippo Timi) non rimane altro che entrare anche lui nella scena accanto alla moglie che ripete meccanicamente ogni singola battuta di un copione che ora per lei fa parte del suo quotidiano. In questo film Roberta Torre affronta con coraggio il tema di una donna che perde la memoria, svuota la propria testa di ricordi forse inutili per resettarsi in altri, a lei più congeniali, e vivere la propria vita in una dimensione che solo per gli estranei è puramente virtuale. Non sembra che la regista abbia solo voluto offrire al pubblico l’occasione per ricordarsi della grande Monica Vitti, recentemente scomparsa, quanto piuttosto fornire un pretesto per parlarci di una donna e della sua fragilità interiore. La protagonista infatti ritrova se stessa costruendosi una propria nuova personalità e diventa poi protagonista reale di un mondo diventato tutto suo. Un progetto, quello della Torre, sicuramente ambizioso e non da sottovalutare perché avrebbe potuto far scivolare l’intero plot in un campo minato e pericoloso, cosa che lei invece è riuscita prudentemente a evitare.
data di pubblicazione:19/10/2023
da Maria Letizia Panerai | Ott 19, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
Siamo sul finire del 1700 quando Philippe Clicquot, proprietario di numerosi vigneti nella regione dello Champagne, decide di affidare la propria azienda al figlio Françoise che sposa, giovanissimo, la ventenne Barbe Nicole Ponsardin. Seppur combinato, il matrimonio è molto felice e tra i due nasce una profonda intesa destinata a durare nel tempo. Ma l’improvvisa morte di Françoise porterà la giovane vedova ad affrontare importanti decisioni.
Barbe Nicole, inizialmente osteggiata dal suocero che avrebbe preferito vendere al confinante Monsieur Moët i vigneti già fortemente in perdita a causa della eccentrica e non convenzionale gestione del suo giovane rampollo piuttosto che affidarli a quella giovane nuora senza esperienza, decide contro il parere di tutti di proseguire l’attività del marito. Si farà affiancare in questa gestione da Louis Bohne, un commesso viaggiatore che lo stesso Françoise aveva voluto al suo fianco per ampliare l’attività, portando all’estero il loro pregiato prodotto. Louis Bohne propone alla donna di esportare in Russia, nazione dove sino ad allora nessuno aveva osato spingersi: l’idea frutterà alla coppia in affari i primi insperati guadagni. Ma nel 1811 una vendemmia eccezionale chiamata “cometa” perché avvenuta in occasione del passaggio di una stella cometa nel cielo della regione dello Champagne, che pare favorì un’annata destinata a rimanere nella storia, sugellerà il successo della vedova Clicquot ed del suo omonimo champagne.
La pellicola, ambientata durante le guerre napoleoniche e prodotta da Joe Wright (regista di film quali Orgoglio e pregiudizio, Espiazione e Anna Karenina), è basata sulla storia vera della Grande Dama dello Champagne che a soli vent’anni rivoluzionò l’industria del settore sfidando la famiglia e lo stesso codice napoleonico che, fatta eccezione per le vedove costrette dalle circostanze a prendere il posto dei mariti, non riconosceva alle donne alcuna attività imprenditoriale. Presentato quest’anno in anteprima mondiale al TFF il film, seppur ambientato in Francia, ricorda le atmosfere di una certa cinematografia anglosassone in costume, oltre a vantare una fotografia che ci fa quasi sentire l’odore dei vigneti e dei suoi preziosissimi acini, in particolare nelle scene in cui Barbe si dedica alla chimica del suolo, accasciandosi sul terreno per cantare ai suoi vitigni come il suo estroso marito le aveva insegnato, sino all’assaggio ripetuto del suo prodotto ed al lungo studio delle tecniche di imbottigliamento. Ottimi gli attori, tra i quali spicca Haley Bennet nel ruolo di Barbie Nicole, che infonde al suo personaggio lo spessore di una figura femminile all’avanguardia, appassionata, creativa; la affiancano un intenso Tom Sturridge nel ruolo di Françoise ed un bravissimo Sam Riley che interpreta Louis Bohne. Il film, che non pecca certo di originalità per il tema trattato, rientra con merito nel novero di quelle pellicole che puntano un faro sul coraggio di certe figure femminili che hanno fatto la differenza in certi ambiti, sino ad allora, di esclusivo appannaggio maschile.
data di pubblicazione:19/10/2023
Gli ultimi commenti…