PROSIT! Nuove drammaturgie per un nuovo teatro

PROSIT! Nuove drammaturgie per un nuovo teatro

(Altrove Teatro Studio – Roma, 30 aprile 2023)

Fatmachine di Matteo Francomano vince la seconda edizione di PROSIT!, il concorso ideato dall’Altrove Teatro Studio. Uno spazio creativo che premia le giovani compagnie emergenti del teatro italiano, ideato e curato da due tenaci e carismatici artisti, Ottavia Bianchi e Giorgio Latini.

 

Anzitutto l’Altrove Teatro Studio di via Giorgio Scalia 53 a Roma è un luogo dove l’entusiasmo creativo e la seria formazione sono messi al primo posto. Un luogo dove il teatro è mestiere, preparazione, ubertosa passione, azzardo. E se anche registrasse l’esito del fallimento (perché questo è il rischio che si corre a volte quando si affronta un percorso contemporaneo di drammaturgie e messe in scena) il merito rimane comunque quello di vedere la prova come un atto di coraggio e quindi come una vittoria già perseguita.

Percorrendo la rampa in discesa che porta al cortile dove si affacciano le sale dell’Associazione di promozione sociale “I pensieri dell’Altrove”, fondata e diretta dal 2012 da Ottavia Bianchi e Giorgio Latini, si respira già un’aria elettrizzante di attesa e curiosità. Non scoraggia la pioggia che la sera di domenica 30 aprile cade incessante come fosse novembre. La serata in programma chiude il cartellone di questa stagione.

Sul palco sono stati presentati quattro corti teatrali, della durata di poco più di dieci minuti l’uno, scelti tra tutti i lavori inviati al teatro da quelle compagnie emergenti nella scena italiana che hanno voluto confrontarsi con il genere della prosa. Il vincitore è stato decretato da una giuria di esperti insieme a un pubblico giovanissimo presente in sala, chiamati a esprimere la propria preferenza su una scheda di valutazione che poi è stata consegnata allo staff del teatro. Patrizia Ciabatta ha presentato con simpatica e trascinante energia la serata.

Tra i lavori proposti la menzione come miglior testo è andata a Tre giorni di Federico Malvaldi, che affronta con nero umorismo il delicato tema della malattia e delle complesse relazioni che si stabiliscono tra chi assiste e chi è assistito. Silvia Rossetti è invece l’autrice di La danza delle api, dove il mondo degli adulti e quello dei ragazzi è messo a confronto nello studio di una psicologa che indaga le ragioni dell’autolesionismo di Minerva, la sua giovane paziente. Matteo Santinelli trascina lo spettatore nell’atmosfera inquietante dei bagni di una scuola dove una ragazza cerca di dissuadere due studenti dal preparare un attentato; Giganti piccoli piccoli riflette un tema attuale, che riporta alla mente le tristi notizie fin troppo frequenti delle sparatorie che colpiscono le scuole americane.

A vincere il premio del pubblico e della giuria come miglior testo e messa in scena è stato però Fatmachine del giovane attore e autore palermitano (classe 1992) Matteo Francomano. Il monologo, portato in scena da Eleonora Bernazza, tratta con coinvolgente ironia e sicura intelligenza teatrale l’obesità di Gigi, costretto a sfidare l’impossibile – soprattutto estenuanti sedute in palestra – per entrare, anche fisicamente, in un mondo che forse sta stretto un po’ a tutti. Il premio vinto da Francomano è ricco poiché somma il gradimento della giuria e del pubblico. Lo vedremo debuttare quindi nella prossima stagione teatrale dell’Altrove Teatro Studio 2023/2024.

Quando ci si prefissa di rappresentare la realtà nelle sue molteplici angolazioni il traguardo si raggiunge sempre. E il teatro, si sa, è quel luogo dove le storie prendono corpo. Le storie che ci raccontano chi siamo e che ci indicano dove siamo diretti.

data di pubblicazione:05/05/2023

IL TANGO DELLE CAPINERE di Emma Dante

IL TANGO DELLE CAPINERE di Emma Dante

(Teatro Argentina – ROMA, 2/14 maggio 2023)

Approda al Teatro Argentina dal 2 al 14 maggio 2023 lo spettacolo Il tango delle capinere di Emma Dante, con protagonisti Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco. Ripartendo dalla fortunata Trilogia degli occhiali, con la naturale e toccante capacità evocatica che la contraddistingue, Emma Dante ridisegna il capitolo Ballarini facendone uno spettacolo a sé stanteIl tango delle capinere è il riavvolgimento dei fotogrammi della vita e di una coppia: tra le note di vecchie canzoni e bauli pieni di abiti e di ricordi, si compone il mosaico dei ricordi della lunga storia d’amore che rende più sopportabile la solitudine di una donna giunta da sola agli ultimi giorni del suo percorso di vita. (foto di Rosellina Garbo).

La capacità di una canzone di suggellare per sempre il ricordo e la forza emotiva della coppia che balla liberando nell’aria allegria e nostalgia. Ecco il racconto in versi che celebra l’amore che dura tutta la vita.

Una vecchia donna, china su un baule aperto, cerca qualcosa. si alza con in mano una spina elettrica e una presa; non appena le collega sopra la sua testa si illuminano le stelle. Da un altro baule appare un uomo vecchio che la guarda e le sorride con amore. Iniziano così a ballare abbracciati. Lui ha la testa poggiata sulla spalla di lei che è aggrappata alla giacca di lui. Il vecchio uomo ha un sussulto di piacere. Anche la donna prova piacere, ma poi ha dei colpi di tosse, deve prendere delle medicine si soffia il naso, si gratta la coscia. Sta per scoccare la mezzanotte del nuovo anno e l’uomo con il suo orologio da taschino conteggia gli ultimi secondi dell’anno vecchio, estrae dalla tasca una manciata di coriandoli e li lancia in aria, festoso. Sulle note di vecchie canzoni l’uomo e la donna festeggiano l’arrivo del nuovo anno e ripercorrono a ritroso la loro storia d’amore, l’età adulta, la figlia, il matrimonio, la spiaggia, il primo bacio.

Due attori deliziosi ed una regista straordinaria per una nuova creazione che tratteggia la vita di una coppia, attraverso una delicata sovrapposizione narrativa temporale: un viaggio per ripercorrere la storia tra i due protagonisti ed una cerimonia in cui si intrecciano le piccole vicende raccontate attraverso gesti minuti, movimenti danzati ed immagini sfocate e nostalgiche.

Una coproduzione Teatro di Roma con la compagnia Sud Costa Occidentale, ERT – Teatro Nazionale, Biondo di Palermo e Carnezzeria, per uno spettacolo che ripercorre il sentiero della vita ma che vuol parlare anche di memoria attraverso un elogio alla vecchiaia, alla solitudine, alla mancanza di chi non c’è più, ma vive ancora nei ricordi.

data di pubblicazione:04/05/2023


Il nostro voto:

GUANTI BIANCHI di Edoardo Erba con il contributo de L’arte spiegata ai truzzi di Paola Gagliumi, regia e interpretazione di Paolo Triestino

GUANTI BIANCHI di Edoardo Erba con il contributo de L’arte spiegata ai truzzi di Paola Gagliumi, regia e interpretazione di Paolo Triestino

(Teatro di Caprarola 28 aprile 2023 – Teatro Cometa Off di Roma 9/14 maggio 2023)

Mirabile e accattivante lezione di storia dell’arte dalla viva voce di un uomo semplice che l’arte l’ha sfiorata e trasportata come movimentatore. Ma la bellezza l’ha attraversato e l’ha segnato indelebilmente. Ha ansia di comunicarcela in un viaggio immaginario che dura migliaia di anni. Dalla classicità greca ai giorni nostri.

 

Uno spettacolo per attore solo non è necessariamente un reading con tutti i limiti del caso. Paolo Triestino ci tiene a lezione ma con un piglio affabulatorio convincente e alla portata di tutti. Il monologante Antonio è nato a Colleferro, cittadina a dimensione industriale e racconta più di quaranta anni di servizio su e giù per l’Italia (e non solo) a trasportare capolavori. Autodidatta di grande sensibilità ci racconta di quello che gli è rimasto appiccicato addosso di quello che non era solo un lavoro ma una sorta di missione. Dunque con parole semplici ci racconta il messaggio dell’arte attraverso splendide dire immagini accuratamente selezionate. L’arte trattata con i guanti bianchi che sono gli indispensabili supporti del suo lavoro, tra l’altro interrotto traumaticamente per un incidente di percorso che ne ha provocato l’anticipata e dolorosa emarginazione con il prematuro pensionamento. È didattica teatrale ma tutt’altro che noiosa tanto che lo spettacolo si proporrebbe come un magnifico format per le scuole Un modo intelligente di narrare. Triestino sta sperimentando la nuova stagione del dopo Pistoia mostrando di non essere solo uno specialista del comico. Qui il tono non è drammatico ma allude a una lezione leggera e stimolante. E nel finale si torna a bomba all’evoluzione di Colleferro quando il boom industriale della Snia è lontano e si respira oltre a un’aria mefitica anche un dramma di cronaca nera ancora ben stampigliato nella cronaca nera.

data di pubblicazione:02/05/2023


Il nostro voto:

THE GOOD MOTHERS di Julian Jarrold ed Elisa Amoruso, serie Disney+, 2023

THE GOOD MOTHERS di Julian Jarrold ed Elisa Amoruso, serie Disney+, 2023

Le storie di cinque donne si intrecciano sul palcoscenico della lotta tra Stato e ‘Ndrangheta, restituendo un affresco realistico e “non spettacolare” della criminalità organizzata e delle dinamiche che tengono in piedi un mondo parallelo basato sulla solidità delle relazioni familiari.

 La ‘Ndrangheta è un fenomeno criminale fondato sulla “famiglia”, che, intesa anzitutto come vincolo di sangue, enfatizza il concetto di “lealtà”, rendendo estremamente limitato, negli scorsi decenni, il fenomeno dei collaboratori di giustizia. Negli ultimi anni sembra che i dati stiano subendo una graduale inversione di tendenza, facendo registrare un progressivo aumento dei “pentiti di ‘Ndrangheta”.

The Good Mothers racconta, in maniera delicata, profonda e mai banale, uno dei talloni d’Achille della mafia calabrese. ‘Ndrangheta significa “famiglia”, a sua volta intesa come la cellula elementare di una società di chiaro stampo patriarcale, in cui le donne sono ridotte a mere esecutrici degli ordini del marito, del fratello o del cognato, sulla base di matrimoni ispirati da strategie di alleanze o, semplicemente, dall’esigenza di rendere inoffensiva, il prima possibile, una ragazza che pretenda di far valere la propria autonomia.

Anna Colace (Barbara Chichiarelli), sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, è convinta che proprio intercettando l’insoddisfazione e la rabbia delle donne che, in fondo, vogliono solo essere delle “buone madri”, si possa affondare il colpo decisivo al cuore di un’organizzazione criminale fortemente radicata nelle viscere del suo territorio.

La storia di Lea Garofalo (Micaela Ramazzotti), che ha scelto la strada della collaborazione con la giustizia, esponendo se stessa e sua figlia Denise Cosco (Gaia Girace) a una vita di fuga e di isolamento, dimostra chiaramente quanto dolorosa possa rivelarsi la “via della liberazione”, anche a causa di uno Stato che non sempre riesce a tutelare i suoi cittadini più vulnerabili.

La dottoressa Colace punta tutto su Giuseppina Pesce (una straordinaria Valentina Bellè): una donna che, sebbene più capace di tutti gli uomini della sua famiglia, si trova costretta a un ruolo gregario, nell’organizzazione e nella vita privata.

Anche il marito di Maria Concetta Cacciola (Simona Distefano), come quello di Giuseppina, è in carcere: sua moglie è costretta ad aspettarlo e a rispettarlo, subendo maltrattamenti dolorosi e umilianti da parte di una famiglia preoccupata solo di “salvare l’onore”.

Denise, raccogliendo il testimone scomodo e ingombrante di Lea Garofalo, sceglie di non rassegnarsi, seguendo quella via di speranza, di coraggio e di riscatto che, in un paese civile, non dovrebbe più rappresentare un atto di estremo e temerario eroismo.

The Good Mothers, basato dall’omonimo romanzo di Alex Perry, vince la prima edizione dei Berlinale Series Award. La scrittura, la regia, la fotografia e il cast compongono un mosaico convincente e coinvolgente, che, pur lontano dai toni “epici” di Gomorra e di Suburra, restituisce un affresco credibile di una criminalità spesso silenziosa, che fonda la propria pretesa invincibilità sull’indifferente accettazione di modelli socio-culturali tanto radicati quanto inaccettabili.

Dal 5 aprile 2023 The Good Mothers è disponibile, in sei episodi, su Disney+ e su Hulu per il mercato statunitense.

data di pubblicazione: 01/05/2023

UN GIORNO COME UN ALTRO di Giacomo Ciarrapico, con Luca Amorosino e Carlo De Ruggieri, regia di Giacomo Ciarrapico

UN GIORNO COME UN ALTRO di Giacomo Ciarrapico, con Luca Amorosino e Carlo De Ruggieri, regia di Giacomo Ciarrapico

(Teatro Cometa Off, Roma, 26/30 aprile 2023)

Una giornata come tante altre ma al seggio elettorale. Deserto. Rimangono due personaggi molto diversi a scontrarsi. Inevitabilmente presidente e segretario di seggio. Lentamente s’intuisce che non verrà un solo elettore a votare mentre i loro piccoli drammi personali si addensano in un contraddittorio di fuoco, imperlato di comicità.

Si può fare teatro intelligente e contemporaneamente leggero con un innesco efficace per una delle migliori messe in scena teatrali della stagione. Ciarrapico, quello di Boris, sodale del compianto Mattia Torre, anche in proprio non perde i feroci umori contro una democrazia rappresentativa che ormai ha fatto il suo tempo. Sono giorni di Ponte e l’Italia preferisce le vacanze lunghe al dovere-diritto elettorale. Dunque sanno tanto di superstiti i due che hanno accettato di sacrificarsi per la causa. All’inizio si scontrano, poi si riconoscono come compagni di scuola agli antipodi. E progressivamente svelano le carte. L’uno, invisibile perché anonimo, è stato appena lasciato dalla moglie e sognerebbe di riconquistarla intonando Ricominciamo di Pappalardo (ma il tentativo non sarà ricompensato dalla presenza della partner, ed è uno dei momenti più spassosi nei 65 minuti di svolgimento); l’altro vive bancando scommesse impossibili come un possibile golpe nella Repubblica Centroafricana. Come si legge esistenze agli opposti che poi alla fine si rinsaldano in una sorta di condivisa omogeneità anche grazie al generoso apporto di vodka e vino. Si ride e tanto in uno spettacolo che sprizza vitalità in un ovvio tutto esaurito per la prima rappresentazione. Un testo che farà strada e per il quale prevediamo anche un possibile sviluppo cinematografico oltre che sale più grandi dell’accogliente teatrino di Testaccio. Bravissimi gli interpreti, intrisi di romanità con il turpiloquio che non è ingrediente fastidioso ma assai funzionale allo sviluppo del plot.

data di pubblicazione:28/04/2023


Il nostro voto:

SCORDATO di Rocco Papaleo, 2023

SCORDATO di Rocco Papaleo, 2023

Un titolo multi-senso. Scordato può essere il piano che l’accordatore Papaleo (attore molto introspettivamente vicino all’uomo lucano) fa fatica ad accordare. Ma scordato è anche un passato che ritorna e che invece di essere rimosso viene dolorosamente affrontato. Infine scordata è anche la schiena sconnessa del protagonista che psico.somaticamente avverte i disagi di una condizione irrisolta.

 

Pellicola molto personale che da Salerno a Lauria passando per Maratea, tra Campania e Basilicata riassume una sorta di tranche de vie del personaggio attore. Grovigli familiari complessi e che hanno a che fare con le vicende sentimentali della madre ma soprattutto della deriva terroristica della sorella. Angoli scabri che inevitabilmente vanno affrontati anche per merito dell’intraprendente fisioterapista, insospettabilmente ben interpretata da Giorgia che alla fine non trascura di rivelare la sua spiccata tendenza musicale. Papaleo evita gigionismi e si incammina con garbo nel racconto biografico con una misura gradevole cucendo un piccolo grande film che ha rallentamenti e guizzi secondo una trama di leggera discontinuità. Appesantisce il racconto la continua comparsa dell’alter ego che all’inizio scambi per il figlio, una presenza retorica che costituisce una scorciatoia per evocare il non detto coscienziale e che sarebbe stato più complicato rappresentare. Il fisico pieno di contratture va progressivamente incontro allo scioglimento non solo metaforico del plot. L’uomo mite e un po’ pavido che si sente fuori contesto liquida il conto con il passato immergendosi nel tessuto vasto e un po’ scivoloso della provincia e della propria adolescenza. Alle contratture seguiranno fratture come momenti di passaggio ma alla fine ne varrà la pena perché la ricomposizione sarà totale. Il rancore si scioglie nella compassione e nel perdono non solo auto-assolutorio. Scritto durante il lockdown, un film terapia che può funzionare anche per il pubblico. Dopo Basilicata coast to coast un’opera che esteticamente si iscrive al secondo posto nella filmografia di Papaleo.

data di pubblicazione:26/04/2023


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I PIONIERI di Luca Scivoletto, 2023

I PIONIERI di Luca Scivoletto, 2023

Film di genere che dalla originaria e promettente farsesca matrice politica vira sul road movie adolescenziale perdendo progressivamente di carica emotiva e tensione. Troppo divario tra gli attori professionisti e i giovani chiamati a recitare un ruolo troppo impegnativo nella trama ambiziosa della sceneggiatura.

 

Quanto è difficile recitare il credo comunista nella Sicilia del1990! Berlinguer visto con gli occhi degli adolescenti. L’avvio è promettente perché l’innesco nostalgico funziona nel cinema d’attualità (vedi Moretti, vedi Bellocchio, vedi Papaleo) ma poi il plot si perde in una fuga da casa da boy scout di sinistra dove si rivela il carattere velleitario insieme della deriva ma anche del senso del film. Scivoletto ha molte parti perché scrive il libro, lo traduce in sceneggiatura, se ne assume la regia e pure parte della colonna sonora. Forse troppo lavoro per un uomo solo. Peccato perché il cast degli attori professionisti meritava miglior coronamento. C’è anche un alter ego meditativo nella riproposizione di Berlinguer ma forse la retorica dell’apparizione ruota un po’ fine a se stessa. Dunque il film rimane a metà tra la testimonianza di un periodo definitivamente scomparso con l’abbattimento del muro di Berlino e una commedia all’italiana ricca di folclore di inflessioni dialettali senza una reale adesione a una storia di pronta presa. Leit motiv di tanto cinema italiano che rimane a mezza strada. Le vicende del quartetto di adolescenti nel bosco palesemente annoia perché troppo prevedibilmente digrada nel classico happy end. La contrapposizione Stati Uniti-Urss diverte con il suo taglio netto. Così uno dei ragazzini protagonisti all’altezza dei mondiali di calcio rivela di non tifare per l’Italia ma per l’Urss. Le colpe politiche dei padri ricadono sui figli? Fino a un certo punto. Perché l’ideologia è soprattutto infatuazione e progressivamente tutto rientra nella quiete di un familiare milieu borghese.

data di pubblicazione:19/04/2023


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MIA di Ivano De Matteo, 2023

MIA di Ivano De Matteo, 2023

Una giovane ragazza, un legame affettivo che si traduce in un controllo ossessivo e manipolatorio, l’impotenza di fronte a quella logica del possesso che conduce alla inevitabile distruzione della “propria” donna.

Mia (Greta Gasbarri) sta vivendo la sua adolescenza in modo straordinariamente normale: il liceo, la pallavolo, le feste con gli amici, uno spesso strato di rossetto sulle labbra, i balletti su Tik Tok. Suo padre Sergio (Edoardo Leo) e sua madre Valeria (Milena Mancini) osservano la loro bambina mentre diventa una donna, cercando di mantenere quella “distante vicinanza” che, a fatica, raggiunge il suo punto di equilibrio. Quando nella vita di Mia irrompe Marco (Riccardo Mandolini), la quiete già precaria, che il “capofamiglia” Sergio si sforza di preservare a tutti i costi, viene spazzata via da una tempesta tanto inattesa quanto furiosa. Marco ha già vent’anni, esibisce il fascino dell’esperienza e in poco tempo riesce a legare a sé Mia. Il suo, però, è solo un insano desiderio di possesso e di controllo, che finirà per trascinare Mia e la sua famiglia in un vortice distruttivo e asfissiante, fatto di annullamento, senso di colpa, rabbia e vergogna.

Come con Gli equilibristi e I nostri ragazzi, Ivano De Matteo porta in scena il cinema che si confronta con temi politico-sociali, raccontando una contemporaneità spesso distorta dai toni di certe narrazioni qualunquiste. Un tema importante, quello raccontato da Mia, anche se il film non risulta sempre all’altezza della sfida. La scrittura, a tratti forse frettolosa e ingenua, indulge a qualche stereotipo di troppo, restituendo l’impressione, specie nella prima parte del film, di restare spesso in superficie rispetto a dinamiche e a personaggi che avrebbero meritato di essere scandagliati in maniera meno prevedibile. Quell’aggettivo possessivo “Mia”, che campeggia nel titolo, sintetizza troppo efficacemente lo sviluppo del film, che quasi mai riesce a cogliere veramente di sorpresa lo spettatore.

Sebbene il finale ceda a una spettacolarizzazione non del tutto necessaria, è significativo che proprio in questo momento facciano la loro comparsa lo Stato, il codice penale e le sentenze pronunciate “in nome del popolo italiano”, ma non, questo è il punto, per “rendere giustizia” a Mia.

Resta da accogliere con favore la scelta del cinema italiano di confrontarsi con il fenomeno della violenza contro le donne, ricettacolo e amplificatore di quegli stereotipi di genere che solo un dibattito pubblico serio e consapevole può contribuire a lasciar emergere, alimentando la speranza, forse utopica, di una sfida che si riesca a vincere più sul piano culturale che su quello giuridico-penale.

Una “menzione di merito” va, infine, alla città di Roma, che, con la maestosità popolare di Trastevere e Testaccio, si trasforma nel teatro perfetto di una storia come tante altre, eppure da ogni altra differente.

data di pubblicazione: 18/04/2023


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IL MISTERO DELL’ASSASSINO MISTERIOSO

IL MISTERO DELL’ASSASSINO MISTERIOSO

(Teatro Olimpico – Roma, 19 aprile/14 maggio 2023)

Al Teatro Olimpico di Roma, è in scena il divertente spettacolo noir di Lillo & Greg, Il mistero dell’assassino misterioso. E già il titolo è tutto un programma.

Siamo in un castello nobiliare della campagna londinese, dove da poche ore è stato commesso un delitto: l’omicidio dell’anziana Contessa Worthington. I principali sospettati sono: il giovane marito della contessa, Ashton, la figlia Margareth, la governante Greta e il nipote Henry, tutti personaggi estrosi, scombinati, che dovranno essere interrogati dal detective, dal nome molto british, Mallory. Potrebbe essere un vero giallo alla Agatha Christie, ma fin dall’inizio si capisce che le cose andranno molto diversamente, con il classico ‘colpo di scena’ che arriva subito: un attore si sente male, il sipario viene chiuso e Greg spiega al pubblico quanto sta accadendo, ovvero che lo spettacolo è in forse perché un attore non sta bene, ed è così che fa irruzione dalla platea un “bibitaro” – interpretato da Lillo – che convince il regista a prenderlo come sostituto.

La pièce, nata da un’idea di Greg, e poi scritta a quattro mani con Lillo, è in scena dal 2000 ed il fatto che venga ancora messa in scena rende l’idea di quanto questo tipo di narrazione “metateatrale” faccia presa sul pubblico, in maniera anche geniale, miscelando pezzi di giallo con vari “dietro le quinte”, che mettono in evidenza le vere caratteristiche degli attori e i rapporti umani che governano alcune compagnie di teatro.

Il divertimento è sempre assicurato, grazie all’incessante avvicendarsi di realtà teatrale e di realtà del ‘dietro le quinte’. I ritmi sono sempre serrati, senza per questo trascurare il “giallo” e ciò rende la pièce alquanto divertente ed briosa.

I protagonisti sono tutti a loro agio, a partire da Greg che, oltre ad interpretare il detective Mallory, diverte anche come maggiordomo indossando una parrucca bionda. Lillo, poi, è esilarante e buona parte dello spettacolo si regge molto sui suoi numeri, mostrando il suo amore (sempre dichiarato) per la comicità di situazione, più che per quella fatta di battute; infatti il pubblico si ritrova a ridere spesso proprio per le numerose situazioni sopra le righe, che generano però quasi sempre una risata che non è fine a se stessa ma che contiene uno spunto di riflessione. Il resto viene svolto ottimamente dal cast scelto dal duo, che tiene il ritmo per tutta la durata dell’atto unico ed è capace di diversi generi di interpretazione. Non mancano anche spunti, inseriti con nonchalance, dove si fa notare l’importanza di una virgola per il senso di una frase, argomento sempre più di attualità.

data di pubblicazione:18/04/2023


Il nostro voto:

COSÌ È (SE VI PARE) di Luigi Pirandello, con Milena Vukotic, Pino Micol e Gianluca Ferrato, regia di Geppy Gleijeses

COSÌ È (SE VI PARE) di Luigi Pirandello, con Milena Vukotic, Pino Micol e Gianluca Ferrato, regia di Geppy Gleijeses

(Teatro Quirino – Roma, 11/23 aprile 2023)

Parabola pirandelliana sulla relatività della verità. Lo strano comportamento del Signor Ponza, che tiene segregate la moglie e la suocera, la Signora Flora, in due appartamenti separati, desta la ridicola e invadente curiosità di un gruppo di borghesi di provincia.

  

Se un pittore ha bisogno di una tela bianca per cominciare la sua opera, per un uomo di teatro basta un palcoscenico spoglio di scene e luci per dar vita a uno spettacolo.

Così dalla fantasia del regista Geppy Gleijeses – voce fuori campo alter ego dell’autore siciliano – fa la sua apparizione un gruppo di figurine minuscole, fiammelle guizzanti nel buio pesto della scena, in forma di ologramma (finzione nella finzione) nella creazione video dell’artista Michelangelo Bastiani, prima che i veri attori facciano il loro ingresso sul palco. Sono presi a disquisire sui fatti che riguardano il nuovo impiegato della Prefettura, il Signor Ponza. Li anima il pettegolezzo e il malsano desiderio di sapere perché l’uomo tiene separate – secondo loro ingiustamente – la moglie e la suocera in due diverse abitazioni senza permettere alle donne di incontrarsi.

Soperchierie accusa Laudisi, unica coscienza a distaccarsi dalla tracotanza e dalla sopraffazione che tutti hanno nei confronti dei nuovi arrivati in paese. Soperchierie inutili e dannose perché già sa che la verità non si può catturare, non si può definire. Non può far altro che ridere di cuore e consapevolmente, nella azzeccata interpretazione di Pino Micol (divertito burlatore), del manipolo di curiosi. Loro sì, inconsapevoli di essere fonte di riso – un po’ come lo siamo noi che assistiamo al dramma, vogliosi di vedere come va a finire. Gleijeses esaspera fino alla caricatura la ridicola, indiscreta, pettegola e maligna curiosità del popolino travolto dalle conferme e dalle smentite dei poveri inquisiti tanto da creare un netto e interessante contrasto – soprattutto recitativo – con i personaggi seri del dramma: la Signora Flora (Milena Vukotic) e il Signor Ponza (Gianluca Ferrato). È in questo contrasto (visibile ancora negli splendidi costumi primo Novecento di Chiara Donato) che spicca per maturità artistica e profondità umana la commovente Signora Flora di Milena Vukotic, già diretta qualche anno fa dal regista in Le sorelle Materassi. Tanto fragile in apparenza e voce quanto potente, intensa e emozionante nella parte. I monologhi della Vukotic e di Ferrato sono inoltre sospesi sul vertiginoso tappeto musicale creato da Teho Teardo che ne sottolinea la criticità, come se le parole camminassero tenendosi faticosamente in equilibrio tra una visione e l’altra della verità.

Quando si accendono le luci il buio della prima scena, che sottendeva a un’attesa creativa, lascia il posto a un altro tipo di buio, all’incubo. L’atmosfera è livida, crepuscolare, soffocante, riempita da Roberto Crea di superfici riflettenti che giocano la doppia funzione di specchi e insieme di vetri da dietro i quali appaiono o vengono inghiottite figure. Una metafora della verità che ha la capacità di moltiplicarsi in tanti punti di vista secondo quante sono le persone che la interpretano. Ma anche impalpabile, come una figura che appare dietro la trasparenza di un vetro. Si può vedere, ma non si può catturare. Ci si può avvicinare, ma non se ne carpirà mai fino in fondo il vero significato. “Io sono colei che mi si crede” dirà la signora Ponza quando finalmente apparirà in scena, anche lei moltiplicata nelle innumerevoli visioni di una verità inafferrabile.

data di pubblicazione:16/04/2023


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