da Antonio Iraci | Nov 27, 2023
Il Killer è un personaggio anonimo che va in giro per eseguire, a sangue freddo e con lucida determinazione da vero professionista del crimine, i lavori che gli vengono richiesti. Un avvocato di nome Hodges gli affida l’incarico, su commissione di un cliente, di uccidere un uomo che sta per incontrarsi in un albergo con una prostituta. Nonostante gli accorgimenti presi, sfortunatamente l’assassino sbaglia bersaglio e da quel momento dovrà dileguarsi, affrontando i sicari che lo hanno indirettamente punito per il fatale errore…
David Fincher è sicuramente uno tra i più stimati e poliedrici registi statunitensi che ha firmato film di grande successo, per cui non stupisce affatto questo suo ultimo lavoro The Killer, presentato in concorso all’ultima edizione del Festival di Venezia. Dopo essere brevemente passato nelle sale cinematografiche è ora distribuito su Netflix dove sta guadagnando grande attenzione da parte dei telespettatori, soprattutto tra quelli amanti dei thriller adrenalinici. Il protagonista, ben interpretato dall’imperturbabile Michael Fassbender, agisce con pacata fermezza nell’organizzare i suoi crimini, tutti ben premeditati seguendo un’etica professionale di tutto rispetto. Nell’eseguire una serie di omicidi, peraltro finalizzati a vendicare un torto subito dalla sua ragazza, utilizzata dai sicari come capro espiatorio, il killer segue un copione che conosce a memoria e che gli permetterà di portare a termine con impeccabile lucidità quanto è dovuto. Fincher utilizza un linguaggio a volte ermetico e fa sempre muovere il suo protagonista in un’atmosfera cupa, dove anche l’azione più efferata segue un ritmo preciso, studiato nei dettagli. Un vero esercizio di stile regalato allo spettatore che dovrà anche pazientemente accettare i monologhi del killer, ripetuti come un mantra, ogniqualvolta si appresti ad uccidere. Una maniera forse per ricordarsi le regole basiche che ogni assassino che si rispetti deve seguire alla lettera, o forse uno stratagemma psicologico per giustificare il fatto di aver fallito il bersaglio. Dialoghi asciutti e essenziali per comunicare tanto quanto basta e risolvere al più presto la propria missione vendicatrice. Inaspettato e gradito il cameo di Tilda Swinton, vittima designata che affronta con equilibrata rassegnazione la sorte che l’attende. Film ben riuscito che porta la firma di un grande maestro del cinema, consacrato come tale dopo il successo strepitoso di Seven, suo capolavoro assoluto del 1995.
data di pubblicazione:27/11/2023
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da Paolo Talone | Nov 25, 2023
regia di Elena Orsini, con Elena Orsini e Ilaria Martinelli
(Trend – Teatro Belli – Roma, 20/21 novembre 2023)
Nic e Rowan vivono e lavorano nella Londra di oggi, con tutte le sue sfide e le sue contraddizioni. La vita le fa incontrare e poi innamorare, ma hanno provenienze sociali diverse e risposte divergenti rispetto ai problemi. Opera di esordio del 2022 dello scrittore, attore e regista Ben Norris, Autopilot entra nella programmazione di Trend, la rassegna di drammaturgia contemporanea inglese diretta da Rodolfo di Giammarco. (ph. Federico Malvaldi)
Elena Orsini e Ilaria Martinelli sono Nic e Rowan, protagoniste di un testo fresco, narrativamente intrigante, che interroga sull’esistenza e sul posto da occupare in un mondo sempre più problematico per questioni etiche e sociali. Entrambe vivono e cercano di crearsi una carriera nella ormai caotica e difficile Londra, città generosa per l’offerta formativa, ma difettosa (come spesso accade anche altrove) per alloggi dignitosi e lavoro sicuro. Appartengono al mondo di oggi dove la libertà di poter immaginare e prepararsi a diventare quello che si vuole si scontra con una realtà scarsa di possibilità che crea incertezza e trasforma i desideri in utopie.
Nic è un’illustratrice dal temperamento anticonformista e stravagante, vive di principi e ha un’avversione manifesta per la tecnologia. Contrasta il capitalismo con scelte eticamente sostenibili, cercando di limitare i consumi e scegliendo prodotti biologici dagli scaffali del supermercato. Tuttavia proviene da una famiglia agiata e questo la rende una privilegiata rispetto a Rowan, cresciuta con la sola madre, malata di SLA, tra sacrifici e rinunce. È un’ingegnera che disegna mappe cartografiche, ma ha il sogno di progettare un’automobile a guida autonoma che riduca al minimo la responsabilità umana sugli errori e gli incidenti. È formale e ingessata, anche nel vestire, disposta a fare di tutto per riscattarsi dalla condizione precaria da cui proviene, anche accettando lavori extra come rider per le consegne a domicilio. Il lavoro le fa incontrare la prima volta. La relazione sfocia nell’amore, dopo aver passato le tappe dell’amicizia, della convivenza e dell’attrazione sessuale, per poi terminare nella separazione e forse in un riavvicinamento.
La narrazione procede veloce e frammentata per retrospettive e proiezioni. Sembra di scrollare la galleria fotografica di un telefono, che ora riporta a galla vecchi ricordi e ora informa sul presente appena trascorso. Successi e delusioni personali si intrecciano alla vita di coppia che inevitabilmente si interrompe per divergenza di visioni. Dietro la supervisione di Mario Scandale, la regia di Elena Orsini (a cui sono affidate anche la traduzione e l’adattamento del testo oltre che l’interpretazione) si concentra sulla recitazione limitandosi a seguire la complessa narrazione che impone repentini cambi di emozione per questo andare e tornare indietro nel tempo. Le attrici sono sole su un palco totalmente vuoto, supportate da un legame che vibra per intesa e amicizia e che si augura porti a maturazione nuove avventure professionali.
data di pubblicazione:25/11/2023
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da Rossano Giuppa | Nov 25, 2023
In scena al teatro Vascello di Roma dal 23 al 26 novembre la compagnia il Balletto del Sud diretta dal coreografo Fredy Franzutti ne La Luna dei Borboni, spettacolo di danza in un atto dedicato alla poetica di Vittorio Bodini, poeta e traduttore italiano, considerato il maggiore interprete e traduttore della letteratura spagnola. Una messa a fuoco sull’eredità culturale del Sud, sapientemente orchestrata dal direttore e fondatore della compagnia, che ha amalgamato musica, poesia e danza in un nostalgico e delicato presente che guarda al sole, alle case di calce, agli odori della terra ed alla tradizioni popolari per un messaggio che parla di radici e di identità.
Il Sud ed il Salento in particolare hanno una specifica connotazione sociale ed economica, fatta di antiche tradizioni, di delicata semplicità e di un substrato culturale proveniente dal passato. Ecco allora che le consuetudini e abitudini di un luogo sospeso nel tempo vengono ripensati e reinterpretati in chiave più contemporanea. L’atmosfera è sognante e rilassata come il ricordo di una festa patronale nella piazzetta del paesino, dove eravamo tutti presenti, tutti vivi e partecipi.
Fredy Franzutti, coreografo eclettico che vanta collaborazioni di prestigio internazionale, ha fondato nel 1995, il Balletto del Sud, compagnia per la quale ha creato un vasto repertorio di spettacoli di un genere che spazia dalla ricerca del contemporaneo, alla rivisitazione moderna dei classici.
Franzutti usa un linguaggio personale proteso verso il teatro contemporaneo e utilizza come elementi ispiratori e asse della ricerca le pertinenze territoriali con il Sud, inteso come appartenenza alla Magna Grecia, il rapporto con i popoli del mare, l’utilizzo della matrice popolare e l’argomento del testo poetico per creare la nuova narrativa coreografica.
Interpreti sono 16 danzatori della compagnia. I ruoli principali sono interpretati da Nuria Salado Fustè e Matias Iaconianni con solisti Alice Leoncini, Ovidiu Chitanu e Cristopher Vazquez.
Le musiche dello spettacolo, che gode del patrocinio dell’Enciclopedia Treccani e del Centro Studi Vittorio Bodini, sono state appositamente scritte da Rocco Nigro e Giuseppe Spedicato e sono eseguite dal vivo dai Brancaleone Project, trio composto dagli stessi Rocco Nigro (fisarmonica) e Giuseppe Spedicato (tuba) accompagnati da Giorgio Distante (tromba).
Uno spettacolo intenso e delicato, che sprigiona profumi ed evoca ricordi che merita di essere visto.
data di pubblicazione:25/11/2023
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da Daniele Poto | Nov 21, 2023
Un solido e resistente Ken Lach all’interno del suo universo di riferimento preferito: le diseguaglianze, la solidarietà il razzismo. Una storia particolare che si fa universale. I poveri contro i più poveri, masse fagocitate dal pregiudizio. In Inghilterra come nel mondo.
Ben oltre il capolinea degli ottanta anni Loach, in recente tournèe italiana, muove i fili di una struggente metafora dell’esistente. In un diseredato sobborgo inglese, dove la perduta ricchezza era una miniera, compare una ristretta colonia di siriani, guardati con diffidenza, asprezza e persino violenza da parte della popolazione locale. Un piccolo universo di provocazioni che cova nel pub del protagonista buono. Il progetto di un’unione tra due continenti viene spazzato via da un proditorio attentato. E dunque viene scacciata l’ipotesi banale dell’happy end. Però alla fine la comunità si ritrova sia pure nel dolore per la morte del capo famiglia siriano. Pellicola non banale, dialettica che fa apparire le contraddizioni. E la provincia inglese ci appare persino più retriva di quella leghista, nostrana. Sarà perché i britannici dell’opera sembrano far passare il tempo bevendo solo infinite pinte di birra, come se il resto della vita potesse essere annegato solo nell’alcol. Loach è coerente e fedele alla propria ideologia che sorpassa a sinistra i laburisti ed è ben saldo il suo cerchio magico con lo sceneggiatore e con la produttrice: un trittico denso e fecondo per un buon cinema. Il fondale è economico, quasi tutto in interno e dialoghi non battono mai colpi a vuoto pur nella semplicità proletaria delle suggestioni. I protagonisti non sono acculturati ma pieni di sentimenti, positivi o negativi, a seconda dei ruoli. L’incanto della scena finale è decisamente commovente. E andrebbe rivisto tre o quattro volte.
data di pubblicazione:21/11/2023
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da Daniele Poto | Nov 20, 2023
con Flavio Albanese e Tony Marzolla, drammaturgia e regia di Marinella Anaclerio, impianto scenico di Francesco Arrivo, costumi di Stefania Cempini,organizzazione Dario Giliberti, produzione Caterina Wierdis
(Teatro Tordinona – Roma, 18/23 novembre 2023)
Un lacerto del testo a più scomparti del grande autore russo, un rimaneggiamento condensato in un’ora di un precedente spettacolo presentato al Mittelfest nel lontano 2010. Il focus si attiva sul contrastato rapporto e il conseguente dialogo/conflitto fra tue fratelli della famiglia dall’indole apparentemente inconciliabile. Dunque una perfetta miscela per far deflagrare un accattivante pezzo di teatro.
Cosa hanno in comune un aspirante scrittore e un aspirante monaco se non il legame tendenziale dell’essere fratelli. Alla fine si baceranno sulla bocca ma il duello dialettico tra le loro parole è corrosivo ed abbraccia il credere in Dio, la finzione degli uomini, rievocando la figura del grande inquisitore su cui si regge uno dei capitoli più pregnanti del lungo romanzo originario. Una ripresa non banale, su un lato nettamente diverso dal Karamazov, cavallo di battaglia di Umberto Orsini. Un senso di sincerità, la volontà di trapassare la formalità delle convenzioni per arrivare al bersaglio grosso dell’onesta valutazione dell’essere, del suo accadere e delle sue non infinite possibilità, è il tema centrale del potente confronto. Mentre discutono vivacemente, e a volte litigano, i due attendono un thè e una marmellata all’amarena che mai arriverà. Le parole alludono a una ricerca di salvezza esistenziale che può incamminarsi sulla strada della laicità o su quella della religione. Argomenti posti a misura degli interrogativi allo specchio dello spettatore in una dimensione tipica dell’anima russa.. Interpretazione superba di Flavio Albanese, dalla costante frequentazione dostoevskiyana. E l’attesa nel foyer è colmata dall’entretien di giovani aspiranti attori che si diffondono su aspetto della personalità dello scrittore russo, mai così riscoperto e valorizzato. Una piccola serata di charme in un teatro che non rinuncia a una preziosa qualità.
data di pubblicazione:20/11/2023
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da Paolo Talone | Nov 20, 2023
regia e traduzione di Giampiero Cicciò, con Saverio Barberio, Lisa Lippi Pagliai, Tommaso D’Alia, Carlotta Solidea Aronica e Ivan Artuso
(Trend – Teatro Belli – Roma, 17/19 novembre 2023)
Posti uno di fronte all’altro, i componenti della famiglia stretti intorno al loro figlio più grande che ha tentato il suicidio, si affibbiano colpe e responsabilità sotto la supervisione di un attento analista. Al teatro Belli per Trend va in scena The Animal Kingdom di Ruby Thomas, nella straordinaria regia di Giampiero Cicciò.
Dall’osservazione di ciò che accade nel regno animale non necessariamente si deve arrivare a conclusioni che giustifichino determinati comportamenti. A volte la sola descrizione aiuta a comprendere cosa abbiamo davanti e nel caso dell’essere umano, che appartiene di diritto a questo regno, si può risolvere nella presa di coscienza di sé stessi. Ruby Thomas, l’autrice della pièce The Animal Kingdom, inserita nella programmazione di Trend (la rassegna dedicata alla drammaturgia contemporanea inglese diretta da Rodolfo di Giammarco al Teatro Belli) ci propone di osservare una famiglia stando aldilà di uno specchio spia, di quelli che si trovano nelle stanze per gli interrogatori o, come in questo caso, in un ospedale psichiatrico.
Sam (Saverio Barberio) è ricoverato perché ha tentato il suicidio. È un ragazzo sensibile, intelligente con una grande passione per gli animali che coltiva nei suoi studi universitari. Di lui si prende cura Daniel (Ivan Maria Artuso), un terapista della clinica specializzato nelle sessioni di gruppo. Sono in attesa che arrivino i familiari di Sam, come sempre in ritardo. Quando finalmente arrivano e iniziano a interagire, capiamo da dove provengono i problemi di Sam. I genitori sono separati ed entrambi si sono rifatti una vita con nuove relazioni. La madre (Carlotta Solidea Aronica) mostra un atteggiamento esageratamente entusiasta e iperprotettivo nei confronti del figlio. Tuttavia si sente stanca e inadeguata perché non riesce a ottenere il controllo totale delle cose. Il padre (Tommaso D’alia) non parla molto, scruta in disparte la situazione. È deluso dal figlio, sul quale aveva investito come fa nel suo lavoro, cercando di recuperarlo come si fa in finanza con i crediti di un’azienda in fallimento. E poi c’è Sophia (Lisa Lippi Pagliai), la sorella minore, triste e arrabbiata, quasi invisibile ai margini del quadro familiare.
Visti oltre lo specchio appaiono come animali in gabbia, chiusi in un contenitore che gli attori non lasciano neanche quando non sono parte agente della scena. La famiglia è una trappola che obbliga ad avere relazioni anche quando queste sono tossiche, si è costretti al confronto con i membri che ne fanno parte. Esprimere i propri sentimenti è difficile, nessuno ha il coraggio di rompere il ghiaccio, ma quando si aprono esplode anche la violenza. Giampiero Cicciò intercetta nella regia questo aspetto del testo di Ruby Thomas e mostra, con un sapiente quanto semplice cambio di illuminazione, ciò che avviene nella mente di ognuno. La violenza dei pensieri si traduce in combattimenti fisici tra gli attori che via via vengono chiamati dalla terapia a esprimersi.
L’autrice è stata capace di drammatizzare una situazione universale. Non si scappa dalla tentazione di chiedersi quale ruolo occupiamo nel nostro nucleo familiare. L’immedesimazione è naturale e se in alcuni punti ci fa sorridere, perché vediamo riflesse le nostre nevrosi, in altri, dove ritroviamo il nostro vissuto, commuove. La regia di Cicciò ha il pregio di aver capito il dramma e di averlo restituito con misura e una chiarissima messa a fuoco dei personaggi. Ogni attore ha compreso le ragioni psicologiche del proprio personaggio, ogni carattere è definito nella sua frustrazione. Nonostante appaiano come monadi che difettano di comunicazione, la squadra di artisti lavora insieme e il risultato è armonioso, intonato. Il disegno della scena è essenziale, quasi privo di elementi. Un’efficace soluzione che mette in risalto la vulnerabilità dei personaggi. Non ci sono quinte dietro alle quali possano nascondersi. L’analisi li squarta e mostra la loro umanità lacerata e sanguinante.
Si cercano le colpe e si scaricano le responsabilità, si scontrano teorie e punti di vista. Parlare non cambia le cose, ma almeno fa acquisire consapevolezza. Non ci sono né vincitori né vinti in questa guerra familiare, ma un punto va a favore del teatro, che di fronte a un dramma del genere dimostra di essere un eccezionale mezzo terapeutico.
data di pubblicazione:20/11/2023
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Nov 18, 2023
(Trend – Teatro Belli – Roma, 13 novembre 2023)
Una spiegazione scientificamente attendibile e dettagliata sulle cause che hanno portato al cambiamento climatico, agli scenari che stiamo vivendo e andranno a peggiorare. Paolo Triestino veste i panni dello scienziato Chris Rapley, autore del testo insieme a Duncan Macmillan, nella versione tradotta e aggiornata da Giulia Lambezzi per la regia di Carlo Emilio Lerici. Una proposta che rende la rassegna Trend una vetrina unica per un teatro necessario.
È stata una lezione di scienza quella tenuta lo scorso lunedì al teatro Belli di Trastevere nell’ambito della ventiduesima rassegna di drammaturgia contemporanea inglese Trend diretta da Rodolfo di Giammarco. Una lezione su come funziona il clima e sulle conseguenze catastrofiche che l’intervento umano ha causato alla salute del pianeta, magistralmente tenuta dall’attore Paolo Triestino.
La sua è una voce autorevole sia nella lotta al cambiamento climatico – in un’intervista di Tiberia De Matteis su Il Tempo afferma che la sua è una famiglia a zero rifiuti legata all’utilizzo di energia rinnovabile – sia per l’interesse rivolto alla drammaturgia contemporanea. Prende le parti e abbraccia le ragioni scientifiche di una delle voci più autorevoli nel campo delle ricerche sul clima. Sul palco è Chris Rapley (classe 1947), il celebre scienziato britannico che vanta tra le altre cose l’essere stato direttore del British Antarctic Survey e del Museo della scienza di Londra. Nel 2014, all’età di 67 anni, scrive insieme al drammaturgo Duncan Macmillan questa lezione/spettacolo chiedendosi quale mondo conoscerà la più grande delle sue nipoti quando avrà la sua età, nel 2071 appunto. È una data che ci proietta inevitabilmente nel futuro. Ma di quale futuro parliamo se pensiamo alla salute del pianeta in relazione alle condizioni climatiche?
Partendo da considerazioni generali che chiariscono il funzionamento del clima e spiegando come una minima variazione della temperatura possa addirittura determinare lo sviluppo di ere geologiche diverse, arriviamo a comprendere le preoccupanti ragioni del disastro che stiamo compiendo. Lo scenario è catastrofico e la colpa è da attribuire solo ed esclusivamente alle attività umane. Le immagini che scorrono alle spalle di Triestino (curate da Francesca Cutropia e Paolo Roberto Santo) mostrano gli effetti del riscaldamento globale sulla natura, in particolare lo scioglimento dei ghiacciai delle calotte polari da cui dipende gran parte dell’equilibrio del nostro sistema. L’orma di una scarpa gigante sopra l’immagine della terra ci dice che l’antropocene – l’attività umana – ha soppiantato in modo definitivo e troppo veloce l’olocene, un periodo di condizione salutare per la vita. Già rispetto al 2014 le condizioni sono notevolmente cambiate (l’uomo non ha mai respirato una quantità così alta di anidride carbonica come nella nostra epoca) obbligando Carlo Emilio Lerici e Paolo Triestino a un inevitabile aggiornamento del testo originale. Tra meno di due settimane avrà luogo a Dubai la Cop28, la conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima, che si spera continuerà sulla strada tracciata dagli accordi di Parigi di mantenere il riscaldamento sotto la soglia dei due gradi entro il 2050. Sono apparsi sulla scena personaggi inquietanti, sostenitori di teorie negazioniste come Donald Trump, ma anche personalità coraggiose impegnate a portare avanti la lotta, prima fra tutte Greta Thumberg, la giovane attivista che ha dato vita al movimento di scioperi dei Fridays for Future.
L’uso smodato di combustibili fossili e la continua deforestazione hanno generato i fenomeni climatici estremi che flagellano i nostri territori. Ondate di calore, siccità e inondazioni sono la testimonianza concreta di una condizione irreversibile. Dobbiamo ormai adattarci a questo aumento delle temperature, facendo i conti con l’insicurezza alimentare e la conseguente migrazione delle popolazioni che non hanno mezzi a sufficienza per affrontare le emergenze.
“La scienza può informare, ma non risolve questioni morali.” Ecco perché uno strumento emotivamente stimolante come il teatro è necessario e utile. Non siamo davanti a uno schermo digitale ma a un attore (impegnato) in carne e ossa. Lo spettatore è costretto a interrogarsi e invitato a prendere parte alla soluzione. Magari imitando il colibrì della favola africana aggiunta a fine performance, che goccia dopo goccia raccoglie acqua nel becco per spegnere l’incendio nella foresta. Un piccolo esempio che sprona a offrire il nostro contributo.
data di pubblicazione:18/11/2023
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da Antonio Iraci | Nov 17, 2023
Un uomo si aggira tra la natura incontaminata. Avanza a fatica appoggiandosi ad un bastone perché è cieco, termine questo politicamente non corretto. Ma perché usare l’espressione non vedente quando lui riesce a percepire cose che gli altri non vedono pur avendo la vista?
Giuseppe Gimmi, pugliese doc, in un corto di pochissimi minuti riesce a realizzare una summa che concentra le impressioni più profonde del suo essere, giovanissimo ma già esperto nell’arte della cinematografia. Il pastore che vediamo sulla scena si sofferma ad annusare gli odori della natura selvaggia e a percepirne i colori partendo dallo zero assoluto, vale a dire il buio della sua cecità. Anche lo spettatore non può che immedesimarsi in lui e tentare di percepire le sue sensazioni in un frastuono discreto dato dal canto degli uccelli. Ecco che la natura si fa sentire e manda i suoi messaggi, i suoi appelli disperati. Gimmi ha il merito di raccontare in pochi frammenti di tempo tutto quello che si può dire in una vita. La musica che accompagna fa da contrappunto al verso del creato, una natura che chiede rispetto per salvaguardare la propria stessa esistenza. In quest’opera il regista sperimenta se stesso e si pone di fronte a ciò che sarà da venire in un abbraccio universale al mondo e al suo significato. Ottime quindi le basi per questo lavoro serio, ben strutturato e a basso budget presentato ufficialmente a Bari, dove Gimmi opera in un contesto più che ricettivo.
data di pubblicazione:17/11/2023
Sabato 13 aprile 2024, presso il Teatro Patologico di Roma, la giuria, composta interamente da disabili fisici e mentali, ha assegnato il premio per la miglior regia a Giuseppe Gimmi per Al di là dell’Ombra. A questo quindicesimo Festival Internazionale del Cinema Patologico era presente Leonardo Pieraccioni che ha voluto dedicare un sentito pensiero a Francesco Nuti, scomparso nel giugno dello scorso anno.
da Daniele Poto | Nov 17, 2023
con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e, per la prima volta in scena, Mona Abokhatwa, musiche di Tommy Grieco, luci Raffaella Vitiello, video Lorenzo Letina
(Teatro Vascello – Roma,15/19 novembre)
Il coraggio di affrontare un tema difficile, la disgregazione mentale, l’Alzheimer che non ti aspetti. La dissoluzione, appunto il grande vuoto. La prima scena rappresenta una coppia anziana alle prese con una vettura indocile. Si ride, c’è serenità. Poi il quadro cambia, la donna è sola, la compagnia della figlia non attenua il declino.
L’iperrealismo di una vasta scenografia spalanca l’abisso su una malattia insidiosa, capace di dimidiare l’equilibrio mentale di intere famiglie. Così l’iterazione ripetuta di un ricordo teatrale dell’attrice malata scatena l’ira della figlia che non sa rassegnarsi alla condizione della genitrice avendo sperimentato ben diversi percorsi nella loro relazione. Con il conforto del video, con un continuo richiamo al prima e al dopo, con una recitazione sgomenta per assenza, si rappresenta la fotografia del male. Con durezza e senza concessioni allo spettacolo. Davanti agli occhi di un Nanni Moretti, ormai consueto habituè con mascherina del Vascello, gli oggetti fanno da spesso tramite alla manifestazione del disagio. Il vecchio torna bambino e infantile anche rinunciando al pudore per svestirsi liberamente. Ma il finale è catartico in una scena di grande bellezza e complessità. L’accettazione e la sublimazione del male assurge al valore più alto dell’amore e della comprensione alludendo alla capacità di riuscire a trasformare il dolore in bellezza. Attori straordinariamente bravi e solita profusione di generosi applausi di una platea giovane ed entusiasta. La tensione cala solo quando sciorinando il catalogo degli oggetti trascorrono troppi minuti senza che una sola fase di dialogo sia pronunciata. Anche quello un vuoto troppo grande.
data di pubblicazione:17/11/2023
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da Antonio Iraci | Nov 17, 2023
(TeatroLoSpazio – Roma, 16/19 Novembre 2023)
Nella vita dei due fratelli Aston e Mick entra un vecchio, prima con celata circospezione e poi, pian piano, con efferata prepotenza. Ma chi è veramente questo Davies, raccolto per strada e sistemato in casa per ricoprire il ruolo di guardiano? Sarà proprio lui a destabilizzare il rapporto tra i due fratelli o sarà invece un estremo, inatteso tentativo per porre chiarezza nelle loro esistenze già di per sé seriamente compromesse?
In scena al TeatroLoSpazio un capolavoro del noto drammaturgo inglese, già insignito del premio Nobel per la letteratura nel 2005. Il guardiano (The Caretaker), dopo il suo debutto a Londra nel 1960, fu accolto molto bene sia da parte del pubblico che della critica e consacrò Pinter ad un successo internazionale. In questa pièce teatrale è importante soffermarsi sulla psicologia dei tre personaggi, di come si sforzino a relazionarsi tra di loro e, all’interno della stessa casa dove si svolge l’intera azione scenica, di come l’intruso trovi lì temporaneo rifugio e dal quale poi non intenda affatto schiodare, nonostante le ripetute rimostranze dei due fratelli. Una casa che per l’occasione si trasforma in un teatro fatiscente, pieno di cavi e luci al neon che disorientano lo spettatore e ancor di più gli stessi attori. Man mano che i dialoghi si intrecciano, si vanno anche delineando le diverse fragilità dei tre soggetti, ognuno con un passato dai contorni poco chiari che è meglio lasciarsi alle spalle, e con un futuro ancora da definire. Se Aston ha subito l’elettroshock per curare i propri disturbi psicotici Mick, dal canto suo, deve fare i conti con la propria irruenza e la mancanza di senso pratico. Un gioco sempre più impegnativo che vedrà i tre personaggi destreggiarsi per stringere alleanze effimere, destinate comunque al fallimento. Rumori strani irrompono dal sottofondo quasi a scuotere quelle pause dagli effetti soporiferi. Il disordine regna sulla scena e se ne percepisce la presenza anche in quegli spazi dove lo spettatore non può accedere. Non è la prima volta che Camerini affronta una regia impegnativa come in questo caso, dove Pinter investe tutta la propria energia drammaturgica volta alla ribellione e alla denuncia sociale. Spettacolo ben riuscito che, sia pur in versione ridotta, non altera affatto il contenuto e il messaggio trasversale che era nella mente dell’autore.
data di pubblicazione:17/11/2023
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