da Antonio Iraci | Dic 7, 2023
Leonard Bernstein, appena venticinquenne, una mattina viene chiamato alla Carnegie Hall per sostituire Bruno Walter alla direzione della New York Philharmonic. Non c’è tempo per le prove, ma il successo ottenuto quella sera davanti ad un pubblico in delirio lo porterà a dirigere in poco tempo le più prestigiose orchestre sinfoniche del mondo. Tre anni dopo sposerà l’attrice Felicia Montealegre che gli darà tre figli, ma la loro vita sentimentale sarà minacciata da occasionali tradimenti del compositore con uomini…
Bradley Cooper, attore, regista e produttore cinematografico statunitense, dirige se stesso in un eccentrico biopic sulla figura del compositore Leornard Bernstein, considerato il più grande direttore d’orchestra di tutti i tempi. La sua vita fu coronata di grandi successi, non solo per le sue composizioni sinfoniche ma anche per le sue opere teatrali, tra queste l’indimenticabile musical West Side Story. Al di là di questi richiami musicali, che trovano spazio tra le pieghe del racconto, Cooper si è voluto essenzialmente concentrare sull’intenso rapporto affettivo tra Lenny, come veniva chiamato Bernstein, e la moglie Felicia, seguendoli passo passo dal loro primo casuale incontro fino alla malattia di lei, colpita da un tumore.
Il tempo viene scandito anche dalla fotografia, nella prima parte in bianco e nero e successivamente a colori, come a voler dimostrare che nonostante il passare degli anni e le frequenti intermittenze sentimentali e conflittuali del protagonista, sarebbe rimasta comunque intatta quell’intesa spirituale, oltre che fisica, che li avrebbe legati per sempre. Le scappatelle sentimentali del maestro con altri uomini sembrano minare con il tempo il loro rapporto, ma nel film non si vuole certamente dare risalto a queste devianze. La faccenda viene trattata con estrema responsabilità da parte di entrambi i coniugi, anche quando si tratterà di tenere all’oscuro i figli dai continui gossip al vetriolo che circolavano negli ambienti culturali di quel tempo.
La figura che ne scaturisce è quella di un uomo che pur all’apice del successo mondiale non si lascia intimidire più di tanto da chi gli rema contro e che comunque mostra grande sensibilità e rispetto verso la sua famiglia. Cooper, sia nella versione giovanile che in quella matura del compositore, è di una straordinaria somiglianza con il vero Bernstein, sia nell’espressione che nei movimenti sul podio. Enigmatico il personaggio di Felicia, la moglie, interpretato dall’attrice britannica Carey Mulligan, anche lei con una carriera cinematografica di successo, più volte premiata e con ben due nomination agli Oscar.
Il film, senza grande risonanza, è stato presentato in concorso all’ultima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, transiterà per pochi giorni nelle sale e dal 20 dicembre sarà disponibile sulla piattaforma Netflix. Non un capolavoro, ma sicuramente un film ben interpretato, che si lascia seguire con interesse anche da chi non è proprio addetto ai lavori.
data di pubblicazione: 7/12/2023
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da Salvatore Cusimano | Dic 5, 2023
Ultimo capitolo della trilogia, Diabolik e Ginko si trovano finalmente vis à vis in una cella, convinti entrambi che siano gli ultimi attimi della loro vita, con inevitabili richiami di Diabolik sul suo misterioso passato. Là fuori, intanto, Eva Kant e Altea sono per una volta alleate, pur di salvare i loro uomini.
Chi è veramente Diabolik? È questo l’interrogativo a cui cercano di dare risposta le sorelle Giussani nel loro celebre fumetto e i Manetti Bros in questo film, dove, dopo i due primi capitoli, hanno scelto di chiudere il loro trittico dedicato al mito di un’intera generazione, ovviamente anche la loro. Per fare il tutto, il duo registico ha cercato di mantenersi deliberatamente fedele alle storie su carta, riuscendo ancora una volta a trovare la chiusura di un cerchio magico, riuscendo a spiegare il personaggio e le sue origini senza per questo svelarlo del tutto, lasciando sempre un alone di mistero sulla sua figura e rendendolo per questo ancora più affascinante.
Se nel primo film si era cerato di raccontare Diabolik dal punto di vista di Eva Kant e nel secondo attraverso quello dell’ispettore Ginko, in questo terzo capitolo si è deciso di raccontare Diabolik dal punto di vista di Diabolik stesso, facendo un balzo in avanti di un decennio catapultando la scena negli anni 70 con scenografie, costumi e fotografia cambiati in modo piuttosto evidente: ciò ha dato ha dato un taglio completamente diverso al film rispetto ai precedenti.
Oltre al cast fisso già presente negli altri, Giacomo Gianniotti, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci e Pier Giorgio Bellocchio, si sono aggiunti tanti nuovi attori per dare nuovo spunto all’ultimo capitolo della saga, con Diabolik stesso che viene interpretato da più attori. Un merito particolare va dato alla coppia Leone/Bellucci, donne che si alleano per salvare i loro uomini, in ciò riuscendo a dare un taglio ‘femminile’ all’opera, di cui c’era veramente bisogno. Unica pecca la durata, ma trattandosi di capitolo finale era immaginabile il dilungarsi.
Per concludere, il terzo film è pieno di canzoni di grandi cantanti italiani e non. Per il brano dei titoli di testa, dopo Manuel Agnelli e Diodato, si è passati allo stile frizzante dei Calibro 35 in coppia con Alan Sorrenti.
data di pubblicazione:05/12/2023
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da Salvatore Cusimano | Dic 5, 2023
Due sconosciuti, vicini di terrazzo, alle prese col giardinaggio: questa la base per iniziare ad instaurare un’intesa: Pietro ed Eleonora si trovano fra loro, per seguire entrambi il proprio cuore, cercando di credere ancora nel futuro e nella speranza di essere nel ‘posto giusto al momento giusto’, prima che le loro strade si separino di nuovo.
Già dal titolo si preannuncia la possibilità di maturare nonostante il freddo, come per l’appunto i limoni d’inverno. Christian De Sica interpreta Pietro Lorenzi, un professore di lettere in pensione amante del giardinaggio, accanto a Teresa Saponangelo, che interpreta Eleonora; tutto intorno altri personaggi: Nicola, interpretato da Francesco Bruni, un giovane cameriere senza istruzione che vede in Pietro una figura paterna, Domenico, suo fratello e Luca, il marito di Eleonora. Lo sguardo delicato, ma con un velo potente di tristezza, è anche sulle ambizioni in tutte le loro sfumature: da andare a New York per Luca (Max Malatesta), fino a Domenico (Luca Lionello), che vuole ricostruire una barca e Nicola, che vuole raggiungere il diploma.
L’attore romano è qui in una veste insolita, malinconica e colta, e non sfigura affatto, in ciò aiutato dalla brava Saponangelo, fra i due si instaura un dialogo profondo, che li aiuta ad alleviare il dolore per qualcosa di grave, separati nei loro affacciati sui tetti di Roma da un vuoto, che però si concede alla possibilità di essere colmato, attraverso l’arte e i ricordi.
Ma il velo di mestizia rende lo scorrere del film a tratti lento, risvegliandosi comunque in un finale non banale.
data di pubblicazione:05/12/2023
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da Daniele Poto | Dic 4, 2023
Il Cecil De Mille del nuovo secolo si cimenta con un altro kolosssal sfidando la storia del cinema, la storia di Napoleone, i precedenti filmici, i pregiudizi dei francesi che coccolano il loro eroe nazionale come potrebbero fare gli italiani con Garibaldi. Dollari a profusione, scene di battaglia ineccepibili ma poi un imperatore visto dal buco della serratura. Con i suoi tic, le sue preferenze sessuali e uno squilibrio sulla vicenda sentimentale che nella vita reale non fu poi così rilevante e determinante, trascurando invece il fondamentale rapporto con la madre.
Un film da vedere, un must ma non da metabolizzare. Perché senza sottofondi, seconde letture, interpretazioni. Contraddicendo la storia in almeno tre punti. Errori voluti che non sono bloopers ovvero contraddizioni diegetiche come veder rappresentato un orologio al polso di uno spettatore al Colosseo (è successo nel Gladiatore). Scott si autorizza da solo nel nome scontato dello spettacolo e delle ragioni d’incasso. Più che il politico emerge lo stratega nel protagonista dopo che è stato esaurito in un amen l’excursus sulla Rivoluzione francese, come un comodo e inoffensivo Bignami. Non si può accusare un film di superficialità ma di sacra impressività certamente sì. Un’occasione parzialmente sprecata anche in ragione del massimo investimento produttivo. Quello che sbalza fuori nitidamente- e questo è certamente rilevante nella narrazione- è la fragilità delle alleanze nello scacchiere della geopolitica dell’800. Accordi spesso omogeneizzati con matrimoni. Napoleone prima della celebre Waterloo è un sovrano già deposto quando perde 460.000 uomini su 600.000 nella campagna di Russia. A destino segnato imbocca la strada del declino metaforizzata dalla sua scarsa agilità nel salire a cavallo. E la Francia quando soccombe ha tutti contro anche se continua fino all’ultimo a credere nelle capacità del suo condottiero. Bravi e all’altezza gli attori, soprattutto la valorizzatissima Kirby.
data di pubblicazione:04/12/2023
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da Paolo Talone | Dic 2, 2023
con Massimo Roberto Beato, Federica Quaranta, Stefano Guerrieri e Veronica Rivolta
(Trend – Teatro Belli – Roma, 27/29 novembre 2023)
Quando Deb rientra in Inghilterra dalla missione di pace in Afghanistan, dove è stata soldato, trova tutto cambiato. La nuova compagna del padre è Jo, una vecchia amica di Deb. Nessuno sembra capire il disagio che vive e anche lei fatica a capire l’attuale ordine delle cose. Intanto la sua mente torna al deserto e alla vita nell’esercito appena conclusa. (ph. Manuela Giusto)
Dal quartiere romano di Garbatella arriva sul palco del teatro Belli la Compagnia dei Masnadieri dello Spazio 18B. Jacopo Bezzi – direttore della compagnia insieme a Massimo Roberto Beato – è il regista di Belongings della drammaturga e scrittrice inglese Morgan Lloyd Malcolm, spettacolo inserito nella rassegna di drammaturgia contemporanea inglese Trend, giunta alla sua ventiduesima edizione sotto la direzione artistica di Rodolfo di Giammarco.
La giacca che indossa Federica Quaranta per il suo personaggio Deb non è esattamente della sua taglia, come non lo è la vita nella cittadina inglese da cui proviene e dove ora è tornata dopo un anno e mezzo di missione come soldato in Afghanistan. I pochi oggetti che ancora le appartengono sono chiusi in una sacca che si trascina dietro, mentre quello che era rimasto a casa nella sua cameretta è stato portato via per far posto al nuovo ufficio del padre Jim (Massimo Roberto Beato). Non è esattamente il padre comprensivo che ci si aspetta di trovare, anzi, è totalmente centrato sulla sua attività di gestione di siti pornografici e non coglie il dramma che vive la figlia. La casa non è più quella di prima, soprattutto dopo che la madre è scappata per andare a vivere da qualche parte in Grecia. Jim intanto si è rifatto una vita e ora sta con Jo (Veronica Rivolta), una vecchia compagna di scuola della figlia di cui Deb si scopre ancora innamorata. Jo è una donna frivola, di poco spessore, che si fa bastare quel poco che la vita le ha offerto: un compagno che non la rispetta, che la costringe a una squallida vita da casalinga, che si arrabbia se brucia le lasagne e che all’occorrenza la sfrutta per produrre video e foto per il suo sito. Di certo l’opposto di Deb, tanto che viene da chiedersi come possa essersi innamorata di lei. Gli ideali di Deb sono nobili e puri.
Il contrasto con quello che Deb trova in Inghilterra le provoca insofferenza. Nel profondo sogna di fuggire da tutto questo e lavare via lo sporco così come quando era nel deserto, quando una doccia fredda mandava via la polvere e la calura. I ricordi riaffiorano nella mente e la narrazione si intreccia ai momenti vissuti in missione. Le piaceva la vita nell’esercito, la faceva sentire orgogliosa, utile. Ma da donna doveva dimostrare qualcosa in più, soprattutto davanti a un commilitone come Sarko (Stefano Guerrieri) che la teneva in considerazione solo nella speranza di ricevere favori sessuali, ignorando e sminuendo il fatto che fosse lesbica.
Belongings apre una riflessione importante sul ruolo che alla donna affida la società in cui viviamo, ancora troppo maschilista e intrisa di pregiudizi di genere. Uno spettacolo che calza con il momento storico che viviamo, in cui la lotta all’eliminazione della violenza contro le donne è più che mai urgente.
data di pubblicazione:2/12/2023
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Dic 2, 2023
regia di Alessandro Di Murro, con Matteo Baronchelli, Jacopo Cinque, Alessio Esposito e Laura Pannia
(Trend – Teatro Belli – Roma, 23/26 novembre 2023)
Un gruppo di delinquenti aspetta che il loro capo arrivi per dare il via al prossimo colpo. Alla porta si presenta improvvisamente un giovane che fa nascere sospetti, gettando scompiglio nel gruppo. Un progressivo crescendo di tensione porta a un’inaspettata soluzione finale.
In The Waiting di Simon Bovey l’attesa di Bennett e Walker, due dei quattro componenti della banda di ladri in scena, comincia già prima che il pubblico faccia il suo ingresso in sala al teatro Belli di Trastevere, dove è in corso fino al 17 dicembre Trend. Nuove frontiere della scena britannica per la direzione di Rodolfo di Giammarco.
Una luce fredda taglia di traverso il palco, illuminando sinistramente i due attori. La luce che viene da fuori, dalla finestra, è invece calda, calma e rassicurante. Contrasta con un dentro caotico, dove una catasta indistinta e intrecciata di sedie prende tutta la lunghezza del proscenio, schiacciando la scena in uno spazio bidimensionale angusto, soffocante. Mentre Bennett (Matteo Baronchelli) gioca al solitario con le carte, prevedendo trappole nel gioco per arrivare alla vittoria, Walker (Alessio Esposito) se ne sta dall’altro lato della stanza solo ad ascoltare musica. Già qui si percepisce una certa intolleranza e incomunicabilità tra i personaggi, che si palesa quando entra Turner (Jacopo Cinque), il terzo storico componente della gang incaricato di rubare una macchina per fuggire via dopo il furto che stanno per compiere. Il bottino è ghiotto e servirà a cambiare le loro vite. Ma tra Walker e Turner ci sono antichi dissapori e la lite esplode, obbligando Bennett a mettersi in mezzo. In barba ai tre moschettieri, il loro motto è “tutti per uno, ognuno per sé”. Meglio fidarsi di sé stessi che degli altri.
Il colpo non si fa se non c’è Goodall – il capo della banda – a guidarli, ma lui non arriva e loro continuano ad aspettare ansiosi. Così quella che doveva essere una storia di azione si trasforma in un’assurda commedia beckettiana. Nella narrativa teatrale di Simon Bovey capita di partire da una situazione per poi trovarsi coinvolti in tutta un’altra storia (Testimony). E la situazione precipita quando a entrare dalla porta è Stone (Laura Pannia), un ragazzo inesperto di appena ventitré anni, già con una famiglia da campare sulle spalle, che vuole entrare a far parte dell’operazione. L’improvvisa apparizione genera scompiglio e incertezza, ma proprio attraverso i dialoghi serrati vengono palesate le motivazioni che spingono il gruppo a compiere azioni criminali. Lo scontro fa emergere la vera umanità dei personaggi e quella catasta di sedie, per un gioco che passa attraverso l’analisi, alla fine si sistema in un ordine regolare e armonico. Dopotutto il confronto con gli altri ci aiuta ad allargare la visione delle cose e ad allontanarci dalle nostre sterili convinzioni, molto spesso confuse e piatte.
La disfatta finale arriva quando una telefonata di Goodall avverte che il colpo è rimandato (una soffiata ha fatto spostare i soldi alla polizia). Il gruppo si riconosce come perdente, sconfitto. L’affare che salta uccide l’entusiasmo e la voglia di riscatto. Ma se questo colpo non va a segno, di certo la regia di Alessandro Di Murro centra il bersaglio con una messa in scena ben costruita, che sa inquadrare i personaggi nei caratteri senza trasformarli in caricature. Lo slang del criminale ancora prima che nel linguaggio (la traduzione è di Natalia di Giammarco) è nei movimenti e nel comportamento. La partita, tutt’altro che in solitaria, la vince l’intera squadra della Compagnia della Creta del teatro Basilica che vede, oltre ai già citati, Tommaso Emiliani (assistente alla regia), Michela Caccavallo (costumi), Bruna Sdao (direttrice organizzativa), Cristiano Demurtas (progetto grafico).
data di pubblicazione:2/12/2023
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Dic 1, 2023
con Amedeo Fago, Barbara Lazotti e Lavinia Ottolini
(Teatro di Villa Lazzaroni – Roma, 30 Novembre e 1 Dicembre 2023)
Amedeo scrive alla madre che non c’è più. Vuole dirle quello che prova nel cuore e di quanto ancora oggi le manchi. 29 anni, 6 mesi e 18 giorni è il tempo che hanno condiviso, esattamente quello che intercorre tra la nascita di lui e la morte di lei. Questa lettera è un pretesto per ricordarsi dei tempi passati e in queste rimembranze sogni, progetti, aspettative sembrano confondersi nella sua mente…
Amedeo entra silenzioso sulla scena. Ci sono vari oggetti sparsi che rimandano a una infanzia oramai lontana. Lui osserva ogni cosa, nella sua mente riaffiorano vari ricordi che lui tenta di riporre in una scatola ideale, forse per conservarli intatti e evitare che si disperdano. Lui è profondamente assorto e una voce fuori campo, che poi è la sua, parla con la madre per rievocare insieme quei momenti felici vissuti sin dal momento della sua nascita, o forse ancora prima. Una descrizione dettagliata di un mondo passato affollato di personaggi oramai andati, ma che hanno costruito un universo che Amedeo è riuscito sin da piccolo a farselo suo per continuare a custodirlo dentro di sé. Un atto di ragionamento che affronta insieme a lei e che riguarda le proprie esperienze di vita, i primi approcci con le ragazze, i primi turbamenti, le prime manifestazioni studentesche presso la facoltà di Architettura a ridosso del mitico sessantotto. E poi, passati dieci anni, la scelta di dedicarsi completamente al teatro e alla drammaturgia in genere per parlare e interagire con lo stesso pubblico di problemi reali o persino inventati. Amedeo è ora concentrato a sistemare le carte per risolvere un solitario, cercando di trovare le mosse giuste che lo possano portare alla riuscita del gioco. Un poco come nella sua vita dove ha sempre agito con pacatezza, ma con estrema determinazione, sia nella vita professionale che in quella sentimentale. Una spettacolo ponderato che ci fa riflettere sul senso della vita, dove non esiste realtà fuori dai ricordi di quelle persone care che ci hanno generato e cresciuto, contribuendo a farci diventare quello che oggi siamo.
data di pubblicazione:1/12/2023
Il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Dic 1, 2023
“Vi siete mai chiesti come mai accanto alla più grande acciaieria d’Europa non ci sia nemmeno una fabbrica di forchette? Il nostro acciaio serve a costruire la ricchezza di qualcun altro…”. Tra il 1997 ed il 1998 presso l’Ilva di Taranto venne praticato nei confronti di circa 80 impiegati specializzati una operazione di mobbing collettivo allo scopo di “fiaccarli”, per far accettare loro una novazione del contratto che declassava gli stipendi a salari, equiparandoli a quelli degli operai. Nel nostro paese in quegli anni si parlava poco di mobbing, ed in certi contesti non si sapeva neanche cosa fosse; oggi sappiamo che i posti in cui si manifesta con maggiore frequenza sono gli uffici e le aziende, e che nel mirino del mobber le più numerose sono le donne.
Ufficialmente la Palazzina LAF (acronimo di Laminatoio A Freddo) era un posto dove i proprietari e i dirigenti dell’Ilva decisero di confinare coloro che erano definiti “dei buoni a nulla”, in prevalenza impiegati a cui non andava di lavorare, a discapito degli operai che invece tutti i giorni si spaccavano la schiena negli altoforni. Per essersi dunque rifiutati di accettare una variazione delle loro mansioni, 80 di loro come punizione vennero mandati in questo luogo ad occupare stanze vuote dove un tempo c’erano dei vecchi archivi.
L’attore Michele Riondino, tarantino e figlio di un ex operaio dell’Ilva, dopo aver raccolto materiale e testimonianze per diversi anni, esordisce alla regia con questo film di denuncia presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, di cui ha scritto anche la sceneggiatura assieme a Maurizio Braucci; Vanessa Scalera, brindisina di origine, diventata famosa per il personaggio televisivo di Imma Tataranni, ha accettato un piccolo ruolo in questo film pur di esserci “come cittadina” ed il cantante tarantino Antonio Diodato ne ha curato la colonna sonora; ad Elio Germano il compito di interpretare il direttore del personale Giancarlo Basile, viscido e senza scrupoli, mentre Riondino veste i panni di Caterino Lamanna (l’unico personaggio parzialmente inventato), un operaio convinto che i “confinati” siano tutti realmente dei lavativi da punire. Lamanna, non avendo i mezzi culturali per accorgersi che quella sorta di confino rappresentava una grave violazione della dignità dei lavoratori, farà di tutto per farsi mandare nella Palazzina LAF, contento di essere pagato senza fare nulla. Riondino si ritaglia un ruolo scomodo che però rispecchia appieno quella che ingiustamente era l’opinione che circolava in azienda a discapito di quegli impiegati che, oltre a non poter più lavorare, dovevano anche subire l’umiliazione dell’opinione di colleghi e operai, ignari che quella purtroppo era una punizione nei confronti di pochi per educare i rimanenti 12.000 lavoratori.
Palazzina LAF, oltre a rappresentare un ottimo esordio di ferma e sentita condanna civile che denuncia parallelamente anche il tema delle polveri sottili, causa di gravi forme tumorali agli abitanti d’interi quartieri della periferia tarantina e dell’abbattimento di svariate centinaia di capi di bestiame che pascolavano nelle zone limitrofe gli stabilimenti, accende anche un faro su Taranto, una città che purtroppo sta morendo piano piano.
data di pubblicazione:1/12/2023
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da Maria Letizia Panerai | Dic 1, 2023
Cento domeniche è stato definito da Antonio Albanese “un film necessario” per trattare il mondo delle sue origini e puntare il dito su una politica distratta, che preferisce frequentare i talk show invece di tutelare le persone semplici, perbene, oneste, che impiegano una vita per mettersi da parte pochi risparmi, sovente frutto di un lavoro usurante, utili a realizzare un domani un sogno custodito nel cuore e nella mente, ma che un bel giorno può andare in fumo assieme il denaro che sarebbe servito ad esaudirlo, nell’indifferenza generale.
Antonio ha 59 anni, è in prepensionamento (“finiremo tutti in fondo ad un Fondo”), ma continua ugualmente a frequentare il cantiere nautico per insegnare, a titolo gratuito, il mestiere a qualche giovane operaio in prova. La sua vita è tranquilla: gioca a bocce con gli amici, ha una madre novantenne di cui si prende cura, mantiene un rapporto civile con la ex moglie ed ha anche una compagna “clandestina” che vede di tanto in tanto. Quando Emilia, sua figlia, gli comunica di volersi sposare, Antonio pensa che finalmente può coronare il sogno di accompagnarla all’altare, immagine che custodisce gelosamente nel suo cuore sin da quando Emilia era bambina, facendosi carico di regalarle il ricevimento di nozze che da sempre aveva immaginato per lei. Si confronta con gli amici, ne parla alla madre con entusiasmo e non vuole sentire ragioni con i futuri consuoceri, vistosamente benestanti: sarà lui ad occuparsene senza l’aiuto di nessuno. Finché un giorno un suo amico, che aveva impiegato “cento domeniche” per costruirsi mattone dopo mattone la casa dove vivere con la propria famiglia, potendoci lavorare l’unico giorno di riposo dopo un’intera settimana in cantiere, viene ricoverato in ospedale in seguito ad un malore, causato dalla notizia di aver perso i risparmi di una vita per un crack che aveva interessato alcuni Istituiti bancari, compresa la Banca dove Antonio ha investito i propri soldi.
Albanese, con grande maestria, rappresenta la vita del suo personaggio come una sorta di parabola drammaticamente discendente, vittima di qualcosa che non riesce a spiegarsi: egli proverà vergogna per essersi fidato e sensi di colpa invece che rabbia, e la condivisione che da sempre aveva contraddistinto la sua vita cede il passo all’isolamento, facendolo scivolare in un baratro dal quale non potrà rialzarsi. L’andamento lineare e sobrio della pellicola e il tema centrale della classe operaia, ha fatto apparire plausibile il paragone di questa storia con la filmografia di Ken Loach, regista, sceneggiatore ed attivista britannico che da sempre parla nelle sue pellicole di temi legati alle classi meno abbienti; così come si potrebbe accostare l’animo puro di Antonio Riva alla poetica delicata e struggente di cui sono intrisi certi personaggi che abitano le pellicole di Uberto Pasolini.
Tuttavia, “nobili” paragoni a parte, Cento domeniche ha il merito di parlare di un’Italia perbene, fatta di persone comuni che concepiscono ancora la solidarietà, l’aiuto reciproco, rappresentando un mondo fatto di strette di mano che pare essere sparito del tutto ma che un tempo esisteva, per lasciare il posto all’indifferenza in cui, nei tempi attuali, la nostra società sembra inevitabilmente precipitata. Se ne consiglia la visione.
data di pubblicazione:1/12/2023
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da Antonio Iraci | Dic 1, 2023
La guerra è da poco finita, Roma è libera anche se di fatto ancora occupata dalle truppe americane. L’Italia intera si appresta ad essere chiamata a decidere tra monarchia e repubblica e le donne, per la prima volta, avranno un ruolo decisivo nel referendum del 2 giugno del ‘46. Delia vive con il marito Ivano e i loro tre figli in una modesta casa, in un quartiere popolare della città. Una vita difficile la sua ma che porta avanti con spirito di abnegazione, facendosi piacere ciò che non le piace. Un giorno le viene recapitata una lettera che lei custodirà in segreto…
La Festa del Cinema di Roma di quest’anno ha scelto C’è ancora domani come film di apertura, una scelta che sembra proprio voler riconoscere la bravura della poliedrica Paola Cortellesi, al suo primo film come regista. Molti critici e cinefili alla vista dei trailer avevano storto un poco il naso, pensando che dirigere un film in bianco e nero proprio della cinematografia di un’epoca oramai passata, tuffandosi nel mondo anacronistico di un neorealismo, che aveva fatto e esaurito il suo tempo nel secondo dopoguerra, sarebbe stata una prova troppo grande per la talentuosa attrice e sceneggiatrice romana. Anche le prime scene si presentavano allo spettatore quasi come una forzatura, un qualcosa che di fatto non appartiene al carattere della stessa Cortellesi che abbiamo imparato ad apprezzare e ad amare per i ruoli da lei interpretati. Via via che il film avanzava e dipanava la sua storia, con i suoi contenuti tragicomici, il pubblico è rimasto invece sempre più convinto della sua validità. Oggi, a più di un mese dall’uscita nella sale, nessuno comunque sembra meravigliarsi che il film abbia già incassato 24 milioni di Euro, riuscendo persino a superare al box office l’attesissimo Napoleon di Ridley Scott. Delia, interpretata dalla stessa regista, è una donna fragile, sottomessa a un marito violento, incapace di manifestare una qualsivoglia minima iniziativa che possa dar valore alla sua esistenza. L’arrivo inaspettato di una lettera darà origine a un personale, segreto atto di ribellione e le farà intravedere una larvata possibilità di riscatto sociale e sentimentale. Gli aspetti tristi dell’intera vicenda sono sapientemente dosati e controbilanciati da una comicità mai sopra le righe, fondamentale a riequilibrare un plot che altrimenti sarebbe caduto nella banalità. Cast ben curato, dove emerge un Valerio Mastandrea nella parte del marito Ivano, il tutto ambientato in un contesto scialbo di una borgata romana, dove ognuno si dà ancora da fare come può per sbarcare il lunario ma dove la solidarietà sociale, soprattutto tra donne, è ancora forte per sopperire alle disuguaglianze di genere. Un tema delicato, se vogliamo anche attuale, dove si parla di donne e dell’ingiustizia sociale dovuta ad un sistema esclusivamente patriarcale, che la regista affronta con quel tocco di misurata comicità che la contraddistingue in tutte le sue performances. Film veramente ben riuscito che conferma la Cortellesi come una promessa del cinema italiano, dimostrandosi all’altezza anche nel ruolo, del tutto nuovo per lei, di regista.
data di pubblicazione:1/12/2023
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