da Paolo Talone | Gen 15, 2024
con Valeria Monetti, Ludovica Di Donato, Mauro Conte e Piero Di Blasio, regia di Piero Di Blasio
(Teatro de’ Servi – Roma, 11/14 gennaio 2024)
La vita dell’ingenua e sognatrice Rose viene disturbata da tre figure che tentano di corromperla allontanandola dal suo giardino di rose e farfalle dove vive serena. Una spassosa analisi dei pericoli nascosti nella nostra società intercettati dalla penna arguta e ironica di Stefano Benni e portata di nuovo in scena dopo il successo della scorsa stagione da un eccezionale gruppo di attori, che fa del gioco teatrale lo scopo del suo divertimento.
A pensar male si sbaglia, ma spesso si indovina recita il famoso detto. Coniugato su La signorina Papillon di Stefano Benni in scena al teatro de’ Servi – tempio indiscusso della scena comica romana, gestito e diretto dalla società La Bilancia che ha prodotto lo spettacolo – si potrebbe affermare non bisogna fidarsi dei brutti sogni, ma un poco di verità la nascondono. Il sottotitolo della divertente e ancora attuale commedia – apparsa in stampa la prima volta venticinque anni fa per Feltrinelli – recita infatti Nel paese dei brutti sogni, dando avviso del pericolo che corre l’ingenua e pura Rose.
Nell’immaginario mondo ottocentesco creato dall’autore bolognese l’eroina, interpretata in scena da una formidabile Valeria Monetti, è immersa in un giardino alle porte della città di Parigi, tra finte rose e farfalle dipinte, pappagalli impagliati e abiti di raso dai colori sgargianti. Un mondo volutamente finto, che la recitazione di testa della Monetti rende ancora più artificioso e caricaturale. A turbare la tranquillità delle sue giornate arriva Armand – nella buffa interpretazione di Piero Di Blasio, anche regista dello spettacolo – un sergente rozzo e volgare membro di una loggia segreta, attaccato così tanto al potere da non aver timore di uccidere. A lui si unisce Millet (Mauro Conte), un poeta opportunista e menzognero dalle scarse doti artistiche che si finge giardiniere per introdursi nella proprietà dell’ignara Rose. E poi c’è Marie Luise, l’amica corruttrice e spregiudicata, pronta a tutto pur di essere notata, che brilla di esuberanza e comicità nell’interpretazione di Ludovica Di Donato. Insieme progettano di distruggere il fantastico mondo di Rose, ma il racconto si rivela essere solo un brutto sogno della protagonista. E il bello del fare un brutto sogno, dice l’autore, è proprio il fatto di essere svegliati così da interromperlo. Ma davvero era un brutto sogno?
Stefano Benni si conferma un autore ancora attuale, con la sua comicità fatta di dissacrazione e improvvise trovate esilaranti. Le sottili battute sono zavorre che si attaccano agli svolazzi romantici, facendo precipitare nella risata lo spettatore. Ma il merito lo condivide la compagnia e la regia di Piero Di Blasio, che ha saputo sfruttare le possibilità del testo che permette, anzi esige di essere attualizzato (trovano spazio battute sulle truffe legate ai panettoni e la pronuncia della parola facocero, oggetto di ricerca tra i linguisti di IG, nonché riferimenti ai motti fascisti tornati di moda). Uno spettacolo ancora fresco dove leggerezza e divertimento sono assicurati.
data di pubblicazione:15/01/2024
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Gen 14, 2024
La squadra di calcio delle Samoa Americane è passata nella storia come la peggiore nel mondo per aver perso una partita contro l’Australia per… 31 a zero. In vista delle qualificazioni ai mondiali, l’American Soccer Federation manda in loro soccorso Thomas Rongen, coach più volte allontanato dal campo per il suo carattere turbolento. Obiettivo, che sembra subito impossibile da raggiungere, sarà quello di segnare almeno un gol, vincere non è importante…
Sembra incredibile ma è tutto vero quello che il regista neozelandese Taika Waititi ci racconta in questo suo ultimo film che si può affettuosamente definire ingenuo, riflessivo e moderatamente divertente. Ed il coach Thomas Rongen, olandese d’origine ma che ha vissuto e lavorato come allenatore sportivo negli States, è proprio quello impersonato dall’attore Michael Fassbender, recentemente visto in The Killer, presentato all’ultimo Festival di Venezia e prodotto da Netflix. Scontroso e di natura irascibile sul campo, viene allontanato dalla federazione calcistica di cui fa parte anche la sua ex moglie Gail, per tentare di raddrizzare le sorti di una squadra che non ha mai segnato un gol. Una forma di confino forzato in un’isola polinesiana dove gli abitanti vivono quasi in simbiosi, rispettando scrupolosamente le loro tradizioni culturali e religiose. Il malcapitato Rongen, dovrà barcamenarsi tra una situazione personale e affettiva disastrosa e questa nuova avventura professionale, dove comunque non mancano le dimostrazioni di rispetto da parte degli indigeni. Certo il film, e la storia che racconta, ha un tono decisamente farsesco ed è proprio questo che lo rende accattivante, anche per coloro che del calcio non ne fanno una passione. In effetti lo sport è il pretesto per mettere in campo situazioni individuali che interessano i vari personaggi ed in particolar modo Jaiya Saeula, anche lei realmente esistita, transessuale in cura ormonale per cambiare sesso e diventare donna a tutti gli effetti. Se il calcio non è tutto nella vita però è anche la via per darsi una disciplina interiore e per apprendere ad affrontare le avversità. Ciò che si impara dalla visione del film è che nella vita non sarebbe poi così importante vincere, quanto piuttosto fare un gol. La squadra in questione, con un po’ di abilità e con la giusta dose di fortuna, alla fine ce la fa. E questo basterà…
data di pubblicazione:14/01/2024
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da Antonio Iraci | Gen 11, 2024
Adam Clay è un tranquillo apicoltore che vive solitario in campagna. Un giorno la vicina, raggirata da gente senza scrupoli che le ha sottratto tutti i risparmi, si suicida. Adam, ex agente di una potente organizzazione chiamata Beekeeper, decide così di mettere in atto un piano di vendetta. Combatterà da solo contro i responsabili della truffa che operano a livello nazionale rubando così milioni di dollari…
Per gli amanti del genere revenge, ecco nelle sale un film che è tutto per loro, confezionato dal regista statunitense David Ayer che già nei precedenti film aveva calcato volutamente la mano su scene di violenza e azione. In The Beekeeper si gioca sul doppio significato del termine perché lo stesso può indicare sia un pacifico apicoltore, sia l’agguerrito agente di una organizzazione clandestina utilizzata in soccorso di casi nazionali disperati. Il protagonista (Jason Statham in perfetta forma fisica da Rambo) di fronte alla truffa perpetrata nei confronti dell’anziana vicina, l’unica che si prende veramente cura di lui, non esiterà a ritornare in azione per attuare la sua personale vendetta nei confronti di truffatori, a capo dei quali il rampollo viziato della Presidente in carica. L’uomo sembra inarrestabile e non trova ostacoli che possano interferire sul suo piano che, seppur spietato, è tuttavia a fin di bene. Kurt Wimmer ha curato la sceneggiatura che certamente è di poche pretese ma funziona perfettamente allo scopo. Scene mozzafiato che si susseguono a raffica, sicuramente di grande effetto sul pubblico, dove il protagonista non lascia spazio agli altri attori del cast, tra questi anche Jeremy Irons, ovviamente perfettamente calato nel suo ruolo. Una storia quindi di estrema violenza (negli USA il film è vietato ai minori) dove l’eroe di turno, il taciturno Adam, combatte da solo per far piazza pulita di un sistema corrotto che coinvolge politici di altissimo livello. Un forte quindi in difesa dei deboli, derubati dei loro averi, che si troveranno finalmente difesi e vendicati dalla forza bruta di un beekeeper, un apicoltore appunto, nel nome e nei fatti.
data di pubblicazione:11/01/2024
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da Antonio Iraci | Gen 10, 2024
Enea appartiene ad una famiglia agiata, circondato da amici e parenti della Roma bene. Un poco per noia, un poco per provare qualche emozione più forte di lui, si ritrova insieme all’inseparabile amico Valentino in un giro di droga. Fare gli spacciatori ad alto livello li esporrà a grandi rischi che metteranno in serio pericolo la loro stessa incolumità…
Se con I Predatori, suo film di esordio, la critica aveva dimostrato benevolenza nell’accettare le intemperanze di un giovane regista, dandogli persino importanti riconoscimenti come incoraggiamento per le imprese successive, questa volta, in questa seconda prova, si fa un poco fatica ad arginare il tutto. Come si potrebbe definire? Un film pretestuoso e pretenzioso con ancora una volta troppa carne al fuoco? La storia di Enea, il protagonista interpretato dallo stesso Pietro Castellitto, è una figura dai contorni incerti. Inserito nella dolce vita romana, frequentatore di circoli esclusivi e circondato da belle ragazze tra le quali ne sceglie una da sposare. Un ragazzo che insegue qualcosa, ma non si capisce cosa. Se si inserisce nella malavita romana, insieme all’inseparabile amico, apparentemente non sembra che lo faccia per i soldi, ma non si intuisce neanche il motivo che spinge entrambi a prendere delle decisioni così estreme. Un padre psicoanalista (Sergio Castellitto) professionalmente non riuscito, una madre che tenta nella meditazione di estraniarsi dalla propria insoddisfazione, un fratello adolescente e inconcludente. Ci sono tutta una serie di innumerevoli personaggi che ruotano intorno ad una storia dove c’è troppo, ma dove si riesce a focalizzare poco. I dialoghi sono spesso inconsistenti perché non si riesce mai a intuirne il contenuto. Non si sa bene dove andare a parare. Se si tralascia la sceneggiatura, troppo ingarbugliata e per diversi aspetti prevedibile, bisogna dare comunque atto che l’interpretazione sopra le righe del regista risulta comunque coerente con il personaggio che interpreta. Sono infatti le sue azioni grottesche a rendere paradossalmente credibile una figura fuori da qualsiasi schema. Scene tutto sommato ben costruite sullo sfondo di una Roma patinata tra feste e locali trendy, con vaghi rimandi a una “grande bellezza”, dai toni più incandescenti e straripanti di ordinaria follia. Non ci rimane che aspettare la prossima prova, questa volta con esclusione di qualsiasi attenuante…
data di pubblicazione:10/01/2024
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da Daniele Poto | Gen 9, 2024
Ha un sentore di non spiacevole già visto vintage che nel tritatutto converte molti temi: il perdono, la riappacificazione, un bizzarro impatto con la religione. Il tutto smosso da una proposta di viaggio a Lourdes. E sul cammino di un impossibile miracolo le tensioni si sciolgono e quattro donne ritrovano una via comune di comprensione e perdono.
Il carisma delle navigate protagoniste costituisce un buon appeal per un prodotto che non potrà avere grandi esiti al botteghino ma che sulle vocazione di buoni sentimenti, sotto natale, induce a una visione serena seppur priva di punte di qualità. La vecchia Irlanda di una generazione passata con altrettanto navigati eroi (Stephen Rea) e un buon sentore di provincia come miscela di partenza. Si respira anzianità e pregiudizio con una situazione legata a un aborto e a un suicidio, evocati e non descritti, altamente drammatici. Del resto perché perdere l’occasione di godersi la quasi novantenne Maggie Smith, anziana cinematograficamente forse da sempre a cui auguri di avere come spalla un Helen Mirren, unica assente in questo gotha di quarta età. Pellicola garbata, a tratti lieve la cui cartina di tornasole è la speranza del cambiamento. Il finale non è banale. Perché un sommesso miracolo c’è. E si aggiunge ai 62 distillati a Lourdes in una storia più che centenaria. Il rosso bambino irlandese che non pronunciava parola alla fine parla in una scena però in cui non l’ascolta nessuno. Segno che il regista non vuole adire a un happy end troppo banale e scontato. In fondo un prodotto medio del genere fa riflettere anche sull’esistenza di Dio. La frase chiave è quella del religioso che guida la spedizione. Per vivere non bisogna aspettarsi miracoli. Nel nostro destino c’è sempre fatica e dolore.
data di pubblicazione:09/01/2024
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da Daniele Poto | Gen 9, 2024
Evita il rischio di un pedissequo buonismo il regista che rievoca l’epopea di Nicholas Winton, operatore di borsa britannico ma soprattutto filantropo che riuscì a salvare dal delirio nazista 669 bambini e/o ragazzi di nazionalità cecoslovacca, in gran parte ebrei, trovando per la loro ospitalità temporanea nel 1939 altrettante famiglie inglesi disposte ad adottarli provvisoriamente, versando una cauzione di 50 sterline, cifra non modesta per l’epoca.
Una storia vera che viene fedelmente riprodotta nella forbice temporale 1938/1987 con il doppio ruolo del protagonista, eroe in gioventù, riflessivo anziano nel secondo caso che, quasi mezzo secolo dopo un piccolo miracolo di solidarietà, cerca di trovare un senso a quanto fece con vivo senso di umanità all’altezza della seconda guerra mondiale, tra l’invasione dei Sudeti da parte dei nazisti e la quasi immediata occupazione della Polonia. Intervallo chiave perché blocca l’arrivo in treno del blocco più grande, 250 ragazzi da salvare. Il vero protagonista si è spento a 106 anni, 15 anni dopo la moglie più giovane di 40. Come si può intuire un personaggio da film, giustappunto. Non gronda retorica il film. La rivisitazione del passato trova un punto fermo nella monografica puntata di That’s life, un programma che si annuncia come una carrambata e che invece, contrariamente alle attese, tratta con la stessa delicatezza della pellicola il caso. Così l’anziano Winton inaspettatamente si trova circondato dai ragazzi che ha salvato, ora adulti, e ritrova nel presente il senso del passato. Nonostante la sindrome di Asperger e la condizione di over 85, Hopkins giganteggia ben inserito in un ruolo calibrato e che esalta la sua maturità consumata. Nella ibrida colonna sonora c’è anche il “Così fan tutte” di Mozart, un tocco ulteriore di classe. Non sarà deflagrante al botteghino ma si lascia vedere e fa persino commuovere.
data di pubblicazione:09/01/2024
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da Antonio Iraci | Gen 8, 2024
Per Hirayana ogni giorno è perfetto. Le sue giornate, in assoluta solitudine, sono scandite da un ritmo di vita che si ripete, giorno dopo giorno, in maniera immutata. La mattina, uscendo da casa, scruta con un sorriso il cielo come per ringraziare per avere ancora un giorno a disposizione o forse ancora per quei piccoli svaghi che si concede dopo il lavoro, e con quello stesso sorriso sceglie quale canzone ascoltare nello stereo del suo van nell’andare a lavoro. Per lui sembra essere importante solo fare bene il suo lavoro, ascoltare della buona musica, gustarsi un tramezzino in un parco, fotografare gli alberi, leggere un buon libro la sera prima di dormire, andare a cenare sempre negli stessi posti dove viene accolto con un occhio di riguardo…
Dopo qualche anno di assenza, ritorna al grande schermo Wim Wenders, pluripremiato nel corso della sua lunga carriera cinematografica a Venezia, Cannes e in altri innumerevoli festival internazionali. Il regista che, attraverso gli angeli, ci aveva fatto osservare una Berlino allo sbando e spaccata da un muro, come una enorme ferita ancora sanguinante, ci porta ora per le strade di Tokyo. Vediamo una metropoli moderna, dove tutti corrono e dove il tempo sembra essere proiettato in un futuro immaginario che forse non diventerà mai presente. Il protagonista di questa nuova storia sembra rifiutare tutto questo. Hirayama ha forse abbandonato un lusso a cui era abituato, per vivere una vita semplice e modesta, fatta di piccoli gesti che si ripetono nel quotidiano, con una tempistica che lascia spazio alla riflessione. La meticolosità che applica al suo lavoro (pulire i bagni pubblici della città) si riflette anche nei suoi atteggiamenti e nei suoi sogni. Come prendersi amorevolmente cura delle piante in casa, rispettare l’ambiente che lo circonda come atto dovuto non solo verso gli altri, ma soprattutto verso se stesso. Per lui proprio le piccole cose sono importanti e gli danno quella gioia che solo lo star bene dentro può dare, e quella sua vita apparentemente ripetitiva e monotona gli fa apprezzare tutte le variazioni del mondo circostante. Di poche parole, anche con l’esuberante collega Takashi, Hirayama (interpretato dal talentuoso attore giapponese Koji Yakusho che per questo film ha vinto il premio a Cannes per la migliore interpretazione maschile) rimane imperturbabile di fronte a ogni incontro che casualmente gli si prospetta: come la visita inaspettata di una nipote, l’incontro con una sorella che non vedeva da tempo e che vive nel lusso, tutti elementi che lo faranno riflettere su un passato che oramai è passato. Lui riesce a vivere nel qui e ora, senza crearsi i problemi di un domani che forse non verrà. Wenders ritorna ai temi a lui cari, alla riflessione su un mondo pieno di incertezze e di negatività che solo la forza interiore potrà esorcizzare. Una buona musica ascoltata su una vecchia cassetta, un libro acquistato di seconda mano, una foto in bianco e nero scattata alle chiome del suo albero preferito con la sua macchina fotografica analogica per coglierne nel tempo le variazioni: tutte quelle piccole grandi cose del suo universo, fatto di un sorriso sempre riconoscente alla vita e di una sporadica lacrima quasi trattenuta, come per dimenticare qualcosa che a noi spettatori non ci è permesso di sapere.
data di pubblicazione:08/01/2023
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da Daniele Poto | Gen 5, 2024
di Eduardo Scarpetta con Fabio Gravina, regia di Fabio Gravina
(Teatro Prati – Roma, 8 dicembre 2023/28 gennaio 2024)
Seconda tappa della stagione “scarpettiana” nella boiserie del teatro vocato alla farsa napoletana. Notate la lunga programmazione in sala, mai pari a nessun altro precedente nella stagione teatrale romana 2023-2024. Pubblico di fedelissimi a sancire una continuità che si protrae imperterrita da 25 anni. Ovvio che lo Scarpetta del caso sia il patron Fabio Gravina che tiene i fili di una compagnia affiatata e rodata, in azione per due ore e dieci minuti e tre tempi senza perdere mai la tensione comica.
Spettacolo leggero ma di fedele e trasparente lettura. Con un punctum irresistibile, la difficile lettura di un messaggio ammiccante al famoso sketch di Totò e Peppino (ma l’originale è quello di Scarpetta!). Trama complicatissima ma a tratti abbandonata per derive efficaci del racconto, a tratti irresistibili. E tutto pianamente convoglia verso il lieto fine. I tre calzoni fortunati portano in dote gioielli, soldi e la materia prima per un ricatto che scioglierà l’intreccio permettendo le giuste nozze ai due promessi sposi. In mezzi tratti d’ignoranza pappagonica, un dialetto napoletano virato a Portici. Il personaggio di Felice Sciosciammocca va bene per tutte le stagioni con empatia recitativa con gli scopatori, alias spazzini. Si rispecchia con simpatia la miseria di un popolo napoletano bonario che spesso trova nella solidarietà lo spinto per uscire da una condizione di estrema difficoltà. La battuta non risolve i problemi di fame ma le risorse di una buona sorte provvidenziale verrà incontro con felici soluzioni agli imbarazzi dei protagonisti. Si ride con leggerezza e a tratti senza ritegno. Senza punti deboli in scena, anzi con il valore aggiunto di scenografie e costumi funzionali, figli di una tradizione consolidata.
data di pubblicazione:05/01/2024
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da Antonio Iraci | Gen 3, 2024
Julian, già espulso dalla scuola per atti di bullismo verso un compagno, si trova un giorno a casa da solo con nonna Sara che vive a Parigi. L’anziana donna cercherà di raccontare al nipote della sua infanzia e di come, da ebrea, sia riuscita a sfuggire alle persecuzioni da parte dei nazisti che avevano occupato la Francia. A salvarla era stato un bambino affetto da poliomielite e deriso dai compagni per la sua disabilità. Una storia triste che farà riflettere il ragazzo e lo porterà ad avere più rispetto verso gli altri…
Marc Forster, talentuoso regista tedesco formatosi presso l’Università di Cinematografia di New York, ha firmato e diretto film di grande successo ottenendo persino una candidatura agli Oscar per L’ombra della vita e una nomination per Neverland. Wonder: White Bird è il sequel di Wonder, di Stephen Chbosky, film del 2017 che ebbe un enorme successo ed era basato sull’omonima graphic novel di R.J. Palacio. Marc Forster riprende la storia di Julian, un adolescente viziato che ama bullizzare i compagni più deboli. Anche nella nuova scuola, dopo essere stato espulso dalla precedente per il suo comportamento, il ragazzo fa fatica ad inserirsi mostrandosi altezzoso e scostante anche nei confronti di coloro che invece gli si rivolgono con gentilezza e attenzione. Il racconto che nonna Sara farà della sua infanzia, delle difficoltà subite durante l’occupazione nazista nel paese francese dove viveva con i genitori, farà (forse) ravvedere il giovane che cercherà ora di essere più prudente nel relazionarsi con gli altri compagni a scuola. L’anziana donna cercherà di mitigare la drammaticità della storia addolcendola con elementi di fantasia, trovata questa che rende in parte più leggera la tragedia da lei stessa vissuta e subita. La giovane Sara, salvata da un suo compagno di scuola e dalla sua famiglia, imparerà presto a sopravvivere durante l’occupazione fantasticando con il suo quaderno e con le sue matite colorate, immaginando di viaggiare in mondi a lei sconosciuti, aiutata dall’amore della sua nuova famiglia. Una favola quindi ben raccontata da nonna Sara, interpretata dal Premio Oscar Helen Mirren, che se da un lato può sembrare sdolcinata e fuori posto rispetto alla cornice in cui viene inserita, di contro invece ha il vantaggio di essere didascalica e funzionale al messaggio trasversale che vuole lanciare ai giovani di oggi. Come viene garbatamente detto nel film di Forster: il mondo della realtà ha i suoi limiti, mentre quello dell’immaginazione non conosce confini. Un film tutto sommato ben riuscito, senza grandi pretese ma che riesce a farsi seguire con interesse facendoci scoprire cose nuove o forse dimenticate su ciò che ha significato la storia di quegli anni.
data di pubblicazione:03/01/2024
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da Antonio Iraci | Dic 28, 2023
Ansa e Holappa conducono una vita in totale solitudine, in una Helsinki anonima piena di ingiustizie e sfruttamento. Lui è diventato alcolizzato per esorcizzare una forma di depressione cronica; ma quando il destino li metterà l’uno di fronte all’altra, entrambi inizieranno a intravedere una possibilità, sia pur remota, di intrecciare un rapporto, forse solo di amicizia, forse anche d’amore. Le circostanze faranno in modo di allontanarli, ma alla fine si ritroveranno per iniziare un percorso insieme…
Aki Kaurismäki, ben noto regista finlandese che ha ottenuto per questo film il Premio della Giuria all’ultima edizione del Festival di Cannes, segue un suo percorso cinematografico all’insegna del totale minimalismo. In patria il film è stato accolto molto favorevolmente dal pubblico, ma all’estero la pellicola si è aggiudicata diverse nomination nei più importanti festival internazionali. Kaurismäki è di suo di poche parole, con un carattere schivo e impenetrabile, esattamente come i personaggi della maggior parte dei suoi film. Anche in Foglie al vento i due protagonisti Ansa e Holappa non comunicano molto, sono per natura ermetici nell’esprimersi, ma nello stesso tempo dimostrano carattere quando si accorgono di essere sfruttati sul lavoro. Si ritrovano in una società senza scrupoli, volta al conseguimento di una ricchezza all’insegna del capitalismo più bieco. L’atmosfera è pesante, mentre la radio diffonde continuamente notizie devastanti sull’offensiva russa in Ucraina. Tutto è predisposto per avviare i due verso un tunnel buio senza via d’uscita. E come il caso li ha fatti conoscere, così sembra prendersi gioco delle loro vite e li separa senza lasciare loro il tempo di scambiarsi i nomi, precludendo ogni possibilità di rincontrarsi. Questo eccessivo nichilismo che traspare nelle persone sotto forma di trascuratezza, appesantisce l’atmosfera già dai toni piuttosto cupi, come le foglie morte trasportate dal vento. Il regista trova spazio per omaggiare il cinema di una volta facendo apparire spesso sullo sfondo locandine di vari film di successo che con buona approssimazione riconosciamo, seppur indicati nell’incomprensibile idioma finlandese. Un film di nicchia, quasi poetico, che tra silenzi e pochi dialoghi riesce comunque a trasmettere un filo di speranza con un linguaggio essenziale, tipico di alcuni paesi nordeuropei, fatto di malinconia e di vuoto esistenziale spesso affogato nell’alcol.
data di pubblicazione:28/12/2023
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