da Maria Letizia Panerai | Gen 24, 2024
Il regista, sceneggiatore e attore francese Guillaume Nicloux ci parla in questo film di maternità surrogata, e di come un padre in lutto per la perdita di un figlio riesca ad instaurare un legame con la madre della sua futura nipote.
Fabrice Luchini ci regala un’altra delle sue magnifiche interpretazioni vestendo i panni di Joseph, un restauratore di mobili antichi che vive a Bordeaux in una casa con annesso laboratorio. Un giorno riceve la notizia della morte del figlio Emanuel deceduto in un incidente aereo assieme al suo compagno Joaquin. Nonostante il forte dolore Joseph, contrariamente ai consuoceri che reagiscono intentando una causa contro la compagnia aerea, decide di elaborare il lutto cercando di mettersi disperatamente in contatto con la donna che si era offerta di fare da madre surrogata alla coppia. Frequentatore di aste per ovvi motivi di lavoro, assertore dell’importanza della “bellezza soprattutto nei primi momenti di vita”, l’uomo decide come prima cosa di acquistare una culla dove con molta probabilità hanno dormito i figli di Klimt da neonati. Dopo, scoperto nel pc di Emanuel il nome della donna, Joseph inizierà non solo il suo viaggio verso Gant dove parrebbe vivere la giovane madre, ma anche l’avvicinamento verso quell’ unico legame reale che gli rimane con suo figlio.
Il film è sicuramente una riflessione sul fenomeno della maternità surrogata che viene intelligentemente affrontato dietro il paravento dell’elaborazione di un lutto. Sostituire la vita di un figlio trentenne con la vita di una neonata sembra essere l’unica strada percorribile per Joseph per colmare quel terribile vuoto, appianando anche i dissapori e le liti che hanno segnato le loro vite. Tuttavia, nonostante l’interpretazione vincente di Luchini, il film non lascia una forte traccia di se’. Il tema dell’utero in affitto da parte di una coppia gay fa solo da sfondo alla spasmodica ricerca attuata da Joseph della madre surrogata, autorizzandoci a pensare che la pellicola sia stata pensata prevalentemente per far risplendere il suo interprete principale. E così un impianto originale iniziale diviene nel prosieguo una storia un po’ scontata ed anche a tratti noiosa, che vanifica il vincente esordio lasciando nello spettatore un senso di incompiutezza.
data di pubblicazione:24/01/2024
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da Rossano Giuppa | Gen 24, 2024
Tutti Tranne Te è una commedia romantica diretta da Will Gluck (Amici di letto, Peter Rabbit) con Sydney Sweeney e Glen Powell. I due protagonisti Bea e Ben sembrano fatti l’uno per l’altro, il loro incontro è una perfetta sintonia di attrazione ed alchimia, ma il risveglio e alcune casuali incomprensioni spengono immediatamente ogni possibile prosieguo. Quando si ritrovano inaspettatamente allo stesso matrimonio in Australia, decidono di simulare di essere una coppia, ognuno con uno scopo diverso.
Fingere davanti agli altri di avere una relazione nella segreta speranza che poi quella bugia possa trasformarsi in realtà. È questo il leit motiv attorno cui ruota trama e messaggio del film. Una coppia che sin dalla prima inquadratura si percepisce essere destinata all’unione duratura e che si sa già essere destinata a peripezie ed incomprensioni per tutta la durata del film.
Dopo un primo incontro che aveva tutta l’aria di essere perfetto, i due sembrano disprezzarsi apertamente e decidono di non rivedersi mai più. Ma il destino non la pensa allo stesso modo. Poco dopo Bea e Ben si incontrano nuovamente sul volo che li porta in Australia, invitati al matrimonio di amici in comune. Alla cerimonia sono presenti anche il padre e la madre di Bea e il suo ex fidanzato Jonathan (Darren Barnet), che spera di rimettersi con lei grazie alla complicità dei genitori. Nel frattempo Ben incontra una donna che prova a corteggiare senza successo, la bella Margaret (Charlee Fraser).
Ben e Bea decidono di sfidare l’ironia della sorte e trarre vantaggio dalla loro situazione fingendosi una coppia innamorata. La messa in scena li costringerà a sopportarsi senza risparmiare piccoli dispetti e colpi bassi. Fino alla dichiarazione d’amore finale dopo una faticosa rincorsa.
Tutti belli, simpatici, educati, buoni e open minded, in un matrimonio che ci porterà nella meravigliosa ed efficiente Sidney, tra torte giganti e gite in mega yacht e con un corpo di polizia sempre pronto ad intervenire. Il film è divertente e noioso al contempo, con il piccolo grande rimpianto di non aver trovato almeno uno squaletto che si aggiri tra le onde in grado di dare un po’ di verve a una storia assolutamente prevedibile.
data di pubblicazione:24/01/2024
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da Daniele Poto | Gen 24, 2024
drammaturgia di Simona Gonella, regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici, con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano, Catherina Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini
(Teatro Vascello -Roma, 19/27 gennaio 2024)
Tante mani (autori, dramaturg, regia) per un’opera pregna di temi. Tanti forse troppi. Generosamente spesa per eccesso in cento minuti la parabola di Galileo. Con una prima parte dentro il processo dell’Inquisizione e la sua dolorosa abiura. Una seconda proiettata nell’attualità che misura le sue scoperte con i temi attuali della scienza fino alle soglie dell’intelligenza artificiale.
Il saldo controllo dei due navigati protagonisti esalta anche le capacità attoriali dei più giovani comprimari. Dal seicento fino ai giorni nostri suscitando argomenti vasti di discussione. L’enorme spazialità della scena del Vascello tra fondali rigidi e austeri e piccoli campi da coltivare. La scienza e la quotidianità. Le ragioni della vita e le contraddizioni nel rapporto tra scienza e religione. Si discetta anche sulla bomba atomica, quella che doveva chiudere per sempre ogni ambizione bellica e invece ha aperto la strada alla deflagrazione nucleare. Un Galileo saggio, pacato, ago della bilancia tra le pulsioni degli altri con la Marigliano brava a scindersi con disinvoltura in ruoli diversissimi. Spettacolo intenso, a tratti subliminale. Con un linguaggio seicentesco adattato ai nostri tempi con rigore filologico. Una giovane donna al piano con abiti contemporanei è la cartina di tornasole del cammino degli ultimi quattro secoli con le sue storture. Citazioni per Copernico, Tolomeo, Giordano Bruno, Galileo non va al rogo, fa marcia indietro ma non deflette dalle sue scoperte, rivelatrici e anticipatrici di futuro. Intellettualità per un teatro che scava nella storia con rigore. Immenso e meritorio lavoro di preparazione per una lettura a più strati e con un residuo concettuale da metabolizzare senza fretta. Inutile dire che la sala di Monteverde è sempre generosamente piena e autentica nei prolungati applausi.
data di pubblicazione:24/01/2024
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da Daniele Poto | Gen 21, 2024
Tratto da alcune novelle di Luigi Pirandello, adattamento di Sergio Ammirata, con Vittorio Aparo, Francesca Biagi, Antonella Bruni, Luana Cannistraci, Francesca Di Meglio, Francesco Madonna, Annachiara Mantovani, Enrico Pozzi, Gianfranco Teodoro
TEATRO ANFITRIONE – Roma (27 dicembre 2023/28 gennaio 2024)
Come non ammirare l’indefessa attività di Sergio Ammirata che, non lontano dalla soglia dei novanta anni, con trascorsi illustri (un Amleto con Carmelo Bene, a esempio) continua a tener viva l’attività quarantennale dei un teatro di genere a San Saba, avamposto di una compagnia che ha fatto passi da giganti, dall’amatorialità al professionismo versatile.
Un Pirandello riveduto e corretto giocando sull’antica superstizione meridionale. Il pover’uomo che porta male ha una numerosa famiglia alle spalle che lo sorregge e lo invita a ritirare una pretestuosa querela mossa a caso nei confronti di due anonimi interlocutori. Perché l’interessato vuole un riconoscimento pubblico ufficiale alle propria attività, come se fosse una pratica sociale degna di un attestato. Su questa fissità paradossale pirandelliana il tema del malocchio viene sviluppato a ritmo di farsa. Ammirata compare in scena quasi alla fine del primo tempo debitamente sommerso di applausi. Il suo understanding funzionale è il valore aggiunto di un ensemble ben affiatato nonostante l’emergenza di dover sostituire in extremis l’attore che interpreta il cancelliere del tribunale. Pirandello non sarebbe dispiaciuto di questo piccolo ma assennato saccheggio che allude soprattutto a La patente. E questo spettacolo ha la tenuta di un mese, un fatto rarissimo nella programmazione dei teatri romani. Si parla in un siciliano di facile comprensibilità per una vicenda lineare che non ha un plot di particolare sviluppo e che si gioverebbe di una agile sforbiciata per una godibilità ancora più piena. Risuona la critica a una società pregna di luoghi comune e che etichetta i diversi a suon di pettegolezzi e pregiudizi attribuendo al protagonista addirittura la delittuosa chiusura di un teatro. Chi viene messo al bando può reagire in maniera inaspettata.
data di pubblicazione:21/01/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 19, 2024
(Teatro Argot Studio – Roma, 18-21 gennaio 2024)
Un furioso corpo a corpo con la quotidianità. Linguaggi di strada, un the best of quanto mai gradevole vissuto a pochi centimetri dalla protagonista nel teatro bomboniera di Trastevere.
Ne ha fatta di strada Danco dalle comparsate di Un Medico di famiglia di un quarto di secolo fa quando si palesava nel ruolo di aspirante fidanzata (respinta) di Giulio Scarpati. Si è inventata un teatro di performance tutto suo, un sentiero poco battuto che l’accomuna ai grandi solisti della scena nazionale (Rezza ad esempio). Nella quattro giorni di Trastevere interpreta lacerti di repertorio della vita che respira per Roma. Non rinunciando all’invettiva, al turpiloquio, nello scontro verbale tra due protagonisti (uomo/donna, mamma/figlia) praticando l’arte dell’affabulazione sovraeccitata in cui è maestra. Non un semplice e lineare reading perché c’è viva partecipazione fisica. Picchiando la testa al muro, rotolandosi nella scena nuda, fingendo di dimenticare la parte (un palese scherzo al pubblico). Si è conquistata con quest’altra tappa la fiducia rinnovata dei suoi estimatori. E non potrebbe avere altro palcoscenico quello di teatri cantina dato che si perde negli ampi spazi di luoghi tradizionali. C’è accorata disperazione nel suo monologo alla caccia di senso di una città inafferrabile e per certi versi spietata che concede a tratti rari barlumi di umanità. Danco brandisce la mano e il volto per ghermirli in un afflato di commossa empatia con il pubblico. Un teatro che non ha bisogno di scenografie e di fondali che ci fa pensare a Lenny Bruce. Non è Roma nord lo scenario di autentici deliri quanto la capitale delle periferie e dell’emarginazione, nell’anelito della soddisfazione di bisogni primari. Un’ora funzionale di testi amari, a tratti suscitanti risate. E fa spettacolo anche la congerie di fogli del copione lanciati al vuoto che rappresentano la base per un’improvvisazione a tratti stordente.
data di pubblicazione:19/01/2024
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da Antonio Iraci | Gen 17, 2024
Melanie e la figlia Zoe vivono immersi nella musica: lei, flautista, suona in una orchestra diretta dall’irascibile Gustafson, la figlia si esercita al flauto imitando la madre. Quando la donna si improvvisa a diventare compositrice, lavorando ad una partitura lasciata incompiuta da una sua maestra e mentore, presto si accorgerà che la musica è collegata a misteriose presenze occulte del male…
Erlingur Thoroddsen, sceneggiatore e regista islandese, ha trovato ispirazione per questo horror nella famosa fiaba del Pifferaio di Hamelin, storia tratta da una leggenda tedesca che a rileggerla bene nasconde tra le righe qualcosa di molto inquietante e certamente non adatta a ispirare sonni tranquilli. La musica è la vera protagonista di questo film, musica che entra ossessivamente nella testa di chi l’ascolta e che ha il potere di suscitare effetti devastanti, soprattutto se trattasi di inconsapevoli bambini. La sceneggiatura, curata dallo stesso regista, è ben congegnata e riesce a costruire una storia tutto sommato di facile fruizione e di discreto interesse. Siamo oramai abituati a rappresentazioni macabre, aiutate dagli effetti speciali di grande impatto visivo, ma in The Piper, il pifferaio appunto vendicativo per essere stato ingannato da persone che non hanno rispettato gli impegni promessi, assume fattezze diaboliche impressionanti. Cast di tutto rispetto che vede tra i principali protagonisti l’attore inglese, recentemente scomparso, Julian Sands, nei panni dello scorbutico direttore d’orchestra, diventato famoso nel 1985 per la sua partecipazione in Camera con vista di James Ivory. Accanto a lui, nel ruolo di Melanie, Charlotte Hope attrice di rilievo in Games of Thrones, che interpreta il suo ruolo in maniera convincente. Un film quindi per gli amanti dell’horror, che lascia spazio a momenti di tensione senza eccedere nelle scene di maggior suspence, ma dosando perfettamente le scene di brivido. Atmosfere cupe, immancabili tempeste di piogge, presenze di esseri che fuggono nell’ombra, tutti elementi sempre presenti nei film di questo genere ma che comunque rendono la storia interessante senza turbare troppo la serenità degli spettatori.
data di pubblicazione:17/01/2024
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da Antonio Iraci | Gen 17, 2024
Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Franco Basaglia. Le nuove generazioni probabilmente non sanno che è stato uno psichiatra, grande riformatore nel campo della salute mentale e ispiratore della legge, che porta il suo nome, che rivoluzionò l’ordinamento e la disciplina degli ospedali psichiatrici in Italia. Il racconto vero di sei giovani pazienti, ricoverati in strutture specializzate per la cura di alcune forme di disabilità psichica.
Francesco Munzi è un regista e sceneggiatore italiano che ha già ricevuto importanti riconoscimenti per il suo impegno sociale e per la serietà dei suoi lavori. Kripton non vuole essere solo un documentario, su una realtà vissuta da alcuni pazienti in cura presso una struttura di salute mentale romana, va oltre. Il regista è riuscito a entrare in perfetta empatia con loro, vivendo tra di loro per cogliere la vera essenza delle loro storie, raccontate dagli stessi protagonisti e dai terapeuti, uniti insieme nel tentativo di dare un senso concreto al loro impegno. Ecco quindi che i racconti si intrecciano con immagini sfuocate di repertorio, funzionali a far meglio comprendere la confusione che si agita nelle loro menti e che li rende isolati ed estranei dal mondo che li circonda. Munzi come prima cosa, si è conquistato la stima dei pazienti, veri attori della scena, i quali spontaneamente hanno deciso di esternare i propri turbamenti e le proprie sofferenze davanti a una cinepresa che di fatto poi è sparita dalla loro vista. Sono stati quindi liberi di parlare e di raccontare senza la minima soggezione di fronte ad un occhio che li avrebbe potuti osservati in maniera critica, togliendo dal campo qualsiasi forma di spontaneità. Un rapporto quindi di estrema fiducia che ha interessato non solo i ricoverati ma anche le loro famiglie e gli stessi operatori sanitari, ciascuno per la propria parte. Lo spettatore stesso è invitato ad entrare in empatia con i singoli individui e con le loro storie, tutte degne di essere ascoltate perché nascono dall’esigenza individuale di una maggiore attenzione, invocata quasi per venir fuori da un isolamento non solo fisico ma soprattutto mentale. Si percepisce un disagio a comprendere e a accettare un mondo, quello di oggi, dove si fa fatica a inserirsi perché proiettato verso l’esteriorità, e poco, molto poco, verso i veri valori che dovrebbero essere l’essenza primaria alla base della nostra stessa esistenza. Un lavoro ben riuscito, una tematica sicuramente da affrontare con più impegno da parte di chi ci governa, seguendo gli insegnamenti che Franco Basaglia ci ha provvidenzialmente tramandato, oggi più che mai di attualità.
data di pubblicazione:17/01/2024
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da Daniele Poto | Gen 17, 2024
di Federico Fellini, Tonino Guerra e Tullio Pinelli, adattamento e regia di Monica Guerritore, con Monica Guerritore e Massimiliano Vado
(Teatro Quirino – Roma, 16/21 gennaio 2024)
Trentasette anni dopo il cinema rivisitato a teatro passando per la televisione. Ma la tensione ormai è decotta. Berlusconi non c’è più e anche Mediaset, eliminato il trash, non si sente troppo bene.
I nomi tutelari di Fellini, Guerra e Pinelli campeggiano nella locandina ma appaiono infinitamente lontani da un progetto attuale di contestazione degli stilemi più efferati della televisione commerciale. Tanta brutta televisione non è passata invano e la sua critica è stata metabolizzata e ora appare scontata. Monica Guerritore, regista in affidamento di una complessa macchina scenica, non osa abbastanza per riscattare il lirismo del rapporto intimo e personale, un po’ nostalgico tra Ginger e Fred e deve fare i conti con una sinergia teatrale (e i suoi tempi) tutta da recuperare dopo che il partner è venuto meno per un incidente e il sostituto ha dovuto rodarsi in una settimana di full immersion. Dunque la continuità dello spettacolo appare e scompare, a volte si inabissa e la corrosività sulla televisione è evaporata, complice la scelta a monte del tema. E quasi spereresti che Guerritore si stacchi dal copione e si produca in qualche pezzo solista, manierato ma efficace. Si chiede la partecipazione del pubblico come per un programma in diretta. I sosia ce la mettono tutta in uno spettacolo costoso ricco di musiche e di coreografie oltre che di una scenografica complessa e interessante. Ma tra un Malgioglio e un classico della Rogers/Astaire non si respira l’aura felliniana se non per vaga approssimazione. Le atmosfere della prima sicuramente possono respirare di maggior calore nel prosieguo. Curiosità: Ginger Rogers aveva cercato di far causa a Felini per l’indebito sfruttamento del suo carisma.
data di pubblicazione:17/01/2024
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da Daniele Poto | Gen 17, 2024
Il ritrovo concentrazionario degli anziani in una casa di riposo e di cura non è ovviamente un inedito assoluto. Risi cerca su un progetto di lunga data di innestare il ricordo vivo e personale del lento spegnersi del padre Dino, un nome che qui si rimaterializza. Congrega di attori navigati e over 75 a contrasto generazionale con i due scapestrati giovani condannati ai servizi sociali. Un contrasto che è anche attoriale. Dalle iniziali incomprensioni si arriverà a un punto di svolta felice ma pure plumbeo.
È un mondo senza età, fatto di amnesie, tic piccole e grandi manie, quello degli anziani, qui rigorosamente chiamati ospiti, a cui portano la scossa i due giovani coattivamente costretti a rendersi utili dopo essere stati colpevoli protagonisti di un grave incidente stradale. Scontri iniziale e poi progressiva coesione. Il film risente di una programmaticità troppo estenuata e libera la leggerezza della sceneggiatura in almeno due scene che deviano dal tema previsto. Cinque anni di incubazione probabilmente non hanno giovato alla freschezza dell’impianto. Sulle note di Riderà di Little Tony si libera un ballo contaminante giovani/vecchi che trascina anche lo spettatore. Poi sulla neve gli anziani risvegliano pulsioni infantili. Risi fa deflagrare la contraddizione tra il mondo chiuso di esistenze destinati a spegnersi con l’ondata del Covid e il mainstream dei ragazzi, adusi alla cocaina e a un mondo di assoluta diversità. Merito del regista aver riunito una congrega importante di attori sottoutilizzati dal cinema che qui ritrovano verve nel progetto collettivo. Dal relativamente più giovane Maurizio Micheli a una quasi irriconoscibile Erica Blanc. Scherzano anche su se stessi gli over tra realtà e cinema. Per i più curiosi il punto di rugiada è l’intersezione meteorologica tra il freddo e il caldo: metaforicamente quello tra vecchi e giovani.
data di pubblicazione:17/01/2024
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da Daniele Poto | Gen 16, 2024
tratto dall’omonimo romanzo di Lidia Ravera, regia ed adattamento di Emanuela Giordano, con Enzo Decaro, Emanuela Giordano, Maria Chiara Augenti, Francesco Brandi
(Teatro Il Parioli – Roma, serata unica 15 gennaio 2024)
Sala piena per la prima puntata della rassegna Lingua Madre, la drammaturgia italiana a confronto tra commedia e dramma. Con un eloquente sottotitolo: il teatro italiano non fa schifo. Sagace riduzione di un ben più vasto e ambizioso romanzo. Reading per quattro voci con bacio finale a suggellare l’happy end. Un’ora di teatro avvincente con tante note comiche e quattro interpreti di diversa popolarità ma tutti molto bravi.
Terza età in agguato per una coppia di separati di fatto che decidono di vedersi un giorno alla settimana per non recidere definitivamente i cordoni ombelicali. C’è un’altra lei (Evelyn) nella vita di lui ma non così determinante da intersecarsi pericolosamente nei rapporti tra coniugi navigati e che conoscono benissimo pregi e limiti dell’altro. Si profila un’eredità inaspettata come buen retiro affettivo e spirituale. Impresa della moglie con marito solidale e due coprotagonisti giovani ad assorbire e/o acuire le tensioni e il tutto. Il terzo tempo è quello del rugby ma anche quello di due esistenze capaci ritrovarsi in un progetto comune. Si ride a tratti amaramente con i dialoghi di una coppia collaudata capace di riannodare i fili perduti, mandando un messaggio di speranze ai presenti omogenei generazionalmente. Il reading in genere è un teatro limitato e limitante senza scenografia ma qui il lavoro collettivo funziona e ha il sapore della verità. La Ravera in platea ammicca e l’intento di chi ha cuore la scena è di trovare una produzione che possa trasformare questa prova generale in uno spettacolo vero, ricco e assortito. Appaiono robuste basi per la trasformazione. Un plauso a Piero Maccarinelli che ha il coraggio di osare. Attori non ricompensati se non dagli scroscianti applausi. Si replicherà ogni quindici giorni creando uno zoccolo duro di appassionati fedeli.
data di pubblicazione:16/01/2024
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