da Daniele Poto | Feb 23, 2024
con Sergio Zecca, Francesca Baragli, Alessio Chiodini, Michele Enrico Montesano, Ilaria Nestovito, Maria Teresa Psscale, Tiko Rossi Vairo
(Teatro Sette – Roma, 30 gennaio/25 febbraio)
Riproposizione di un evergreen di Gianni Clementi con il focus su un episodio ancora ben vivo nella memoria collettiva. Il bombardamento su San Lorenzo è il flash sulla Roma che sta per uscire dalla guerra ma che vive, di stenti, di promiscuità, di una solidarietà che forse non sarà mai più ritrovata.
Un piccolo miracolo in un epicentro di Roma che compendia tre teatri. 25 giorni di tutto esaurito per il perfetto commovente ensemble di sette attori che documentano i nefasti della guerra, un tragico ammonimento sempre valido. Combatte la fame e la miseria la famiglia di un muratore che si trova ad accollarsi un nonno anziano, una zia zitella, un figlio sfaticato e l’aggregato supplementare di un fidanzato che ripete come un ossessione il refrain “e compagni cantando” Dinamiche familiari problematiche, acuite dall’improvvisa fuga del nonno che al cimitero del Verano va a cercare un dialogo impossibile con la consorte defunta. E si perde, vaga nella città per 40 ore. Quando si ripresenta sembra la liberazione da tutti i crucci. Ma in realtà è il prologo a un altro ritrovamento. Di un bambino ebreo in fasce consegnato quasi al volo da una famiglia deportata dai tedeschi al Portico d’Ottavia. Il grande cuore di Roma accoglie la new entry a cui si sforza di dare un nome. E quando l’ha trovato, come omaggio al nonno, l’anziano familiare si spegne. Dunque un messaggio simbolico di trasmissione generazionale e di accoglienza inclusiva. Ma in mezzo le battute comiche funzionano perché il dialetto romanesco è funzionale alla trama e anche il turpiloquio, come dire, è usato efficacemente a fin di bene senza intenti di facile presa. Testo che non tramonta di un autore prolifico che non ha smesso di stupirci e che è contemporaneamente presente su altre piazze teatrali.
data di pubblicazione:23/02/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 23, 2024
liberamente tratto dalle opere di Fritz Grunbaum, voce, corno e chitarra di Livia Cangialosi, musiche originali del maestro Pino Cangialosi, elementi di scena di Damiano Quaranta, luci di Giacomo Corsi, organizzazione Enrico Porcaro
(Auditorium Goethe Institut – Roma, serata unica e speciale 22 febbraio 2024, poi in tournèe)
Interessante recupero di un repertorio poco noto da parte di cultori della materia giusta e nella sede più azzeccata, in casa dell’Istituto di cultura tedesca intitolato a Goethe.
Grunbaum, attraverso lo strumento del doppio, sdogana l’umorismo ebraico in uno spettacolo di recupero non residuale, davvero raro per la scena italiana per una proposta che non può prescindere dalla musica. Una satira caustica nello stile di Karl Kraus per enunciare dettati di eminenti pensatori come Sigmund Freud o Albert Einstein, tra i più celebri dottrinari del Novecento. La scena restituisce un’aura di un universo che comprende il teatro della Repubblica di Weimar, il Bertolt Brecht che verrà, la fascinazione di Kurt Weill e del cabaret tedesco, esportato dalla voce di Ute Lemper. Risate liberatorie e quasi profetiche rispetto al mondo crudele che si sta per manifestare. Il titolo allude esplicitamente all’alter ego. La barbarie è in agguato ma non ancora pienamente manifestata. Eppure la vivacità artistica di questo milieu è indubitabile e ci fa rivisitare un secolo e un mood che più non ci appartiene, resuscitato dalla memoria e con stile non museale. Il distacco e la presa di distanza dall’io consente un’analisi feroce e spassionata sui mali del mondo. La Società per Attori produttrice completerà con un ulteriore spettacolo la panoramica sul periodo. Questo tipo di scena ci fa capire anche l’evoluzione del genere del cabaret, oggi in Italia superato dalla Stand Up Comedy. La visione non è nostalgia non è solo didattica ma esercizio di storia e di perfetto abbinamento con l’accompagnamento musicale che a volte prende il sopravvento.
data di pubblicazione:23/02/2024
Il nostro voto:
da Salvatore Cusimano | Feb 21, 2024
La serie, ambientata durante le interminabili notti invernali dell’Alaska, è incentrata su due poliziotte, Liz Danvers e Evangeline Navarro interpretate da Jodie Foster e dalla ex pugile Kali Reis, che indagano su un caso irrisolto: il ritrovamento di un’equipe di scienziati, congelati nel ghiaccio. La storia si svolge in una stazione di ricerca artica dove ci sono corpi contorti e si percepiscono grida e presenze oscure.
A guardar bene, c’è un filo logico con le serie precedenti, con vari tragedie multifamiliari, così come l’elemento mistico mai davvero approfondito; per non parlare della cultura del popolo indigeno, con le sue tradizioni e storie. A ciò si aggiunge il tema della generazione ribelle ambientalista, rappresentato da Leah, figliastra di Liz Danvers. Anche il forte senso di identità del popolo locale, l’imperialismo, la causa femminista, la corruzione, i grandi centri di ricerca farmaceutica e le loro allarmanti trame fanno parte di questa sceneggiatura, in cui la produttrice/autrice López ha voluto unire i tratti di un’intera epoca – quella contemporanea – una sorta di ‘pot pourri’ che per alcuni potrebbe rilevarsi stancante.
La cosa più importante di True Detective è il luogo in cui è ambientato, che trasmette brividi in ogni scena; a seguire sicuramente c’è la chimica che si crea tra i due detective principali e il modo in cui si confrontano l’uno con l’altra. In effetti si percepisce un ritorno agli sviluppi della prima serie, in cui i due detective erano totalmente complementari e l’alchimia fra loro si respirava in ogni episodio. Ma restiamo comunque lontani dal senso di stupore avuto dopo la visione della prima serie di ormai 10 anni fa, dove l’originalità e la bravura di Matthew McConaughey e Woody Harrelson lasciarono il pubblico senza fiato.
Il pregio resta comunque, anche in questa quarta serie, nel tenere attaccato lo spettatore sino all’ultimo episodio, dove tutti i nodi verranno al pettine.
data di pubblicazione:21/02/2024
da Rossano Giuppa | Feb 19, 2024
(Teatro Argentina – Roma, 9 febbraio/3 marzo, 2024)
Massimo Popolizio porta in scena al Teatro Argentina di Roma, dal 9 febbraio al 3 marzo, L’Albergo dei poveri, dramma corale con sedici attori sul palco, tratto da un testo di Maksim Gor’kij del 1902 con riduzione teatrale a cura di Emanuele Trevi, già presentato da Strehler al Piccolo di Milano nel 1947. Un dormitorio che è un girone dantesco in cui convivono tra disperazione e povertà un nobile decaduto, un ladro, un attore, un principe, una giovane in fin di vita, una ragazza incantata dall’unico libro che possiede, una prostituta e l’avida moglie del padrone (foto di Claudia Pajewski).
L’albergo dei poveri è una chiara denuncia sociale sul triste destino di una fetta dell’umanità, emarginati ed alcolizzati che condividono uno spazio rifugio tentando di non soccombere alla disperazione e all’indolenza. Alcuni tentano disperatamente di uscirne, altri si arrendono; le relazioni fra di loro sono difficili, scoppiano costantemente dispute e litigi. Una coralità amara fatta anche di comicità e riflessioni. Ogni personaggio ha una storia intensa e drammatica sulle spalle e la vodka, vero filo conduttore del dramma, permette a tutti di uscire dagli schemi, in chiave certamente più esasperata ma anche più vera.
Un testo di grande impatto visionario che analizza in profondità l’animo umano, offrendo al contempo una riflessione attuale su difficoltà ed ingiustizie decisamente presenti nella nostra società.
Straordinari e intensi sono tutti gli attori grazie al complesso lavoro del regista Massimo Popolizio (presente in scena anche i panni di un pellegrino) che permette di seguire le evoluzioni delle situazioni e la narrazione dai diversi punti di vista dei personaggi. Un palcoscenico vivo e pulsante grazie anche all’imponente scenografia di Marco Rossi ed ai costumi di Gianluca Sbicca che raccontano lo spettro di esperienze umane, dagli homeless, agli abiti di preghiera musulmani, alle divise di chi comanda. Uno spettacolo complesso e completo accolto con entusiasmo e partecipazione.
data di pubblicazione:19/02/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 16, 2024
tratto dal film Intouchables di Eric Toledano e Olivier Nakache, con Massimo Ghini, Paolo Ruffini, Claudia Campolongo, Leonardo Ghini, Gianmarco Trulli, Giulia Sessich, Diego Sebastiani, Sebastian Misasi, scene di Roberto Crea, costumi di Stefano Giovani, disegno e luci di Pietro Sperduti, musiche di Roberto Binetti. Produzione Enti Teatro
(Teatro Il Parioli -Roma, 15/18 febbraio 2024)
In arte nulla si crea e nulla si distrugge. Così da una storia vera portata al cinema in Francia rielaborata in Italia nasce un terzo filone, questa volta teatrale. Nonostante il difetto d’inventiva il risultato è scoppiettante lungo due ore e trenta ricche di sorprese.
Si potrebbe pensare a uno spettacolo inverato sulle risorse della strana coppia Ghini-Ruffini ma se il secondo è un’autentica rivelazione fuori dai panni abituali è l’investimento di scena che stupisce, quasi strabilia. Perché la piece esce dai limiti del duetto e si affida a una storia corale dove entrano disabilità, emarginazione, amore, sesso, divagazioni esistenziali tanto che a un certo punto quasi ci si perde in una parentesi aperta e allungata indefinitamente prima di essere chiusa. Operazione riuscita nel viraggio all’italiana, anzi al 50% in Toscana, terra di umorismo fecondo (Benigni, Hendel, Monni), vista l’inflessione marcata di Ruffini Alla fine il riassunto di tutti questi variegati incroci è una summa sull’amicizia. Un’attrazione che supera classi sociali e cultura diverse, milieu all’opposto ma che si incontrano sul piano delle emozioni e delle necessità. Una ventata di ottimismo in tempi difficili. Prima di chiamarsi Teatro Costanzo il Parioli aggiunge un’altra piccola gemma al proprio curriculum per una proposta che meriterebbe indubbiamente più giorni di programmazione sulla piazza di Roma. Bravi anche i comprimari e in particolari i personaggi femminili che aggiungono calore e colore. Anche bambini in platea, difatti è un gradevole spettacolo per tutti. Difficile il confronto cinema/teatro ma questo adattamento all’italiana si confronta senza complessi con l’originale transalpino.
data di pubblicazione:16/02/2024
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Feb 15, 2024
(Teatro India – Roma,13/18 febbraio 2024)
Con lo spettacolo Fratellina torna al Teatro India di Roma, dal 13 al 18 febbraio, la compagnia RF, nata dall’incontro di Spiro Scimone e Francesco Sframeli e dalla passione di entrambi per il teatro del surreale. Fratellina racconta un presente distopico in cui i valori si stanno progressivamente dissolvendo, una realtà dove regnano il senso di abbandono e la sofferenza celati da un’apparente atmosfera di gentilezza e leggerezza (foto di Gianni Fiorito).
Nella scena composta da due grandi letti a castello, Nic e Nac, una mattina al risveglio, sperano di vivere una nuova realtà diversa, dove tutte le cose dimenticate si possono nuovamente ritrovare. Il desiderio di Nic e Nac di scoprire un’altra realtà si concretizza con l’apparizione di Fratellino e Sorellina, due personaggi che, con i loro dialoghi, mescolano allegria e contraddizione, denuncia e immobilità. La sofferenza, lo stato d’ansia e il sentimento di delusione dei quattro protagonisti sono celati da apparenti sorrisi benevoli e composte riflessioni. Centro dei loro pensieri diviene la figura immaginaria del cognato di Fratellino, nonchè marito della di lui Sorellina: un personaggio troppo generoso, ora imprigionato dentro a un armadio, che deve essere salvato, previo recupero dell’armadio stesso. Nel momento in cui però questo armadio viene ritrovato, nessuno ha il coraggio di aprilo e fare il primo passo per liberare l’uomo.
Lo spettacolo è un’istantanea del presente scattata con i filtri, a tratti estrema e a tratti nauseante, dalla quale i due protagonisti cercano di fuggire, alla ricerca di una nuova dimensione dove semplicemente poter essere sé stessi o anche migliori. La denuncia risulta ancora più efficace grazie all’atmosfera lieve e briosa che si respira, dovuta alla musicalità dei dialoghi, al ritmo ed alla melodia delle parole, alle pause. In questo loro mondo irreale, un Truman Show capovolto, il dolore e l’orrore sono sostituiti dalla pacatezza e dalla speranza, nel tentativo di superare la solitudine e scacciare le illusioni.
data di pubblicazione:15/02/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 14, 2024
con Manuela Kustermann, le voci di Hemingway, Soutine, Man Ray, Fujita sono rispettivamente di Roberto Alinghieri, Fabrizio Matteini, Nourredine, Davide Gallerello, luci di Liliana Ladeluca, suono e editing di Claudio Maccagno, proiezioni video di Gianluca De Pasquale, elementi scenici a cura di Cri Eco, costumi di Francesca Parodi, installazione “Libellus” di Marzia Migliora e Ilenia Corti. Produzione Schegge di Mediterraneo, Featival dell’Eccellenza al femminile
(Teatro Vascello – Roma, 13/18 febbraio 2024)
Si fa presto a dire reading. No, leggete la complessa macchina scenica allestita tra video, fotografie e raffinatissima musica d’epoca per restituire il puzzle-mosaico del mood di Kiki di Montparnasse, regina della Parigi di notte. Animatrice, scrittrice, modella, campionessa mondiale di cuori infranti.
Una donna che riassume un mondo. Tra libertinismo, dadaismo e futurismo. Attraversando la storia del tempo con gli incontri: Soutine, Fujita, Man Ray (un fidanzamento durato sei anni), Kisling, Calder, Cocteau. Kiki, all’anagrafe Alice Prin, nulla si negava. Scandalizzando i genitori che fanno irruzione nello studio di un pittore e la colgono nuda già a 14 anni. Stupendo i borghesi, vestendo senza mutande, in un tourbillon di amori folli, di droga (cocaina) prima del rapido invecchiamento e della triste fine. Manuela Kustermann ripercorre cronologicamente in cento minuti questa parabola arrestandosi nel punto più glorioso, evitando di documentare il declino. Fascinosa e charmante la tycoon del Vascello, si districa con agilità nel racconto assistito da un puntualissimo corredo iconico. Lo sforzo produttivo è imponente e all’altezza della sua recitazione che con abilità bypassa il gap anagrafico rispetto all’età raccontata del personaggio. L’atmosfera del tempo è restituita senza imbarazzi in un crescendo di libertà ma insieme di dissipazione. Questa volta nella prima s’innalza anche l’età media degli spettatori. E il teatro evita che la storia inghiotta chi ha firmato lo spirito del tempo in una capitale europea che nella prima parte del passato secolo era il cuore pulsante della cultura e dell’arte.
data di pubblicazione:14/02/2024
Il nostro voto:
da Salvatore Cusimano | Feb 13, 2024
Il regista teatrale Federico Landi Porrini (Sergio Castellitto) è alla ricerca dei suoi Romeo e Giulietta per l’opera in cui cerca un suo ultimo rilancio, ma che di fatto concluderà la sua carriera. Tra i mille provini effettuati, ci sono quelli di Vittoria (Pilar Fogliati) che viene però esclusa a causa di un errore commesso nel passato, e del suo fidanzato (Domenico Diele), che viene poi scelto per interpretare il ruolo di Mercuzio.
Il casting continua per le lunghe fin quando Vittoria non fa una scelta apparentemente vendicativa, ma molto rischiosa. Questo il pretesto per una commedia romantica, la cui sceneggiatura, scritta sia da Veronesi che da Pilar Fogliati, vuole lanciare un messaggio alla generazione dei trentenni. Si segue in ciò l’esempio di Romantiche, precedente opera scritta insieme. Si gioca tutto sul concetto d’identità, sulle maschere da indossare e sul perché sia necessario o meno indossarne alcune e svestirne altre per poter vivere. Il tutto con un cast ben assortito, con Castellitto che si toglie tanti sassolini dalle scarpe, facendo il verso ai tanti registi incontrati nella sua vita e da una (come sempre) splendida Geppy Cucciari, in un cameo che sembra fatto apposta per lei e per la sua verve comica.
Il gioco viene comunque retto da una polivalente Pilar Fogliati, sempre a suo agio in ruoli trasformisti, che nel ruolo/maschera di Romeo, alias Otto Novembre, tiene un saggio sul concetto di identità; tutte le scelte fatte dai vari personaggi sono scelte che li portano a mettersi in discussione e (ri)scoprire se stessi. Altri camei importanti, oltre che deliziosi, sono quelli di Margherita Buy e Alessandro Haber, con piccoli ruoli che aumentano valore senza togliere aria ai protagonisti. Il risultato sono un paio d’ore gradevoli al cinema, con un occhio alla commedia e l’altro al romanticismo, mischiate in un giusto mix, senza però scomodare i veri riferimenti del genere, come Tootsie.o Victor Victoria di Blake Edwards.
data di pubblicazione:13/02/2024
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da Antonio Iraci | Feb 13, 2024
(Berlino, 15/25 Febbraio 2024)
Presentata in conferenza stampa la lista completa dei film in selezione ufficiale. Con l’edizione di quest’anno si conclude l’esperienza di co-direzione artistica di Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek. In questi anni hanno cercato di delineare una vera e propria missione affidata al cinema che è quella di raccontare qualcosa che è stato e di fantasticare su qualcosa che sarà.. La Berlinale viene così metaforicamente definita come un albero che affonda le radici nel passato e proietta i suoi rami nel futuro. In questo senso il cinema ci regala una serie di immagini che restano impresse nella nostra memoria, esattamente come alberi che resistono alla tempesta, chiari segni che certificano qualcosa di prima e ci permettono di immaginare il dopo. Ben 54 sono i lungometraggi presentati nella selezione ufficiale (Concorso, Encounters, Berlinale Gala, Berlinale Special) oltre i 31 ospitati nella Sezione Panorama e altri 50 sparsi tra Forum e Forum Expanded, infine i 15 selezionati in Generation oltre alla retrospettiva.
Ecco di seguito la lista completa dei 20 film in concorso per aggiudicarsi l’Orso d’Oro e gli altri prestigiosi Orsi d’Argento:
Small Things Like These di Tim Mielants (Irlanda-Belgio) – film d’apertura
Sterben di Matthias Glasner (Germania)
Des Teufels Bad di Veronika Franz-Severin Fiala (Germania)
Vogter di Gustav Moller (Danimarca-Svezia)
Yeohaengjaui pilyo di Hong Sangsoo (Sud Corea)
Another End di Piero Messina (Italia)
Architecton di Victor Kossakovsky (Germania-Francia)
Black Tea di Abderrahmane Sissako (Francia-Mauritania-Lussemburgo)
La Cocina di Alonso Ruizpalacios (Messico-USA)
Dahomey di Mati Diop (Francia-Senegal-Benin)
A Different Man di Aaron Schimberg (USA)
L’Empire di Bruno Dumont (Germania-Francia-Italia-Belgio)
Gloria! di Margherita Vicario (Italia-Svizzera)
Hors du temps di Oliver Assayas (Francia)
In Liebe, Eure Hilde di Andreas Dresen (Germania)
Keyke mahboobe man di Maghaddam-Sanaeeha (Iran-Francia-Svezia-Germania)
Langue étrangère di Claire Burger(Francia-Germania-Belgio)
Mé el Ain di Meryam Joobeur (Tunisia-Francia-Canada-Norvegia)
Pepe di Nelson Carlos De Los Santos (Rep. Dominicana-Namibia-Germania)
Shambhala di Min Bahadur Bham (Nepal-Francia-Norvegia-China)
Tra i film italiani distribuiti tra le varie Sezioni abbiamo: Another End di Piero Messina, al suo secondo film, che tratta il tema del dolore nel distacco dalle persone che amiamo. Gloria! opera prima dell’attrice e cantautrice romana Margherita Vicario, dove viene trasmessa la sua passione per la musica. Dostoevskij, una serie tv dei fratelli D’Innocenzo, storia di un killer seriale ossessionato dallo scrittore russo. Supersex, altra serie di Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni, dedicata alla vita del noto porno star Rocco Siffredi. Il Cassetto Segreto in Forum, film documentario di Costanza Quatriglio dedicato alla memoria del padre giornalista. Quell’estate con Irène, nella Sezione Generation Plus, opera seconda di Carlo Sironi che parla della fuga di due ragazze dall’ospedale, dove sono in cura, per poter vivere la loro prima vera estate. Giovani autori italiani che coraggiosamente vanno a delineare nuovi generi e nuove forme di racconto con immagini.
La giuria internazionale quest’anno sarà presieduta dall’attrice messicana, con cittadinanza keniota, Lupita Nyong’o, oramai di fama internazionale nonché premio Oscar nel 2014 come migliore attrice non protagonista per aver recitato nel film 12 anni schiavo. Accanto a lei l’attore e regista statunitense Brady Corbet, la regista cinese di Hong Kong Ann Hui, il regista e sceneggiatore tedesco Christian Petzold, il regista, sceneggiatore e produttore spagnolo Albert Serra, l’attrice e regista italiana Jasmine Trinca e la scrittrice e poetessa ucraina Oksana Zabuzhko.
La Berlinale renderà omaggio al regista Martin Scorsese con l’Orso d’Oro alla carriera e durante la kermesse cinematografica verranno riproposti diversi suoi lungometraggi, incluso il suo ultimo film Killers of the Flower Moon.
data di pubblicazione:13/02/2024
da Maria Letizia Panerai | Feb 13, 2024
Presentato in Concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Finalmente l’alba di Saverio Costanzo parte da un fatto di cronaca avvenuto nel 1953 per raccontare il cinema di quegli anni. All’epoca la spettacolarizzazione mediatica di un delitto spostò l’attenzione più sugli ambienti in cui si consumò che sulla vittima. Il regista descrive minuziosamente quella Roma bene che si affacciava nell’immediato dopoguerra alla dolce vita e la difficoltà secolare delle donne per affermarsi in certi ambiti lavorativi.
È affascinante come il regista riesce a gestire, in maniera assolutamente assolutoria per la vittima e a così tanti anni di distanza, la vicenda dell’omicidio di Wilma Montesi avvenuto nel 1953. Il cadavere della giovane venne ritrovato sul litorale romano e la foto che la ritraeva riversa sulla spiaggia a gambe divaricate con le calze scese, fu pubblicata da tutti i giornali come immagine che accompagnava la descrizione delle sue aspirazioni di attrice. La morbosità mediatica fece così il suo giro. “La stampa speculò sulla vicenda, che coinvolgerà personalità della politica e dello spettacolo, e nel pubblico nacque un’ossessione che presto diventò indifferenza. La vittima scomparve dalle cronache per fare posto alla passerella dei suoi carnefici”. Il reato cadde poi in prescrizione senza colpevoli.
Costanzo riabilita la vittima inventando una storia parallela, ambientata nello stesso anno, avvalendosi di una giovane attrice (Rebecca Antonaci) al suo primo ruolo da protagonista che rappresenta l’immagine di una ragazza ingenua degli anni ’50. Nata in una famiglia umile e promessa sposa ad un poliziotto napoletano, in una lunga notte Mimosa ripercorre le ultime ore di Wilma Montesi in una sorta di ricostruzione comparata. Dopo essere stata selezionata per un provino a Cinecittà come comparsa in un film ambientato nell’antico Egitto, Mimosa alla fine delle riprese verrà invitata dall’attrice protagonista ad unirsi a loro per andare a cena. Ma la serata si trasformerà in qualcosa di molto diverso. Sarà infinita la notte per Mimosa in compagnia degli attori americani del film, di produttori, politici e faccendieri di ogni tipo. E Rufus Priori (un bravissimo W. Defoe che recita in italiano) traghetterà la ragazza in questa sorta di percorso di vita necessario per passare dall’ingenuità all’età adulta.
Un progetto ambizioso quello di Costanzo che tuttavia non regge per tutta la durata del film, con una seconda parte un po’ troppo lunga ed una scena finale che lascia perplessi. Tuttavia il film, a partire dal titolo ironico e salvifico al tempo stesso, riesce a puntare il dito sui veri carnefici e a ridonare alla vittima la giusta centralità.
data di pubblicazione:13/02/2024
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