da Daniele Poto | Mar 1, 2024
drammaturgia di Antonella Ottavi, con Chiara Bonome, Bruno Maccallini e Pino Cangialosi, musiche originali ed elaborazioni suonate dal vivo da Pino Cangialosi, regia di Bruno Maccallini
(Auditorium, Goethe Institut – Roma, serata unica 29 febbraio 2024, poi in tournèe per l’Italia)
Rigorosa ricostruzione di uno dei periodi più emblematici della storia del passato secolo. Salto all’indietro di cento anni per captare umori e prodromi di quello che sarà il nazismo. Musica come complemento essenziale, grande fisicità della Bonome e fiuto e competenza di Maccallini
Goethe Institut come collocazione ideale per documentare la breve parabola di una parentesi del secolo ancora soggetta ad analisi. Spessore culturale avanzato a Weimar prima della repressione e della caduta nell’infausta stagione hitleriana. Conosciamo Bertolt Brecht, Kurt Weill, Marlene Dietrich ma qui si affacciano le sagome di giornalisti, polemisti, autori ingoiati poi dalla repressione se non condannati a morte in qualche lager discriminatorio. Attraverso la vita di un caffè si snoda lo spirito del tempo. Con i nuotatori, punte di una cultura avanzata e celebrata e, in un altro angolo della sala, i non nuotatori che aspirano ad entrare nell’atra categoria e magari non avranno il tempo di riuscirci. Il finto orgasmo nella danza erotica della Bonome è evidentemente uno dei momenti più divertenti sulla scena mala tensione teatrale è alta, sempre. La Diva o le Dive sono personaggi spregiudicati che riflettono lo spirito del tempo come punte avanzate, rivendicazione di una figura femminile al passo con la modernità. I video sullo sfondo di macerie dei bombardamenti riflettono il dopo che sarà ovvero il disastro di un’ideologia mortifera. Eppure la nuova donna di un secolo che non sarà breve era nata a Weimar, invano soffocata dal totalitarismo. L’originale approfondimento di Maccallini è un unicum del teatro contemporaneo. Ammirevole nel suo isolamento ma anche per la sua perspicuità. Pubblico di spessore in sala con molti addetti ai lavori capaci di apprezzare quanto proposto.
data di pubblicazione:01/03/2024
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da Daniele Poto | Feb 28, 2024
Sta girando l’Italia e si ripromette di entrare nelle scuola questo documentario di montaggio che si appoggia a un immenso patrimonio archivistico con un focus sul più grande partito comunista dell’Europa Occidentale. Ha ottenuto il contributo economico della Presidenza del Consiglio, pur di opposta tendenza partitica perché c’è un fondo speciale dedicato agli anniversari. Carrellata nostalgica sul Pci che fu, attraverso le immagini di Berlinguer, la svolta della Bolognina di Occhetto, le sezioni, le manifestazioni, il riflusso con la marcia dei 40.000 quadri della Fiat a Torino, volta pagina della sconfitta..
Un film che stimola la memoria indipendentemente dalle idee politiche personali. Un grande viaggio all’indietro ricco di cinema militante (Gregoretti, Serra, Scola, Montaldo) quando c’era la speranza di invertire il senso della storia, prima che fallisse il compromesso storico e che 400.000 militanti abbandonassero il partito, una volta dismessa l’etichetta di comunista. Atmosfera dunque alla Nanni Moretti per un reducismo che non vorrebbe essere d’accatto. Le immagini del passato vengono contrappuntate dalla lunga intervista a Luciana Castellina (anni 95), quattro parentesi in prigione, protagonista del distacco dal Pci. Lei è una che non ancora smesso di credere a quella rivoluzione che l’Italia non ha mai avuto, a differenza della Francia e della Russia. Piperno informa ma si diverte anche mostrando i personaggi di quadretti familiari e amicali che appartengono alla sua personalissima storia. Erano i tempi in cui il Pci arrivò a dotarsi di 1,8 milioni di iscritti, toccando percentuali tra il 33 e il 34% tra il 1976 e il 1977. Tanto per dare un’idea dell’attuale disaffezione alla politica nelle ultime primarie del Pd hanno risposto all’appello in 152.000. Alla proiezione a cui abbiamo assistito c’era anche Lucia Mascino, ormai romana d’adozione. Un film che richiede un dibattito che difatti c’è stato. Anche per chiedersi perché la maggioranza degli italiani non va più a votare.
data di pubblicazione:28/02/2024
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da Maria Letizia Panerai | Feb 28, 2024
Il regista e sceneggiatore Andrew Haigh reinterpreta, con la sua personale cifra stilistica, ambientazione e personaggi dell’omonimo romanzo di Yamada Taichi. Il suo protagonista è Adam, uno sceneggiatore intento a scrivere una nuova sceneggiatura che stenta a decollare. L’uomo vive in un piccolo appartamento all’interno di un condominio disabitato a nord di Londra, dove un giorno bussa alla sua porta Harry.
In evidente stato di ubriachezza, Harry gli chiede compagnia in maniera piuttosto esplicita. Ma Adam, isolato nel suo appartamento sovente in preda ad immagini oniriche che lo rimandano ad un passato difficile da accettare, lo respinge. Finché un giorno, osservando alcune fotografie che lo ritraevano bambino assieme ai genitori, decide di prendere un treno per andare a ritrovare la casa dove viveva con la sua famiglia. Da quel momento Adam salirà spesso su quel treno perché in quella casa riesce ad entrare in contatto con la madre ed il padre strappati prematuramente alla vita per un incidente automobilistico quando lui era appena dodicenne.
Estranei è un film doloroso, dalla trama impalpabile. Il film si muove sul profondo desiderio che il protagonista ha di vivere nel presente un legame con un passato familiare durato troppo poco. Tuttavia riesce ad alternare il dolore di un lutto ancora da elaborare, espresso sovente da immagini claustrofobiche, a sentimenti di riconciliazione e di pace. Il personaggio di Adam sente l’esigenza di raccontarsi ai propri genitori come non ha mai potuto fare, per renderli testimoni e partecipi della sua vita da adulto. Come figlio desidera essere rassicurato su come, quel timido bambino che piangeva la notte, è diventato l’uomo che è. Un uomo che oggi può girare mano nella mano con il suo compagno senza essere deriso, sposarsi, creare una famiglia. Nell’alternare immaginazione a realtà, il regista vuole anche che il suo protagonista trovi il coraggio di non avere paura di amare nel dare ad Harry quella occasione inizialmente rifiutata.
Una colonna sonora meravigliosa, sospesa tra passato e presente, accompagna immagini potenti, sguardi e pensieri. Il film è un delicato affresco di dolore e sentimenti, interpretato da un cast di attori in stato di grazia. L’estraneità viene espressa in tante forme, dalla solitudine causata da una metropoli al rifiuto di permettere a qualcuno di entrare nella parte più nascosta di noi. Un’analisi profonda delle proprie insicurezze ed un invito di pacificazione con i traumi del proprio passato.
data di pubblicazione:28/02/2024
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da Daniele Poto | Feb 28, 2024
Una romantica storia d’amore. Quasi un Matarazzo rivisto alla coreana per far capire che siamo dalle parti del mèlo senza dramma. Si potrebbe contare il numero infinitesimale di parole pronunciate nel film dagli scarsi dialoghi per carpire il fascino sottile del non detto.
Rituale è il dodici (anni). Due amici quasi fidanzati si rivedono a 24 e poi a 36 anni. Inevitabilmente ogni salto ha uno scatto nelle loro vite senza l’altro. Girovagando tra Seul, Toronto, una New York quasi da cartolina. Tra la cultura tradizionale coreana, la velocità del life style americano, un po’ di ebraismo dell’antagonista maschile. Melting pot da cui si estrae la storia di un rapporto che non sboccia in una relazione per l’asimmetria dei sentimenti. Storia tenera, dai risvolti interessanti al botteghino per l’apprezzamento che gode la cinematografia di questa parte d’Asia nel Vecchio continente (non evidentemente in America). Non ha coraggio di dichiararsi compiutamente il coreano mediaman che invano segue l’amore giovanile mentre lei piano piano declina i sogni di una grande carriera come sceneggiatrice. Un cinema che sa di verità e di scenari già percorsi. Negli scarni dialoghi ogni espressione è significativa e non sprecabile. Non c’è né ambiguità né morbosità nel rapporto sentimentale a tre con un angolo falso. Il momento più imbarazzante della visione è quando il trio converge in un bar e i due coreani si lanciano in un’animata quanto rara discussione, ignorando completamente il terzo ospite a digiuno della lingua parlata. Interminabili attimi vissuti con il cuore in gola per una reazione che non scatta, la massima comprensione per una spiegazione che deve avvenire tra i due irrisolti innamorati. Un film in cui il sottotesto e l’interpretazione è tutto, lasciando una traccia abbastanza profonda nello spettatore per la fascinazione che emana e per il tempo che si prende nella narrazione, uno slow cinema.
data di pubblicazione:28/02/2024
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da Daniele Poto | Feb 27, 2024
Fantasmagorica riproposizione di un film di successo e con un cast e un budget senza pari. Quasi tre ore adrenaliniche con efffetti speciali assicurati per un ovvio atteso riscontro al botteghino. Sviluppi distopici di una trama complicata, a volte involuta, con un sicuro gancio al terzo episodio della serie. Sangue, poco sesso, una colonna sonora incalzante e inquietante.
Tutti gli ingredienti per un film di richiamo, soprattutto negli States ma con ingredienti di spettacolarizzazione globalizzata accettabili in tutto il mondo. Nel tempo della realtà deformata e dell’intelligenza artificiale l’umano troppo umano del film si ridimensiona perché nelle scene di maggior pathos si duella ancora con la spada, come nel Medioevo. Chiara distinzione tra buoni e cattivi che sfuma in contorni meno manichei nel finale. Sembra che non si possa fare un film senza la presenza di Chamalet (in Italia di Stefano Fresi) ma il contorno degli antagonisti/protagonisti è imponente, alcuni davvero irriconoscibili come Charlotte Rampling. Villeneuve non si lascia sfuggire l’occasione di girare in grande. Le scene di massa sono portentose e nella creazione artigianale il regista conta su un ensemble di prestigio con le presenze fondamentali del direttore della fotografia, del costumista e del supervisore agli effetti visivi, assemblati per l’ottimizzazione in fase di montaggio. Trama quasi irraccontabile. Il cine Bignami si limita a citare il mitico viaggio di Paul Atreides che si unisce a Chani e ai Fremen per cercare di vendicare chi ha sterminato la propria famiglia. Posto di fronte alla scelta tra l’amore e il destino dell’universo il protagonista intraprende la missione profetica per evitare la distruzione totale della sua gente. Non sfuggirà il senso blasfemo e un po’ onnivoro di questa filosofia che presuppone un superuomo. I raduni guerreschi alludono alle parate naziste.
data di pubblicazione:27/02/2024
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da Daniele Poto | Feb 27, 2024
con Sandra Toffolatti, Emanuele Salce, Claudia Coli, Francesco Bonomo, Noli Sta Isabel
(Teatro Il Parioli – Roma, serata unica, 26 febbraio 2024)
Ultimo dei quattro appuntamenti della rassegna sul teatro non rappresentato. E degno epilogo per qualcosa più di un reading visto il livello degli attori in ballo. Una famiglia si riunisce, si confronta e litiga sulle ceneri della madre morta. Il tema del ritorno a casa, rispettivamente da Milano e dalla Cina, è squassante. Emergono contraddizioni, vezzi, deformazioni borghesi, una patina di evidente disinteresse. La convivenza forzata acuisce le tensioni e mostra un’omogeneità mai raggiunta. Trionfante il filippino che da badante si trasforma nel personaggio principale.
Noli Sta Isabel, il filippino erede di un terzo della defunta ultraottantenne, a lei fidanzato rompendo antiche abitudini omosessuali, recitando una parte difficile e scomoda, è il personaggio vincente della serata. Verità e finzione si affastellano perché è il sogno di una vita quella di poter recitare su un palcoscenico così importante e per intercessione convinta dell’autore Pierattini. Scorrono lacrime e applausi a scena aperta per un onesto lavoratore con l’hobby del teatro che dal ruolo di caratterista si erge a protagonista diventando imprenditore dell’azienda della defunta in coppia con il suo ritrovato amore, un altrettanto dinamico rumeno. In fondo la commedia è una graffiante metafora sull’inanità degli italiani rispetto a nazioni più giovani e dinamiche, capaci di evolversi e di raggiungere la piena affermazione sociale. Dopo la parentesi dell’escursione al Teatro Argentina, il Parioli si riprende la titolarità della rassegna che riguarda autori affermati a significare quanto sia difficile per i giovani proporre nuovi testi in assenza di produttori coraggiosi che vogliano rischiare per innovare. Ascoltando Salce come sempre si ripensa a Gassmann e a un’impostazione vocale che non deflette, dall’educazione familiare al teatro. Nel prologo presentato un interessante libro di Paolo Petroni che approfondisce la drammaturgia nostrana sul crinale del secolo.
data di pubblicazione:27/02/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 26, 2024
con Cloris Brosca e Gianni De Feo, regia di Gianni De Feo
(Teatro Lo Spazio – Roma, 22/25 febbraio 2024)
Il coraggio di puntare sulla ricostruzione di una vicenda del 1590, venendo premiati dall’interesse di un pubblico da tutto esaurito per l’ultima replica in virtù della ragione forte dello spettacolo, della sua abile costruzione e di un automatico passaparola ben predisponente.
Una storia di spada, di ammazzamenti e di quelle che nel passato si sarebbero definite corna. Il tradimento di una moglie può essere vendicato per giusta causa assoldando tre malviventi che si prestino all’agguato. È così che l’illustre Principe Carlo Gesualdo da Venosa, insigne musicista, infierì sul corpo della consorte Maria D’Avalos, sorpresa con premeditazione in colloquio intimo con il suo abituale amante, il Duca D’Andria Fabrizio Carafa. Si gravita attorno a Napoli, al suo idioma musicale condito da punte di spagnolo per la rievocazione del dramma. Tragedia a più voci perché i fantasmi della donna rimproverano al marito la spietatezza della decisione, provocata dal pettegolezzo popolare e da un malinteso senso dell’onore. I due protagonisti, empaticamente efficaci, ricoprono vari ruoli, facce e toni entrando nei panni del confessore, innesco della trama gesuitica, della ruffiana di corte che avvia la rivelazione e dunque provoca il delitto, costretta poi dal tribunale a una puntuale denuncia di quanto accaduto. La Brosca non è più teatralmente una rivelazione per chi la conosce negli antichi panni della chiromante televisiva. Il cubo di Rubik è il pretesto per lo sviluppo cromatico di una vicenda a più facce e a più percezioni. De Feo è vibratile e messo alla sbarra per quanto architettato e, nella fedeltà all’attitudine professionale del personaggio, fa sfoggia di bella e ben portata voce. Un’altra sensibile icona sulla scena è la rosa, un fiore che incarna un amore tradito e sbagliato. Toni potenti, mai velleitari per una rievocazione memorialistica di pregio, fuori dalle scelte del mainstream e dunque particolarmente apprezzabile. Con il valore aggiunto di madrigali arricchiti da testi scritti da Torquato Tasso.
data di pubblicazione:26/02/2024
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da Rossano Giuppa | Feb 25, 2024
Nelle sale The Cage – Nella Gabbia il nuovo film di Massimiliano Zanin presentato ad Alice nella città, nella sezione Panorama Italia, ambientato nel mondo de l’MMA, ovvero le arti marziali miste. La protagonista è Giulia (Aurora Giovinazzo), che dopo aver vissuto un evento traumatico, la perdita di un figlio ancora in grembo sul ring ed aver abbandonato i sogni di gloria, decide di uscire dal circolo vizioso in cui è bloccata e di tornare nella gabbia di MMA. Rischia di mettere a repentaglio la sua relazione e la sua stessa vita, ma la passione verso quel mondo e quella disciplina è più grande di qualsiasi altra cosa.
Giulia, un tempo promessa dell’MMA femminile lavora insieme al fidanzato Alessandro (Brando Pacitto) in uno zoo, con un desiderio recondito di tornare sul ring e prendersi la rivincita contro Beauty Killer (Desirèe Popper), l’atleta che l’aveva portata ad abbandonare il mondo degli incontri delle Mixed Martial Arts.
La sua nuova allenatrice, Serena (Valeria Solarino), la sostiene e la incoraggia e grazie a lei Giulia riuscirà ad affrontare i suoi timori e a uscire da quella gabbia, dentro la quale rischia di restar chiusa per sempre. Ma c’è sempre la classica goccia che fa traboccare il vaso, facendo trovare a Giulia trova il coraggio di ribellarsi.
La gabbia è la nostra società contemporanea, popolata da individui appaiono sempre più condizionati e limitati, inconsapevoli del valore della libertà del pensiero e dell’agire. La protagonista combatte contro principi e pregiudizi della comunità religiosa nella quale è stata accolta, combatte contro l’idea insistita ed opprimente del fidanzato di trasformare il piccolo zoo a conduzione familiare in un grande business; contro quella convivenza che la imprigiona in una storia che non sente più sua. Realizzare se stessa combattendo a mani nude in una gabbia vera e propria è la strada che Giulia troverà per affermare con grande determinazione la propria identità.
Straordinaria l’interpretazione di Aurora Giovinazzo. Nonostante la giovane età e la corporatura minuta, l’attrice ha lavorato fisicamente e mentalmente su fisico e postura, trasformandosi in un’autentica lottatrice. A cadenzare il ritmo racconto filmico ci sono poi le bellissime musiche originali del cantautore Motta.
data di pubblicazione:25/02/2024
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da Antonio Iraci | Feb 24, 2024
Rudolf Hoess, comandante supremo di Auschwitz, vive insieme alla moglie Hedwig e ai suoi cinque figli in una bella villa, adiacente al muro che delimita il campo di concentramento. Mentre lui affronta con consapevolezza e grande senso di responsabilità l’incarico affidatogli, gli altri sembrano invece ignorare la tragedia che si sta perpetuando a pochi metri dalla loro casa, conducendo una vita sociale normale, spensierata e oltremodo agiata…
The Zone of Interest diretto dal regista britannico Jonathan Glazer, che ne ha curato anche la sceneggiatura, è tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis ed è stato presentato per la prima volta in concorso al Festival di Cannes 2023 dove ha ottenuto il Grand Prix Speciale della Giuria. Riconoscimento questo più che meritato per la singolare modalità delle riprese attraverso le quali il regista affronta un tema, quello appunto dell’olocausto, in maniera del tutto originale senza rendere direttamente visiva la tragedia in atto. La telecamera non entra mai nel campo di concentramento ma rimane al di qua del muro, in una zona che circonda il lager definita “di interesse”, e ci fa vivere gli orrori dello sterminio solo da lontano. Il fumo dell’arrivo costante dei treni, che trasportano masse di ebrei destinati a un programmato e sistematico sterminio, si intravede in lontananza e dal sottofondo si percepiscono rumori indistinti di armi da fuoco e le urla di disperazione di chi viene avviato a morte certa. I colori dei fiori ben curati in giardino, le tavole ben imbandite con ogni prelibatezza sono funzionali a evidenziare quanto di più cupo viene vissuto al di là di quel muro, in un sottile ma invalicabile confine tra paradiso ed inferno. Solo le ceneri provenienti dai forni crematori, in funzione giorno e notte, sembrano non rispettare questi divieti di contaminazione imposti dalla logica perversa del nazismo: invadono come possono l’aria, l’acqua dei fiumi e persino il giardino degli Hoess. Glazer presenta allo spettatore un film ridotto all’essenziale, ma lo fa nella maniera corretta e più incisiva perché non porta dentro il campo ma rende partecipi di tutto attraverso i suoni angoscianti che scuotono lo spettatore sin dai primi momenti di proiezione. I fatti più o meno sono noti a tutti, anche le giovani generazioni sono oramai sensibilizzate sull’argomento, ma questo film aggiunge qualcosa di nuovo, di radicalmente diverso all’immaginazione, va diretto a colpire la sensibilità per ricordare quelle atrocità rimaste indelebili nella storia. Ottima l’interpretazione del cast tra cui spicca quella di Christian Friedel, nel ruolo del comandante. Sorprendente la fotografia di Lukasz Zal, a volte velata e dai toni grigi, a volte piena di colori dirompenti. Tutto è poi illuminato da una luce fredda ed accecante.
data di pubblicazione:24/02/2024
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da Paolo Talone | Feb 24, 2024
con Francesca Benedetti, regia di Marco Carniti, assistente alla regia Francesco Lonano, musiche di David Barittoni
(Teatro Basilica – Roma, 21 febbraio 2024)
Serata unica al teatro Basilica per Erodiade di Giovanni Testori. Nella lunga scia degli eventi di celebrazione per i cento anni dalla nascita dell’autore milanese, Francesca Benedetti porta in scena uno dei personaggi più potenti del teatro testoriano. La regina divorata da un amore impossibile per il profeta Giovanni Battista, di cui arriva a chiedere la testa.
Avanza lentamente dal fondo del teatro Francesca Benedetti. Prima ancora di vedere la sua figura di regina si ode la sua voce, vera protagonista di questa nuova messa in scena dell’ Erodiade di Giovanni Testori. È una voce del passato, profonda e scura, piena di graffi e cicatrici, resa ancora più suggestiva dalla straordinaria architettura di mattoni romani del teatro Basilica. Un’antologia di suoni che il tempo non ha dissipato, bensì amplificato. Parla una lingua sconosciuta, inventata, appartenuta a una delle tante Erodiadi venute fuori dalla mente creativa dello scrittore di Novate. È la lingua di quella Erodiàs apparsa nell’ultima trilogia teatrale scritta poco prima della morte del drammaturgo.
Per uno strano errore, che aggiunge particolare significato all’evento, sul biglietto di ingresso è scritto Erodiadi, al plurale. E di molti Erodiadi si deve parlare ascoltando il testo riadattato da Marco Carniti per una delle attrici che sono la storia del teatro italiano. E di quello testoriano in particolare. Memorabile è l’interpretazione della Benedetti nel ruolo de la Ledi nella primissima edizione del Macbetto al Salone Pier Lombardo di Milano – oggi teatro Franco Parenti – nel 1974. L’attrice e lo scrittore erano legati da una profonda amicizia, testimoniata anche negli scatti (rintracciabili nel web) di Carla Cerati.
Il dramma di Erodiade è destinato quindi a essere rimaneggiato nel tempo e nelle epoche che si susseguono. Questa versione non è esente dalla riscrittura. Il testo è un compendio delle edizioni precedenti, riprese e frantumate, arricchite di nuove immagini. Spetasciate, per usare un termine testoriano. Scucito e ricucito con il filo della voce di Francesca Benedetti, che poi un filo non è.
Ritorna il trono della prima versione del 1969, scomparso nella storica messa in scena del 1983, per la regia dello stesso Testori con protagonista Adriana Innocenti. Un trono ammantato di rosso, chiaro richiamo al sangue versato per l’atto della decollazione del Battista. Rosso è anche l’abito dell’eroina tragica, che rivendica con forza il suo potere di donna e di regina, seduta in atteggiamento imperante, ancora vagamente sensuale. Osserva con gli occhi sbarrati, testimoni di un incubo interiore, il bacile che raccoglie i brandelli filamentosi della testa del profeta. Proprio questa è l’altra protagonista del racconto. Alle spalle dell’attrice appaiono proiettati i disegni delle teste del Battista che l’autore, anche pittore, realizzò nel 1969 durante la prima stesura del dramma. Diventano materiale drammaturgico, la cui sequenza scandisce i tempi della narrazione, fungendo da deuteragonista all’eroina sola sulla scena.
Nello svolgersi della tragedia, Erodiade arriva nell’aldilà, carica del peso del suo dramma umano. Il dolore che vive è cosa vera, non recitata. Non ci sono cieli o dèi ad accogliere la sua ombra, ma solo il niente e la bestemmia dell’indifferenza umana. La prigione vuota – come disse Carlo Bo – della nostra orrenda insensibilità.
data di pubblicazione:24/02/2024
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