da Maria Letizia Panerai | Ott 24, 2014
Commedia francese ironica ed irriverente, molto divertente, in cui chi giudica è più cretino del giudicato! All’ironia di questo film vogliamo abbinare la ricetta di un antipasto “facile, facile” la cui esecuzione non necessita di una particolare abilità in cucina, perché gli ingredienti, combinati insieme, sono già un successo senza aggiungere nulla. Antipasto a base di tomini, mele e miele di castagno.
INGREDIENTI (x 6 persone):6 tomini stagionati da grigliare – 2 mele renette grandi – ½ limone – miele di castagno – ½ etto di lardo di colonnata tagliato sottile.
PROCEDIMENTO: Sbucciare le mele (se non sono molto grandi sbucciatene 3), farle a fette sottili e metterle in una terrina con il succo di ½ limone per non farle annerire. Scolarle ed adagiarle su di una leccarda da forno sulla quale avrete messo un foglio di carta da forno e “colato” a filo del miele di castagno su tutta la superficie (ma non in grandi quantità: non esagerate, basta l’aroma). Infornare a forno termo-ventilato 180° per almeno 15 minuti sino a quando le mele si saranno ammosciate. Tirare fuori la leccarda ed adagiare sulle mele i 6 tomini distanziati tra loro, dopo averli puliti con un panno umido. Mettere nuovamente in forno per qualche minuto: i tomini non devono disfarsi, ma sciogliersi lievemente. Tirare nuovamente fuori la leccarda ed adagiare su ciascun tomino delle fette di lardo di colonnata molto sottili: si scioglierà al solo contatto con i tomini. Rimettere in forno e spegnere il forno contemporaneamente. Con il calore il lardo si scioglierà: servire dopo 5 minuti come antipasto. Antipasto squisito!
da Antonio Iraci | Ott 24, 2014
(Festival di Cannes, 2008- In Concorso)
Il film di Matteo Garrone del 2008, Gran Premio della Giuria al festival di Cannes, oltre ad essersi aggiudicato ben 8 David di Donatello ed un nastro d’argento, traduce in immagini l’omonimo libro-scandalo di Roberto Saviano, ambientato tra i camorristi di Scampia, città nella città di Napoli, dove può accadere di tutto come all’inferno. Una realtà che ci trascina nella paura e nel buio, instillandoci una angoscia profonda, che ci pervade per tutto il film e che pesa come un macigno sullo stomaco, dove non ci sembra possa appalesarsi il principio della fine…
Abbiamo abbinato a questo film il timballo di riso alla napoletana, un piatto dunque della tradizione partenopea come omaggio ad uno scrittore tanto coraggioso come Saviano, che degli odori e dei sapori di Napoli può, da allora, solo sentirne parlare a distanza: in una puntata de Il Testimone, Pif ha ripercorso tutti i luoghi familiari allo scrittore e si è anche filmato mentre trangugiava la frittura di pesce che Saviano gli aveva descritto come la migliore al mondo! Questa ricetta è per lui….
INGREDIENTI (x 8 persone): 1kg di riso arborio – due cipolle bianche – 150 gr parmigiano grattugiato – 800 grammi di carne di manzo macinata – 300 gr di pisellini surgelati – 200 grammi di formaggio semistagionato – 2 bustine di zafferano in polvere -2 bottiglie di passata di pomodoro – 50 gr di burro – due bicchieri di vino bianco.
PROCEDIMENTO: Preparare il ragù alla maniera tradizionale cucinando nella passata di pomodoro la carne tritata una volta fatta rosolare in tegame con olio d’oliva abbondante e la cipolla e pezzetti. Sale e pepe q.b. sfumare con un poco di vino bianco. A parte cucinare i pisellini con un poco di cipolla e olio d’oliva. Preparate intanto il riso mettendolo in un tegame con olio e cipolla a pezzettini. A piacere si può fare sfumare con un poco di vivo bianco. Aggiungere il brodo e le due bustine di zafferano in polvere e fare cuocere per circa 6 minuti. Il riso è importante che rimanga molto al dente. Scolate il riso e mantecate con il burro e buona parte del parmigiano.
Sistemate in una teglia oleata e cosparsa di pangrattato metà del riso e sistemare il ragù con i pisellini ed il formaggio tagliato a pezzetti e parte del parmigiano rimasto. Meglio se si fanno due strati e se si chiude il timballo con il riso cosperso di pezzetti di burro e pan grattato per ottenere una bella crosta dorata. Mettere sul finale un bicchiere di brodo su tutto il timballo così ottenuto in modo da consentire una cottura perfetta.
Mettere al forno per circa 40 minuti a fuoco sostenuto 180°/200°.
Servire dopo aver fatto riposare per almeno una ora.
da Antonio Iraci | Ott 23, 2014
(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Prospettive Italia)
Il film documentario di Filippo Vendemmiati ci porta dentro il carcere di Bologna dove da un pò di tempo è stata organizzata una officina meccanica in cui una quindicina di detenuti, sotto la vigile e rigorosa assistenza di tutor esterni (operai specializzati già in pensione), imparano un mestiere.
Lo spettatore rimane subito ed a tal punto affascinato dall’entusiasmo dei protagonisti, da arrivare a dimenticare quasi il tedio di tutte quelle spiegazioni meccaniche che, altrimenti, appesantirebbero la narrazione. Il lunedì, il giorno del ritorno al lavoro settimanale, è per tutti il giorno peggiore della settimana, ma questo principio non vale per i detenuti-operai che invece aspettano, dopo un fine settimana di noia, il ritorno all’attività in officina. E’ proprio dalla storia personale dei singoli detenuti che apprendiamo infatti come la logica e le aspettative di ognuno di noi siano diverse e a volte si contrappongano, proprio perché opposti sono i punti di osservazione.
Molto interessante questo Meno male è lunedì, che ci mostra come anche nelle carceri italiane ancora tanto si può fare per migliorare la condizione dei detenuti, soprattutto per preparali ad un eventuale reinserimento nella società una volta in libertà. Ottima la fotografia; unica pecca è nella cattiva qualità del sonoro con un tono delle conversazioni che risultava troppo alto, tanto da impedire a volte di cogliere al meglio i dialoghi.
data di pubblicazione 23/10/2014
da Antonio Iraci | Ott 23, 2014
(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Cinema D’Oggi)
Con il meraviglioso ed espressivo sguardo di Emir Kusturica nel vuoto di fronte alla morte, non poteva che far presa sullo spettatore le note del Requiem di Mozart…Claudio Noce, giovane regista romano, al suo secondo lungometraggio anche se già vincitore di importanti premi cinematografici, sembra essere perfettamente a suo agio non solo nei luoghi del trentino, dove la storia si dipana tra ghiacci e venti gelidi, ma anche a dirigere un artista poliedrico del calibro di Kusturica che solo come regista ha vinto due palme d’oro a Cannes, in un personaggio che sembra proprio sia stato concepito e scritto per lui. Molto convincenti anche le interpretazione di Adriano Giannini e di Ksenia Rappoport che si muovono nei loro personaggi con sorprendente e convincente bravura. In un triangolo nevralgico, Italia-Bosnia-Slovenia, si intrecciano traffici poco chiari tra rifugiati e commercio di schiavi. Una enorme diga segna una sorta di confine, forse uno sguardo verso la libertà. La presenza di un orso, che nessuno ha mai visto, è il pretesto che spinge Lena (Rappoport) ad indagare su quel mistero che avvolge tutto. Forse una incombente tempesta riuscirà a cancellare ed a rendere indistinguibile ciò che è già difficile vedere…..
data di pubblicazione 23/10/2014
da Antonio Iraci | Ott 23, 2014
(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Alice nella città)
Non è sempre vero che un film è rivolto a tutti. O forse non è per tutti vedere lo stesso film e darne un parere. Mi metto quindi gli occhi di un adolescente e dico che il film belga di Savina Dellicour mi è sembrato gradevole e mi ha curiosamente affascinato il racconto e l’interpretazione degli attori Dorothy è una ragazza di 16 anni, che ha da sempre intuito che suo padre non è il vero padre, e con questa idea, divenuta quasi una ossessione, si impegna a scoprire a tutti i costi la verità.
Dopo altalenanti vicende, più o meno scontate, la ragazza troverà un padre, ma che nessuno conosce e che neanche la madre sarà in grado di identificare: e se tutti gli indizi portano ad identificare in Paul il padre presunto, la realtà ci dirà che ciò che credevano tutti sin dall’inizio, invece non è. La saggezza millenaria dei proverbi qui viene smentita. E se una volta si diceva: mater semper certa est, ora grazie al DNA lo si potrà dire anche per il “pater”. Film sconsigliabile ai maggiori di 18 anni.
data di pubblicazione 23/10/2014
da Giulio Luciani | Ott 23, 2014
(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Prospettive Italia)
Documentario dolceamaro, coraggioso e poetico. È il bellissimo lungometraggio d’esordio di Bartolomeo Pampaloni che, con un budget inesistente e una sensibilità fuori dal comune, ci fa immergere senza censure nel mondo nascosto di chi si trova a vivere, dormire e morire nella stazione romana. L’idea, già di per sé molto curiosa, è stata sviluppata attraverso una narrazione coerente e originale, accompagnando i quattro protagonisti in un delicato processo di racconto di sé davanti alla telecamera che commuove nel profondo. Pampaloni dimostra una notevole padronanza del mezzo tecnico e del linguaggio artistico, attraverso inquadrature inedite e una fotografia che si imprime nella memoria visiva dello spettatore. Si esce dal film cresciuti e più maturi, con la voglia matta di soffermarci a guardare chi vive sui marciapiedi, di dare loro voce, umanità.
data di pubblicazione 23/10/2014
da T. Pica | Ott 22, 2014
(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Gala)
Il film Tre Tocchi di Marco Risi regala al pubblico un racconto a tratti dispersivo degli uomini e dei ragazzi del Cinema italiano che provano per affermarsi come gli eredi di Manfredi e Gassman. Si tratta delle storie, in parte vere, condivise con il regista da un gruppo di attori in occasione delle partite di calcio della squadra attori fondata a Roma da Pasolini. Da un lato, i quarantenni che, dopo l’Accademia, anni di teatro e il successo ormai svanito di qualche fiction che va in replica sui canali satellitari, devono ripiegare sui casting per spot pubblicitari e, dall’altro, i trentenni bramosi di gloria che per avere tutto e subito, scendono a compromessi e ricadono nei soliti cliché. A riflettere la comune insoddisfazione e le incertezze dei protagonisti c’è il Padre nostro che, come una litania, accompagna e guida l’intero film: in realtà si tratta semplicemente delle battute che ossessionano i protagonisti, nella disperata ricerca della convocazione per un provino che potrebbe segnare la loro svolta artistica. Ovviamente, l’epilogo è amaro, soprattutto per i sopraggiunti limiti di età dei due attori quarantenni che, disincantati e un pò smarriti, si interrogano sul senso della propria vita e si dimenano tra dolori familiari irrisolti, qualche rimpianto e il secondo lavoro da cameriere. Insomma, tanta amarezza sorregge un groviglio di storie frammentate, che talvolta si perdono in divagazioni superflue, all’insegna di una visione arida e machista del mestiere di attore, in cui gli ostentati nudi e la presunta forza brutale degli attori, calciatori e boxer nel tempo libero, prendono il soppravvento sul sacro fuoco dell’arte, sulla sensibilità e i sentimenti. Il mestiere dell’attore pare appunto debba ruotare introno ai “tre tocchi” del giuoco del calcio, concetto avvalorato dall’assenza della donna “attrice”; ed anche se poi sul finale del film quei “tre tocchi” sono rivisitati in chiave opposta alla virilità ostentata lungo l’intera pellicola, e seppur il film rimane fedele ai ritratti amari firmati Risi (il quale cita Moretti con le parole sono importanti e rispolvera la sedia del Regista Fellini), non riesce comunque a centrare l’obiettivo e non ci fa entrare in empatia con i protagonisti, sebbene interpretino sé stessi con i loro nomi veri, lasciandoci ancora troppo nostalgici per gli attori italiani del passato.
data di pubblicazione 22/10/2014
da Elena Mascioli | Ott 22, 2014
(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Cinema D’Oggi)
Accade sempre, in tutti i festival, che si creino trame sottili tra film diversissimi, che arrivano da disparati angoli della terra, ma che, al netto di stile, scelte registiche e interpretazioni attoriali, si trovano a percorrere un tratto di strada insieme, quello delle suggestioni, delle “tematiche”, citando un termine brutto ed abusato. Di vita di strada si parla in due film lontanissimi tra loro, Lulu dell’argentino Luis Ortega e Time out of mind di Oren Moverman, interpretato e prodotto da un sempre affascinante Richard Gere. Giovanissimi i due “innamorati” che vivacchiano in una Buenos Aires caratterizzata dai palazzi “scatole di scarpe”, da cani portati al guinzaglio. Un amore zoppo, o presunto tale, come la protagonista che utilizza, senza averne necessità, una sedia a rotelle. Un Romeo, il suo, che è davvero un balordo, e che fa un mestiere simbolicamente significativo: raccoglie su un camion carcasse di animali da macello. La loro vita in strada è una scelta, una condizione esistenziale che si intona all’instabilità del loro amore, del loro sentire, al ritmo di giornate passate tra rapine, balli frenetici, o davanti a vecchi film. Fastidioso, strampalato, raccapricciante, ma interessante con un finale strepitoso. Il barbone di Gere, invece, si schermisce quando viene definito tale, cerca ancora di dissimulare, di dire e di dirsi che è una situazione temporanea. E lo vediamo vagare, trovare un letto in un centro d’accoglienza e un amico logorroico incluso nel pacchetto, alla ricerca di un’identità che gli viene continuamente negata, dalla vita e dalla burocrazia. Ma la stessa mancanza d’identità è della New York che non viene caratterizzata, del film stesso, senza un percorso, senza uno stile preciso, con il risultato di far pronunciare la parola che atterrisce ogni spettatore: noioso.
data di pubblicazione 22/10/2014
da Antonio Iraci | Ott 22, 2014
(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Alice nella città)
Questo film ci porta nel favoloso mondo di Amelie, questa volta in Giappone. Amelie torna a Tokyo dove è nata da genitori belgi e dove ha passato i primi cinque anni della sua vita. Piena dell’entusiasmo dei suoi vent’anni, intraprende nella grande metropoli una nuova entusiasmante vita, cercando di integrarsi al massimo in questa città. L’incontro con Rinri, anche lui ventenne, farà conoscere ad Amelie un Giappone diverso, e quando l’amore impacciato di lui si paleserà con i ritmi propri di quella cultura, ad Amelie non resterà altro che accettare un fidanzamento in regola ed una promessa di matrimonio, anche se l’idea la terrorizza. Tokyo fiancèe purtroppo però si perde strada facendo: i personaggi potevano essere meglio tracciati ed assumere un caratteristica più peculiare. Mentre sembrano azzeccate le location: Tokyo appare con diverse belle sfaccettature, alcune anche poco patinate ed inedite, fondamentale la scena di repertorio dello tsunami che assume un ruolo fondamentale nel racconto. Consenso del pubblico che sembra aver apprezzato questa love story, una volta tanto non a lieto fine… Ma non basta.
data di pubblicazione 22/10/2014
da Alessandro Pesce | Ott 22, 2014
(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Cinema D’Oggi)
Una famiglia di grandi architetti, il più giovane erede è al suo primo lavoro prestigioso e contemporaneamente alla vigilia della sua prima paternità, un bambino la cui scelta del nome impegna molto sia lui che sua moglie archeologa, come se fosse davvero una questione di stato, tanto è importante la coscienza di appartenenza a una nobile stirpe di architetti.
La crisi affiora con lo scavo del suo cantiere: vengono ritrovate infatti ossa e corpi di ignota provenienza, ma il terreno è appartenuto alla famiglia. Chi sono, dunque, quelle persone? Di quale misfatto sono testimonianza ? Una responsabilità dei suoi avi?
Il nonno è ormai una larva di uomo, dipende in toto dalla badante, e riconosce soltanto il suono della voce di suo nipote. Il padre sembra interessato esclusivamente al lavoro, la madre reitera solo frasi sull’importanza del prossimo lieto evento.
Una ernia simbolica tortura il ragazzo, la sua mente è confusa e gira per la megalopoli tra un peregrinare continuo alla ricerca di un colloquio con un Capomastro molto arrabbiato e un contatto carnale con due lesbiche. Siamo in una a San Paulo molto desolata e suggestiva, che sembra sempre più estranea, fotografata in un abbacinante e simbolico bianco e nero.
Oltre a quello della ricerca delle proprie radici e della verità, c’è il tema dell’architettura come proiezione dei propri sogni e in questo caso, dei propri incubi. Perdendo la propria sicurezza interiore entra in crisi quindi l’ispirazione e la voglia di costruire, a differenza della placida passione della moglie archeologa sazia dello studio del passato remoto.
Tutto è perfetto in questo straordinario elegante, intenso film.
data di pubblicazione 22/10/2014
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