da Accreditati | Nov 26, 2014
Tutti quelli che se ne vanno, ti lasciano sempre addosso un pò di sé. È questo il segreto della memoria. La finestra di Fronte di Ferzan Ozpetek, è un film che celebra proprio la memoria, in quanto la storia di Davide Veroli ruota intorno al fatto storico dell’ottobre del 1943 quando i nazisti, tra le vie adiacenti il Portico d’Ottavia, rastrellarono e la deportarono ad Auschwitz 1024 ebrei romani. Bravissimi i due interpreti principali, Giovanna Mezzogiorno ed il compianto Massimo Girotti, entrambi premiati con il David di Donatello. Ma, come in ogni film di Ozpetek, molti sono i temi che si mescolano in un unico film ed anche in questo caso, oltre al concetto del non dimenticare – esaltato anche sui titoli di coda dalla splendida Gocce di memoria, interpretata da Giorgia – il regista ci induce a guardarci dentro e a dare sempre la giusta luce alle inclinazioni personali, senza mai relegare a semplice hobby le proprie passioni, sforzandosi di vivere la propria vita nel miglior modo possibile –Davide a Giovanna: non si accontenti di sopravvivere, lei deve pretendere di vivere in un mondo migliore, non soltanto sognarlo.
A questo splendido film dedichiamo una ricetta tradizionale della cucina ebraica romana: le zucchine marinate o concia di zucchine.
INGREDIENTI: 2 Kg di zucchine romanesche – 1 spicchio di aglio (facoltativo) – prezzemolo e menta romana (in alternativa basilico) –sale, pepe q.b. – olio extravergine d’oliva – aceto di vino bianco (o aceto balsamico).
PROCEDIMENTO: Lavate e tagliare zucchine a rotelle non troppo sottili o come si dice “a fetta di salame”, e friggetele in abbondante olio extravergine di oliva; man mano che si va avanti con la frittura, cominciate ad adagiarle, dopo averle scolate, in un’insalatiera o in una pirofila con i bordi alti, creando degli starti: ogni strato di zucchine ancora caldo va condito con un pizzico di sale, aceto di vino bianco (o balsamico a chi piace un sapore più agrodolce), un trito di aglio, prezzemolo e menta (o semplicemente del basilico sminuzzato se si vuole ottenere un sapore più delicato). Proseguire con gli strati sino ad esaurimento. Quando avremo completato tutti gli strati, irrorare il tutto con un filo di olio a crudo, e far marinare per qualche ora. Ottimo come contorno. E come si dice al termine di una gustosa ricetta, soprattutto dopo aver evitato di schizzarsi con l’olio bollente o di affettarsi le dita nel tagliare le zucchine…: Buon Appetito!
da Maria Letizia Panerai | Nov 23, 2014
Accoppiata vincente quella Bova-Cortellesi che, dopo il Nastro d’Argento con Nessuno mi può giudicare che valse alla Cortellesi anche un David di Donatello, ci riprovano con questa graziosa commedia di Riccardo Milani, regista prevalentemente televisivo, ma con un grande film come Piano solo nel suo curriculum cinematografico. Scusate se esisto! potremmo definirlo una moderna versione italiana della famosissima commedia del 1988 di Mike Nochols Una donna in carriera, in cui Serena-Cortellesi interpreta una goffa e molto meno sensuale Tess-Griffith, che tenta di tenere alta la bandiera delle donne con cervello quando si trovano a doversi misurare con un mondo lavorativo in cui il “maschio” non si accontenta solo di imperare, ma tende a relegare l’universo femminile in ruoli comprimari, talvolta mortificanti. Nata ad Anversa, in Abruzzo e non in Belgio, Serena Bruno è una sana ragazza cresciuta in un paesino montano di poche anime, con genitori semplici che le pagano gli studi di architettura; Serena è brava e si laurea con il massimo dei voti, consegue diversi master all’estero e comincia a girare il mondo per lavoro, mostrando anche una certa propensione per le lingue straniere. Ma la nostalgia per l’Italia è tanta e decide un bel giorno di tornare; approda a Roma dove, non riuscendo subito a lavorare come architetto, per mantenersi e non pesare sulla sua umile famiglia, comincia a fare lavori alternativi. Quando si presenta per un colloquio come cameriera in un ristorante, conosce Francesco (Bova), il proprietario: bello come il sole, simpatico e da poco tornato single…l’uomo perfetto! Tra i due tuttavia non potrà nascere una storia d’amore, anche se Serena in principio non ne comprende subito il perché, ma si porranno le basi per una bella amicizia. Sarà Francesco ad incoraggiare Serena a partecipare ad un bando di concorso pubblico per architetti: le selezioni permetteranno alla goffa ragazza di entrare a far parte di un prestigioso studio di architetti, il cui boss (Ennio Fantastichini) ha ottenuto l’appalto per la riqualificazione del Corviale, complesso composto da 1200 appartamenti di piccolo taglio, alla periferia di Roma. Il “serpentone” romano di cemento armato, un edificio lungo un chilometro sito nei pressi del Portuense, costruito nel 1972 con l’idea di rappresentare uno sviluppo urbanistico per la capitale e le cui dimensioni mastodontiche pare abbiano indebolito la penetrazione del famoso ponentino romano, è il terzo protagonista di questa gradevole commedia che, tra il serio ed il faceto, scorre facilmente, facendoci ridere di gusto senza mai cadere nella volgarità spicciola, ma affrontando anche qualche punto di breve riflessione. Tra i tanti attori di cinema e TV, che coralmente hanno fatto piccoli camei nel film, vale la pena sottolineare l’interpretazione di un inedito quanto irriconoscibile Marco Bocci.
data di pubblicazione 23/11/2014
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da Maria Letizia Panerai | Nov 23, 2014
Film corale sicuramente non originale ma ben riuscito, erroneamente paragonato al Grande Freddo di Kasdan, Piccole bugie tra amici è un buon prodotto della nuova cinematografia francese di cui G. Canet ne è un esempio, sia come regista che come interprete. A questi amici, che trascorrono tra egoismi e falsità, una bella ed educativa vacanza in una splendida villa a Cap Ferret, dedichiamo un dolce il cui nome “falsamente” francese cela un’origine portoghese: Crème Caramel o Latte alla Portoghese, tanto per confermare che a volte qualcuno non è proprio ciò che dice di essere….
INGREDIENTI:1 litro di latte intero alta qualità – 6 uova freschissime – 2 etti di zucchero semolato – 1 baccello di vaniglia – la buccia di un limone non trattato.
PROCEDIMENTO: Mettere sul fuoco il latte con 1 etto di zucchero, il baccello di vaniglia e la buccia del limone facendo attenzione che non rimanga la parte bianca che può risultare amara. Quando il latte sta per bollire, abbassare la fiamma e far sobbollire per qualche minuto; spegnere il fuoco. Quando il latte è tiepido togliere la buccia del limone e il baccello di vaniglia. Fare freddare il latte ed aggiungere ad una ad una le uova intere (rosso ed albume), mescolando di volta in volta o con una forchetta o con la frusta del frullatore a velocità media: la scelta dipende dal fatto se il crème caramel volete che abbia quei piccoli buchetti tipici di un prodotto artigianale (usate la forchetta) o a grana più fine (usate le fruste). Preparate a parte del caramello con il restante zucchero, lasciandolo sciogliere sul fuoco con un po’ di acqua. Mettere il caramello ancora caldo dentro lo stampo in pirex da budino (o anche uno antiaderente) facendolo aderire alle pareti e versarci il composto di latte e uova, filtrandolo con un colino. Nel frattempo fate scaldare bene il forno, fisso solo sotto, a 180°. Mettete il contenitore con il composto al centro di un tegame a bordo alto (tipo la teglia per fare le patate al forno) e versate dell’acqua nel tegame sino a far sì che il contenitore con il crème caramel risulti immerso per metà. Cuocete in forno per circa 50 minuti/1 ora e lasciate freddare dentro a forno spento. Rovesciate il creme caramel dopo averlo fatto freddare in frigo.
da Maria Letizia Panerai | Nov 23, 2014
Che dire di questo splendido film, se non di vederlo e rivederlo? Le ferite che la guerra in Vietnam ha impresso su un’intera generazione di americani, vengono esorcizzate da un gruppo di trentenni (tra cui emergono, giovanissimi, Glenn Close, William Hurt, Tom Berenger, Kevin Kline, Jeff Goldblum), che si ritrovano in occasione del funerale del loro amico Alex, morto suicida (memorabile la vestizione di Kevin Costener nei panni del “corpo” durante i primi minuti del film), trascorrendo insieme un intero week end. Sulle note di grandi successi americani anni sessanta targati Soul Motown, che compongono una colonna sonora da urlo (!!!), non potevamo che proporre un calorico winter crumble, variazione sul tema del più conosciuto e semplice apple crumble a base di mele, ricetta regalataci dalla nostra amica Cynthia e perfettamente adatta per scaldarsi durante le fredde ed uggiose giornate invernali.
INGREDIENTI: 100 gr di burro – 70/80 gr di zucchero di canna – 100 gr di farina – 1 pera, 1 mela, 2/3 susine fresche – 1 cucchiaio abbondante di cannella in polvere – ½ limone – 1 pezzetto di zenzero tritato – sorbetto alla frutta o panna montata
PROCEDIMENTO: Sbucciare e fare a spicchi non troppo spessi la mela, la pera e metterle in una terrina con il succo di ½ limone per non farle annerire; aggiungete le due/tre susine a pezzetti (in mancanza di quelle fresche, si possono utilizzare 2 prugne secche e 3 albicocche secche rinvenute in acqua calda e strizzate). Girare la frutta, scolarla dell’acqua in eccesso ed aggiungete la cannella in polvere assieme ad un pezzetto di zenzero tritato. Adagiare il composto in una teglia da 4 pozioni di alluminio. Mettere poi in una terrina a parte la farina con la zucchero e versarci sopra il burro fuso. Lavorare con le mani sino ad ottenere un impasto granuloso, come delle palline irregolari. Cospargere con le mani questo impasto sulla frutta già adagiata nella teglia di alluminio. Infornare per 15/20 minuti a 180° forno temo-ventilato, già riscaldato in precedenza. Servire tiepido a pezzetti irregolari assieme ad un sorbetto di frutta (limone, ananas e zenzero, mela cannella e mandorle etc.) oppure, se fuori c’è proprio Un grande freddo, servitelo con della panna montata.
da T. Pica | Nov 23, 2014
(Palalottomatica – Roma , 21 novembre 2014)
I 5 ragazzi torinesi, che anche se non lo diresti mai hanno oltre 20 anni di onorata carriera alle spalle, hanno nuovamente stupito e onorato le aspettative del pubblico con l’ultimo lavoro “Una nave in una foresta”, uscito lo scorso giugno a 3 anni di distanza dall’ultimo album “Eden” del 2011. E così, pur conoscendoli da tanto tempo, ti ritrovi piacevolmente sorpresa ed emozionata quando entrando nel Palalottomatica dell’Eur, che nel cuore rimarrà per sempre il PalaEur, vedi il palazzetto sold out gremito come non mai. E poi ecco che emergono da un palco minimalista i Subsonica e subito l’atmosfera si scalda in un vortice di note, luci colorate, ritmo, danze accompagnati dalla voce dolce e graffiante di Samuel. La scaletta è ben articolata: la band regala subito una performance perfetta con una sequenza senza soluzione di continuità delle prime 4 tracce dell’ultimo album, che non si può negarlo sembra nato per i Live. Poi il gruppo, che non annoia mai e stupisce con l’eclettico tastierista-mattatore Busta, catapulta l’arena e gli anelli del Palazzetto in una dance floor di quasi 15 anni fa con la sempre verde “Disco Labirinto”, per poi guidare il pubblico al 2002 con “Nuvole rapide” e “Nuova ossessione”. In un perfetto avvicendarsi tra le nuove canzoni de “In una nave in una foresta” e quelli che ormai sono i Classici dei Subsonica, ti riscopri ancora adolescente e sembra che il tempo non sia mai passato quando sale la pelle d’oca con la storica “Il cielo su Torino” (atto d’amore del gruppo alla loro città) e “Strade” fino all’ultima nata “Di domenica”. I Subsonica inondati dalla partecipazione del pubblico – dove fanno capolino anche i figli (dai 3 ai 12 anni) dei fan storici del gruppo – non si risparmiano e verso il finale regalano una perla: la versione acustica, spogliata dall’accompagnamento di ogni suono e strumento elettronico (elettronica definita nel preambolo di Samuel la “prigione” in cui per anni la canzone è stata creata), di “Tutti i miei sbagli” che lascia il pubblico entusiasticamente cullato e incantato. Insomma, che dire anche quando ci si aspetta di averli sentiti e risentiti i Subsonica ti spiazzano e, dopo due ore di musica ininterrotta, ti lasciano uscire in un’algida Eur felice, sorridente e ancora affamata dei loro suoni e dei loro testi. Unica pecca l’acustica del Palalottomatica – ops Palaeur – che non ha reso giustizia alla bravura vocale e strumentale del gruppo di Torino. I Subsonica hanno salutato Roma assicurando “ci vedremo molto presto, prima di quanto voi crediate” e a noi non resta che credergli!
data di pubblicazione 23/11/2014
CI HA CONVINTO
da Antonio Iraci | Nov 21, 2014
Da annoverarsi tra i capolavori del regista Mario Monicelli che ottenne con questa spassosissima commedia due nastri d’argento ed una nomination agli Oscar nel 1959 come miglior film straniero. Una banda di scalcinati ladruncoli organizza un accurato furto per raggiungere la stanza del Banco dei Pegni, dove è custodita la cassaforte, passando dall’appartamento attiguo, normalmente abitato da due anziane signore. Approfittando dell’assenza di queste, si introducono quindi nella casa e riescono a demolire la parete che secondo i loro piani li avrebbe portati direttamente davanti al cospicuo bottino. Ma con grande stupore si troveranno invece nella cucina dove, fallito il colpo, non gli rimarrà altro che approfittare della pasta e ceci trovata e mangiarsela con gusto. Cast eccezionale di attori passato poi alla storia del cinema italiano: Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Totò, Memmo Carotenuto, Carlo Pisacane, Tiberio Murgia, Lella Fabrizi, Carla Gravina ed una splendida Claudia Cardinale agli esordi. Il film ci suggerisce questa ricetta di pasta e ceci.
INGREDIENTI: 500 grammi di ceci secchi – 100 grammi di guanciale o lardo – rosmarino, salvia, due spicchi d’aglio ed una cipolla – un cucchiaio di concentrato di pomodoro – olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b. – una patata – 200 grammi di pasta ditalini.
PROCEDIMENTO: I ceci vanno messi a bagno almeno la sera prima. Lavare bene i ceci e farli cuocere in acqua con la cipolla, la patata, sale, pepe, alcune foglie di salvia ed un rametto di rosmarino. Preparare il battuto con il lardo o guanciale da far soffriggere in abbondante olio, con l’altro spicchio d’aglio, la salvia ed il rosmarino, tutto ben triturato. Aggiungere al soffritto il concentrato di pomodoro ed amalgamare. Versare i ceci già cotti, dopo averne frullata una buona parte con il frullatore ad immersione insieme alla patata, fare cuocere ancora una decina di minuti prima di versare la pasta. La zuppa va servita tiepida e condita con olio d’oliva extravergine e pepe.
da Alessandro Pesce | Nov 18, 2014
Il libro di Ipazia di Mario Luzi è un esempio classico in versi dove il teatro è solo “in prestito”: ciò avviene perché l’autore, ormai scomparso, durante la sua produzione poetica si è dedicato anche alla drammaturgia – vedi Rosales , Hystrio e altri – ma dando maggior peso all’aspetto lirico anziché a quello scenico.
In scena alla Sala Uno, per la regia di Roberto Zorzuth, e prodotto dalla compagnia Politecnico col Festival dei Teatri di Pietra – con cui ha già svolto diverse piazze estive – narra lo sfondo delle vicende della affascinante protagonista, vissuta fra il IV e il V secolo d.c., scienziata e filosofa, martire del paganesimo e della libertà di pensiero e ancora oggi avvolta in un alone di mistero. Nell’epoca Ellenistica, in cui la donna è quasi sempre relegata ad un ruolo subalterno, è su di lei che sembra giocarsi il destino della città di Alessandria, durante le sommosse fra Cristiani e Impero Romano d’Oriente. Ma, anche se i versi, appunto, sembrano richiamare una partitura musicale, sono le parole ad essere pregne di significato e ad intessere il forte legame fra la poesia e la tradizione di un certo teatro italiano – ormai passata, come quella della memorabile edizione del compianto grandissimo Orazio Costa Giovangigli.
E della parola l’allestimento in questione fa un buon uso, ponendola inevitabilmente in primo piano e sorreggendola con un’ottima interpretazione degli attori, che si muovono con padronanza in uno spazio essenziale ma anche suggestivo. Articolato in otto scene con prologo ed epilogo, l’impianto registico prevede una scena fissa con momenti di Teatro fisico, alternati ad altri ben più statici. Le interpretazioni attoriali, pur essendo di cifra fin troppo tradizionale, sono stilizzate e compensano bene la apparente povertà di azione voluta dal poeta.
Ipazia appare solo in due scene intense, per essere poi chiamata in questione da altri. La figura è quella di una donna coraggiosa e in contatto con un alter-ego (forse ultraterreno?) e piena di ideali dove il caos vorrebbe produrre fondamenti per il “nuovo”. Come nel più grande teatro classico, la sua fine non viene rappresentata in pubblico, ma solo raccontata a posteriori, dopo mille presagi. Buona ed efficace l’interpretazione dell’attrice Cristina Putignano. Interessante l’apporto del personaggio ambiguo del Prefetto – interpretato con espressività e grande misura da Andrea Bonella -, da cui intravediamo i pericoli e le paure vissute da chi è al comando e tuttavia sente di essere in balia degli eventi.
Bravi anche Fabio Pappacena (Sinesio), Alessandra Cavallari (Ione), Arianna Saturni (Teodora), e lo stesso Roberto Zorzuth (Gregorio). Da vedere.
data di pubblicazione 18/11/2014
Il nostro voto:
da Alessandro Pesce | Nov 17, 2014
Tre anni dopo Inception Christopher Nolan torna a un soggetto fantascientifico. Qui la materia non è fredda e concettuale come nel precedente film, si tratta di salvare la Terra, con una missione spaziale che parte alla volta di Saturno allo scopo di trovare delle risorse: negli States, infatti, le coltivazioni sono ridotte al minimo e non c’è da mangiare. Non immaginate però imprese in pompa magna supportate dal tifo popolare e venate di eroismo. La missione si svolge in assoluta segretezza. Nell’equipaggio c’è un padre: Cooper (lo struggente Matthew Mc McConaughey), che ha dovuto abbandonare la giovane figlia Murphy, legata a lui da speciali affinità elettive e c’è una donna, il Dottor Brand (una persuasiva Anne Hathaway) che ha lasciato a casa l’anziano padre, la “mente” della missione (il solito monumentale Micheal Caine). Non si sa se la spedizione ha speranze di riuscita, non si sa quanto tempo staranno fuori, quando Cooper tornerà, se tornerà, Murphy sarà una donna adulta e il padre del Dott. Brand sarà probabilmente già passato a miglior vita.
Questa rete di affetti familiari ed il fascino, la paura dell’ignoto, sono componenti nuove per il cerebrale Nolan che per la prima volta guadagna in calore e in afflato.
Ma purtroppo il grande regista eccede in altri difetti: costruisce una sceneggiatura inutilmente complessa, verbosissima, infarcita di dialoghi retorici o di sciocco humour, zeppa di colpi di scena, vanamente lunghissima (ben 169 minuti!)
Inoltre manca la poesia dell’infinito, lo stupore e lo sgomento di film come Gravity, per non parlare della profondità filosofiche di capolavori come 2001 o Solaris.
Il divertimento c’è, ma mancano il rigore e la misura, qualità che latitano negli autori di oggi, i quali probabilmente non hanno più fiducia nella semplicità come filtro di interpretazione della realtà.
data di pubblicazione 17/11/2014
Scopri con un click il nostro voto:
da Antonio Iraci | Nov 17, 2014
Mostra a cura di Denis Curti nell’ambito del progetto ABC (Arte-Bellezza-Cultura) – REGIONE LAZIO –
(Palazzo Incontro – Roma, 15 ottobre 2014 – 11 gennaio 2015)
La mostra fotografica di Franco Fontana (Modena 1933) si presenta suddivisa in sezioni, ciascuna con tematiche ben segnate: i paesaggi – urbani ed extraurbani – il mare e le piscine. Come prima sensazione il visitatore si trova subito immerso, direi inaspettatamente, in un contesto dove regna assoluto il colore, reale presenza nel tutto insieme al contrasto tra luce e ombra, che sviluppa con i suoi toni iperreali una sovrapposizione piatta di forme e di superfici, creando una composizione geometrica ben costruita e volutamente artificiale. In Fontana il colore è infatti il vero protagonista della scena a cui viene affidato il compito magico e fantastico di svelarci quello che non riusciremmo mai a percepire con i nostri sensi, di vedere al di là della superficie. Ciò si percepisce subito nelle immagini riguardanti le distese extraurbane delle campagne della Basilicata o della Puglia: qui il colore fa contrasto e si confonde nello stesso tempo ed il tutto ci emoziona intimamente come se ci trovassimo di fronte ad un quadro di Rothko. Diversa sensazione per quanto riguarda i paesaggi urbani. Qui le superfici cromatiche si alternano tra contrasti di luce che appiattiscono il tutto e dove non c’è più spazio per niente se non per la solitudine umana che invade il campo: l’uomo, o la sua ombra, sta lì quasi a contemplarsi solo, immerso in un contesto quasi metafisico. Non è forse la stessa sensazione che potremmo percepire davanti ad un quadro di Hopper? Anche in Fontana infatti i colori brillanti e luminosi ci trasmettono solo una sensazione di vuoto, un senso di inquietudine, di disagio. Anche le immagini riguardanti il mare, tema molto caro a Fontana, ci infondono una percezione di smarrimento: qui solo una leggera quasi invisibile linea lo divide con il cielo, come se le due masse si fondessero in un’unica superficie piatta e priva di movimento. Negli spazi acquosi delle piscine vengono poi mostrati i corpi sinuosi e tonici di donne che, come sculture dalle forme ben levigate, sembrano esaltare una fisicità tutta al femminile perché, come dice lo stesso Fontana, quando manca la donna, il mondo perde la luce…Ecco perché oggi, nella celebrazione dei suoi cinquanta anni di attività, Fontana si presenta a noi non solo come un eccellente fotografo, ma come un artista a tutto campo, i cui lavori trovano giusto e meritato apprezzamento, a livello nazionale ed internazionale, con il continuo conferimento di prestigiosi premi a riconoscimento della sua non comune opera.
data di pubblicazione 17/11/2014
da Antonio Iraci | Nov 17, 2014
In un tranquillo quasi anonimo paesino francese arriva dal nulla la estroversa Vianne (Juliette Binoche) insieme alla sua bambina Anouk (Victoire Thivisol) per sconvolgere, con l’apertura sulla piazza della sua singolare cioccolateria, le abitudini degli abitanti del luogo. Il sindaco moralista e bigotto (Alfred Molina) non esita a scatenare una guerra contro la peccaminosa donna che, oltre ad offrire cioccolato in tempo di penitenza quaresimale, socializza persino con l’estroverso Roux (Johnny Deep) a capo di un gruppo nomade di zingari che si sono accampati nei paraggi. Alla fine la donna riuscirà con la sua tenacia ed il suo buon umore a scalfire il cuore di tutti, incluso quello del sindaco, ed a portare un poco di vita nel grigiore freddo di quella comunità chiusa e piena di pregiudizi. Il film non può che suggerirci questa ricetta di un plumcake tutto al cioccolato.
INGREDIENTI: 200 grammi di farina – 1 cucchiaino di bicarbonato – 50 grammi di cacao amaro – 275 grammi di zucchero – 80 grammi di panna acida – 175 grammi di burro morbido – 2 uova – 1 bustina di vaniglina – 175 grammi di gocce di cioccolato.
PROCEDIMENTO: Amalgamare tutti gli ingredienti mescolando bene ed aggiungendo poi 125 ml di acqua bollente, sino ad ottenere un impasto molto fluido, e completando infine il tutto con le gocce di cioccolato. A questo punto sistemare l’impasto in uno stampo da plum cake, foderato di carta da forno bagnata, ed infornare per 45 minuti ad una temperature di 180 gradi quindi coprire lo stampo con carta di alluminio e completare la cottura per altri 20 minuti. Servire da solo o accompagnato con una abbondante cucchiaiata di panna montata.
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