da Maria Letizia Panerai | Dic 28, 2014
Quasi amici è un film francese ispirato ad una storia vera, molto divertente ma anche commovente, che narra dell’insolito rapporto tra un paraplegico ed il suo badante; la pellicola, che ha avuto un enorme successo in Francia, ha incassato moltissimo anche nel nostro paese. Cast di altissimo livello, tra cui emerge una bravissimo Francois Cluzet. A questo film abbiniamo la raffinata marmellata di cipolle della nostra amica Claudia, in onore del personaggio protagonista la cui storia ci ha scaldato il cuore, perfetta da abbinare ai formaggi stagionati…non solo francesi!
INGREDIENTI: 7/8 cipolle bianche e dorate – 1 bicchiere di zucchero semolato bianco – 1 bicchiere di zucchero di canna – 1 noce di burro – 1 bicchiere di aceto di vino bianco
PROCEDIMENTO: Sbucciare e tagliare a spicchi le cipolle (il numero di cipolle dipende dalla loro grandezza: prendete tutte di grandezza media). Farle bollire in acqua x 10 minuti. Scolarle bene. Nel frattempo in una padella larga mettere a sciogliere lo zucchero senza farlo caramellare. Aggiungere le cipolle, un fiocco di burro e una volta amalgamato il tutto, aggiungere l’aceto a filo versandolo intorno alle cipolle sino ad esaurimento. Cuocere a fuoco basso girando spesso per 40 minuti, senza coprire… Mettere la marmellata dentro dei barattoli di vetro e sterilizzare seguendo le regole per le marmellate fatte in casa.. e buon appetito!
da Antonella Massaro | Dic 28, 2014
Sugli schermi italiani addobbati per le Feste arrivano le Storie pazzesche (titolo originale: Relatos salvajes) dell’argentino Damián Szifrón, introdotte dall’altisonante (e accattivante) “Pedro Almodóvar presenta”, che benedice con la sua produzione un esperimento dall’esito certamente non scontato.
Sei episodi che si snodano lungo il filo conduttore del “farsi Giustizia da sé”, ma che restano sufficientemente distinti e distinguibili. Forse anche troppo, per chi entra al cinema aspettandosi di vedere un film inteso nella sua classica accezione.
È un umorismo nero quello innescato dalla scintilla che fa esplodere la rabbia troppo a lungo repressa dei protagonisti. Scene di vita quotidiana: un’automobile rimossa “ingiustamente”, un insulto di troppo tra automobilisti, un incidente stradale con vittime innocenti (la goccia che fa traboccare il vaso in ben tre storie su sei è legata a situazioni attinenti derivanti dalla circolazione stradale), una vita di rifiuti e frustrazioni, le ombre del passato che si materializzano all’improvviso, il tradimento del proprio uomo scoperto durante la festa di matrimonio.
Quando il Diritto e la Giustizia decidono di fare i separati in casa, l’unica via praticabile, quella più follemente razionale o più razionalmente folle, sembra indicata dalla Vendetta: a volta amara, a volte dolce, a volte liberatoria, a volte semplicemente necessaria.
Tra i sei episodi si registrano autentiche punte di diamante, come Pasternak, che precede i titoli di testa, o il tragicomico duello tra automobilisti ingaggiato in Il più forte. “Giustizia da sé”, unica soluzione follemente razionale quando si alza il telefono per chiamare la Polizia e la Polizia non risponde. Perché è proprio quando il Diritto e la Giustizia decidono di fare i separati in casa che trova fertile terreno la Vendetta: a volte amara, a volte dolce, altre volte semplicemente necessaria.
Personaggi ben caratterizzati, colpi di scena al posto giusto e al momento giusto, una morale facilmente intuibile. Come nella migliore tradizione del cortometraggio d’autore. Perché più che a degli “episodi” (sono lontani i tempi d’oro di film come Paisà) lo spettatore ha proprio l’impressione di assistere alla proiezione di sei “cortometraggi”.
Dopo aver sdoganato il documentario, il grande schermo tenta l’impresa anche con i corti? Ai posteri l’ardua sentenza. Lo spettatore odierno può godersi nel frattempo il riso amaro di storie pazzesche, eppure così ordinarie.
data di pubblicazione 28 /12/2014
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da Accreditati | Dic 21, 2014
(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Gala)
Gone Girl ovvero la vita di Amy (Rosamund Pike): da ragazza manipolata dai genitori che sin da quando era bambina ne fanno oggetto di una collana di libri per l’infanzia, a donna manipolatrice della sua perfetta ed invidiata vita matrimoniale con Nick (Ben Affleck), almeno sino a quel mattino del 5 luglio del 2012 in cui Amy scompare misteriosamente dalla casa coniugale. Rapita? Forse uccisa? O semplicemente sfuggita ad un marito violento? David Fincher, con l’adattamento cinematografico del best seller di Gillian Flynn L’amore bugiardo, mette sotto la lente di ingrandimento una ben assortita serie di cliché: la coppia perfetta, il loro matrimonio in crisi per tradimento, la vita coniugale che scoppia anche a causa della crisi economica che ha risucchiato i loro lavori, la ricerca di un figlio salva-crisi, l’invadenza dei salotti televisivi e dei processi mediatici che pretendono di colmare il vuoto lasciato da un’inesistente Giustizia terrena, mentre gli “imputati” si adattano con sempre maggiore convinzione alla parte che altri scrivono per loro.
Il tutto è tenuto insieme da un intreccio mai banale, attorno al quale Fincher costruisce un thriller coinvolgente, perennemente sospeso tra psicologico e psicopatico, in cui anche i personaggi minori escono tratteggiati da un’impressionante dovizia di particolari e che, affidando alla stessa scena l’incipit e l’epilogo della storia, segue un’affascinante andamento circolare, ricomponendo in unità due “punti di vista” apparentemente inconciliabili.
data di pubblicazione 21/12/2014
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da Alessandro Pesce | Dic 19, 2014
Lo stress prenatalizio, che fa esplodere i conflitti interpersonali e porta a emergere improvvise voglie di fuga, non è solo caratteristica nostrana (ricordate “Matrimoni” della Comencini?) ma evidentemente miete vittime anche oltr’alpe. Il film della Thompson segue le vicende di una famiglia “allargata” nei tre giorni prima del 25 dicembre, da un funerale dove tutti bisbigliano dei preparativi e dei regali da fare fino al giorno del fatidico pranzo che non vedremo (ma nei titoli di coda c’è una autentica ricetta francese). Vediamo i personaggi nei loro intricati rapporti e sentiamo le loro confessioni rivolte direttamente al pubblico in una indovinata soluzione da quarta parete. Appena un pizzico di deja vu viene perdonato grazie alla brillantezza dei dialoghi e alla bravura iperbolica degli attori: Sabine Azema (scatenata anche nel ballare e cantare), le incantevoli Emanuelle Behart e Charlotte Gainsbourg e i carissimi Claude Rich e Francoise Fabian: scusate se è poco…
A questo film non possiamo che abbinare la sua ricetta, Dinde de Noel ovvero Tacchino di Natale al fois gras, perfetta per un buon….pranzo di Natale!
INGREDIENTI (x 8 persone): Un bel tacchino – 400 g di fois gras fresco – 2 dadi di brodo di pollo – 200 g di salsicce di maiale – 100 g di scalogno – 1 bel fungo porcino – 3 cl di vino rosso – burro q.b. – per la salsa – 20 cl panna liquida – 50 g de fois gras
PROCEDIMENTO: Lasciate soffriggere in una terrina un pò di burro, aggiungete lo scalogno a fette sottili e fate indorarlo in un poco di burro, aggiungete i funghi. Lasciate cuocere da 5 a 6 minuti girando di tanto in tanto; quindi, in un robot da cucina, unire alla carne della salsiccia, i funghi e lo scalogno appena cotti. Prendete poi il fois gras fresco, tagliatene 2 belle scaloppine e mettetele da parte, ed incorporate quindi il resto del fois gras nel robot, aggiungete del sale, del pepe e frullate il tutto. Con questa farcia così ottenuta, riempire la tacchina; poi, con un coltello incidete la carne per poter scollare delicatamente la pelle, ed introducete, tra la carne e le pelli le 2 scaloppine di fois gras che avete tenuto da parte. Preriscaldate il vostro forno a 200°. Prendete una grande pentola di coccio o marmitta, riempitela a metà di acqua. Aggiungete i 2 dadi di brodo di pollo, portate poi a ebollizione e mettete la tacchina a bollire per circa 30 minuti (o meno a seconda delle sue dimensioni). Dopo che si è sgrassata in acqua, disponete la tacchina in un grande piatto, aggiungete sale e pepe q.b.. Infornatela per 1 ora e 30 minuti, senza dimenticare di irrorare di tanto in tanto con del vino affinché la carne non si secchi.
Per la crema da servire con il tacchino:
Con un mestolo, prelevate circa 2 a 3 loschi di succo di cottura nel piatto della tacchina, mettete il succo in una casseruola e fatelo ridurre per metà a fuoco vivo. Lasciate poi la fiamma a fuoco dolce, incorporate la panna liquida con l’aiuto di una frusta. Tagliate i 50 g di fois gras in piccoli dadi e, una volta che la crema è molto calda, aggiungete i dadi di fois gras, sempre alla frusta. Lasciate cuocere 3/5 minuti, ritirate del fuoco e servite con la tacchina.
da Maria Letizia Panerai | Dic 19, 2014
Insolita storia per un’accoppiata collaudata, quella tra il regista R. Scott e Russell Crowe, dopo il grande successo de Il Gladiatore. Un’ottima annata è una commedia romantica molto gradevole, e narra la storia tra Max (R. Crowe) e Fanny (una giovanissima Marion Cotillard), ambientata tra i vigneti della Provenza. A questo film, che ha il gusto ed il profumo di un buon bicchiere di vino d’annata, non potevamo che abbinarci una ciambella a base di formaggio e noci, fantastica come aperitivo.
INGREDIENTI: 1 barattolino da 125gr. di yogurt bianco magro – 3 barattolini (dello yogurt) pieni di parmigiano grattugiato – 3 barattolini (dello yogurt) pieni di farina 00 – 3 uova intere – ½ barattolino (dello yogurt) di olio – 2 etti di fontina – 1 e ½ di brie o di taleggio – 10/12 gherigli di noce – 1 bustina di lievito istantaneo per pizze e focacce – 1 cucchiaio da cucina di semini di papavero – noce moscata o pepe nero q.b..
PROCEDIMENTO: Fate scaldare il forno sopra e sotto a 180°, non termo-ventilato. In una coppa rovesciate il barattolo di yogurt da 125 gr, sciacquatelo ed usatelo come unità di misura: pertanto versate nella coppa con lo yogurt 3 barattolini di parmigiano e mescolate, le 3 uova una alla volta sempre mescolando, 3 barattolini di farina e ½ barattolino di olio, la bustina di lievito istantaneo per pizze e focacce, un pizzico di pepe o di noce moscata. Mescolate tutto ed aggiungete all’impasto la fontina tagliata a cubetti ed il brie sempre tagliato a cubetti (o del taleggio, che conferirà alla ciambella un sapore più deciso). Infine sminuzzateci 5/6 gherigli di noce. L’impasto così ottenuto, molto elastico al tatto, adagiatelo in una pentola con il buco nel centro, precedentemente imburrata o unta con poco olio. Sopra la superficie di questa ciambella di formaggio spolverateci il cucchiaio di semini di papavero ed infilzate i rimanenti gherigli di noce come decoro. Infornare in forno ben caldo per 20 minuti e togliere subito dopo, altrimenti si asciuga troppo ed invece deve risultare morbida ed umida. E’ buona fredda o tiepida e, se la avvolgete a della carta argentata, si conserva morbida un paio di giorni. Quando la servite, inserite nel buco centrale delle patatine fritte: contribuiranno a creare un aperitivo buono e bello.
da Maria Letizia Panerai | Dic 17, 2014
(Festival di Cannes – Sezione Quinzaine des Réalisateurs)
LGSM è l’acronimo di Lesbian and Gay Support the Miners, nome che nel 1984 si diede uno sparuto gruppo di attivisti gay; Lesbiche e gay aiutano i minatori divenne anche il loro slogan, urlato per le strade di Londra, allo scopo di rastrellare fondi per i minatori del Galles che, proprio in quell’anno, avevano iniziato uno sciopero in massa per protestare contro lo smantellamento di molti siti estrattivi voluto dal governo di Margaret Thatcher. Il movimento, capitanato dal giovane attivista Mark Ashton che ebbe l’acume di ravvisare una certa – seppur incredibile – assonanza tra la lotta della comunità gay londinese e quella dei minatori, in quanto entrambi vittime dello stesso sistema, dovette ovviamente affrontare diffidenze, pruriginose intolleranze ed inevitabili pregiudizi anche da parte di alcuni gruppi degli stessi minatori, che rifiutavano l’idea di farsi sostenere avvicinando così le loro differenti forme di protesta. Tuttavia LGSM riuscì ugualmente nel suo intento, arrivando ad organizzare un grande concerto di beneficenza per la raccolta fondi, favorendo così anche l’incontro sociale tra queste due realtà così apparentemente distanti.
Pride di Matthew Warchus, vincitore quest’anno a Cannes della Queer Palm e in nomination ai Golden Globe 2015, è una piacevole commedia basata su questi fatti realmente accaduti, capace di narrare un’incredibile storia di solidarietà tra individui in lotta per difendere i propri diritti nell’Inghilterra degli anni ‘80, senza però essere un film di impegno politico. Girato nelle location dell’epoca e parlando di persone realmente esistite, il film seppur scivoli in facili cliché e in un pò di retorica, lasciando sicuramente più spazio al divertimento che all’analisi del periodo storico in cui si svolge l’intera vicenda, risulta tuttavia piacevole perché non ha la pretesa di essere “impegnato”. Pride è intriso di una certa piacevole leggerezza, con un tema centrale orientato più sull’amicizia che sulla denuncia, concetto perfettamente simboleggiato dalle immagini finali che ricostruiscono il Gay Pride del 1985 a Londra in cui, tra lo stupore generale, una moltitudine di minatori gallesi raggiunsero i loro sostenitori per aprire il corteo, a conferma che l’unione e la solidarietà tra individui, anche se molto diversi tra loro, renda forti.
data di pubblicazione 17/12/2014
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da Antonella Massaro | Dic 14, 2014
Il Teatro Argentina, fino al 1 gennaio 2015, ospita Natale in Casa Cupiello, lo spettacolo che la penna dolce e amara di Eduardo ha reso mirabile sintesi di quella contraddittoria atmosfera della quale sono permeate queste settimane di Festa. La famiglia riunita, l’unità ritrovata, la statica perfezione del Presepe è quel che si vede. I legami che si allentano, i vuoti che non si colmano, l’inesorabile disfacimento dell’illusione è quel che si sente. Luca, ingenuo e utopico sognatore, prova a rendere il Presepe virtuoso catalizzatore di buone intenzioni e di buoni sentimenti, ma, costretto ad aprire quegli occhi che per troppo tempo ha tenuto chiusi, si troverà a disegnare la sua personalissima parabola, così cristologica eppure così umana, che dalla Natività conduce alla Morte.
Incidere sperimentalmente su un pezzo di teatro che tende alla perfezione nella sua versione originale è indubbiamente un’operazione ardita, come quella di valorizzare una messa in scena densa di simbolismi, che sviscera il testo e gli attori, che lavora sul linguaggio e sui corpi, quando si ha a che fare con battute che “parlano da sole”.
È sicuramente potente e suggestiva la resa della dialettica stasi-cambiamento, attraverso quell’immobilismo iniziale spazzato via dal movimento tumultuoso che invade letteralmente l’intero palcoscenico per poi ricomporsi nel finale in una plasticità pacata e armonica.
L’impressione dello spettatore, tuttavia, è quella di aver assistito a uno spettacolo nuovo, che resta “Natale in casa Cupiello” solo nel titolo e nel nome dei personaggi. La questione del “riadattamento dei classici” a teatro è troppo nota e troppo complessa per essere affrontata da uno sguardo laico. Quello stesso sguardo laico che però, almeno ogni tanto, preferirebbe che la rilettura di un testo non originale venisse sostituita dalla scrittura di un testo originale. E che Eduardo, almeno ogni tanto, non venisse riletto, ma solo interpretato.
data di pubblicazione 14/12/2014
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Dic 12, 2014
La ricetta degli arancini di riso (in Sicilia dette arancine) non possiamo che ovviamente abbinarla all’omonimo racconto di Andrea Camilleri ed alla serie televisiva, che hanno come protagonista il Commissario Montalbano, egregiamente interpretato da Luca Zingaretti.
Invece di passare la notte di Capodanno con la fidanzata Livia a Parigi, Montalbano decide di rimanere a Vigata a casa della fedele cameriera Adelina che per l’occasione ha preparato le gustose arancine al ragù. La serata viene drasticamente disturbata dalla notizia che uno dei due figli di Adelina, entrambi pregiudicati, è sospettato di aver partecipato ad una rapina in un supermercato. Sarà una telefonata anonima agli inquirenti a rivelare che il ragazzo è totalmente estraneo al fatto e quindi la cena viene salvata e con essa anche le famose arancine…
Vi suggeriamo due tipi di condimento tradizionale della tipica ricetta siciliana: quello al ragù e quello in bianco.
INGREDIENTI (per la preparazione di circa 24 arancini): 800 grammi di riso arborio super fino – una cipolla – brodo – olio d’oliva ed un litro d’olio per frittura – 2 bustine di zafferano una noce di burro – 100 grammi di parmigiano – pan grattato e due cucchiai di farina.
Al ragù: 1 cipolla – 200 grammi di carne di vitello macinata – mezzo tubetto di concentrato di pomodoro – 80 grammi di pisellini surgelati – sale, pepe, mezzo bicchiere di vino bianco, olio d’oliva.
In bianco: 100 grammi provoletta dolce – 100 grammi provoletta affumicata – 100 grammi di prosciutto cotto praga – 30 grammi di salame milano .
PROCEDIMENTO: Preparare un ragù ristretto facendo prima soffriggere in olio d’oliva la cipolla a pezzetti e la carne, sfumando il tutto con un mezzo bicchiere di vino bianco. Aggiungere un bicchiere di acqua ed il concentrato di pomodoro e lasciare cuocere a fuoco lento per un 40 minuti, a metà cottura aggiungere i pisellini, sale e pepe. Altrimenti si prepara una besciamelle abbastanza densa nella quale versare tutti gli ingredienti per arancine in bianco, in modo da ottenere una pasta filante ed omogenea. Si consiglia di preparare i due diversi condimenti la sera prima e di riporli tutta la notte in frigo in modo tale che siano ben solidi al momento di riempire gli arancini.
Preparare il risotto alla maniera tradizionale, facendo soffriggere una cipolla in abbondante olio d’oliva, aggiungere poi il riso ed il brodo insieme a due bustine di zafferano. Il riso dovrà essere cotto al dente. Aggiungere una bella noce di burro ed abbondante parmigiano grattugiato. Il riso va poi disteso su un ripiano e lasciato raffreddare. Una volta che il riso si è freddato, si procede alla preparazione dell’arancino ponendo sul palmo della mano il riso, aggiungere una bella dose di condimento ben rappreso e qualche pezzettino di provola (solo per il condimento rosso al ragù) e richiudere con altro riso in modo da ottenere una palla ben chiusa del diametro di circa 8 o 10 centimetri. Si prepara a parte una pastella semiliquida con farina ed acqua e gli arancini vengono quindi ripassati prima con questo collante, per evitare che si aprano durante la frittura, e poi con il pan grattato cercando di comprimere bene la massa e darle una forma rotonda e compatta.
Infine si passa alla frittura. Si dovrà utilizzare almeno un litro di olio per friggere il quale dovrà essere portato ad una temperatura abbastanza alta prima di immergervi gli arancini; lasciare friggere per circa 4 minuti. Scolare.
da Antonio Iraci | Dic 12, 2014
(Firenze, Palazzo Strozzi-20 settembre 2014-25 gennaio 2015)
In collaborazione con il Museo Nacional Centro deArte Reina Sofìa di Madrid, Palazzo Strozzi ci presenta fino al 25 gennaio 2015 una mostra tutta dedicata a Pablo Picasso ed al suo rapporto con altri pittori spagnoli contemporanei, ben noti anche da noi, quali Joan Mirò, Salvador Dalì, Gris, Julio Gonzàlez, Antoni Tàpies ed altri.
Le tematiche proposte dagli artisti che emergono da circa 90 quadri e disegni in esposizione, sono varie e abbracciano il periodo che inizia nel 1910 e termina con i primi anni sessanta, ancora sotto la dittatura franchista, inserendosi quindi in un contesto storico-politico molto drammatico e travagliato per la Spagna.
E’ proprio con riferimento alla guerra civile spagnola e al drammatico bombardamento della città di Guernica (che porterà poi alla vittoria del regime nazionalista di Franco) che Picasso realizza l’opera forse più drammaticamente rappresentativa delle tensioni e contraddizioni del secolo: la ferocia della Storia e le drammatiche vicende, di cui l’uomo è vittima e protagonista, travolgono e cancellano qualunque codice di riferimento precedente sia etico che estetico … la crisi della Storia e il buio della ragione in cui precipita si traducono quindi, per un artista universale come Picasso, in crisi del linguaggio e nel buio di ogni possibile rappresentazione …
È da questo deserto bruciato dal fuoco dei bombardamenti fascisti che diventa necessario rigenerare il senso e il valore di un nuovo linguaggio che, sovvertendo i canoni estetici di riferimento, si affermi come espressione di una definitiva frattura tra l‘Uomo e la Storia: una rappresentazione che sia la negazione di quanto fin allora affermato attraverso la pittura commemorativa: in questo senso, pur non proponendo la visione dell’opera definitiva originale, la mostra offre l’opportunità di esaminare tutta una serie di disegni e dipinti preparatori che testimoniano esaurientemente il convulso travaglio dell’artista, in questa disperata quanto appassionata ricerca di un immagine “nuova”, di un immagine “altra” .
Le macerie di Guernica dunque, sono anche le macerie del quadro cosiddetto “di Storia”, in cui colore, prospettiva, rappresentazione naturalistica, sono annientati dal vuoto prodotto dalla follia umana, stabilendo una definitiva distanza dal passato e ponendosi come manifesto della pittura del nuovo secolo. L’esposizione universale del 1937 fu infatti teatro del suo sbalorditivo debutto (AdM).
Non penso sia il caso di soffermarsi a sottolineare ulteriormente l’importanza di questa opera che ha sicuramente rivoluzionato l’arte figurativa del novecento, ma certamente si rimane colpiti dall’atteggiamento di totale opposizione all’ideologia fascista, allora dilagante, con il quale l’artista affronta il soggetto.
Picasso afferma inoltre che non esiste alla base di un dipinto una idea definitiva e “a priori”, ma l’opera piuttosto subisce tutta una serie di trasformazioni a partire da un’idea in divenire, che dal suo concepimento l’accompagna fino alla definitiva realizzazione e prosegue, in un processo di continuo cambiamento, attraverso lo sguardo mutevole ed il peculiare stato d’animo dell’osservatore.
Spostando lo sguardo altrove, questa tesi la riscontriamo anche nelle altre sezioni della mostra ed in particolare in quella che comprende alcuni dipinti di donne, iniziando proprio dal lavoro del 1963: Il pittore e la modella.
Le donne sono un tema costante nella vita dell’artista e non solo come soggetto fonte di ispirazione ma come fulcro vitale della sua vita privata e creativa, fino alla sua morte.
Il soggetto femminile è un universo mutevole e inafferrabile da esplorare con ossessiva e divorante curiosità, con maniacale ripetitività; una forma archetipica centrale al suo immaginario che di volta in volta assume le forme o i tratti delle donne che accompagnano la sua vita sentimentale o che alimentano i sui appetiti sessuali: immagine arcaica, ma anche compagna carnale e lasciva, spesso rappresentata in abbandoni erotici che rasentano il pornografico.
Sotto diversa prospettiva è il ritratto di Dora Maar, una delle tante donne di Picasso, amante dell’artista tra la fine degli anni trenta e l’inizio degli anni quaranta, fotografa che ha dettagliatamente documentato la realizzazione di Guernica.
In questo dipinto dalle tinte forti si rimane colpiti dall’intensità dell’espressione della donna ritratta che lascia intravedere il variegato ed incostante mondo dell’artista ed il suo differente atteggiamento verso la vita e soprattutto verso l’amore.
Da non sottovalutare infine le opere degli altri pittori spagnoli in mostra che, nel solco tracciato da Picasso, hanno a loro volta contraddistinto, attraverso un personale percorso di vita e di ricerca, altri aspetti della modernità, nonostante o forse proprio in virtù del fatto di aver vissuto in un drammatico contesto come quello a cui abbiamo fatto riferimento sopra.
La mostra di Palazzo Strozzi offre pertanto al visitatore un percorso artistico ricco e affascinante e fa comprendere come questi artisti, iniziando appunto da Picasso, abbiano veramente rivoluzionato il concetto di forme e di bellezza che ha caratterizzato il XX secolo.
data di pubblicazione 12/12/2014
da T. Pica | Dic 11, 2014
(Teatro Argot Studio – Roma, 3/14 dicembre 2014)
Dal 3 al 14 dicembre il Teatro Argot Studio si conferma centro sperimentale e culla del teatro tradizionale della scena romana e non è un caso se Sergio Rubini ha scelto proprio questo luogo per portare in scena il Romanzo di Dostoevskij. In un teatro piccolo, il cui pavimento in parchè consumato lascia respirare i passi di coloro che lo hanno solcato, e ancora oggi lo solcano, mossi esclusivamente dalla irrefrenabile e più pura fiamma per l’arte della recitazione, Sergio Rubini e Pier Giorgio Bellocchio danno vita a un apparente “reading” di Delitto e Castigo, strutturando l’Opera in due serate. I due attori realizzano un’interpretazione vibrante dei passi più salienti del testo di Dostoevskij al punto che i fogli che ogni tanto sembrano leggere, sfogliare o che più semplicemente sono arrotolati tra le loro mani o poggiati sul leggio, sembrano essere la sola finzione scenica della rappresentazione. L’atmosfera è intima, buia, la scenografia minimale: un tavolino con una candela, due sedie di legno e qualche giacca e dei cappotti pendono dal soffitto. Poi solo due volti, e a tratti solo due corpi, illuminati nella loro interezza da una calda ma non troppo incisiva luce, accompagnati da qualche sporadico rumore di sottofondo, trasmettono tutta l’ansia, le angosce, il fluire di coscienza, le emozioni del protagonista Raskol’nikov, sapientemente calibrato da Bellocchio, da un lato e l’ipocrisia, i sentimenti, la rassegnazione, lo squallore e, talvolta, l’aridità dei personaggi, femminili e maschili, contro i quali Raskol’nikov si imbatte, tutti egregiamente rappresentati da uno stupefacente Rubini, dall’altro. Sergio Rubini e Pier Giorgio Bellocchio rapiscono il pubblico al punto che l’intervallo che separa (anche) per 3-4 giorni la “serata Delitto” dalla “serata Castigo” non si percepisce bensì rimane intatto il filo narrativo ed emozionale che unisce il massimo pathos degli ultimi minuti del Delitto alla fuga di Raskol’nikov dal palazzo dell’usuraia assassinata che da inizio al Castigo. Lo spettacolo regge interamente sui volti, la gestualità e, soprattutto, sulle perfette modulazioni delle voci dei due attori, il protagonista Raskol’nikov, la voce narrante e i vari personaggi: entrambi emozionano, scuotono, catalizzano lo spettatore in un moto interiore continuo. Nella seconda serata come non citare il cameo della brava ed espressiva Vanessa Scalera – veterana del palco dell’Argot – nei panni del personaggio di Sonia.
Nella realtà odierna, fin troppo spesso insipidamente patinata e vuota, è bello imbattersi in attori navigati e famosi che, nonostante la fama, le luci del grande schermo e gli anni di onorata carriera, amano ritornare alle origini, alle dimensioni di quei teatri/scuola in cui hanno mosso i primi passi, per offrire uno spaccato di vero Teatro. E dove, come nel caso del Teatro Argot di Trastevere, a sipario calato quegli stessi attori, compreso il mattatore Rubini, nell’atrio e nel cortiletto insieme al pubblico fondono le dimensioni “palcoscenico” e “realtà”.
data di pubblicazione 11/12/2014
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