TRENO DI NOTTE PER LISBONA di Bille August, 2013

TRENO DI NOTTE PER LISBONA di Bille August, 2013

Il professore di liceo Raimund Gregorius (Jeremy Irons) una mattina, mentre si reca alla scuola in Berna dove insegna, salva dal suicidio una ragazza che, non appena ripresasi, scappa velocemente lasciandogli per caso un libro di un autore portoghese, Amadeu de Prado, medico e membro della resistenza al regime dittatoriale di Salazar, assieme ad un biglietto ferroviario per Lisbona.

Il professore, spinto da una irrefrenabile curiosità di scoprire il perché di quel gesto disperato e soprattutto ciò che si cela dietro quel drammatico momento politico, non esita a prendere un treno notturno per Lisbona, sconvolgendo in tal modo la sua routine quotidiana…

Questo film che, nonostante la bravura del protagonista e la storia abbastanza intrigante non ha avuto il meritato successo al botteghino nè un giusto riconoscimento da parte della critica, ci suggerisce questa ricetta che ha come base il baccalà, tipico ingrediente della cucina portoghese: il gateau di baccalà.

INGREDIENTI (x 6/8 persone):800 grammi di baccalà già preparato e dissalato – una noce di burro -1 porro – 1 cipolla e 1scalogno –  1kg di patate – prezzemolo, sale e pepe q.b. – 100 gr di burro – pan grattato q.b..

PROCEDIMENTO: Sistemare il baccalà a pezzi anche grossi in una casseruola con un poco di burro, pepe e prezzemolo. Aggiungere il porro e lo scalogno a pezzetti a lasciare cuocere a fuoco lento. Intanto bollire le patate in abbondante acqua salata. Cotte le patate, vanno pelate e passate con lo schiacciapatate, poi rimaneggiate con burro e prezzemolo. Aggiungere a questo punto il baccalà, anch’esso da amalgamare alle patate ma lasciandolo a pezzetti, ed il tutto va sistemato poi in una teglia oleata e cosparsa con pan grattato. Sistemato l’impasto nella teglia, va terminato con pan grattato e fiocchetti di burro e pepe.

Mettere in forno pre riscaldato a 180°, una trentina di minuti e servire quindi lo sformato tiepido.

Eötvös:   PERCUSSIONI PER MARTIN GRUBINGER

Eötvös: PERCUSSIONI PER MARTIN GRUBINGER

L’altra sera all’ Auditorium il compositore ungherese Peter Eötvös ha egregiamente diretto l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in un brillante concerto per percussioni, di propria composizione, lasciando al giovane Grubinger l’interpretazione singolare del proprio lavoro: Speaking Drums (Tamburi Parlanti).

Di che si tratta?

Eötvös trascrive in musica alcune opere del poeta ed autore ungherese Sándor Weöres (1913-1989) ed in particolare prende ed assimila tutta una sequenza di parole e le trasforma con sapienza in una base musicale per il percussionista, il tutto prendendo spunto da alcuni musicisti che interagiscono con il proprio strumento mediante la propria voce.

Ecco quindi che troviamo la risposta del perché di Tamburi Parlanti: le parole non hanno un peso in sé, ma al compositore servono per seguire una propria traccia, per costruirci su una struttura ritmica, per generare così quattro poesie per percussione solista e orchestra.

In Speaking Drums la composizione essenzialmente usa il parlato ed il gesto (tribale-selvaggio) del solista che in tal modo dà una immagine spettacolare del sé: suono-voce-movimento in una fusione scenica per esprimere la poesia di Weöres.

Il concerto si adatta perfettamente, come un abito sartoriale su misura, al genio artistico del percussionista Grubinger, forse non a caso nato a Salisburgo, e che interpreta al meglio di sé le intenzioni del compositore.

Pur giovanissimo, è riuscito in poco tempo a farsi conoscere in tutto il mondo, accompagnando orchestre di riconosciuta fama internazionale, ed a portare all’attenzione del pubblico tutta una serie di concerti solistici, recital e brani per musica da camera con sapiente utilizzo delle percussioni.

In questa carrellata musicale anche il pubblico attento dell’Auditorium è rimasto piacevolmente coinvolto dal virtuosismo musicale di questo giovane percussionista il quale con una sorprendente dinamica scenica si è mosso, quasi volando, tra sei diverse postazioni distinte, ciascuna con un set proprio di tamburi, seguendo la partitura non in maniera rigorosa, ma aggiungendo anzi grandi momenti di improvvisazione.

Da notare l’uso che  Grubinger fa delle bacchette quando le lascia quasi rimbalzare sui tamburi che diventano a questo punto un simbolo-totem attorno al quale si può esibire in una danza ritmica ancestrale, emettendo suoni gutturali e parole di poche sillabe associate a pattern ritmici ben studiati.

Di contro l’orchestra replica a queste manifeste provocazioni del solista con massicci interventi, a volte quasi in sordina a volte in netto contrasto tonico, in un dialogo armonicamente perfetto creando così una pagina poetica di altissimo livello.

Oltre al solista, bisogna comunque dare giusto e meritato rilievo a Eötvös, classe 1944, considerato tra le personalità più significative della scena musicale di oggi quale compositore di opere liriche, brani per orchestra e concerti eseguiti da importanti orchestre in festival di musica contemporanea nel mondo.

Pubblico prima sorpreso, poi sempre più attento ed infine entusiasta della performance del giovane percussionista che ha riscosso grandi applausi, concedendo infine un bis sempre caratterizzato dal suo inconfondibile estro e da un naturale, direi innato, virtuosismo.

data di pubblicazione 06/02/2015

SKYLIGHT – National Theatre Live, di Stephen Daldry

SKYLIGHT – National Theatre Live, di Stephen Daldry

Gardening. If I could make it illegal, I would (da Skylight). Ogni volta che mi trovo al cinema Farnese di Roma per la rassegna del National Theatre live da Londra (ormai al suo secondo anno, nella sala romana), il pensiero che mi accompagna fino alla fine della performance è: “Ma quanto sono bravi questi inglesi!”.

L’opportunità per gli appassionati di teatro è ghiotta: poter assistere a degli spettacoli che fanno  parte del cartellone del National Theatre di Londra (e che quindi sarebbero inaccessibili ai più, a meno di avere tempo e soldi a profusione per volare nella capitale britannica regolarmente), ascoltarli in lingua originale ma con l’aiuto dei sottotitoli che quindi facilitano la comprensione del testo (cosa piuttosto rilevante in uno spettacolo teatrale!), e godere anche della bella regia che ne viene fatta per il grande schermo. Se a questo si aggiunge la grandezza degli attori in scena, il regalo è assicurato, per ogni spettatore che si ritenga buongustaio.

Gli ingredienti della serata di martedì 3 Febbraio erano superbamente selezionati: Carey Mulligan ( Shame, Drive, Il grande Gatsby, A proposito di Davis, tanto per citare alcuni suoi film) e Bill Nighy (la divertente rock star di Love actually, e poi  I love Radio Rock, Pride, tra i suoi lavori) a riempire la scena, lo schermo e i cuori degli spettatori, con i loro Kyra ed Edward. La regia cinematografica di Stephen Daldry, che riesce a regalare quei piccoli dettagli dei gesti e delle espressioni degli attori che sono un arricchimento di questa nuova modalità di fruizione di uno spettacolo teatrale, quello della ripresa cinematografico/televisiva.

Il testo, Skylight, di David Hare, adattatore per il cinema di The Reader -A voce alta e di The Hours, sceneggiatore de Il danno diretto da Louis Malle, tra gli altri, e vincitore, proprio con Skylight, dell’Olivier Award. Il sapore è quello di una storia d’amore, un amore nascosto, adultero, tra due persone che si ritrovano, anni dopo la fine di quell’amore, a mettere in scena le loro età , concezioni di vita e condizioni economiche diversissime. Un confronto serrato che diverte, commuove e lascia in bocca un retrogusto amaro.

Un pizzico di sale viene aggiunto dall’intervista all’autore, realizzata durante lo spettacolo a Londra, e trasmessa nell’intervallo. Egli risponde deliziosamente all’intervistatrice che gli chiede che effetto gli faccia vedere in scena, di nuovo, il suo testo, datato ormai 1995: c’è il test dei 10 anni, per un libro o uno spettacolo: se dopo 10 anni ha ancora qualcosa da dire, allora significa che è valido.  Test superato col massimo dei voti. Non perdete i prossimi appuntamenti! (per dettagli, www.cinemafarnese.eu)

data di pubblicazione 04/02/2015


Il nostro voto:

TONI SERVILLO LEGGE NAPOLI, per Medici Senza Frontiere

TONI SERVILLO LEGGE NAPOLI, per Medici Senza Frontiere

(Teatro Argentina, Roma – 2 febbraio 2015)

Solo (ahimè) per una sera il Teatro Argentina e Toni Servillo hanno aperto le porte del Teatro ad un’iniziativa di beneficienza a sostegno di Medici Senza Frontiere. E così lo spirito solidaristico supportato dalla garanzia dell’ipnotica bravura di Toni Servillo hanno presentato un Teatro Argentina sold out fino all’ultimo palchetto. Servillo conduce lo spettatore in un viaggio di un’ora e mezza che si muove in senso opposto a quello della Divina Commedia: si parte dal Paradiso, si attraversa il Purgatorio e si scende nell’Inferno. Il cuore di questo percorso è il costante dialogo, talvolta quasi una sorta di negoziazione, tra la vita e il tema della morte e dell’aldilà, tra l’uomo e i santi del Paradiso, che contraddistingue gran parte della letteratura napoletana da sempre. Toni Servillo è spiazzante nella lettura interpretata, vibrante e nella recitazione instancabile di testi che vanno da Vincenzo De Pretore di Eduardo De Filippo (forse la più esilarante) e poi si alterano tra i capisaldi della poesia napoletana come Salvatore Di Giacomo, Raffaele Viviani, Ferdinando Russo e i nuovi poeti contemporanei, tra i quali spiccano Enzo Moscato e Mimmo Borelli il quale ha coniato nuove litanie con parole (dallo stesso inventate) incredibilmente musicali e visionarie. L’Attore solo con un leggio recita ogni poesia mantenendosi fedele ai diversi suoni e dialetti propri delle varie “appendici” campane che circondano la città di Napoli. Tra una poesia e l’altra il discreto ed elegante Servillo ti spiazza anche quando per sorseggiare dalla sua bottiglietta d’acqua minerale si volta verso lo scheletro della scenografia dello spettacolo Le voci di dentro, dando così per pochi secondi le spalle al pubblico, e chiede agli spettatori scusa per simile “gesto”: per una serata l’Attore tenta di eclissarsi per lasciare il dominio assoluto della scena, e gli applausi, alla poesia degli Autori Napoletani. Sono loro gli unici protagonisti, i veri artefici dell’Opera d’arte in scena. Uno spettacolo che avvolge e che, grazie alle coincise introduzioni/spiegazioni sui vari Autori Napoletani rese da Toni Servillo e alla sua indubbia bravura, “fa vedere Napoli” anche a chi (vergognosamente) non ci è mai stato e fa amare Napoli e la sua letteratura anche a chi, come gran parte del pubblico dell’Argentina, non conosce – e dunque non può comprendere il significato di tutte le strofe – il musicale, figurativo, ritmato e colorito dialetto napoletano. Da domani sicuramente molti degli spettatori, seppure analfabeti della lingua napoletana, compreranno alcuni dei testi che più hanno amato in questa serata speciale per conoscerla meglio e apprezzare fino in fondo il patrimonio dei suoi grandi Poeti.



data di pubblicazione 03/02/2015


Il nostro voto:

IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON di David Fincher, 2008

IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON di David Fincher, 2008

Il curioso caso di Benjamin Button è un film che fa riflettere e sognare al tempo stesso, perché riesce

a mettere a paragone il tranquillo svolgersi di una vita straordinaria con la normale straordinarietà delle nostre vite grazie alla figura di Benjamin, che vive a ritroso per novant’anni la propria esistenza, nascendo anziano e morendo neonato. Liberamente tratto da un breve racconto di Francis Scott Fitzgerald, a sua volta ispirato dalla citazione di Mark Twain la vita sarebbe infinitamente più felice se solo potessimo nascere a 80 anni e gradualmente raggiungere i 18, il film di David Fincher ha come tema principale l’amore per la vita e l’inscindibile legame che essa ha con la morte. Il “vecchio” Benjamin (un insolito e bravo Brad Pitt), vive serenamente la sua singolare fisicità, riuscendo con l’esperienza di un anziano e l’entusiasmo di un giovane a gustare a pieno ogni sfumatura della sua vita, sino all’incontro con Daisy (Cate Blanchett) l’amore dalla A maiuscola, descritto dal regista come un momento perfetto, un vero e proprio attimo fuggente in cui si incontrano la consapevolezza di lui di avere davanti a sé il fatto di regredire all’infanzia e di lei di dover accettare di invecchiare senza poterlo avere al suo fianco. Condannati alla lontananza l’uno dall’altra, in entrambi tuttavia maturerà una grande forza che li porterà all’epilogo dei loro destini.

E non potevamo affiancare a questa favola, una ricetta che fa tornar bambini: le frittelle di pasta di pane di mia nonna Romilda.

INGREDIENTI: 200gr di farina 00 – 10gr di lievito di birra – acqua tiepida q.b.(circa 100gr:) – olio di oliva q.b. – sale q.b. – olio di arachidi o di oliva per friggere.

PROCEDIMENTO: Sciogliete il lievito in un quarto di bicchiere di acqua tiepida (circa 100 gr). Setacciate la farina in un’ampia ciotola, formate la fontana e versate il lievito sciolto, un pizzico di sale e un filo di olio. Cominciate a lavorare gli ingredienti dal centro verso l’esterno della fontana fino ad ottenere un impasto simile a quello della pizza. Se l’impasto è troppo asciutto aggiungete un cucchiaio di acqua se troppo morbido aggiungete un pò di farina.

Disponete l’impasto in una ciotola e fate riposare, coperto da un canovaccio, per un paio d’ore o fino a quando non avrà raddoppiato il volume.

Trascorso questo tempo, stendete l’impasto con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia al massimo di mezzo centimetro e, come faceva mia nonna, prendete delle porzioni di impasto e fate delle palline, schiacciatele con il palmo della mano e con le dita riducetele a delle frittelle circolare (ricordo ancora nitidamente quei gesti, così sicuri: noi nipoti eravamo certi che avremmo mangiato una prelibatezza!).

Riscaldate l’olio in un tegame fino a quando inserendo un pezzettino di impasto questo non comincerà a cuocere immediatamente. Friggete le frittelle una/due alla volta per evitare che la temperatura dell’olio di cottura si abbassi troppo e il fritto assorba troppo olio. Quando si saranno gonfiate, diventando di un bel colore dorato, giratele e terminate la cottura. Scolatele, passatele su un doppio foglio di carta da cucina e servite subito su di un piatto foderato di carta paglia accompagnate con prosciutto tagliato a mano o salumi o gorgonzola o semplicemente, come faceva mia nonna, foderate due piatti di carta paglia e cospargete alcune frittelle in un piatto con il sale ed in un altro con lo zucchero, saranno ottime come merenda per grandi e piccini: per noi nipoti era una festa fare merenda con le frittelle della nonna!

I BASILISCHI di Lina Wertmüller, 1963

I BASILISCHI di Lina Wertmüller, 1963

Dopo l’esperienza come aiuto regista di Fellini nel film Otto e mezzo, Lina Wertmüller debutta come regista ne I basilischi, di cui cura anche il soggetto e la sceneggiatura. Girato in un piccolo paese situato tra la Puglia e la Basilicata dove trova radice la sua famiglia paterna, il film, premiato con la Vela d’argento al Festival di Locarno ed altri premi a Londra e a Taormina, narra della pigra vita di tre giovani: Francesco (un monumentale Stefano Satta Flores), Sergio (Sergio Ferrarino) e Antonio (Antonio Petruzzi), incapaci di scrollarsi i pregiudizi della tipica mentalità del profondo sud. Apatici e provinciali, impiegano gran parte delle loro indolenti giornate tra una passeggiata lungo il corso del paese, una bevuta al bar per fare due chiacchiere e la siesta pomeridiana durante la “controra”, quell’intervallo di tempo in cui tutti gli abitanti del paese, dopo aver pranzato, vanno a “coricarsi” e le strade assolate del corso diventano deserto.

Questa pellicola dal sapore tutto mediterraneo, sicuramente da recuperare e gustare, ci ispira una facile ricetta di lasagne vegetariane.

INGREDIENTI (x 8/10 persone):3 peperoni – 4 zucchini – 2 melanzane tonde – 1 litro di latte – 80 gr di burro – 1 etto di farina – noce moscata q.b. – 1confezione di lasagne verdi – mix di formaggi composto da provola dolce, provola affumicata, asiago, emmenthal – 2 etti di parmigiano grattugiato – olio d’oliva per la frittura – sale e pepe q.b..

PROCEDIMENTO: Tagliare i peperoni e gli zucchini a listarelle sottili e le melanzane a piccoli cubetti. Friggere a turno in abbondante olio d’oliva e mettere da parte per un’ora affinché l’olio assorbito durante la frittura venga restituito nel colino o sulla carta assorbente. Il mix di formaggi si può ottenere frullando i vari pezzi in modo da mescolare i vari gusti. Le lasagne possono essere sistemate in teglia anche crude, ma si preferisce sbollentarle per pochi minuti in acqua salata e poi sistemarle su un panno. A questo punto si procede alla preparazione della besciamella alla maniera tradizionale, ma cercando di ottenere una crema molto liquida. Una volta pronti tutti gli ingredienti si procede alla sistemazione a strati nella apposita teglia alternando con i fogli di lasagna e aggiungendo via via abbondanti manciate di parmigiano grattugiato assieme al mix di formaggi. Sull’ultimo strato aggiungere sale, pepe e qualche fiocchetto di burro.

Mettere in forno  a 180° per circa 40 minuti e servire a temperatura ambiente.

TURNER di Mike Leigh, 2015

TURNER di Mike Leigh, 2015

É finalmente arrivato nelle sale italiane Turner. Il film, osannato dalla critica, scritto e diretto da Mike Leigh, ha ricevuto ben quattro nomination agli Oscar (fotografia, scenografia, costumi e colonna sonora), dopo che il protagonista Timothy Spall è stato meritatamente premiato a Cannes per la migliore interpretazione maschile. Il regista, che assieme a Ken Loach potremmo definire un esponente di quel realismo inglese fatto di piccole storie contemporanee su persone appartenenti alle classi meno abbienti, spesso perdenti, personaggi sovente scomodi e difficili (Segreti e Bugie, Happy Go Lucky, Another Year), già ne Il segreto di Vera Drake aveva operato una digressione, accostandosi ad ambiti e storie lontane nel tempo, regalandoci un film bellissimo premiato poi con il Leone D’Oro a Venezia.

William Turner, pittore paesaggista dell’800, è un viaggiatore solitario che usa disegnare paesaggi sul suo taccuino per poi rielaborare gli schizzi su tela nello studio della sua casa; vive con l’anziano padre, che gli fa da instancabile assistente ma che in gioventù fu il miglior barbiere di Covent Garden, e verso il quale nutre un profondo affetto che manifesta attraverso una tenerezza che gli calza malamente addosso e che generalmente non mostra nei confronti di nessun altro essere umano, soprattutto se di genere femminile. Sembrerebbe infatti odiare particolarmente le donne, trattando con sprezzante distacco la moglie, dalla quale si è separato, e le figlie delle quali arriva addirittura a negarne l’esistenza, oltre alla sua devota governate che chiama damigella, ma che “possiede” quando ne ha voglia e senza troppe spiegazioni. In realtà Turner, uomo geniale dal brutto carattere, solitario e orso, odia tutte le persone parassite ed “affette da servilismo”, senza dignità, rivolgendo la sua stima ai rari esponenti del genere umano che con orgoglio e coraggio affrontano la vita ed il loro destino. Una di queste è la signora Booth, una vedova di cui si innamora inspiegabilmente. Paragonandola alla dea greca dell’amore Afrodite, Turner vive con lei gli ultimi anni della sua vita in una sorta di seconda giovinezza: Signora Booth, siete una donna di immensa bellezza…quando mi guardo io allo specchio vedo una garguglia. Il primo marito della signora Booth era morto disperso in mare mentre il secondo, che aveva lavorato sulle navi negriere, ne era tornato talmente turbato e scosso da non riuscire a sopravvivere con quel peso sul cuore; Turner, che nella sua vita aveva dipinto solo ridicoli naufragi, come ebbe a dire in un momento di collera la sua vera moglie, trova nell’accogliente e gentile Signora Booth il porto in cui rifugiarsi e trascorre gli ultimi anni della sua vita.

Sicuramente una pecca di questa pellicola è la lunghezza (149’); tuttavia il regista riesce attraverso la vita degli ultimi vent’anni di questo famoso pittore, a farci apprezzare l’approccio che l’artista ha con ciò che poi ritrae nei suoi quadri. Questo personaggio, così poco gradevole, ombroso, egoista, ma mai cattivo e capace di slanci imprevedibili, alla fine riusciamo anche ad amarlo, ad entrarci in empatia, affezionandoci alla sua rude scorza. E’ proprio la sua instancabile voglia di ritrarre ciò che lo colpisce, questa bramosia nel realizzare le sue opere, fatta tutta di istinti quasi animaleschi (che lo portano a sputare sulle tele per sfumare i colori), il filo che tiene lo spettatore legato alla sua storia così singolare.

data di pubblicazione 31/01/2015


Scopri con un click il nostro voto:

I GIGANTI DELLA MONTAGNA di Luigi Pirandello, regia di Kira Ialongo

I GIGANTI DELLA MONTAGNA di Luigi Pirandello, regia di Kira Ialongo

(Teatro dell’Orologio – Roma, 20 gennaio/1 febbraio 2015)

Alcuni giovani attori della scuola romana di recitazione Teatro Azione, guidati dalla regia visionaria di Kira Ialongo, hanno portato in scena una tra le più complesse opere di Pirandello.

Rimasta incompiuta a causa della morte dell’autore, I giganti della montagna presenta i tratti di un vero e proprio testamento artistico, mettendo insieme alcune tra le principali componenti del teatro pirandelliano. La Ialongo ha deciso di affrontare una sfida non facile, scegliendo di rimanere fedele al testo originale, pur con alcuni necessari tagli, e lavorando molto sulle atmosfere e sulle suggestioni visive e musicali.

Alle difficoltà di un testo già denso di significati, metafisico, in bilico tra vita terrena e aldilà, si aggiunge, infatti, una linea narrativa molto articolata, in cui si incontrano e sovrappongono due comunità di esseri umani, gli “scalognati”, da un lato, e la compagnia della contessa Ilse, dall’altro; i primi accomunati da uno stato di emarginazione sociale e alienazione individuale, i secondi un gruppo di personaggi che hanno perduto per sempre il loro autore, morto suicida, e sono ora “in cerca di un pubblico” a cui poter raccontare La favola del figlio cambiato (altra opera dello stesso Pirandello).

Perfetta la realizzazione di un metateatro portato qui alle sue estreme conseguenze, in cui i personaggi scavallano i più tradizionali binomi di vita-teatro, realtà-finzione, calandosi anche nella dimensione onirica e attraversandola fino a divenire, senza accorgersene, spiriti dell’aldilà, come sembra sussurrare alla contessa Ilse, in preda al terrore, la tenera Sgricia (interpretata in modo eccezionale da Francesca Ceci).

Un’opera di realismo magico che strizza persino l’occhio con autoironia a un certo esoterismo ed è dominata, nonostante la struttura corale composta da attori tutti di ottimo livello, dalla figura del mago Cotrone (l’imponente e carismatico Emanuele Gabrieli), che governa come un abile burattinaio il caos di villa La Scalogna, ricordando tanto il Prospero shakespeariano, e della fragile contessa Ilse (la trascinante Chiara Oliviero), appesa alla vita da un filo sottile come la sua esile figura da ballerina.

Corredato di musiche raffinatissime e scene memorabili (tra tutte la danza della contessa e del suo conte su uno sfondo di lucciole e il teatrino dei fantocci) lo spettacolo scava talmente a fondo nella psiche e nei sentimenti più stratificati, da imporre poi agli attori di richiudere materialmente i molteplici sipari lasciati aperti sul palco, prima di giungere al misterioso e, forse, funesto epilogo: il temuto arrivo dei giganti dalla montagna.

 

data di pubblicazione 29/01/2015


Il nostro voto:

RATATOUILLE di Brad Bird, 2007

RATATOUILLE di Brad Bird, 2007

Film d’animazione della Pixar, Ratatouille è un grazioso lungometraggio ambientato a Parigi sulle avventure di un ratto, di nome Rèmy che, dotato di un olfatto ed un gusto “inusuali” per la sua razza, nutre l’ambizione di diventare un grande chef. Film divertentissimo ed incredibilmente coinvolgente, fa immergere lo spettatore nell’ambiente della cucina di un grande ristorante. A questo film non potevamo che abbinare una ricetta a base vegetale, molto gustosa come aperitivo assieme ad un calice ghiacciato di prosecco: le polpettine di melanzane.

INGREDIENTI: – 2 melanzane medie – ½ cipolla o 1 scalogno piccolo – ½ bicchiere di vino bianco secco – 1 uovo – 2 cucchiai da tavola di pan grattato – 2 cucchiai da tavola abbondanti di parmigiano grattugiato – basilico, origano, qualche cappero sotto sale, pepe nero macinato, sale q.b. – olio di oliva q.b. – farina q.b. – olio di mais o di arachidi per friggere.

PROCEDIMENTO: Tagliare le melanzane a cubetti (prendere il tipo lungo); metterle in una pentola antiaderente dopo aver fatto soffriggere la cipolla o lo scalogno con dell’olio d’oliva; correggere di sale, pepe ed aggiungere qualche foglia di basilico sminuzzata, origano e qualche cappero.

Dopo la rosolatura versare ½ bicchiere di vino bianco, coprire ed abbassare la fiamma e portare a cottura; se necessario aggiungere un po’ di acqua. Quando saranno ben cotte (aiutarsi a sminuzzarle con una forchetta), trasferirle in una coppa e farle freddare. Aggiungere a questa polpa di melanzane oramai fredda il parmigiano, l’uovo ed il pan grattato, e quindi mescolare ottenendo un impasto morbido.

Bagnarsi le mani e fare delle palline che andranno rotolate nella farina. Friggere in olio (di mais o arachidi ) bollente.

Mettere a scolare in un colino, salare, e servire su un piatto foderato di carta paglia o dentro un sacchetto del pane i cui bordi cono stati ripiegati 2 volte ed all’interno è stata messo sul fondo della carta assorbente. Piatto scenografico e gustoso!

IL GIARDINO DI LIMONI di Eran Riklis, 2008

IL GIARDINO DI LIMONI di Eran Riklis, 2008

Salma Zidane, quarantenne vedova palestinese, conduce in solitudine la sua modesta vita in un villaggio della Cisgiordania, continuando ad abitare nella vecchia casa paterna, lontana dai figli oramai adulti, in compagnia di “assolati” ricordi di un’infanzia felice, quando correva attraverso il giardino di limoni prospiciente la sua abitazione, piantati anni addietro dal padre e i cui frutti rappresentano ancora oggi il suo unico sostentamento. Ma un giorno, nella villa confinante, si “insedia” come nuovo vicino il Ministro della Difesa israeliano Navon che, assieme alla moglie Mira ed a un notevole gruppo di guardie del corpo, squarcia d’improvviso il tranquillo isolamento di Salma. Gli alberi di limoni, con le loro alte e rigogliose fronde, vengono considerati dai servizi di difesa dello Stato di Israele un ottimo nascondiglio per possibili attacchi terroristici, considerata anche la posizione di confine sulla quale insiste tutto l’appezzamento di terreno.

Salma, per difendersi dalla decisione delle autorità israeliane di sradicare la sua limonaia per ragioni di sicurezza, inizierà una lunga battaglia legale che le cambierà la vita, causandole grande sofferenza.

A questo semplice e meraviglioso lungometraggio, abbiamo pensato di abbinare ad una ricetta povera ma gustosa, che ha alla base uno splendido aroma di limoni: le polpette con patate e buccia di limone.

INGREDIENTI: 1/ 2 KG di macinato di vitella. – ½ bicchiere di vino bianco secco – 1 patata media lessata, sbucciata e schiacciata allo schiacciapatate – buccia grattugiata di un limone – 1 uovo grande o due piccole – 3 cucchiai da tavola di parmigiano grattugiato – sale e pepe q.b. – 1 cucchiaio da tavola raso di pan grattato – brodo vegetale.

PROCEDIMENTO: Lessare una patata di dimensioni medie, sbucciarla e schiacciarla allo schiacciapatate; farla freddare. Quindi lavorare in una coppa la carne macinata con la patata, aggiungere uovo, parmigiano, buccia del limone, sale e pepe (il pepe può essere sostituito con noce moscata); se lavorando l’impasto, la sua consistenza non raggiunge una certa elasticità e rimane troppo molle ed umido, aggiungere un cucchiaio di pan grattato. Fate quindi delle polpette e mettetele in una padella con laterali alti con sufficiente olio, non per friggerle ma per soffriggerle. Appena saranno ben dorate da un lato, girarle con una paletta piatta di silicone e farle rosolare bene dall’altro lato (fate attenzione a questo passaggio perché le polpette sono molto delicate e potrebbero rompersi); versare il bicchiere di vino bianco e, quando sarà evaporato, aggiungere un bel bicchiere di brodo vegetale bollente; abbassate quindi la fiamma e fate cuocere a fuoco basso. Le polpette devono risultare rosolate fuori e morbide dentro.

Se piacciono i sapori agro dolci, aggiungere al momento di versare il vino bianco, anche una manciatina di uvetta di Corinto (piccola e scura) e una di pinoli.