NOTTING HILL di Roger Michell, 1999

NOTTING HILL di Roger Michell, 1999

Notting Hill è una brillante commedia inglese con alla base un articolato intreccio amoroso che vede come protagonista William Thacker (Hugh Grant), un tipico ragazzo inglese che possiede a Londra una modesta libreria specializzata in libri di viaggio; timido e goffo, William vive in una casa dal portone blu a Notting Hill, tipico quartiere londinese, in compagnia di un eccentrico amico pittore di nome Spike (Rhys Ifans). Un giorno entra per caso nella libreria di William Anna Scott (Julia Roberts), famosa star di Hollywood ed è subito colpo di fulmine! Ma la loro storia d’amore non si presenterà così semplice e lineare, perché entrambi verranno travolti dalla enorme popolarità di lei: alterne vicende li porteranno più volte a separarsi e poi, per volere del destino, a rincontrarsi, fino a coronare il loro sogno d’amore. Il film al pari di Pretty Woman è una di quelle commedie sempre attuali e divertenti; memorabili le scene delle interviste con la stampa in cui William si presenta come un giornalista di Cavalli & Segugi, o quella della cena di compleanno della sorella in cui William si presenta a sorpresa in compagnia di Anna Scott o ancora quando Spike, il suo “disgustoso” coinquilino, ingurgita un barattolo di maionese credendo sia yogurt. Ed è proprio questa scena di Notting Hill che ci suggerisce una ricetta con una ricca base di maionese, che sicuramente rappresenta un bizzarro abbinamento in linea con tutta la magica atmosfera del film: l’insalata russa.

INGREDIENTI (x 8/10 persone):600 grammi di patate – 4 carote grosse – 150 grammi di pisellini primavera surgelati – 1 barattolo grande di giardiniera – 2 barattoli grandi di maionese – 1 barattolo di cetriolini – 2 uova.

PROCEDIMENTO: Fare bollire in acqua salata separatamente le patate, le carote ed i pisellini. Una volta cotte e raffreddate, si procede a ridurre le patate e le carote a pezzetti insieme alla giardiniera (questa potete comperarla già tagliata a filini sottili). Aggiungere poi i pisellini. A questo punto esistono delle varianti: si può aggiungere del mais, del tonno o dei gamberetti sgusciati. A proprio gusto. Amalgamare il tutto con la maionese e sistemare l’impasto ottenuto in un piatto da portata. Ripassare sopra un altro strato di maionese e guarnire con i cetriolini e con le uova, precedentemente bollite, raffreddate e poi tagliate a fette sottili con l’apposito strumento.

WHIPLASH di Damien Chazelle, 2015

WHIPLASH di Damien Chazelle, 2015

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New York. Il diciannovenne Andrew Neiman (Miles Teller) frequenta il prestigioso conservatorio Shaffer come batterista; spia di sovente le lezioni del temuto professor Fletcher (Jonathan K. Simmons), severo e dai modi non convenzionali, sino a quando un giorno questi lo sceglie per far parte della squadra dei suoi talentuosi allievi. Ma Fletcher non è semplicemente severo: egli apostrofa i propri allievi con modi intimidatori, violenti, offensivi, minando la loro autostima e le sue parole pesano come una scure che non esclude nessuno sotto il peso dei suoi colpi. Andrew inizialmente reagisce con un atteggiamento di sottomissione, ma successivamente la sua giovane età lo porta ad accogliere le sfide sempre più insostenibili che Fletcher gli lancia, come in un duello che non vede mai fine, tentando di raggiungere una perfezione nel suono della sua batteria che lo porterà a spingersi oltre il livello massimo delle proprie possibilità.

Whiplash è tensione pura: pochi i dialoghi, minima la scenografia, ma tanto il sudore, il sangue e le lacrime a cui assistiamo, continuamente; e poi tanta musica jazz, che ci inonda dall’inizio sino ai titoli di coda. Sceneggiatore e regista al suo esordio è il trentenne Damien Chazelle che sorprende nel 2014 il Sundance Film Festival vincendo il Gran Premio della Giuria, e non stupiscono le successive candidature agli Oscar 2015: ben 5, tra cui miglior film. È assolutamente palese nel film l’omaggio a Kubrick, e non solo per i modi da “sadico sergente Hartman” che cuce addosso al suo professor Fletcher, ma soprattutto perché questi apostrofa con l’appellativo di palla di lardo un goffo e paffutello allievo, sino ad obbligarlo ad uscire in lacrime dall’aula. Ma anche lo spasmodico duello tra allievo e professore, che sembra consumarsi secondo un vero e proprio codice d’onore, ricorda quello tra l’ufficiale ed il tenente ussaro ne I duellanti di Ridley Scott, e l’allenamento mostruoso al quale si sottopone Andrew per raggiungere la perfezione e diventare il migliore, sembra imboccare la strada verso la follia di David (Geoffrey Rush) in Shine.

Ma queste sono solo sensazioni, perché il film è originale in tutto, ad iniziare dai primi piani sulla fatica, sulla cattiveria, sulla disillusione, e poi sulla rabbia, sulla ricerca spasmodica di rivincita di questi nemici/amici che si sfidano a colpi di frusta.

 

data di pubblicazione 15/02/2015


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JOHN ideato e diretto da Lloyd Newson, con il DV8 Physical Theatre

JOHN ideato e diretto da Lloyd Newson, con il DV8 Physical Theatre

All’Auditorium Parco della Musica di Roma, dal 7 febbraio al 2 aprile è in corso, nell’ambito del Festival della Nuova danza, l’undicesima edizione di Equilibrio che ancora una volta porta nella capitale alcuni tra i più prestigiosi nomi nel panorama internazionale  della danza contemporanea. La manifestazione propone quest’anno come tema la coppia, vista come cellula primordiale che genera la comunità, pretesto per farci scoprire il senso di appartenenza o di rifiuto da parte dell’altro e che prende senso solo se inserita in un contesto sociale più ampio: la coppia e la comunità visti dunque come fatti, che in un passato ancora prossimo, stanno continuando a tormentare le nostre coscienze.

In tale contesto si inserisce lo spettacolo John, per la coreografia dell’australiano Lloyd Newson ed il suo collettivo di danzatori DV8 Physical Theatre, lavoro impegnativo che spinge il pubblico, non solo per le tematiche trattate ma soprattutto per il linguaggio utilizzato, a porsi in una posizione direi quasi al limite dell’imbarazzo. Non è tanto la storia di John a sconvolgere lo spettatore, quanto il mezzo espressivo usato che sembra vada al di là di qualsiasi ragionevole buon senso. Nei 75 minuti di scena, infatti, si è sopraffatti in maniera prevalente dalla parola: la storia incalza senza lasciare respiro e si è completamente assorbiti dal rincorrere il senso della cronaca, in un susseguirsi di sotto titolature che non danno accesso ad un minuto di pausa per concentrarsi più serenamente sulla danza vera e propria. Nulla invece da obiettare sulla performance di Hannes Langolf (John) e degli altri della compagnia, soprattutto per quanto concerne la capacità comunicativa dei loro corpi, né alla messa in scena dello spazio, delimitato da mura e porte, in un continuo ruotare con un movimento tutt’altro che disorientante; ma il compiacimento nell’affrontare minuziosamente tematiche per le quali forse era sufficiente un accenno, senza doverle necessariamente prolungare sino all’esaurimento della tolleranza, hanno sortito un risultato a tratti irritante.

data di pubblicazione 15/02/2015

I GIOCATORI di Pau Mirò, traduzione e regia di Enrico Ianniello

I GIOCATORI di Pau Mirò, traduzione e regia di Enrico Ianniello

(Teatro Vascello, Roma – 12/15 e 19/22 Febbraio 2015)

La scatola nera non è solamente quella da cui o’ professore, interpretato da Renato Carpentieri, tira fuori, prima di buttarli via, i ricordi di un padre ingombrante.  Lo spazio scenico in cui si muovono i protagonisti è al tempo stesso scatola nera, registrazione dei fallimenti di quattro vite che si aggirano in quel luogo, quasi vuoto del piccolo mobilio – un tavolo, un frigorifero, una poltrona, un giradischi, una lampada – ma colmo del residuo di umanità che i giocatori depongono sulle sedie.

La vivacità della lingua napoletana viene smorzata dai neri che scandiscono il tempo che passa, cristallizzando il ricordo delle singole scene in una sorta di tableu vivant. Le maschere dei protagonisti non sono quelle dell’Uomo ragno e di Batman, che pur compaiono in scena, ma uomini senza nome, senza amore, giocatori di una partita che non comincia mai, alla ricerca di un brivido: davanti allo yogurt di un supermercato, tra le braccia di una leggenda ucraina, in una scatola nera o dietro un mucchio di capelli persi. Ma il testo, nella sua traduzione dalla lingua catalana a cura dello stesso regista e attore, Enrico Ianniello, gioca con la tragicità dei contenuti riempiendo una forma ironica. L’inevitabile resa comica del linguaggio, anche più triviale, la poesia della fragilità, le grandi caratterizzazioni dei quattro attori (Tony Laudadio e Luciano Saltarelli, oltre ai già citati Carpentieri e Ianniello) regalano un sorriso lieve e commovente.

Lo spettacolo, premio Ubu 2013, è al centro del Focus che il Teatro Vascello dedica, dal 12 al 22 Febbraio, a Teatri Uniti, il laboratorio permanente per la produzione e lo studio dell’arte scenica contemporanea, attualmente sotto la direzione artistica di Toni Servillo. Ianniello è alla seconda traduzione e messa in scena di un testo del drammaturgo catalano Pau Mirò, un autore conosciuto, come lo stesso regista ci ha raccontato, scegliendo tra dieci testi a lui proposti per effettuarne la traduzione. E gli spettatori italiani ringraziano per la condivisione della scoperta, per la sua traduzione e anche per un pugno metronomo che, balbettando, prova ancora a giocare: Rouge et Noir!

data di pubblicazione 14/02/2015


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SCINTILLE di Laura Sicignano, con Laura Curino

SCINTILLE di Laura Sicignano, con Laura Curino

(Teatro Due Roma – 10/15 febbraio 2015)

Nell’ambito della rassegna “A Roma! A Roma!” in questi giorni si rappresenta al Teatro Due un nuovo interessante spettacolo: Scintille, per la regia di Laura Sicignano, autrice anche del testo    che si può inquadrare, senza esitazione alcuna, tra quei lavori di impegno politico, di denuncia universale, un autentico atto di ribellione tutto al femminile.

Lasciato alla genialità interpretativa di Laura Curino, con un ruolo che ben si adatta al suo impegno quotidiano per il riconoscimento della dignità e del ruolo sociale della donna, lo spettacolo, sia pur in forma di una narrazione-cronaca, rappresenta fatti realmente accaduti che hanno segnato una svolta storica sul tema della emancipazione della donna, oltre ad essere una denuncia serrata del mancato riconoscimento di quanto dovuto a fronte di un chiaro esempio di sfruttamento lavorativo. Lucia 20 anni e Rosa 14 anni, sono le figlie di Maltese Caterina, 39 anni; Lucia è amica di Dora, la contestatrice ebrea russa: se non ci ribelleremo, sarà solo la giusta punizione per essere state povere e docili. Tutte lavorano nella fabbrica T.W.C. che produce camicie a New York: è il 25 marzo 1911 e manca un quarto d’ora alla chiusura della factory e come ogni giorno le 600 persone, in prevalenza donne e quasi tutte ragazze, sono già dodici ore che lavorano ininterrottamente, in uno spazio claustrofobico. Sono immigrate, vengono dalla Russia, dalla Polonia, dall’Italia del sud: Puglia, Calabria, Sicilia… Laura Curino, che recita in maniera impeccabile tutte le donne che Laura Sicignano ha voluto celebrare, sembra muoversi a suo agio tra macchine da cucire, forbici, stoffe, spagnolette dando vita ad un monologo a più voci che singolarmente assumono tinte alquanto variabili: ora drammatiche, ora carezzevoli, ora accorate sino a culminare nella tragedia vera e propria, la scintilla che genera l’incendio. Da una casuale scintilla scaturirà un rogo improvviso che causerà la morte di 146 ragazze. Nessuna via di fuga praticabile, nessuna salvezza quindi, in una America sogno allora di intere generazioni, simbolo di libertà e di democrazia, fonte di benessere e di ricchezza, ma che per Caterina e le sue due figlie, fuggite per necessità come tanti altri dall’Italia, diventa invece un luogo di speculazione, di abuso, di maschilismo, di ingiustizia sociale, di non rispetto per la dignità umana. Da quel fatidico incendio nasceranno tutta una serie di movimenti che porteranno negli anni, tra lotte e repressioni cruente, al riconoscimento della posizione sociale della donna e dei suoi diritti.

Piace rilevare come ancora una volta il teatro diventa luogo ideale di denuncia, luogo di scena dove la finzione diventa vita. Scintille che danno morte, ma che danno contestualmente vita alle idee, che a loro volta contagiano persone per non dimenticare chi non ha più voce: è allo spettatore l’ultima azione, quella di non dimenticare, con la dolcezza dolorosa di chi ha subito un torto, ma non può da solo trovare un risarcimento è l’appello di Laura Sicignano che lo fa dire a Caterina, non dimenticate le mie figlie.

 

Mamma mia, dammi cento lire

che in America voglio andar

Cento lire sì, te le do

ma in America no no no…

data di pubblicazione 12/02/2015


Il nostro voto:

GEMMA BOVERY di Anne Fontaine, 2015

GEMMA BOVERY di Anne Fontaine, 2015

Una donna banale che odia la banalità della vita, non è banale. Ossessionato dai classici della letteratura dell’800 ed in particolare da Flaubert, Martin Joubert (Fabrice Luchini) è un intellettuale di mezza età che da sette anni vive “rifugiato” in un villaggio della Normandia per trovare equilibrio e serenità. In realtà il tentativo non gli riesce, perché per sfuggire alla tentacolare vita parigina e vivere nel “difficile ed umido” silenzio della campagna, di equilibrio ce ne vuole proprio tanto se non si vuole dopo un po’ far ricorso agli antidepressivi! Riciclatosi come panettiere nella vecchia panetteria del padre, Martin e sua moglie, che lo aiuta in negozio, hanno un figlio adolescente che confonde i personaggi di Madame Bovary (il romanzo che in assoluto suo padre predilige) con quelli di un videogioco, e Martin preferirebbe saperlo drogato piuttosto che così abissalmente ignorante. Ma un giorno la realtà supera la fantasia allorchè una giovane coppia di inglesi acquista la cadente villetta accanto alla loro casa: i loro nomi, Gemma e Charles Bovery, seppur simili a quelli usati da Flaubert, sembrano a Martin da subito alquanto inquietanti, leggendo in essi quasi un segno del destino, e ne rimane turbato. L’arrivo della bella e sensuale Gemma lo desterà da quel grigio torpore così affannosamente cercato, ponendo fine a dieci anni di tranquillità sessuale e risvegliando in lui una malizia da tempo sopita. Martin comincerà a tracciare la trama di un suo personalissimo romanzo osservando e spiando in particolare la vita di Gemma, che sembra ricalcare i “flaubertiani “ requisiti di quell’archetipo letterario di donna che rifugge, attraverso l’adulterio, la noia ed il quieto vivere della vita coniugale: il destino di questa giovane inglese, dunque, sembrerebbe “già scritto”, con tanto di drammatico epilogo.

Questa divertente e leggera commedia di Anne Fontaine, così marcatamente francese, non ha le fattezze di una moderna rilettura di Madame Bovary, ma piuttosto trae spunto dall’omonimo un romanzo grafico di Posy Simmonds che le conferisce anche un pizzico di humor inglese che non guasta. La storia, fantasiosa ed intrigata, dai risvolti divertenti e quasi noir, si regge prevalentemente sull’interpretazione di Fabrice Luchini, attore che ha più volte lavorato con Eric Rohmer, Claude Lelouch e Francoi Ozon, ma che ultimamente si sta un po’ ripetendo nella parte da misantropo, da uomo insoddisfatto che osserva e critica le vite degli altri senza mai partecipare in prima persona, ma rimanendone solo spettatore. Comunque, nonostante qualche pecca, il film risulta gradevole, confermando una certa attitudine dei francesi a saper fare delle commedie che si articolano su degli spunti di totale fantasia, giocando con ironia e malizia senza ricorrere alla benché minima volgarità.

data di pubblicazione 12/02/2015


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BIRDMAN di Alejandro González Iñárritu, 2015

BIRDMAN di Alejandro González Iñárritu, 2015

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Incredibilmente ignorato all’ultima Mostra internazionale del cinema di Venezia, risarcito, giustamente, con un numero congruo di candidature all’Oscar, quest’ultimo film di Iñárritu è un tuffo di due ore in completa apnea nell’inconscio e nel conscio di un uomo in crisi, un attore condannato dal ruolo di super eroe che l’ha portato al successo, (interpretato da un attore, il bravo Micheal Keaton, che ha presumibilmente avuto i suoi stessi problemi nella vita reale) ma  che vuole lasciare un’impronta più  importante. Per questo riduce un testo di Raymond Carver per la scena, e lo vuol presentare nel più antico e prestigioso teatro di Broadway.

A fargli compagnia nei giorni dell’impresa, sono, come in novello Otto e mezzo, o in un rutilante All that jazz, nell’ordine: l’ex moglie che forse ancora lo ama, l’attuale collega e amante da cui forse aspetta un bebè, la figlia appena uscita da un percorso anti tossico, il suo amico e legale senza il quale sarebbe perso, un’altra attrice (la sempre intensa Naomi Watts) sorta di alter ego anch’essa con velleità teatrali, un attore coprotagonista (bentornato Edward Norton), che lo mette in difficoltà e gli ruba la scena (e che come un pessimo allievo di Lee Strasberg  pensa che in teatro si viva e non  si finga ) e infine  una critica teatrale più perfida di Elsa Maxwell, tutti coinvolti nell’incessante girotondo dove spuntano innumerevoli sottotesti di vario tipo, dalla psicanalisi al meta teatro, dalla crisi di identità alla crisi di mezza età, dove il protagonista è perpetuamente alle prese con gli orgogli e i fallimenti più parossistici (come Zio Vanja  fa cilecca anche  nel suicidio) fino a un finale più visionario che “ aperto “.

Ambientato davvero integralmente dentro un teatro, sembra girato come un unico interminabile piano-sequenza, scritto con una bella dose di ironia e con dialoghi al vetriolo e nessun risparmio di effetti, (anche speciali come quelli dei film di super eroi) e strizzate d’occhio cinefile e teatrofile, in definitiva una matrioska infinita di invenzioni, un divertentissimo ed emotivo film che sancisce, vivaddio, dopo il precedente Biutiful, il definitivo abbandono della sequela di lutti e disgrazie che hanno caratterizzate la cosiddetta “trilogia della morte” (Amores perros – 21 grammi – Babel)  con cui Iñárritu  aveva rischiato la maniera e sfiorato a tratti la risibilità.

data di pubblicazione 09/02/2015


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LA PARTE DEGLI ANGELI di Ken Loach, 2012

LA PARTE DEGLI ANGELI di Ken Loach, 2012

La parte degli angeli è quella parte di whisky che evapora dai barili di legno durante l’invecchiamento, ma è anche il titolo di un insolito film di Ken Loach, presentato in Concorso nel 2012 al Festival di Cannes. Girato in Scozia, narra le vicende di Robbie, un poco di buono condannato a scontare svariate centinaia di ore di servizi sociali perché coinvolto in una violenta aggressione; neo papà senza una fissa dimora, Robbie ha un particolare talento come assaggiatore di whisky; per strane peripezie del destino, questo talento un bel giorno gli viene riconosciuto. Purtroppo sarà capace di sfruttare questa sua insolita dote per organizzare un altrettanto insolito furto: sottrarre da una botte di pregiatissimo whisky due bottiglie di questo introvabile nettare, per poi rivenderlo ad un famoso esperto. La parte degli angeli è un film che “esce fuori dal coro” rispetto alla filmografia di Loach in quanto, seppur nell’ambito di temi a lui cari, ha un’impostazione da commedia dolce-amara dai risvolti umani.

A questa pellicola, ad alto “contenuto etilico”, abbiamo pensato di abbinare una facile ma gustosa ricetta di tarallini al vino rosso.

INGREDIENTI: 3 tazze da colazione di farina 00 – 1 tazza di vino rosso – 1 tazza colma di zucchero – 1 tazza (non piena come quella del vino) di olio di arachidi(o di oliva) – ½ bustina di lievito per dolci– 1 pizzico di sale – una manciata di zucchero semolato in un piatto.

PROCEDIMENTO: Fate scaldare il forno fisso a 180°. Mettere la farina su di una spianatoia “a fontana” ovvero facendo al centro un buco, dove inseriremo la tazza di zucchero, il pizzico di sale, la 1/2 bustina di lievito, la tazza di vino rosso e la stessa tazza (meno colma) di olio di arachidi (o di oliva, se preferite). Lavorare l’impasto sino ad ottenere una pasta da poter lavorare facendo con le mani dei vermetti che chiuderemo a forma di tarallino. Foderate una leccarda con carta da forno, disponeteci i tarallini non prima di averne passato solo la parte superiore di questi nello zucchero. Infornate per circa 10/15 minuti controllando la loro cottura da sotto (ovvero nella parte a contatto con la carta da forno): appena appariranno dorati sotto, sono cotti.

Una volta freddi, conservateli in una di quelle belle scatole di latta, magari che conteneva in precedenza quei biscotti al burro tanto cari al mondo anglosassone!

LA CAMERA DA RICEVERE di Ermanna Montanari

LA CAMERA DA RICEVERE di Ermanna Montanari

(Teatro Due Roma – 3/8 febbraio 2015)

Si è ufficialmente aperta in questi giorni la rassegna “A Roma! A Roma!”, a cura della critica teatrale Francesca De Sanctis, con la presentazione di un lavoro scritto ed interpretato da Ermanna Montanari: La camera da ricevere.

L’attrice, romagnola doc e già più volte premiata con il premio Ubu, il Premio Duse ed altri ancora per la sua apprezzata attività di attrice ed autrice di testi teatrali, ci conduce quasi per mano ed in punta di piedi in uno spazio semibuio, polveroso, dove non è permesso accedere se non in rare occasioni dell’anno, un luogo in cui si entra con circospezione per paura di essere visti, di essere scoperti, di essere rimproverati.

Questa camera da ricevere rappresenta in effetti un territorio magico e sacro, una specie di sancta sanctorum dove si accede con rispettoso silenzio e dove nello stesso tempo ci si lascia andare alle proprie fantasie di adolescente per poi generare e partorire tutta una serie di personaggi che nel tempo troveranno riscontro in lavori teatrali di grande risonanza e che hanno segnato la carriera di questa grande interprete.

Lo spettatore viene subito introdotto in questo guscio dalle luci ovattate e dove di tanto in tanto viene raggiunto da suoni e voci, quasi indistinti come quelli propri dello stato onirico, in una carrellata di frammenti teatrali nei quali l’elemento simbolo accompagna l’espressione ed il volto dell’attrice: ora clownesco, ora austero, ora accattivante, ora esorcizzante…

Si parte da Fatima asina parlante, poi abbiamo Bêlda una veggente romagnola, poi Rosvita, poi Mêdar Ubu, Alcina, Daura e così via, tutti monologhi dove la Montanari esprime principalmente se stessa con una drammaturgia di elevato livello che ha lasciato tutti spiazzati e con il fiato sospeso, dal primo all’ultimo istante della sua performance, anche quando la recitazione ha comportato l’uso dell’incomprensibile dialetto di quella recondita e poco nota parte della Romagna dalla quale originariamente proviene.

Da notare la maniera chiara ed accattivante con la quale l’attrice ci presenta i vari personaggi, spiegando la loro genesi e mettendo in risalto i vari e peculiari aspetti della loro rappresentazione sul contesto scenico, in un racconto articolato e conseguente anche nei momenti di giusta contrapposizione.

Lo spettacolo non sembra dare l’impressione di un puro e semplice esercizio di stile, per cui dal suo nucleo originario, dalla sua cellula generatrice non può che venire fuori un lavoro di grande livello che ha coinvolto il pubblico in maniera direi quasi empatica con i diversi caratteri ritratti.

La camera da ricevere nasce nel contesto di un progetto Dimore delle voci – Laboratorio di Drammaturgia sonora IV edizione, curato da Valentina Valentini, promosso da Rai Radio 3, Centro Teatro Ateneo e l’Università di Roma La Sapienza, già rappresentata a Roma in anteprima nel maggio del 2013 e poi ripresa a Milano nel maggio 2014 presso la Fondazione Pini, nell’ambito della terza edizione di Stanze – esperienze di teatro d’appartamento.

data di pubblicazione 07/02/2015


Il nostro voto:

 

A ROMA! A ROMA! rassegna a cura di Francesca De Sanctis

A ROMA! A ROMA! rassegna a cura di Francesca De Sanctis

(Teatro Due Roma – dal 3 febbraio al 29 marzo 2015)

Marco Lucchesi, direttore artistico del Teatro Due Roma, con una iniziativa degna di un sincero elogio, ha offerto il proprio spazio teatrale al critico Francesca De Sanctis per organizzare una rassegna che potesse riunire a Roma quelle compagnie italiane che normalmente trovano difficoltà a rappresentarsi nella capitale.

E’ evidente che in una città come Roma le occasioni di scambio interculturale ed intergenerazionale dovrebbero essere pane quotidiano non solo per promuovere tutte quelle iniziative per l’inserimento di compagnie di giovani di grande talento, ma anche per fornire materiale di utile riflessione ed occasione per conoscere ed apprezzare l’impegno e l’entusiasmo di tali artisti.

In una situazione disastrosa come quella in cui versano oggi i teatri romani, tra difficoltà economiche e organizzative di tutti i tipi, sembra almeno doveroso porre in giusto risalto questa iniziativa che dal 3 febbraio al 29 marzo ospiterà ben dodici compagnie teatrali provenienti da tutta Italia, ciascuna caratterizzata da un proprio peculiare allestimento e da un tangibile impegno drammaturgico.

Ecco in sintesi la carrellata dei lavori in programma:

La camera da ricevere di e con Ermanna Montanari, Teatro delle Albe/Ravenna Teatro – sino all’ 8 febbraio.

Scintille di Laura Sicignano con Laura Curino, Teatro Cargo di Genova – 10/15 febbraio

Per una donna di Letizia Russo con Sandra Zoccolan, ATIR Teatro Ringhiera – 17/22 febbraio

Adesso che hai scelto di e con Mimmo Sorrentino, Teatro dell’Argine – 24/26 febbraio

I funerali di Togliatti di Franco Rossi con Massimo Verdastro, Semi Cattivi/Centro Sperimentale d’Arte Contemporanea – 27 febbraio/1 marzo

I taccuini di Mosella Fitch di Stefano Massimi con Barbara Valmorin, in due capitoli a sere alterne, Teatro delle Donne – 3/8 marzo

Il re di Girgenti di e con Massimo Schuster e Fabio Monti dal romanzo di Andrea Camilleri, Emme À Teatro Théâtre de l’arc-en-terre/ L’estive ¬10/14 marzo

Straniero di Sicilia e Il cavaliere oscuro di e con Giovanni Calcagno, La casa dei santi – 15/16 marzo

Megalopolis # 43 con Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, Instabili Vaganti – 17/19 marzo

#Dell’Alluvione di e con Elena Guerrini, Creature Creative – 20-22 marzo

Onorata società di Francesco Niccolini con Patricia Zanco, Dedalofurioso Fatebenesorelle Teatro – 24/26 marzo

Alice disambientata di e con Ilaria Dalle Donne, La Piccionaia – 27/29 marzo.

data di pubblicazione 07/02/2015