da Antonietta DelMastro | Mag 11, 2015
Fazi 2012
John Williams ci accompagna, da spettatori, nello svolgersi della vita di William Stoner, figlio unico di contadini del Midwest americano, nato negli ultimi anni dell’800.
Mi sono innamorata di William Stoner, della sua pacatezza, della sua fedeltà a se stesso, del suo accettare tutto ciò che la vita gli presentava senza mai vacillare, affrontando tutto sempre e comunque senza cercare sotterfugi per sottrarsi agli eventi.
Fin dalle prime pagine capiamo che la vita di Stoner è plasmata al senso del dovere: “a scuola seguiva le lezioni come se fossero mansioni appena meno sfiancanti di quelle che svolgeva alla fattoria”. La svolta della sua vita avverrà una sera di fine primavera quando il padre gli “consiglia” di iscriversi alla facoltà di Agraria dell’Università di Columbia per migliorare la produttività della loro terra e la loro vita.
Al secondo di corso anno Stoner scopre l’amore per la letteratura e cambia il suo futuro: è forse l’unica volta in cui si impone al suo destino e si lascia irretire dallo studio dei poeti che gli parlavano “attraverso secoli di storia”.
La sua vita attraverserà la Grande Guerra, la Depressione del ’29, la Seconda guerra mondiale. Durante tutto questo tempo studia, si sposa, diventa padre e, anche se con ritardo, si scopre un buon insegnante che trasmette con passione quel che sa.
La sua sarebbe potuta essere una vita tranquilla, e lui un uomo felice, se non fossero comparse due persone perfide: la moglie Edith, che non fa altro che tiranneggiarlo nella sua casa rendendogli la vita invivibile e il suo capo Dipartimento, Hollis Lomax, un altro despota concentrato a rendergli la vita lavorativa infelice tanto quanto quella casalinga.
La speranza che Stoner reagisca e si ribelli ai maltrattamenti dei suoi aguzzini è vana, lui va avanti stoicamente, ritiene che tutto quello che gli succede, al di fuori dell’insegnamento, siano solo dei piccoli fastidi e va avanti… e non si può quindi non volergli bene, non affezionarsi a quest’uomo e non desiderare di parlare in sua vece, di difenderlo, di alzare la voce o prendere la porta e sbatterla alle spalle dietro. È un dolore quasi fisico restare inermi a vederlo subire tante angherie senza una reazione.
Un libro scritto magistralmente. La descrizione dei sentimenti, dei pensieri, delle reazioni di Stoner è spettacolare, solo una descrizione così perfetta potrebbe instillare questo affetto, questo desiderio di difenderlo, di combattere per lui, troppo buono e tranquillo, troppo rassegnato per poterlo fare da solo.
Non ci sono parole, che possano rendere giustizia a questo libro, va letto, assolutamente! Così da conoscere e voler bene a Stoner e accompagnarlo fino a quando capisce che “Era se stesso, e sapeva cosa era stato”.
da Elena Mascioli | Mag 11, 2015
Una delle cose belle dei Festival è la possibilità di vedere a distanza di poche ore film che, pur nella loro diversità, sembrano essere uniti da un sottile filo rosso. Mai colore poteva essere più appropriato per definire la traccia comune di due film in programma nella terza e quarta serata del festival: l’amore. L’amore ai tempi di Skype, potremmo dire, nel caso di 10000 km, il film di Carlos Marqués Marcet già proposto in apertura di Festival e in replica domenica sera. Un esordio alla regia davvero notevole (premiato anche ai Goya) che colpisce per la sua capacità di raccontare l’evoluzione (o l’involuzione) di una relazione amorosa distanziandosi dagli schemi e gli stereotipi della narrativa cinematografica, tanto che nel finale il protagonista, Sergi (interpretato dal bravissimo David Verdaguer) afferma: Pensavo saresti corsa tra le mie braccia, come nei film.
Un amore da film è il tema al centro di Sexo Facil, pelìculas tristes, film presentato nella serata di sabato e in replica domenica sera. Uno sceneggiatore è alla prese con la scrittura di una commedia romantica, e poiché la realtà della sua vita amorosa è ovviamente all’opposto di ciò che normalmente accade nei film, lo sentiamo affermare: Non voglio che i film assomiglino alla vita, almeno non per ora. E aggiunge un happy end non solo alla storia che sta scrivendo, ma in parte anche alla sua, lasciando almeno un finale aperto alla possibilità di innamorarsi ancora.
La realtà, la più dura, la più cruda, la più crudele è invece la cifra di 10000 km che penetra in profondità nelle pieghe di un rapporto che è finito, e in cui nessun moderno mezzo di comunicazione potrà aiutare a ristabilire la connessione ormai perduta. Un sorriso tenero e uno amaro: questo il bottino del fine settimana festivaliero al Farnese. Domani torna lo splendido Arrugas (imperdibile per chi non lo avesse ancora visto) e un film che fin dal titolo ha creato molta curiosità: Los tontos y los estupidos.
data di pubblicazione 11/05/2015
da Antonio Iraci | Mag 10, 2015
(The Space – Cinema Moderno – Roma, 8/14 maggio 2015)
Seconda giornata al RIFF, dedicata nella prima parte pomeridiana ai cortometraggi, tutti veramente di eccezionale interesse e che andrebbero segnalati comunque agli addetti ai lavori per la bravura dei giovani registi indipendenti che li hanno realizzati.
Prima però è stato presentato un documentario di rara bellezza che ci ha portato a scoprire un’isola sperduta e per secoli inaccessibile situata di fronte allo Yemen.
Socotra – The hidden Land è il primo lavoro come regista dello spagnolo Carles Cardelùs, che in precedenza ha collaborato a diverse produzioni di film internazionali ed attualmente insegna presso l’Universitat internacional de Catalunya.
Tra i numerosi corto proposti da segnalare:
– La smorfia, secondo lavoro di Emanuele Palamara, giovane di grande esperienza nel cinema per aver lavorato come aiuto di produzione in spot e cortometraggi e come assistente alla regia di importanti cineasti italiani. Il film è ispirato a una storia vera: Carmine, famoso ed apprezzato cantante napoletano, rimane bloccato a vita su una sedia a rotelle a causa di un ictus. Difficile per lui gestire il rapporto con la sorella Nina, che lo accudisce in casa.
Particolarmente interessanti e coinvolgenti le musiche di Enrico Melozzi, giovane talento abruzzese tra i più affermati autori di musiche da film di questa generazione, con un curriculum musicale e discografico di notevole interesse.
– Ahlem di Alessandra Pescetta, giovane regista diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, si occupa di video musicali, video-arte e cortometraggi. Storia di due amiche Ahlem e Victoria, adolescenti molto unite anche se con radici culturali e sociali differenti in quanto la prima è nata in Tunisia. Entrambe vivono in Sicilia, impegnate volontarie in un centro profughi dove devono affrontare i ben noti e gravi problemi di inserimento.
– Contatto forzato del regista Daniele Sartori, che ha già diretto corti pluripremiati, firma gli spot del Queer Lion Award ed eventi e mostre di video arte. Ambientato alla fine della seconda guerra mondiale, trova i due protagonisti Antonio Graziani ed il tedesco Detlef Hagermann, entrambi prigionieri di guerra ed in precedenza catturati dai partigiani, a condividere una delicata promessa segreta.
Veramente l’imbarazzo della scelta con la voglia di vederli tutti…
data di pubblicazione 10/05/2015
da Antonio Iraci | Mag 10, 2015
(Teatro Due – evento off del Doit Festival – Roma, 9/10 maggio)
Si parte da quella tragica notte di quarant’anni fa.
Il pubblico, attraverso rumori confusi di urla di disperazione, si trova quasi a forza ad assistere impotente a quanto sta accadendo: Pasolini viene aggredito, pestato, ucciso.
Ma ecco che lui stesso post mortem ritorna a noi per raccontarci quasi ironicamente episodi che segnarono la sua vita affettiva, artistica, politica; il tutto esposto in maniera obiettiva e distaccata, con l’occhio di chi assiste a quegli eventi decisivi della storia socio-culturale italiana, capendo, tra i pochi, quello che si stava realmente consumando.
Lo spettatore viene aggredito da musiche assordanti (perché mai si insiste su Satisfaction dei Rolling Stones?) e da luci stroboscopiche anni settanta e gioco forza non può che essere coinvolto nel racconto rivivendo quei momenti lontani, ma ritornati ad essere di nuovi vicini ed attuali.
Il monologo condotto da Massimo Mirani, che ha scritto i testi insieme a Daria Veronese, ha indubbiamente il vantaggio di presentare qualcosa di inedito, qualcosa di intimo che riguarda la figura poliedrica di Pasolini come forse nessuno ci ha mai raccontato.
Il testo rimane pertanto sempre asciutto, accompagnandoci passo passo in una narrazione cruda, ma talvolta anche leggera, e sicuramente senza cadere mai nella retorica.
Massimo Mirani, attore milanese, esordisce negli anni sessanta sia al cinema che in televisione e, data la sua particolare fisicità, si specializza in ruoli prevalentemente polizieschi.
Lo ricordiamo nell’ottima interpretazione di Gavino nel film Milano violenta del 1976, con la regia di Mario Caiano.
L’Associazione Culturale Capsa Service nasce nel 2005 a Civitella San Paolo, in Provincia di Roma, ed in questi anni ha portato in giro diversi spettacoli cercando di coniugare la pratica teatrale con il mondo del sociale e del patologico.
data di pubblicazione 10/05/2015
Il nostro voto:
da Elena Mascioli | Mag 9, 2015
Mentre incendi divampano in aeroporti e su autobus, a Roma, niente impedisce agli imperterriti spettatori del festival spagnolo di godersi la seconda serata. A presentare e commentare il film delle 20, Io, don Giovanni, il regista, Carlos Saura, e l’attore protagonista, Lorenzo Balducci. Una coccola per il pubblico la possibilità di saperne di più direttamente dalla viva voce del regista e del protagonista, un valore aggiunto che caratterizza da sempre questo festival. Saura ci spiega l’importanza fondamentale della musica nella sua vita e, di conseguenza in tutti i suoi film. Balducci ci racconta invece di utilizzare la barba quale strumento di seduzione, e di aver dunque avuto difficoltà, inizialmente, a calarsi nella parte di un seduttore…sbarbato! Sullo schermo Balducci presta volto e voce alle vicende di Lorenzo da Ponte, librettista del Don Giovanni di Mozart e a sua volta libertino in esilio a Vienna. Il film è un connubio di musica, di luce, di piani che si intersecano, come accadeva in Carmen, tra la storia di da Ponte, pupillo di Casanova, il racconto di un’epoca e le vicende di uno dei personaggi che affascinano da secoli uditori di epoche diversissime: don Giovanni. Una menzione particolare alla ricerca di sintesi tra musica e luce che Saura ha perseguito in questo film, che dichiara essere il suo preferito tra quelli da lui girati, grazie alla collaborazione con un direttore della fotografia quale Vittorio Storaro, che ama definirsi “cinefotografo”. Lasciate le meravigliose arie di Mozart e la scrittura con la luce di Storaro e Saura, una pietanza completamente diversa, con un film della “Nueva Ola”: Morirono al di sopra delle loro possibilità. Un film caustico, oserei dire “tagliente” (chi ha visto o intravisto il film tra le dita che coprivano gli occhi, apprezzerà la battuta!), forse spinto un po’ troppo lungo la strada della dissacrazione nella scelta dei dialoghi e degli schemi narrativi, con qualche caduta dettata dalla ricerca di dirompenza e causticità. Ma certamente un titolo che ci immerge nelle atmosfere del nostro tempo, portando il discorso su crisi, giustizia sociale, anche grazia alla sua particolarità di produzione. Tutto il cast e il regista sono i produttori della pellicola, e i loro compensi saranno dati dai guadagni ottenuti dal film. Auguriamo buona fortuna a questi “rivoluzionari” mascherati da panda, forse a dirci che ormai, anche i rivoluzionari, sono in via di estinzione. Appuntamento a domani per il resoconto della terza serata.
data di pubblicazione 09/05/2015
da Antonio Iraci | Mag 9, 2015
(The Space – Cinema Moderno – Roma, 8/14 maggio 2015)
Iniziata la 14esima edizione del RIFF che propone al Cinema Moderno di Piazza della Repubblica, ed in parte anche presso la sede storica del festival al Nuovo Cinema Aquila, tutta una serie fittissima di cortometraggi, documentari e lungometraggi di giovani registi che rappresentano quel tipo di cinema definito indipendente.
Scopo del Festival è quello di portare alla visione del pubblico un tipo di pellicola che difficilmente troverebbe spazio nei circuiti ufficiali di produzione e distribuzione, nonché di assolvere alla funzione di intermediazione tra cineasti e specialisti del settore.
L’iniziativa pertanto ha guadagnato negli ultimi anni sempre più rilevanza tra i programmi europei di diffusione cinematografica, nell’ambito dell’interscambio culturale tra le nuove generazioni di registi, e trova sostegno da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura.
Al nastro di partenza di ieri molti corto italiani e stranieri tra i quali si segnala Gli Spazi Bianchi diretto ed interpretato da Gennaro Cuomo, diplomato all’Accademia di Arte Drammatica e già interprete nel film La kryptonite nella borsa e nella fiction televisiva Un medico in famiglia.
Sicuramente da apprezzare l’idea conduttrice che convince e fa comprendere come anche in una short story di appena 15 minuti sia possibile trasmettere al pubblico una propria intima emozione ed esperienza di vita, una frustrante condizione esistenziale ma anche la soluzione liberatoria e catartica.
A conclusione della serata due film molto interessanti:
Mi chiamo Maya del giovane regista e sceneggiatore Tommaso Agnese, già apprezzato per aver realizzato anche per la televisione diversi documentari e cortometraggi aventi come tema principale l’adolescenza metropolitana.
A Blast del regista greco Syllas Tzoumerkas, giovane esperto e conosciuto in campo internazionale per tutta una serie di documentari dedicati alla storia ed alla letteratura del XX secolo e per aver a suo tempo aderito al manifesto Dogma.
Soggetto molto inquietante che riguarda la storia di Maria che da madre affettuosa e responsabile, fugge da tutti e da tutto per scegliere la via del male.
Molto nutrito il programma che terrà impegnato il pubblico nei prossimi giorni e che prevede, tra l’altro, una rassegna “Teddy Awards @ Riff 2015”,con 7 film della Berlinale con tematiche specifiche contro le discriminazioni e le intolleranze gay.
data di pubblicazione 09/05/2015
da Elena Mascioli | Mag 8, 2015
(Roma, Cinema Farnese Persol – 7/12 Maggio 2015)
Giunge alla sua ottava edizione a Roma il Festival del cinema spagnolo, al Cinema Farnese Persol a Campo de’ Fiori, e ci si ritrova in sala, numerosi come sempre, per la serata d’apertura, il 7 Maggio. Il ritrovarsi è quello di una grande famiglia, come afferma Federico Sartori, direttore del festival insieme a Iris Martin-Peralta: la famiglia degli spettatori che ogni anno si mettono gioiosamente in fila, sotto l’occhio vigile di Giordano Bruno e davanti l’obiettivo di Vittoria Mannu, per gustare i sapori e i profumi iberici evocati dai film in programma. E sono i sapori nuovi di film che altrimenti non vedremmo in Italia e quelli, gustosissimi, delle retrospettive che ci riportano meritoriamente davanti agli occhi i lavori dei grandi maestri. L’apertura e la retrospettiva, quest’anno, sono dedicate a Carlos Saura, presente in sala per accompagnare il suo Carmen (1983). Il regista, rispondendo ad una domanda dal pubblico, dichiara apertamente la sua scelta di cinema: Io preferisco lavorare su una linea più immaginativa che realistica. Ecco perché non faccio film politici in senso stretto. Ma ogni film è politico. La linea immaginativa si dispiega meravigliosamente, in Carmen, nella sovrapposizione dei piani narrativi di una compagnia che mette in scena la Carmen, utilizzando la lingua internazionale del flamenco. Il film a cui stiamo assistendo, il balletto che si mette in scena nel film, le vicende umane dei membri della compagnia e quelle dell’opera lirica, le cui arie tramano il tessuto sonoro del film insieme al rumore dei passi del flamenco, giocano a rincorrersi, intrecciarsi, confondersi e confonderci, per mettersi in primo piano, alternativamente. I magnifici piani sequenza che attraversano e rincorrono le scene di ballo tolgono il respiro per la loro bellezza e fanno immergere nella vicenda al punto da sentirsi schiacciati e sopraffatti dalla bellezza di quei passi che battono il tempo della passione, del flamenco, della vita.
data di pubblicazione 08/05/2015
da Maria Letizia Panerai | Mag 6, 2015
Chi non ricorda questo film anni ottanta interamente ambientato in una New York molto “modaiola”? Noto oltre che per le splendide musiche ed una bella fotografia, 9 Settimane e ½ viene ricordato prevalentemente per le scene ad alta carica sensuale in cui sono coinvolti Mickey Rourke e Kim Basinger, giovanissimi e bellissimi, che interpretano rispettivamente la parte di John, arbitraggista di Wall Street ed Elizabeth, gallerista d’arte. Il titolo allude alla durata della relazione tra i due, periodo durante il quale John coinvolge Elizabeth in alcune esperienze erotiche che finiranno per stravolgerne la salute mentale.
Alcune scene di questo film sono divenute famosissime, prima tra tutte lo spogliarello di Kim-Elizabeth sulle note di You Can Leave Your Hat On, canzone cult interpretata dal grande Joe Cocker; ma anche la sequenza del ghiaccio in cui Elizabeth viene “bendata” o quella in cui, accoccolata davanti al frigorifero aperto, gioca ad ingurgitare ad occhi chiusi ogni possibile cosa che John le porga, in prevalenza cose dolci come ciliegie sciroppate, miele, gelatina, latte, ma anche peperoncino, vino, pasta e tanto altro. Ed è a questa scena che dedichiamo la ricetta del plum cake con frutta secca, dolce lussurioso in cui prevale una certa varietà di ingredienti che lo rendono buonissimo e ad alto contenuto…calorico!
INGREDIENTI: 150 gr di burro – 80 gr di zucchero – 4 uova – 200 gr di farina – 1 bustina di lievito – 50 gr di uvetta – la buccia grattugiata di un limone – 100 gr di frutta secca mista (fichi, datteri, albicocche, noci, nocciole, mandorle)- zucchero a velo q.b..
PROCEDIMENTO: Mescolare il burro con lo zucchero, aiutandosi con una frusta elettrica, sino a far diventare il composto spumoso. Aggiungere le uova ad una ad una, la farina, il lievito, la buccia grattugiata di un limone e l’uvetta infarinata per evitare che affondi; tagliare quindi a pezzi i fichi, i datteri e le albicocche, tritare le noci, le mandorle e le nocciole, ed unire tutto al composto di uova e farina. Versare l’impasto nella forma da plumcake, precedentemente imburrata o coperta di carta da forno; infornare a 180° a forno termo ventilato (che avremo fatto pre-riscaldare mentre preparavamo il composto) per mezz’ora. Completare a freddo con lo zucchero a velo.
da Antonio Iraci | Mag 4, 2015
(Teatro Due – Roma, 2/3 maggio)
La Compagnia Teatro il Moscerino di Pinerolo ci ha presentato al Teatro Due Roma un lavoro molto singolare, evento off nell’ambito del Doit Festival in corso di svolgimento fino al 24 maggio.
Sulla scena due personaggi dai movimenti impacciati che si muovono come marionette in uno sfondo buio e claustrofobico, talvolta illuminati solo da una candela, al centro una tavola imbandita meticolosamente dal padrone di casa.
Ma come mai abbiamo solo un posto a tavola se i convitati sono due?
Lasciando stare il finale che sorprende, ma non più di tanto oramai, colpisce lo spettatore la recitazione asciutta dei due protagonisti Marta De Lorenzis e Luca Maggia che mostrano una discreta abilità drammaturgica ed un buon talento espressivo.
Samuel Dossi ha scritto il testo, ispirato da una storia vera di cronaca, che ha il vantaggio di essere molto scarno, intenso e soprattutto di breve durata.
data di pubblicazione 04/05/2015
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Apr 30, 2015
(Teatro Due – Roma, 28/29 aprile 2015)
Al nastro di partenza la prima edizione del DOIT FESTIVAL al Teatro Due che ci presenterà sino al 24 maggio ben 8 proposte, selezionate da una apposita giuria, su un progetto ideato e curato da Angela Telesca e da Cecilia Bernabei.
L’intento è di promuovere quelle iniziative drammaturgiche contemporanee, non solo con testi originali, ma anche con il riadattamento di classici e con riferimento al teatro di impegno civile e sociale.
In questo contesto si inserisce pertanto Tessuto che vede come protagonista, in un serrato monologo pieno di coinvolgente espressività, Mia vissuta sin dalla nascita con la nonna materna in un piccolo paesino brasiliano.
La ragazza, oramai adulta, sogna ed immagina sua madre Teresinha che lei non ha mai conosciuto e verso la quale, negli anni, ha maturato un sentimento di profondo amore, sia pur accompagnato da un doloroso ed acuto senso dell’abbandono.
Mia intraprende così un viaggio pieno di entusiasmo e di speranza alla ricerca della madre, di cui sa poco o nulla, e che in parte impara a conoscere attraverso un tessuto, ritrovato quasi per caso, in cui la stessa madre, che faceva la sarta, ha ricamato fiumi di parole senza comprenderne pienamente il significato.
La ragazza, attraverso questi scritti, ricucirà pertanto un mondo in cui si è trovata coinvolta la madre e da questo emergeranno soprattutto tutta una serie di ingiustizie sociali e di brutalità subita in silenzio.
Daniela Scarpari recita con disinvoltura e si fa portavoce di una esigenza sociale di denuncia dello sfruttamento e della violenza subita dalle donne che spesso non hanno forza sufficiente per gridare il proprio dolore e rivendicare il proprio diritto alla vita ed alla propria dignità.
Ottimo e suggestivo l’allestimento scenico dove la grafica digitale, sapientemente utilizzata, pone in evidenza un gioco fatto di luci ed ombre, di bianco e di nero, con frequenti pennellate di rosso come a sottolineare che il sangue è quello che ci nutre e ci dà vita, ma che allo stesso tempo può darci sconforto e morte.
data di pubblicazione 30/04/2015
Il nostro voto:
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