CHAN-HYO BAE – Sartor Resartus – Mostra fotografica a cura di Antonio Calbi

CHAN-HYO BAE – Sartor Resartus – Mostra fotografica a cura di Antonio Calbi

(Auditorium della Conciliazione – Roma, 30 settembre/20 novembre 2015)

Visionarea è un progetto ideato dall’artista Matteo Basilé e dall’Associazione Amici dell’Auditorium della Conciliazione, strutturato come un vero e proprio Art Space per sostenere e promuovere qualsiasi espressione d’arte contemporanea, anche in collaborazione con altre istituzioni culturali nazionali ed internazionali.

E’ proprio nell’ambito di questo ambizioso programma che si inserisce la mostra fotografica dell’artista Chan-Hyo Bae, sud coreano, presentata nel suggestivo spazio dell’Auditorium di via della Conciliazione, una sorta di vero e proprio Temporary Art Museum, come amano definirlo gli organizzatori dell’evento, decisamente adatto ad accogliere la manifestazione.

Osservando attentamente i lavori in mostra, proposti con un allestimento sobrio e ben pensato, lo spettatore si trova di fronte a delle composizioni ben strutturate, ad una sorta di tableaux vivants, dove non appare più solo l’elemento fotografico in sé ma il tutto viene presentato con una specie di mix tra pittura e messa in scena teatrale, in una ambientazione tipicamente inglese sospesa tra l’aristocratico ed il regale.

Subito ci si chiede: come mai un uomo sud coreano si presenti indossando degli abiti d’epoca femminili, tra pizzi, broccati e merletti, assumendo con assoluta naturalezza e garbo le figure proprie delle grandi nobildonne inglesi? Come mai l’artista si  identifica, visibilmente compiaciuto, in quelle sembianze femminili illustri, capisaldi della storia dell’Impero britannico? C’è da intravedere una volontà denigratoria e dissacrante, oppure un semplice desiderio di indossare un’altra identità più consona al proprio essere, con l’intento specifico di scardinare tutte quelle convenzioni sociali stereotipate e discriminanti?

Ed è proprio da Chan-Hyo Bae che ci arriva la risposta ai nostri interrogativi: l’artista, che oramai vive a Londra da anni con la propria famiglia, afferma che questo suo modo espressivo di mascheramento è indotto da una sua reazione a tutte le forme di discriminazione ed isolamento alle quali è ancora oggi quotidianamente sottoposto, sia come orientale sia come uomo in sé.

Poco importa: lo spettatore, dal suo punto di vista, non può che rimanere affascinato dall’aspetto visionario che caratterizza i singoli lavori fotografici in mostra, sia che si tratti di soggetti fiabeschi sia che riguardi i grandi nomi della storia dell’Impero britannico, l’unico ancora in grado di sopravvivere all’evolversi dei tempi moderni. L’opera d’arte, qualsiasi sia la sua forma espressiva, è comunque l’esternazione di un’idea che nasce, quasi inconsapevolmente, senza necessità di alcuna spiegazione. Il soggetto “altro” è quello che fa sua questa idea che sovente risulta diversa, se non diametralmente opposta, da quello che è l’intento di colui che la crea.

Il pubblico presente all’inaugurazione della mostra, ben curata nei minimi dettagli da Antonio Calbi, Direttore del Teatro di Roma oltre che critico e studioso delle arti sceniche, ha reagito positivamente apprezzando il singolare lavoro dell’artista.

data di pubblicazione 01/10/2015

LA SPLENDIDA LEZIONE DI UMANITÀ DI MAGUY MARIN

LA SPLENDIDA LEZIONE DI UMANITÀ DI MAGUY MARIN

Ci sono alcuni spettacoli che catturano immediatamente, si imprimono nella mente, arricchiscono il vocabolario, si ricordano nel tempo. A tale speciale categoria appartiene May B di Maguy Marin, una delle figure storiche del teatrodanza francese. Al Roma Europa Festival la Compagnie Maguy Marin ritorna con lo spettacolo icona della coreografa franco-spagnola, ispirato all’opera dello scrittore e drammaturgo Samuel Beckett, che racconta la desolazione della condizione umana attraverso i versi e la gestualità di dieci personaggi in un continuo divenire. Nel repertorio della compagnia oramai da 35 anni, May B è stato rappresentato più di 700 volte in 5 continenti.

Nata a Tolosa da genitori spagnoli fuggiti dalla Spagna di Francisco Franco, studia danza classica, entra nella scuola Mudra e poi nella compagnia di Maurice Béjart per fondare poi una propria compagnia. Maguy Marin è stata definita la “pasionaria” della danza per aver sempre utilizzato la sua notorietà per operare nel sociale e aprire discussioni importanti su tematiche come: i senza tetto, i rifugiati, gli esclusi, dando vita in modo intelligente ed efficace a personaggi nei quali puntualmente ritrovarsi. Il risultato è certamente potente, ironico, toccante ma anche feroce; la danza è contaminata da una teatralità forte ed esasperata, lirica e cruda allo stesso tempo. Sulle musiche di Franz Schubert e Gavin Bryars, in uno spazio polveroso e nudo, dieci migranti iniziano un cammino iniziatico, fosco e violento, dialogano, si incontrano e si scontrano, si cercano e si respingono, si assemblano e si separano senza pace, condividendo situazioni ed emozioni, in un viaggio fuori dal tempo ma assolutamente contemporaneo.

Tragica ed ironica, la metafora degli emarginati senza tempo regala emozioni e riflessioni, in un coinvolgimento forte e profondo. Da vedere assolutamente.

data di pubblicazione 01/10/2015

PECORE IN ERBA di Alberto Caviglia, 2015

PECORE IN ERBA di Alberto Caviglia, 2015

Le pecore, prima di scoprire, durante il film, che sono quelle di uno striscione allo stadio che nasconde un anagramma antisemita, sono certamente tutte le persone che si interrogano, nelle piazze romane e sugli schermi italiani, riguardo la scomparsa di Leonardo, il protagonista della storia. Perché il film, oltre ad essere un riuscito tentativo, pur con qualche riserva sulla lunghezza, di parlare di antisemitismo attraverso la chiave di volta dell’umorismo e della satira, è anche un racconto della nostra società cosiddetta “mediatica”, in cui si diventa personaggi e miti a prescindere dall’ideologia, dal merito, da un reale contributo storico e culturale. La storia si dipana attraverso un rovesciamento continuo, un paradosso che racconta le cadute e l’ascesa dell’autore del fumetto Bloody Mario. Un’ascesa esplicata, coadiuvata o contrastata da personalità del mondo dell’arte, della televisione, della psicologia e della tuttologia italiana che nel film interpretano se stessi (Sgarbi, Mentana, Freccero, tanto per citarne alcuni). A colpi di mitra dentro il negozio di supplì perché il pizzettaro chiede “Ma o metto o ketckup?”, di Bibbia Redux, di film come Forni felici, Caviglia ha fatto il suo esordio con questo suo primo lungometraggio alla 72ma Mostra del cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti. Il successo del film, oltre che dal pubblico in sala, dipenderà, ovviamente, dagli effetti del complotto pluto giudaico massonico, cui si devono la morte di Lennon, di Kennedy e della madre di Bambi.

data di pubblicazione 01/10/2015


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IO E LEI di Maria Sole Tognazzi, 2015

IO E LEI di Maria Sole Tognazzi, 2015

Marina (Sabrina Ferilli) e Federica (Margherita Buy) sono due donne, non più giovanissime, che vivono da cinque anni una tranquilla vita di coppia.

Entrambe sono impegnate professionalmente con successo e vivono circondate da un ambiente molto agiato sia in ambito lavorativo, sia nel privato della loro casa dove regna indisturbato il gatto Bengala.

Marina, ex attrice di una certa notorietà, ha già da tempo esternato con assoluta spontaneità le proprie inclinazioni sessuali, mentre Federica, con alle spalle un matrimonio ben riuscito accanto ad un marito affettuoso ed un figlio di ampie vedute, si muove ancora con esitazione evitando, ove possibile, di svelare nell’ambiente socio-lavorativo la propria relazione sentimentale con Marina.

La loro vita si svolge con i ritmi soliti di una “ordinaria normalità”, non esente, appunto per questo dai “normali” problemi di una qualsiasi coppia che, alla “normale” routine di convivenza, alterna “normali” discussioni e “normali” gelosie.

E’ dunque questa la forza del film, dove il fulcro della storia è un rapporto di coppia al femminile che ci viene presentato con assoluta leggerezza e con un non casuale tocco di ironia, in cui apprezzabile risulta essere la scelta registica di entrare nell’intimità della camera da letto delle due donne senza soffermarsi ad osservare con sguardo morboso, ma tratteggiando invece semplici gesti spontanei di tenerezza di coppia.

Maria Sole Tognazzi, regista oramai affermata ed apprezzata dal pubblico con alle spalle una carriera cinematografica che ha già ottenuto numerosi riconoscimenti, ci presenta un film politically correct, con un messaggio politico assolutamente evidente che si inserisce quasi in punta di piedi in un paese dove da anni si discute sul riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto ed omosessuali: una commedia sentimentale, come amano definirla gli stessi sceneggiatori, che denuncia tutta una serie di anacronistici ed ingiustificati pregiudizi da parte di una classe politica che ci governa ma che non più ci rappresenta.

Una storia dei giorni nostri che si segue con attenzione, dove non manca quella nota di divertimento che strappa anche una risata, sullo sfondo di una Roma elegantemente fotografata ma non artefatta, che mantiene il carattere di realismo e non da cartolina patinata.

data di pubblicazione 30/09/2015


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FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Decima edizione – 16/24 Ottobre

FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Decima edizione – 16/24 Ottobre

(Conferenza stampa – Roma, Auditorium Parco della Musica)

Con l’intervento di oggi del nuovo staff organizzativo composto da Piera Detassis e Lucio Argano, rispettivamente in qualità di Presidente e Direttore Generale della Fondazione Cinema per Roma, e dal nuovo Direttore Artistico della Festa del Cinema di Roma Antonio Monda, è stato presentato il programma completo della decima edizione, che prenderà il via il giorno 16 ottobre.

Dopo una breve introduzione da parte del Presidente Detassis, Antonio Monda ha illustrato, in maniera chiara e sintetica di fronte ad una sala gremita di giornalisti e di rappresentanti delle varie Istituzioni pubbliche, i punti salienti del programma.

Sono 37 i film selezionati, con una partecipazione di 24 paesi. L’Italia è rappresentata da tre film: Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, Dobbiamo parlare di Sergio Rubini e Alaska di Claudio Cupellini.

2 gli eventi speciali, entrambi dedicati al regista premio Oscar Paolo Sorrentino: un episodio del film collettivo Rio, Eu te amo intitolato La fortuna, e la versione estesa, con quaranta minuti di inediti, de La Grande Bellezza.

2 i film insieme ad Alice nella città: Une enfance di Philippe Claudel e Le petit prince di Mike Osborne.

9 i film/documentari/progetti nell’ambito delle linee di programma Work in Progress, Hidden City e Riflessi.

3 le retrospettive, curate da Mario Sesti, coordinatore artistico del comitato di selezione: Viaggio nel mondo Pixar insieme ad una masterclass con Kelsey Mann; un omaggio al regista Antonio Pietrangeli con la sua opera completa ed infine al regista, sceneggiatore e produttore cinematografico Pablo Larraìn.

10 gli incontri: Jude Law, Wes Anderson – Donna Tartt, William Friedkin – Dario Argento, Paolo Sorrentino, Joel Coen – Frances McDormand, Todd Haynes, Carlo Verdone – Paola Cortellesi, Renzo Piano, Riccardo Muti, Paolo Villaggio.

10 gli omaggi: Ettore Scola, Paolo e Vittorio Taviani, P.P. Pasolini, Francesco Rosi, Ingrid Bergman, Luis Buñuel, Stanley Kubrick, Hitchcock/Truffaut, Frank Sinatra, Franco Rossi.

Infine il Direttore Artistico ha tenuto a sottolineare come con il ritorno alla denominazione di “Festa del Cinema”, l’abolizione di premi (tranne quello assegnato dal pubblico con il proprio voto di gradimento), l’avvio di un programma interattivo che interesserà diversi punti della città nell’arco temporale di un anno, cade la critica sollevata da più parti che definisce la rassegna romana priva di una propria identità specifica nel contesto internazionale dei festival cinematografici.

Come dalla citazione dal film 8 e ½ di Fellini: E’ una festa la vita, viviamola insieme…

Onore al merito del neo Direttore Monda, si è percepito tra il pubblico in sala un certo entusiasmo misto a curiosità per questa decima edizione della rassegna capitolina che, sia pur in misura ridotta rispetto agli anni passati, sicuramente ci appassionerà per la qualità dei lavori selezionati.

data di pubblicazione 29/09/2015

NORMALITY di Nicolò Tagliabue, 2015

NORMALITY di Nicolò Tagliabue, 2015

Una villa immersa in un bosco, in una località indecifrabile, peraltro avulsa dal contesto storico e sociale odierno. Una madre, instabile e protettiva (interpretata da Mariella Valentini), e suo figlio Norman (interpretato da Gabriele Lazzaro), trentenne problematico ed introverso, vivono un rapporto morboso, disturbato, ossessivo e, per come la narrazione si sviluppa, pericoloso e drammatico per entrambi.

Prodotto, in maniera totalmente indipendente, dallo stesso protagonista maschile, Gabriele Lazzaro, e presentato in anteprima al ristorante “Il Margutta” di Roma, domenica 27 settembre 2015, Normality si inserisce nel solco di una manifestazione artistica e sociale che lo storico ristorante vegetariano della Capitale sta dedicando alla follia umana.

Normality è un cortometraggio intenso ed avvincente, dal ritmo incalzante (complice la regia nervosa di Tagliabue, che accresce gli effetti in termini di tensione) e con momenti riflessivi preceduti e seguiti da accelerazioni improvvise. Di particolare pregio sono alcune inquadrature (dai primi piani di bocche ed arti, alla sequenza ripresa dalle spalle di una fiamma ardente) ed alcuni dialoghi tra i protagonisti (il litigio tra Norman e la sua psicanalista su tutti). Da segnalare altresì il pregevole contributo dato a Normality da Grazia Di Michele, con l’interpretazione della sua nota canzone “Il tempio”, qui con un nuovo arrangiamento.

Chiusura sulla regia: esperta e sicura, nonostante provenga da un giovanissimo artista (25 anni d’età), peraltro già autore di interessanti cortometraggi (che si consiglia di recuperare).

data di pubblicazione 29/09/2015

PRESENTAZIONI DELLA STAGIONE TEATRALE 2015/2016  ♦6  TEATRO DELL’OROLOGIO

PRESENTAZIONI DELLA STAGIONE TEATRALE 2015/2016 ♦6 TEATRO DELL’OROLOGIO

In questo mese di settembre si è svolta, in Piazza dell’Orologio, la presentazione della nuova stagione del Teatro dell’Orologio, intitolata Cambiamento Reale. Questo nome sta ad indicarela creazione di una nuova stagione teatrale a misura per qualsiasi spettatore, rafforzando quel fil rouge che lega questo teatro al fruitore finale, lo spettatore appunto, grazie ad un’idea contemporanea di teatro decisamente più accessibile a chiunque voglia accostarsi ad esso.

La nuova stagione dell’Orologio, che prevede la presenza di 35 giovani compagnie, programmerà in totale 49 spettacoli tra cui 5 eventi speciali e, come novità assoluta, 5 percorsi monografici. Ad aprire la stagione sarà proprio il percorso monografico di Proxima Res (6/25 ottobre), collettivo artistico milanese che si occupa di formazione e di produzione; a seguire Hitchcock. A love story, Emigranti di Giancarlo Fares, dal 3 all’8 novembre Viaggio verso Itaca della compagnia tutta al femminile Kinesisart diretta da Selene Gandini. Subito dopo la compagnia milanese Teatro Scientifico propone “La bambola” e “La putana”, due atti unici dello psichiatra veronese Vittorino Andreoli, e Orfeo ed Euridice di Cèsar Brie (17/22 novembre); per poi concludere con la Compagnia Tedacà e Compagnia Dei Demoni che ci racconta la storia del cinema in 60 minuti grazie allo spettacolo L’invenzione senza futuro.

Da non perdere è il debutto del nuovo lavoro di Filippo Gili, Antigone, interpretato da Vanessa Scalera, Piergiorgio Bellocchio e Barbara Ronchi. Dal 1 al 6 dicembre vanno in scena L’ăge mŭr nié – Lettere di Camille Claudel, tratto dal materiale epistolare della scultrice francese durante l’internamento in un ospedale psichiatrico, e Leonardodicaprio di Riccardo Festa, insieme a Michele Cesari. Si rimane ancora nel territorio del cinema con Carnage. Il dio del massacro, tratto dal capolavoro di Yasmina Reza portato sugli schermi nel 2011 da Roman Polanski, che ci restituisce uno spaccato delle nevrosi della società borghese. Segue Kamikaze Number Five di Giuseppe Matassa che chiude la programmazione del 2015.

Tra gennaio e febbraio, DoppioSenso Unico riapre la stagione con la Trilogia Niente di nuovo sotto il suolo; da non perdere, a seguire, Trilogia di Mezzanotte di Filippo Gili diretta da Francesco Frangipane, Cock per la regia di Silvio Peroni con Sara Putignano, Fabrizio Falco, Jacopo Venturiero ed Enrico Di Troia, concentrato sul tema della consapevolezza sessuale, e la Trilogia del gioco dei Maniaci d’Amore.

Due donne sole è il nuovo lavoro curato di Sara Bertelà: due atti unici tratti dall’opera di Alan Bennett che parlano della consapevolezza delle donne e della loro voglia di cambiare (9/14 febbraio); segue la compagnia CapoTrave con Piero della Francesca. Il punto e la luce, testo di Lucia Franchi e Luca Ricci (16/21 febbraio), e Lourdes, di CapoTrave e Andrea Cosentino (18/28 febbraio).

Nel mese di marzo Siamo tutti buoni, debutto in prima nazionale della compagnia Readarto Officine Artistiche e contemporaneamente W l’Amor-te; mentre dal 8 al 13 marzo Love Bombing, testo di Giuseppe Miale di Mauro, una produzione di Nest – Napoli Est Teatro che da sempre unisce forze artistiche a coscienza civile per un teatro di qualità che sia impegno, comunicazione e crescita culturale.

Dal 15 al 20 marzo per il decimo anno si rappresenterà In punta di piedi, della compagnia Biancofango scritto da Francesca Macrì e Andrea Trapani e interpretato da quest’ultimo, primo capitolo della Trilogia dell’Inettitudine; mentre Vuccirìa Teatro debutta con il nuovo lavoro Yesus Christo Vogue, testo del giovane drammaturgo Joele Anastasi (16/26 marzo).

Una rilettura noir del capolavoro di Carlo Collodi è alla base del lavoro di Andrea Carvelli e Matteo Cusato: Pinocchio vol.1 Redux in scena dal 21 al 25 marzo; a seguire Viaggio a Macondo di Gianni Clementi, diretto da Paolo Triestino e interpretato da Carlo Greco, indagine sulla solitudine, e sulla possibilità di trasformarsi in follia (29 marzo/10 aprile).

La compagnia BluTeatro torna su David Foster Wallace, mentre Daniele Timpano ed Elvira Frosini si cimentano su un testo scritto appositamente per loro da Fabio Massimo Franceschelli, dal titolo Carne; ed ancora il progetto di Mauro Santopietro, Padre Figlio e Sotto Spirito andrà in scena dal 19 al 24 aprile. La stagione si chiude con gli spettacoli Fatelo a pezzi per i suoi brutti versi, scritto e interpretato da Paolo Mazzarelli, e Dark Vanilla Jungle, ultimo lavoro di Carlo Emilio Lerici sul testo di Philip Ridley, interpretato da Monica Belardinelli (26 aprile/8 maggio).

Un’altra novità assoluta è la stagione Teatro Ragazzi, ideata e realizzata in collaborazione con la Compagnia Readarto Officine Artistiche. Infine, per la sezione eventi speciali, in collaborazione con Unicef Italia il Teatro dell’Orologio ospiterà un progetto della campagna Bambini in pericolo, in collaborazione con Associazione Buona Cultura; andranno inoltre in scena Sterili, di Maria Teresa Berardelli, Due Fratelli di Fausto Paravidino, Homicide House di Emanuele Aldrovandi, ed infine Eden – connect the dots, festival di danza contemporanea ideato e realizzato da Gianluca Cheli e Gianni Parrella.

Infine a maggio ci sarà il Festival Inventaria, ideato e diretto da DoveComeQuando, mentre l’ultimo evento speciale è Dominio Pubblico – Under 25, progetto del Teatro dell’Orologio e del Teatro Argot Studio.

Che dire: ce n’è davvero per tutti i gusti!

data di pubblicazione 29/09/2015

RIPARARE I VIVENTI di Maylis De Kerangal – Feltrinelli, 2015

RIPARARE I VIVENTI di Maylis De Kerangal – Feltrinelli, 2015

Febbraio, ora antidiluviana. Tre amici, tre adolescenti, si incontrano per una sessione di surf.

Uno di loro non tornerà a casa, verrà stroncato da un incidente sulla via del ritorno; arriverà in ospedale in coma irreversibile e, in quel momento, una macchina inesorabile si metterà in moto perché la morte di uno possa significare la vita per molti.

Un libro veramente bello e originale, che si dipana in ventiquattro ore cariche di suspense, con pause e ripartenze e che parla della vita attraverso la morte.

Un argomento molto complesso, il trapianto, che l’autrice tratta non solo dal punto di vista “tecnico” scandendo i tempi entro cui andranno espiantati gli organi perché siano utilizzabili, l’avvicendamento in camera operatoria delle equipe che si occuperanno ognuna del proprio organo, cuore, fegato, reni,  ma anche “introspettivo”, con pochi tratti essenziali ci farà conoscere tutti gli attori di questa tragedia moderna.

I genitori con il loro dolore inconsolabile, inenarrabile, che dovranno decidere di staccare le macchine che tengono in vita il proprio figlio per permettere ad altri di continuare a vivere; le vite, i sentimenti, il dolore, l’amore e l’immenso rispetto di tutti coloro che sono coinvolti, dai medici, agli addetti ai trapianti, dagli infermieri alla donna che riceverà il cuore del giovane Simon che le permetterà di tornare a vivere.

Un libro che fa sicuramente riflettere; quando non è rimasto più nulla della persona che siamo stati il nostro corpo si trasforma in un insieme di organi che possono essere tenuti in “vita” da una macchina, una vita che non è “vita” è ben altro.

Un libro che si riassume in una frase: “Che fare Nicolas? – Seppellire i morti e riparare i viventi.”

ROBERT LEPAGE APRE CON “887” LA 30^ EDIZIONE DEL ROMA EUROPA FESTIVAL 2015, di e con Robert Lepage

ROBERT LEPAGE APRE CON “887” LA 30^ EDIZIONE DEL ROMA EUROPA FESTIVAL 2015, di e con Robert Lepage

(Teatro Argentina – Roma, 23/26 settembre 2015)

887 è il numero civico dell’indirizzo della via in cui Lepage ha vissuto con la famiglia in Québec negli anni Settanta ed è il racconto autobiografico del giovane Lepage, terzo di quattro fratelli, figlio di un tassista e di una casalinga, che coltiva in giovane età la sua vocazione per il teatro.

Il “solo show” di Lepage è una immersione nella memoria personale, interiore e collettiva. Lo spunto per lo spettacolo viene da un episodio – vero o forse presunto – riguardante la sua difficoltà a memorizzare un componimento poetico in occasione del Festival dei 40 anni della Poesia contemporanea in Québec. Il componimento Speak white (Parlez blanc) scritto da Michèle Lalonde nel 1968 parlava anch’esso di memoria, una memoria politica, la memoria delle vicende di un Québec separatista cruentemente soffocate sul nascere.

Il racconto testimonia la difficoltà di ritrovare il passato, guardando a ritroso le vicende personali e comuni che hanno condizionato vite e destini, attraverso un esercizio di uso della memoria ormai in disuso, che genera una fuoriuscita di ricordi e di pensieri, in un susseguirsi di immagini e parole nel tentativo di rielaborare il passato e riorganizzare il presente.

Ma il presente è tecnologia che abilmente entra nel narrato attraverso webcam, proiezioni fotografiche e video che diventano parte integrante del racconto, utili strumenti nelle mani dell’affabulatore per evocare luoghi, situazioni e fissare volti del passato, perché la memoria digitale è più fredda, più scientifica e più analitica.

Il numero 887 proiettato sullo schermo si trasforma nel corso della narrazione nelle foto e nei ricordi visivi della famiglia, nei minuscoli video che annunciano le attività e le vite che si svolgono all’interno del palazzo con un continuo rimando alla figura del padre attorno al quale ruota la storia: prima bagnino, poi militare in Marina, poi tassista.

L’edificio ricostruito in forma di plastico interattivo è una struttura mobile e sorprendente che si compone e scompone, ricreando atmosfere passate e presenti in maniera geniale. Da casa in scala con tutti i condomini presenti, a cucina con arredo, con tanto di tavolo e frigo, a sala con tv, ma anche a locale notturno, fast food ed infine all’intimità dolorosa del taxi paterno.

 Un racconto stilisticamente perfetto e una costruzione scenica impeccabile non riescono però a sporcare un costrutto algido ed emotivamente non troppo coinvolgente.

Rimane l’ennesima prova di one man show cui ci ha abituato Lepage e la costruzione artistica ed il pathos emotivo delle scatole della nostra memoria cosi difficilmente esplorabili ma cosi fortemente presenti.

data di pubblicazione 26/09/2015

PER AMOR VOSTRO di Giuseppe Gaudino, 2015

PER AMOR VOSTRO di Giuseppe Gaudino, 2015

Con il film Per amor vostro Giuseppe Gaudino, regista e cosceneggiatore poliedrico, ha realizzato un affresco di Napoli passionale, misterioso e torbido, decisamente visionario e vero.

La “devozione” e l’incomunicabilità avvolgono l’intera storia di Anna (Valeria Golino), che poi altro non è che la storia di Napoli. Anna si sente una cosa da niente e “sopravvive” in un vortice alimentato dal suo innato senso di abnegazione per gli altri. In questa affannosa quotidianità trascorsa in bilico e solo talvolta scossa dal vento che soffia dal mare (il cambiamento), Anna si è dimenticata di se stessa, nasconde la sua bellezza, vede tutto grigio in una passiva rinuncia alla vita. La protagonista parla con i suoi occhi e quando è insieme ai suoi 3 figli, tra cui Arturo sordomuto, alimenta sempre il dialogo anche attraverso la musica e con il linguaggio dei segni; invece quando torna a casa suo marito, il violento Giuseppe Scaglione (Massimo Gallo), si ripiomba nel dramma dell’incomunicabilità e Anna torna prigioniera di un mutismo soffocante che la rende inconsciamente complice dei traffici illeciti del compagno. In questo degrado esistenziale, l’abnegazione di Anna per il prossimo comincia a vacillare quando il bel Michele Migliaccio (Adriano Giannini), il protagonista della soap opera per la quale Anna lavora come “gobbo” responsabile della stesura dei cartelloni con le battute degli attori, inizia a gratificarla prima come professionista e, poi, come donna, regalandole emozioni e sensazioni ormai sopite. Si innesca così un dualismo tra l’illusione del rifugio patinato delle quinte del set e la grigia, amara realtà familiare che scuote profondamente Anna fino a lacerarla in un’ascesa ancestrale verso il ritorno alla vita e ai colori, verso la riconquista della propria dignità e il coraggio di cambiare le cose. L’affrancazione di Anna dal male è veicolata da quello che appare come un possibile nuovo “amore”, ma passa attraverso gli “inferi” egregiamente rappresentati da Gaudino tra le catacombe di Napoli, le grotte popolate di ossa, teschi, lumini e sbiadite immagini sacre fino ai fumi della solfatara di Pozzuoli. La devozione di Anna, bella, spenta e timorosa, si fonde con la devozione di Napoli per la Madonna e San Gennaro, per le superstizioni, con una città dove sembra che tutti sopravvivano e non vivano, facendo finta di non vedere il marciume. Finzione e realtà si dissolvono in un’unica dimensione che si rivela nella sua essenza solo alla fine della storia sorprendendo lo spettatore. Il sacro si mescola con un profano primitivo anche attraverso il simbolismo onirico delle colombe bianche, dell’acqua che investe i piedi di Anna e che scende sui volti delle “anime dannate” che “popolano” il suo sonno e suoi pensieri rendendo palpabile l’ansia, l’angoscia e i turbamenti con cui la protagonista, trattata come “una cosa da niente” fin dall’infanzia, lotta per ritrovare la sua libertà. Con Per amor vostro Gaudino esprime una regia sicuramente innovativa, contaminata di neorealismo e con qualche sfumatura noir, realizzando un film a tratti allegoria che deve molto alla bravura del cast e in particolare all’interpretazione di una Valeria Golino – in tre momenti graficamente “convertita” nell’affresco di una Madonna -, la quale rievoca alla memoria un’altra “mamma intensa”: l’inarrivabile Anna Magnani.

data di pubblicazione 22/09/2015


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