UN MONSTRUO DE MIL CABEZAS di Rodrigo Plà – Messico (72^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2015 – Orizzonti)

UN MONSTRUO DE MIL CABEZAS di Rodrigo Plà – Messico (72^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2015 – Orizzonti)

Inaugura la Sezione Orizzonti della 72^ Mostra di Venezia il film di Rodrigo Plà. Una donna, con un figlio adolescente e un marito gravemente malato, si trova a dover lottare contro il “mostro dalle mille teste” rappresentato dalla burocrazia e dalla corruzione, sintomi di una società altrettanto malata e basata su regole violente che non possono che scatenare a loro volta violenza. Sonia Bonet, dopo l’ennesima quasi fatale crisi del marito malato di cancro, tenta di mettersi in contatto con il Professore che lo tiene in cura; ma questi non vuole riceverlo prima dell’appuntamento già fissato di lì a un mese. La donna insiste e tenta di avere subito un incontro, ma scopre che il professore si fa negare e quindi decide di affrontarlo. Il medico in realtà non vuole più prescrivere al marito della donna dei farmaci che, seppur in grado di alleviarne le sofferenze, essendo molto costosi non sono coperti dalla loro polizza sanitaria; si scoprirà anche che il grande gruppo assicurativo di cui fa parte il medico ha tra i propri regolamenti interni, assolutamente top secret, il riconoscimento di bonus a quei professionisti che riescono a raggiungere una certa percentuale di pratiche di rifiuto nel prescrivere cure a persone del ceto medio che non possono permettersi di pagare premi assicurativi molto elevati.

Il film, girato in modo molto interessante mostrando ogni scena dal diverso punto di vista dei vari protagonisti con l’accompagnamento di commenti musicali che fanno presagire l’arrivo imminente di una tragedia, è un’immagine spietata della nostra società contemporanea che non ha più nulla di umano, al punto da porci violentemente di fronte alle regole di un sistema cieco che riduce gli esseri umani a belve feroci, anche se per urlare al mondo i propri diritti. Solo l’abbraccio di un’infermiera e la comprensione di un poliziotto ci richiamano ad uno scenario di “normalità”…

data di pubblicazione 03/09/2015








UN MONSTRUO DE MIL CABEZAS di Rodrigo Plà – Messico (72^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2015 – Orizzonti)

EVEREST di Baltasar Kormákur – USA (72^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2015 – Fuori concorso)

Basato su una storia vera. L’indicazione che compare nell’incipit di Everest, film di apertura della 72^. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, lascia emergere quel fil rouge del Festival insistentemente evidenziato dal Direttore Barbera fin dalla conferenza stampa di luglio: il legame con la realtà, in grado di attribuire alla storia il crisma dell’emozione autentica, sia pur conferito in questo caso con i pregi e difetti dello stile hollywoodiano.

La “storia vera” che l’islandese Baltasar Kormákur sceglie di affidare alla trasfigurazione del grande schermo, datata 1996, è ambientata sulla catena dell’Himalaya: la “scalata organizzata” diviene una moda di lusso rivolta a un pubblico di alpinisti non professionisti, motivati a sfidare il rischio del non ritorno da ragioni che, sia pur muovendo dalle prospettive più disparate, finiscono per convergere verso un unico punto di fuga.

Due diverse spedizioni, guidate da Rob Hall (Jason Clarke) e Scott Fischer (Jake Gyllenhaal), si congiungono nell’ardito tentativo di condurre le proprie eterogenee squadre sulla vetta dell’Everest: 8.848 metri, la quota di crociera di 747, per provare a volare senza avere le ali. La risposta alla domanda “Perché?” non né automatica né scontata: si va perché si può, “testa bassa, passo dopo passo”, visto che in fondo conta più l’attitudine che l’altitudine e visto che, soprattutto, “now or never”. Il desiderio di superare i limiti imposti dalla biologica condizione di essere umano divengono una sfida con il proprio “io” inteso in una dimensione più ampia. Se però la poesia dello sport come specchio dell’introspezione individuale si incontra e si scontra con le logiche del mercato e del profitto, si rischia di finire in fila ai piedi del tetto del mondo come alle casse del supermercato di quartiere, smarrendo la capacità di comprendere fino in fondo il mistero della Natura e di fronteggiarne la conseguente Nemesi.

L’esibizione “iperrealistica” propria del 3D, unita all’assordante bufera del sonoro, conduce lo spettatore sui sentieri spettacolari della vertigine da capogiro, restituendo a tratti l’impressione di restare travolti dallo sferzante impatto dei cristalli di ghiaccio, mentre l’aria diviene sempre più insopportabilmente rarefatta.

C’è tanta Italia nel set di Everest: dalla Dolomiti agli Studi di Cinecittà, che compongono il mosaico insieme ai Pinewood Studios e reali paesaggi del Nepal.

Pur cedendo talvolta alle lusinghe del cliché del “genere alta tensione”, enfatizzato da una retorica melodrammatica pressoché inevitabile, Everest conferma le aspettative: un film di star e da botteghino, impreziosito da interpretazioni “minori” d’eccezioni, come quella di Keira Knightley, Emily Watson e Robin Wright; ma anche una riflessione sull’eterna e irrisolta storia di Icaro, sorpreso e “scottato” dell’ebbrezza del volo.

Data di pubblicazione 03/09/2015








UN MONSTRUO DE MIL CABEZAS di Rodrigo Plà – Messico (72^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2015 – Orizzonti)

VENEZIA 72 – Aspettando la mostra -Omaggio ad Orson Welles

Non ne parlo mai, perché parlare di film invisibili è una sorta di lutto”. Queste le parole di Orson Welles a proposito de Il mercante di Venezia, film incompiuto e poi, apparentemente perduto anche nei suoi frammenti, fino a ieri in Sala Darsena, a Venezia. Una grande anteprima, dunque,  per la serata del primo settembre 2015 al Lido, per la 72 ^ Mostra del cinema di Venezia, con la proiezione di ciò che si è riusciti a ritrovare,  restaurare,  e ricostruire grazie alla collaborazione di Cinemazero presso la Cineteca del Friuli, Cinemateque Francaise, il Filmmuseum di Monaco di Baviera e la Cineteca di Bologna.  Una ricostruzione ottenuta sostituendo il rullo sonoro perduto con la registrazione di un Mercante di Venezia diretto e recitato a teatro dello stesso Welles. Ad aprire la serata, destinata come da tradizione,  per la  gran parte, al pubblico di Venezia, tramite i coupon comparsi sui quotidiani locali,   il saluto del presidente della Biennale, Paolo Baratta, e del direttore artistico del settore cinema,  Alberto Barbera. A seguire, nella sua prima esecuzione dal vivo a cura dell’orchestra classica di Alessandria, la partitura originale inedita del Mercante di Venezia di Angelo Francesco Lavagnino,  autore delle musiche di molti film “shakespeariani” di Welles. Il successivo regalo fatto al numeroso pubblico accorso è stata poi la proiezione dell’Otello di Welles, nella versione doppiata in italiano che nel 1951 avrebbe dovuto concorrere al Lido.  La copia,  all’epoca, non arrivò.  Qualcuno degli addetti al settore storceva il naso, ieri sera, sulla versione doppiata, e normalmente concordo,  ma la voce e l’interpretazione del doppiatore Gino Cervi sono riuscite a rendere profondamente la forza dello sguardo di Welles e delle parole del Bardo.

LA PRIMA VOLTA DEL MOVIEMOV ITALIAN FILM FESTIVAL AD HANOI Reincontrando Egle ed incontrando Delbono

LA PRIMA VOLTA DEL MOVIEMOV ITALIAN FILM FESTIVAL AD HANOI Reincontrando Egle ed incontrando Delbono

Viaggiare ad est significa andare incontro al sole ed alla luce. Una luce diversa, più profonda e più intima. L’Oriente sorprende sempre per questo. Ogni volta ed a ogni viaggio sempre più piacevolmente.
Il Moviemov_Italian Film Festival, ideato e diretto da Goffredo Bettini, è un festival itinerante nato nel 2010 con l’obiettivo di strutturare una piattaforma d’incontro per la promozione culturale e commerciale del cinema italiano nei mercati asiatici.  Il festival organizzato con maestria dalla Playtown di Roma ha già al suo attivo ben quattro edizioni, di cui tre nella futuristica e cinetica Bangkok, una nella complessa e difficile Manila, ed infine   è approdato ad Hanoi dal 21 al 26 luglio 2015 con il difficile compito di far conoscere il cinema contemporaneo italiano alla giovanissima popolazione vietnamita. Ed è anche la prima volta che il Vietnam accoglie e sostiene un Festival internazionale.

Hanoi è una città in continua evoluzione, che ha voglia di conoscere e di crescere, un luogo in cui tutto è rapido e veloce, dove non è semplice suscitare interesse. La tradizione del cinema italiano non aiuta, le guerre e la miseria non hanno concesso molto ad una civiltà contadina, impegnata a sconfiggere la fame e le malattie. Ma le ultime generazioni sono diverse, hanno il web e la curiosità per recuperare i gap. Insomma una sfida importante. Una sfida che si è giocata puntando su due eccellenze del made in Italy: il cinema e la moda.

La programmazione è stata interessante, in grado di accomunare la nouvelle vague italiana a registi affermati. Sono stati infatti proposti al pubblico undici tra i film più rappresentativi e premiati delle ultime stagioni cinematografiche come Anime nere di Francesco Munzi, Fino a qui tutto bene di Roan Johnson, I nostri ragazzi di Ivano De Matteo, Il giovane favoloso di Mario Martone, La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati, Le meraviglie di Alice Rohrwacher, Maraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani, Noi e la Giulia di Edoardo Leo, Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, Tempo instabile…con probabili schiarite di Marco Pontecorvo, che si vedono e rivedono con estremo piacere.

Il film di apertura è stato Allacciate le cinture di Ferzan Ozpetek, film che ha vinto anche la rassegna grazie al voto della giuria popolare formata dal pubblico vietnamita presente in sala durante le proiezioni: il regista aveva già vinto l’edizioni 2010 e 2011 di Bangkok con Mine Vaganti e Magnifica Presenza.

Significativo vedere la presenza di tanto pubblico vietnamita interessato alla selezione dei film italiani e agli attori ed registi intervenuti a presentarli: Ferzan Ozpetek, Paola Minaccioni, la madrina Valeria Solarino, Stefano Fresi, Pippo Delbono.

E tantissimo interesse ha suscitato anche l’altro simbolo del “Made in Italy” nel mondo, ossia la moda, presente in questo Festival con la mostra pillole di “L’eleganza del cibo. “Tales about food and fashion” curata da Stefano Dominella in collaborazione con il Consiglio della Moda italo-vietnamita, e promossa dalla Regione Lazio e dall’Ambasciata d’Italia in Vietnam che ha visto lunghe code di vietnamiti all’esterno di Casa Italia dove era stata allestita. La mostra che è parte della più ampia esposizione in questo periodo in corso a Roma presso i Mercati Traianei, illustra la contaminazione tra moda e cibo, il connubio tra nutrizione e sostenibilità, temi di grande attualità al centro di Expo Milano 2015. In mostra la “Natural Couture” dell’eco-designer Tiziano Guardini, gli abiti “Nuvola” di Italo Marseglia, la “Couture a la carte” di Guillermo Mariotto che ha dedicato un’intera collezione di alta moda della Maison Gattinoni al cibo e un prezioso omaggio a Expo 2015 dell’orafo Gianni de Benedittis, designer del brand FuturoRemoto, con i suoi “gioielli da mangiare”.

Un’esperienza interessante, una atmosfera piacevolissima al di là della forte umidità, un confronto interculturale ed interiore che arricchisce ed aiuta a crescere, come accade sempre qui, in Oriente.

Due momenti su tutti: il rivedere e rivivere a distanza di un anno la storia di Egle, la ragazza malata terminale di Allacciate le Cinture, per riscoprirla ancora più straordinaria e vera, ironica e sincera, estrema e delicatamente commovente. Grazie Paola Minaccioni!

E la densa e piacevole chiacchierata notturna con Pippo Delbono, un maestro colto e disponibile, piacevole e gentile, con la possibilità di spaziare in ogni dove con ironia e profondità e di parlare serenamente della forza e della bellezza dei suoi spettacoli, capaci di far riflettere ed emozionare nel profondo.

FABI SILVESTRI GAZZÉ – Il Padrone della Festa Tour 2015

FABI SILVESTRI GAZZÉ – Il Padrone della Festa Tour 2015

(Roma, 30 luglio 2015)

Sotto una luna piena stregata Il Padrone della Festa celebra la conclusione del tour del trio Fabi Silvestri Gazzè nell’arena rock della città che ha dato i natali ai 3 cantautori romani.

Un concerto spettacolo durante il quale i 3 amici del Locale dietro piazza del Fico – dove hanno edificato la loro amicizia sperimentando, confrontandosi e crescendo umanamente e musicalmente insieme nonché con gli altri compagni storici Roberto Angelini e Alex Britti – non si sono risparmiati e in oltre 2 ore e mezza di show, nel senso più alto termine, hanno regalato agli oltre 20.000,00 fans emozioni e risate ripercorrendo i brani degli esordi, quelli che ormai sono “classici” della discografia italiana, le hits degli ultimi anni fino ai successi della loro opera prima come “collettivo” ovvero Il Padrone della Festa. Pur essendo un concerto di “addio” come “band” – da oggi ognuno riprenderà la propria strada di cantautore solista – è stata a tutti gli effetti una grande festa, fatta di racconti, di ricordi, aneddoti, sketches condivisi con il pubblico. La serata si apre con Alzo le mani tratta dal loro album, poi i 3 ragazzi si cimentano ciascuno con un proprio brano degli esordi. Si continua in una vera escalation delle più belle foto “dell’album di famiglia” e a sorpresa Niccolò Fabi canta il brano Mentre Dormi di Gazzè, quest’ultimo si cimenta in E’ non è di Fabi, entrambi con un’intensità che per qualche istante ti fa credere che stiano cantando un proprio brano tanto profondo è il feeling e la sensibilità che li lega.

Il palcoscenico si trasforma poi in un ring esilarante per l’incontro di pugilato “Fabi/Gazzè” moderato dallo spassoso arbitro Silvestri in una versione live ricca di sorprese e gags del brano L’Avversario. Dal live de Il Padrone della Festa ogni spettatore, oltre a scatenarsi nel viaggio delle parole e delle note che hanno segnato gli ultimi 18 anni di musica italiana insieme ai bimbi di 5 anni che cantano tutte le canzoni sulle spalle dei papà, viene una gran voglia di condividere e di fare progetti, di lavorare in squadra perchè, per dirla come direbbero la coppia Mazzantini/Castellitto, “nessuno si salva da solo”! Non c’è alcun dubbio: Fabi Silvestri e Gazzè sono i mattatori della musica cantautorale italiana; per bravura, sensibilità, passione, affiatamento, amore tra loro, per il loro lavoro e per il pubblico, in tanti frangenti è stato come rivedere i 3 mattatori Gassmann Manfredi e Tognazzi. Speriamo, quindi, che il concerto di ieri sera sia soltanto un “arrivederci” e che lo sguardo incantato di Niccolò (che a fine concerto non riusciva ad abbandonare il palco completamente rapito dal colpo d’occhio della folla entusiasta), quello “Sornione” di Daniele e il sarcasmo di Max nella sua armatura saracena tornino presto a esibirsi istrionici nei loro virtuosismi alla chitarra e al basso, regalandoci nuove composizioni a 6 mani.

 

data di pubblicazione 30/07/2015

72^ MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

72^ MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

(Conferenza stampa-Roma, 29 luglio 2015)

Sorprendente è stato l’aggettivo più usato da Alberto Barbera, Direttore della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, alla consueta conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2015.

E Barbera, che è uomo di profonda serietà, non intendeva affatto usare quell’aggettivo in senso trionfalistico, ribadendo al contrario la difficoltà di comporre un programma che accontenti le aspettative più altisonanti; il suo sorprendente si riferiva invece al contenuto di molti film che per una fortunata coincidenza ed ognuno per un diverso motivo, in qualche modo, rappresenteranno una sorpresa anche rispetto al background dei loro rispettivi autori. Barbera ha parlato anche di programma spiazzante, vario, con grandi film hollywoodiani ma anche piccole realtà; e parlando dei temi trattati ha usato spesso anche il termine disturbante. Fiduciosi ed incuriositi dalle sue parole, ci viene tratteggiato un profilo di questa edizione che conta 55 pellicole, contro le 54 dello scorso anno, e tra queste  21 sono in Concorso nelle quali si contano 4 pellicole italiane definite da Barbera “la pattuglia italiana”, ed altre 18 Fuori Concorso; ben 32 sono le pellicole nella sezione Orizzonti (di cui nell’ambiente si dice già un gran bene  e di cui sarà assicurata la trasmissione contemporanea su piattaforme streaming), definita dal Direttore Artistico un altro concorso con pari dignità rispetto a quello ufficiale.

Confermato il premio alla carriera a Bertrand Tavernier, sono attesi altri festeggiamenti centenari, altri film restaurati e l’inaugurazione di un’arena destinata soprattutto al grande pubblico che, passando per il Lido, può godersi un appuntamento cinematografico senza accrediti né prenotazioni di sorta.

Tra i grandi registi registriamo la presenza di Bellocchio, Wiseman, Sokurov, Skolimovsky, Tsai Ming Liang, Kaufman, Scorsese (con un corto interpretato da attori del calibro di De Niro, Di Caprio, Pitt); tra gli italiani in Concorso si registra il ritorno di Luca Guadagnino con un remake de La piscina. Moltissimi gli autori anche dell’America Latina, vera e propria novità rispetto alle passate edizioni, mentre ahinoi è sfumata la presenza dell’ultimo Tarantino.

 data di pubblicazione 29/07/2015

 

STORIA DI UN CORPO di Daniel Pennac – Feltrinelli, 2012

STORIA DI UN CORPO di Daniel Pennac – Feltrinelli, 2012

È un diario delle mutazioni del corpo e dei limiti che ci vengono da esso imposti con il passare degli anni, limiti di cui noi stessi restiamo spesso sbalorditi.

Il diario che un padre lascia in eredità alla propria figlia e che descrive, dall’età di 12 anni fino a ben oltre gli ottanta, la sua vita attraverso le mutazioni del corpo, le scoperte, e le sensazioni e, infine, il triste e lento decadimento.

Il romanzo si dipana alternando descrizioni fatte da frasi brevi e concise a elenchi di propositi a descrizioni di avvenimenti che descrivono storie, sensazioni, paure che ci fanno conoscere l’io narrante, un francese nato nel ’24. Veniamo così a conoscenza della sua infanzia con l’adorato padre che lo copriva di parole affettuose  e che, una volta morto, lo lascia solo con una madre anaffettiva; conosciamo la tata Violette che crea appositamente per lui bambino la merenda di pane e mosto d’uva e che lo cresce con affetto e saggezza contadina; poi la guerra che porta con sé i primi amori, fino al  matrimonio, alla paternità, alla gioia di diventare nonno e all’ultimo capitolo: “agonia”.

Un vero viaggio attraverso tutti i sentimenti che costituiscono il nostro essere e che il corpo esprime a suo modo, sesso, paura, affetto, dubbi…

Il protagonista osserva che “passiamo la vita a confrontare i nostri corpi. Ma, una volta usciti dall’infanzia, in maniera furtiva, quasi vergognosa. A quindici anni, sulla spiaggia, studiavo i bicipiti e gli addominali dei ragazzi della mia età. A diciotto o vent’anni il gonfiore sotto l costume. A trenta, a quaranta, gli uomini paragonano i capelli (guai ai calvi!). A cinquant’anni la pancia (non metterla su), a sessanta i denti (non perderli). E adesso in queste adunate di vecchi avvoltoi…. Semplicemente l’età. Tizio dimostra molti più anni di me, non trova?”

In una intervista del novembre 2012, apparsa sul soulfood-capital.blogautore.repubblica.it, Pennac dice del suo libro: “…È stata la voglia di raccontare non i sentimenti o l’anima di un personaggio, ma una vita attraverso la tensione che un uomo ha nei confronti proprio del suo corpo ed è appassionante per me perché il soggetto è anche l’oggetto della scrittura…”

Innegabile che, scritto da altri, sarebbe probabilmente stato un volume noioso e senza senso. Pennac ha una plume magica, e lo abbiamo imparato con la saga di Benjamin Malaussène scritto in modo comico e surreale, in Storia di un corpo riesce a rendere intriganti anche le descrizioni dei vari esami che, uomo ormai avanti negli anni, deve subire.

STORIA DI UN CORPO di Daniel Pennac – Feltrinelli, 2012

LA FEROCIA di Nicola Lagioia – Einaudi 2014 Vincitore Premio Strega, 2015

Ho stentato a finirlo.

Il mio personalissimo parere è che il libro sia reso faticoso a causa di un linguaggio eccessivo che sposta l’attenzione del pubblico dalla storia che si vuole narrare all’architettura delle frasi, alla ricerca continua di termini desueti, alla costruzione del periodo, per i miei gusti, troppo intricato, tortuoso, che manca di chiarezza con flashback improvvisi che lasciano spiazzati e obbligano a tornare indietro e rileggere il brano dall’inizio…

Un esercizio stilistico fine a se stesso che toglie potenza ai personaggi per altro mirabilmente costruiti, che fa perdere il lettore e rende meno potente il messaggio che l’autore vuole fare arrivare perché nascosto in un mare di parole, parole, parole…

La storia è interessante.

Quando si poggia il blocco note e l’evidenziatore, ci troviamo spettatori in uno spaccato della Bari bene, purtroppo dilaniata dagli interessi personali che distruggono tutto quello che è di ostacolo alla creazione di potere e altro denaro. Queste vicende ci arrivano attraverso la storia di una potente e ricchissima famiglia: padre palazzinaro, madre disposta a chiudere gli occhi su tutto pur di mantenere il suo status, e i figli che oscillano continuamente tra l’odio per ciò che il padre rappresenta e le comodità di cui usufruiscono proprio per quel che il padre rappresenta.

Una bella storia.

Speriamo che il prossimo libro salvaguardi più i contenuti che la forma.

McCURRY – OLTRE LO SGUARDO, Mostra Fotografica curata da Biba Giacchetti su progetto di Peter Bottazzi

McCURRY – OLTRE LO SGUARDO, Mostra Fotografica curata da Biba Giacchetti su progetto di Peter Bottazzi

(Roma-Teatro 1 Cinecittà, 18 aprile/20 settembre 2015)

Quando nel lontano giugno del 1985 la rivista americana National Geographic pubblicò in copertina il ritratto della ragazza afghana, scattato da Steve McCurry in un campo profughi a Peshawar in Pakistan, in pochi avrebbero scommesso che quella foto avrebbe girato il mondo e sarebbe poi stata utilizzata, come indiscussa icona, nelle brochure di Amnesty International per le proprie campagne a tutela dei diritti umanitari.

Quella stessa ragazza, rimasta sconosciuta per quasi 17 anni, fu poi casualmente ritrovata, ancora con i segni della speranza tracciati sul volto e con quello sguardo straordinario, rimasto immutato, che aveva commosso e impressionato l’intero pianeta.

Da quell’immagine si può risalire a Steve McCurry, nato in un sobborgo di Filadelfia nel 1950, oggi fotografo di fama mondiale che sin dai primi anni di attività è stato capace di distinguersi per il coraggio oltre che per le sue doti professionali.

Tutto ciò emerge dai suoi primi reportages quando riuscì ad attraversare il confine tra Pakistan ed Afghanistan per andare a fotografare quel paese devastato dalla recente invasione russa, quando riuscì a fissare per la prima volta quei volti umani che con lo sguardo riuscivano a raccontare le proprie storie di disperazione e dolore.

Lui stesso affermava che se si è pazienti, se si impara ad aspettare, la gente dimentica di aver di fronte la macchina fotografica ed allora ci si accorge quasi per magia che la loro anima esce allo scoperto per mostrare la sua vera essenza.

Quanto affermato lo si può osservare se si percorrono gli spazi bui della mostra curata da Biba Giacchetti, su allestimento di Peter Bottazzi, al Teatro 1 di Cinecittà, in cui lo spettatore può scoprire l’impareggiabile produzione fotografica di McCurry di questi ultimi anni.

Questa mostra conduce in effetti “oltre lo sguardo” per raccontare, attraverso l’immagine di quei volti, la storia che sta oltre lo sguardo stesso di chi osserva e, a sua volta, è osservato attraverso l’obiettivo.

In questo fotografare McCurry non si limita quindi a fissare l’attimo infinitesimale dello scatto, ma partendo da questo punto accompagna lo spettatore in uno spazio temporale infinito, dove il soggetto stesso ne risulta parte integrante e mai casuale.

La mostra si dipana attraverso un percorso non tracciato, un labirinto senza via di fuga dove le immagini si scoprono via via che si procede, conquistati dai colori e dalla luminosità dei volti che ci raccontano l’umanità stessa presente in quegli angoli più nascosti del mondo, dove c’è guerra e morte, ma anche speranza: una vita vissuta, una storia non inventata.

Non a caso lo stile cinematografico di McCurry ben si inserisce in un contesto come Cinecittà, luogo sacro per molti cineasti e dove lui stesso aveva studiato da ragazzo coronando il sogno di tanti giovani americani di poter accedere a quegli studios resi famosi dai registi italiani di riconosciuta notorietà.

La mostra merita una visita, non fosse altro perché ci porta dentro un mondo di sogni e fantasia, in uno spazio magico dove ci si lascia dietro il trambusto della vita quotidiana per tuffarsi da protagonisti in un’ avventura da non dimenticare.

data di pubblicazione 18/04/2015