da Antonietta DelMastro | Nov 24, 2015
Secondo magistrale romanzo della trilogia iniziata con Mr Mercedes (Sperling & Kupfer 2014), e che allontana il Re dall’horror suo habitat naturale e lo porta a cimentarsi nel genere poliziesco. Le note caratteristiche della scrittura restano le medesime, il ritmo è serrato come siamo abituati ad aspettarci da King, la tensione è altissima, la scrittura è sempre coinvolgente e attenta al lato psicologico dei personaggi.
Questo secondo capitolo presenta un ritmo sicuramente più incalzante di quello del precedente: l’argomento è uno di quelli cari al Re, il potere della letteratura nella vita di ogni giorno, nel bene e nel male!
Assistiamo subito al brutale omicidio di John Rothstein creatore del personaggio di Jimmy Gold; l’omicida, uno dei suoi più grandi fan, Morris Bellamy, lo accusa di aver smesso di scrivere dopo aver trasformato Gold in un “pantofolaio” con moglie e figli: un richiamo a Misery, un lettore ossessionato fino alla follia da un personaggio “di carta”.
Dopo l’omicidio Bellamy si appropria dei soldi che sono nella cassaforte dello scrittore e di un bottino bel più importante, alcuni taccuini con due nuovi romanzi inediti con Gold. Bellamy sotterra tutto ma, purtroppo per lui, non fa in tempo a leggere nulla perché viene arrestato, non per l’omicidio che resta irrisolto, ma per un altro reato che gli vale comunque la condanna all’ergastolo.
Vivrà per trenta anni recluso con un unico obiettivo: uscire di prigione per poter leggere i due inediti. Trenta anni dietro le sbarre con un unico desiderio, con un unico interesse, con un unico pensiero.
Quando uscirà sia i soldi sia i taccuini sono scomparsi e le tracce lo porteranno fino a Pete Saubers, un adolescente che ora vive nella sua vecchia casa insieme ai propri genitori, trasferitivisi dopo che il padre fu investito dalla Mercedes guidata da Brady Hartsfield.
A questo punto ritroviamo il cast del precedente romanzo, Mr Mercedes, il detective Bill Hodges e la sua “geniale” assistente Holly Gibney e il loro giovane amico Jerome Robinson, perché proprio a Jerome si rivolgerà Tinny, sorella di Pete, quando si renderà conto che il fratello si trova in un brutto guaio…
Nel libro è presente, marginalmente, anche Hartfield, che Hodges va a trovare in ospedale e, nelle ultime pagine qualcosa resta in sospeso e ci fa sperare che nel terzo capitolo ci sia un ritorno al genere principe del nostro Re.
da Maria Letizia Panerai | Nov 23, 2015
David (Edoardo Leo), 36 anni, conduce una vita assolutamente normale: una fidanzata, il mutuo della casa da pagare, un piccolo conto in banca ed un discreto lavoro da difendere. Abbandonato il sogno giovanile di diventare scrittore, persuaso anche dal fatto che l’unica ad acquistare i suoi libri era solo una sua vecchia zia, decide di cogliere nell’azienda dove lavora l’occasione di fare il grande salto: dedicarsi al lancio di un brevetto rivoluzionario, una specie di macchinetta tutto fare per casalinghe incallite, che gli farà guadagnare assieme alla stima del suo presidente anche un avanzamento di carriera con conseguente aumento di stipendio. Purtroppo incontra sulla sua strada Marcello (Marco Giallini), un truffatore dalle mille sembianze che, dopo averlo messo nei guai, lo assolda come socio di truffe ed insieme ne combineranno di tutti i colori.
Sulla scia delle commedie degli ultimi anni, ad iniziare dall’originale Smetto quando voglio, per poi passare a Se Dio vuole, Noi e la Giulia e l’attuale Belli di papà, anche Loro chi? – sottotitolato con la frase scegli tu a chi credere – ha il pregio indiscusso di far trascorrere al pubblico un’ora e mezza di puro divertimento, grazie anche all’affiatata coppia di attori protagonisti: Marco Giallini, che conferma doti di attore camaleontico, ed Edoardo Leo che pur proponendosi secondo il solito cliché risulta comunque gradevole.
Tutto l’impianto scenico ed il ritmo della vicenda risente dell’influenza di alcuni film del passato, sia italiani che esteri, e molti sono gli omaggi che i registi hanno voluto fare: ad esempio la scena mimata dell’orgasmo presa da Henry ti presento Sally o il ritmo spericolato delle truffe messe in atto dalla coppia David-Marcello che ricordano molto Prova a prendermi, o alcune gag desumibili dai film di Totò, soprattutto quando entra in scena Maurizio Casagrande nelle vesti di un comandante dei carabinieri il cui cognome viene costantemente storpiato da Marcello-Giallini. Peccato però che i riferimenti siano talmente tanti da farci sembrare il film “già visto”, togliendo un po’ quell’elemento sorpresa che ci si aspetta sempre quando si spengono le luci in sala, soprattutto poi se uno dei due protagonisti vira, seppur con le dovute differenze, su quel Keyser Söze de I soliti sospetti, film del 1995 la cui frase promozionale era in un mondo in cui niente è quel che sembra devi guardare oltre …..
data di pubblicazione 23/11/2015
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da Accreditati | Nov 22, 2015
(Teatro Stabile del Giallo – Roma, 16 ottobre/29 novembre 2015)
La suspense, i meccanismi logici del cervello che si animano per esaminare tutte le circostanze del caso, la sicurezza che il bene trionfi sul male quando l’omicida viene finalmente assicurato alla giustizia: questi gli elementi vincenti della formula del giallo. Si tratta di un genere intramontabile, come dimostrato dai molteplici successi letterari e cinematografici.
Cosa accade, però, se a sorreggere le trame intricate del giallo non siano le pagine di un libro né la pellicola cinematografica, bensì il palco di un teatro? A prima vista il teatro sembra prestarsi poco alla dinamicità che caratterizza il “mistery”: una scena non sempre semplice da cambiare deve fare da sfondo ai numerosi dettagli e particolari di cui l’intreccio si compone. Eppure il Teatro stabile del giallo riesce a stupire, mettendo in scena Il mestiere dell’omicidio con grande destrezza: un brillante Paolo De Vita, già noto al pubblico sia del grande sia del piccolo schermo (tra gli altri: La meglio gioventù, La stanza del figlio, Don Matteo, R.I.S. Roma – Delitti imperfetti), interpreta Mr. Stone, un uomo la cui vita, senza apparenti motivi, si intreccia con quelle del detective Hallet (Paolo Romano) e della giornalista-scrittrice Dee Redmond (Linda Manganelli). Siamo ben lontani, però, dai personaggi stereotipati del poliziotto giusto che domina con la ragione gli eventi e della giornalista-scrittrice che utilizza le proprie capacità intellettive per risolvere abilmente intricati casi: Paolo Romano e Linda Manganelli interpretano dei personaggi travolti, più o meno inconsapevolmente, dagli eventi e passano dall’essere burattinai all’essere burattini di un “teatrino” tinto di giallo.
Se il finale risulta un po’ forzato nel tentativo di stupire a ogni costo, non si può nascondere che la rappresentazione nel suo complesso rapisce e cattura a tal punto da far perdere la percezione del tempo che passa.
Il mestiere dell’omicidio chiude il sipario il 29 novembre, ma il cartellone del Teatro stabile del giallo è già definito fino a maggio 2016. Chi ama il genere “mistery” non può perdersi l’appuntamento, soprattutto se vuole scoprire il vincitore del misterioso quiz e gli invitati alla cena finale. Di che si tratta? Si sa che quando si parla di gialli non si può svelare tutto.
data di pubblicazione 22/11/2015
Il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Nov 22, 2015
Buio. In sottofondo si ode solo il rumore di un proiettore su cui scorrono delle diapositive; poi la scena si apre sull’immagine di una casa immersa nella campagna inglese, tra le brume di una qualsiasi mattina di fine estate. E’ già fresco e la nebbia notturna sta per diradarsi: una donna, non più giovane ma che mantiene intatta tutta la bellezza di un tempo, porta a spasso il suo cane. C’è tanta tranquillità tutto intorno e Kate torna verso casa seguita dal suo fedele amico fischiettando Smoke gets in your eyes, vecchio e dolce ricordo dei 45 anni trascorsi insieme a suo marito Geoff. Kate è tutta presa dai preparativi di una festa che sta organizzando per il loro anniversario di matrimonio. 45 anni appunto, una data inusuale ma che per lei rappresenta molto, visto che qualche anno prima Geoff aveva dovuto subire un delicato intervento al cuore: sarà proprio sulle note della canzone dei Platters che balleranno ancora insieme come accadde al loro matrimonio. Ma quella mattina, l’arrivo di una lettera indirizzata proprio al suo Geoff, sconvolgerà le loro vite: il corpo di una giovane donna, scomparsa in un incidente di montagna cinquant’anni addietro, era stato ritrovato in fondo ad un ghiacciaio delle Alpi svizzere in perfetto stato di conservazione.
Presentato all’ultimo Festival di Berlino, 45 anni del regista britannico Andrew Haigh è un film estremamente raffinato, curato nei minimi particolari e soprattutto splendidamente interpretato da una divina Charlotte Rampling ed un bravissimo Tom Courtenay, insigniti dell’Orso d’Argento per la migliore interpretazione femminile e maschile.
Particolare ed inusuale, proprio come l’anniversario che i due interpreti si apprestano a festeggiare, il film ci traghetta in una escalation di emozioni che si manifestano nella breve durata di una settimana, in cui vengono scardinati poco alla volta ma inesorabilmente i sentimenti di fiducia e lealtà che i coniugi Mercer avevano posto alla base del loro rapporto. Un breve tempo in cui accade molto, anzi tutto, rappresentato con la stessa intensità che avevamo già vissuto in Weekend, il precedente bellissimo lungometraggio di Haigh, passato nel 2011 al Festival Internazionale del Film di Roma ma mai uscito nelle sale italiane.
Un’annotazione particolare la merita Charlotte Rampling: gli occhi della sua Kate dicono tutto, dall’inizio della storia sino all’ultima splendida scena, proprio come i versi di Smoke gets in your eyes non più colonna sonora solo del suo matrimonio ma della sua vita: “… l’amore è cieco e quando il tuo cuore è acceso devi renderti conto che hai del fumo negli occhi … ma oggi che il mio amore è passato … ed io non posso nascondere le lacrime … allora sorrido dicendo: quando la fiamma d’amore si spegne tu hai del fumo negli occhi …”.
data di pubblicazione 22/11/2015
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da Alessandro Pesce | Nov 22, 2015
(Teatro Quirino – Roma, 17/29 novembre 2015)
Se un’attrice, oggi, decide di interpretare La Lupa, dramma in un atto ridotto da Verga da una sua novella (opera non certo tra le migliori del grande scrittore siciliano), ci dev’essere una buona ragione, un approfondimento del testo che giustifichi una nuova lettura del dramma, un’intenzione che vada oltre il volersi misurare con un personaggio interpretato da grandi attrici drammatiche come Anna Magnani, Lydia Alfonsi e la Proclemer.
Lina Sastri, interprete sensibilissima e di franco talento, è tesa a “umanizzare” i suoi personaggi, anche quelli più scomodi, ricordiamo la sua Bernarda Alba, che felicemente prese un po’ le distanze dalla consueta madre tirannica e integralista a tutto tondo.
E dunque anche qui siamo difronte a una Lupa diversa dalla insaziabile mangiauomini; è piuttosto una donna innamorata, che arriva a regalare sua figlia all’uomo amato ma che poi non sa resistere al fuoco della passione. E quell’appellativo di “ lupa “ sembra più un dispregiativo con cui “la gente” stigmatizza una donna che sfida involontariamente le convenzioni, alla fine più vittima che carnefice.
In scena un fienile e un cielo convesso che muta colore secondo le ore del giorno sono gli elementi
scenografici in cui si muovono i bravi attori, con qualche impaccio di regia a dir la verità, ma con un risultato finale apprezzabile.
data di pubblicazione 22/11/2015
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da Alessandro Rosi | Nov 21, 2015
(Teatro dell’Orologio – Roma, 17/22 novembre 2015)
Spes ultima dea. Speranza è l’ultima divinità che restò tra gli uomini, a consolarli, anche quando tutti gli altri dèi abbandonarono la terra per l’Olimpo. Ma non vi è più speranza di poter tornare a una vita che sia degna di poter essere vissuta in alcune situazioni borderline, come quelle di chi si trova in uno stato vegetativo e che abbia subito con il decorso del tempo danni irreversibili. E allora fingono di essere dèi, decidendo della sorte altrui, tutti coloro che negano la libertà di scegliere di non vivere.
L’accanimento terapeutico non è speranza ma spem contra spem, ovvero un fede cieca e incrollabile per qualcosa di irrealizzabile: ripristinare una situazione che non potrà più tornare quella di prima.
È questo il messaggio che traluce dallo spettacolo Orfeo ed Euridice di César Brie, magistralmente interpretato da Giacomo Ferraù e Giulia Viana.
Due lenzuoli bianchi — come quelli che coprono i corpi dei defunti — fendono il palcoscenico incrociandosi, due linee che si incontrano e scontrano: convergono nel momento iniziale dell’idillio, durante la fase intermedia delle cure portate alla persona in coma, e nel momento finale del ricongiungimento con la volontà dell’amata (ovvero quella di essere lasciata andare a miglior vita); collidono — invece — alle prime acredini tra marito e moglie, allo scontro tra il marito e i medici renitenti a disattivare i macchinari che tengono in vita la moglie, e infine quando dividono l’opinione pubblica riguardo all’eutanasia.
Lo spettacolo si svolgerà esclusivamente su queste due linee che formano una “x”, lettera che si pensa sia derivata da quella greca “theta” e che sintetizza il concetto di morte, “Thànatos”. La figura della morte aleggia costantemente nella sala ed è impersonata da un insolito Caronte ridanciano (che dialoga con il pubblico), brillantemente interpretato da Giacomo Ferraù — che si rivela estremamente abile nel ricoprire ruoli diversi (oltre a quello del traghettatore, infatti, recita anche come marito, medico e infermiere). Non è da meno Giulia Viana, nonostante un corpo minuto sprigiona un’energia sorprendente e contagiosa.
Nella sala Moretti del Teatro dell’Orologio, le lancette del tempo hanno girato più velocemente del normale durante l’esibizione teatrale; non si fa in tempo a sedersi che lo spettacolo è già finito. L’aver assistito ad una recitazione convincente non solo riempie di gioia gli attori per gli applausi scroscianti, ma rallegra qualsiasi spettatore. “La felicità si racconta male perché non ha parole, ma si consuma e nessuno se ne accorge” (Jules e Jim, regia di François Truffaut).
Una piecés da spellarsi le mani per gli applausi.
data di pubblicazione 21/11/2015
Il nostro voto:
da Alessandro Rosi | Nov 18, 2015
(Teatro dell’Orologio – Roma, 17/29 novembre 2015)
Nella sala Gassman del Teatro dell’Orologio, oltre alle sedie presenti sugli spalti, tre sono ubicate sul palco. Tra gli spettatori che si accingono a prendere posto, una ragazza si siede inopinatamente su una di queste. In realtà, lo spettacolo è già iniziato, la ragazza infatti si rivelerà essere una delle componenti della compagnia teatrale.
L’arguto escamotage dà inizio a “L’invenzione senza futuro”, frase rivolta da Antoine Lumière ai suoi figli, evidentemente scettico riguardo la futuribilità del curioso marchingegno. Stessa perplessità che ognuno di noi può nutrire nei confronti di uno spettacolo che si presenti come viaggio nel cinema in 60 minuti, ma che si dissolve non appena iniziato, mercé la amena rappresentazione messa in scena dal trio frizzante della compagnia DeiDemoni.
Vivacità e leggerezza connotano la narrazione (condita da citazioni cinematografiche), che ripercorre – con un pizzico di fantasia – la vita dei fratelli Lumière. Non mancano delle parti cantate, ove risplende la voce argentina dell’attrice Celeste Gugliandolo. Appassionante e coinvolgente risulta la recitazione di Federico Giani, che manifesta egregiamente lo scoramento patito dal suo personaggio per tutte le traversie che ha dovuto affrontare per vedere il progetto riuscito. Mentre zoppicante appare la prova attoriale di Mauro Parrinello, che nonostante la voce brillante e impostata, pecca nella recitazione: spesso tiene lo sguardo basso, impedendo allo spettatore di entrare in empatia.
La scenografia è ridotta all’osso ma efficace. Un altro Antoine, ma con un cognome diverso (de Saint-Exupéry), scriveva: “l’essenziale è invisibile agli occhi”; ed è proprio una rappresentazione come questa che permette di riscoprire l’essenza del cinematografo.
data di pubblicazione 18/11/2015
Il nostro voto:
da Antonietta DelMastro | Nov 17, 2015
La struttura è abbastanza classica. Tre piani narrativi e temporali che si intrecciano e ci forniscono dati e informazioni presenti e pregresse per avere un quadro completo della storia.
Attrice principale Stella che vive rinchiusa in una splendida villa moderna, soffre di agorafobia e la sua giornata è scandita dall’assunzione dei farmaci prescrittigli dal marito Max, psichiatra, farmaci che le permettono di tenere a bada i suoi demoni.
Una notte, nel corso di una bufera di neve, mentre Stella è sola in casa alla sua porta si presenta Blue una ragazzina paziente del marito, è vestita in modo talmente inadeguato che se Stella non la farà entrare in poco tempo morirà assiderata…
Una volta che Blue è entrata per Stella la vita cambia in modo radicale.
Con i racconti di Blue si dipanano anche gli altri due piani narrativi.
Il secondo è composto dai ricordi di Stella e ci permette scoprire la sua storia, chi fosse pochi anni prima. Stella e Max erano colleghi di lavoro, lei era una promettente psicologa clinica, la sua situazione attuale è frutto di un grave trauma occorsole durante una seduta con un paziente che l’ha trasformata in una fragile donna terrorizzata.
Il terzo piano narrativo ci permette di spiare delle sedute di psicanalisi tra uno psichiatra di mezz’età e una adolescente, sono sedute ambigue ma fino alla fine non si riesce bene a capire fin dove arrivi la realtà e dove inizi un racconto immaginario.
Nelle ore che passerà con Blue, Stella dovrà affrontare i suoi ricordi, dovrà analizzare i racconti della ragazza, dividere la fantasia dalla realtà, i desiderata dai traumi e capirà che le loro storie sono indissolubilmente legate e non solo perché una è moglie e l’altra paziente di Max, c’è ben altro dietro.
Stella dovrà mettere da parte tutte le sue paure per capire qual è il ruolo di Max nella sua storia e in quella della giovane paziente e dovrà prendere una decisione che protegga lei e salvi la giovane.
Lo strillo del risvolto di copertina “La verità è pericolosa. La verità si ammanta di bugie. La verità cambia tutto. Anche te” è assolutamente conformante al thriller che si rivela essere il libro!
da Rossano Giuppa | Nov 17, 2015
Il soldato Manuela Paris (Kasia Smutniak), appena rientrata dall’Afghanistan dov’è stata vittima di un attentato, deve combattere una sua personale guerra, ovvero il difficile reintegro nella vita di tutti i giorni. In quell’attentato sono morti alcuni dei suoi uomini, lei stessa è stata gravemente ferita e il sul corpo è segnato da cicatrici profonde, da ricordi dolorosi e confusi. Personaggio chiuso, essenziale, trattenuto, in un inverno freddo e umido deve ricomporre il proprio passato disperso nella luce e nella polvere dell’Afghanistan. Nella cittadina di mare vicino a Roma dove abita con la famiglia, Manuela incontra Mattia (Adriano Giannini), un misterioso ospite dell’Hotel Bellavista. L’uomo, apparentemente senza passato, come lei è sospeso in un limbo di attesa e di ricordi e assieme, si avventurano in un gioco inaspettato di sentimenti e scontri. L’incontro è l’occasione per fare ognuno i conti con la propria storia. Sovrapposizioni di pensieri e di immagini: scene di guerra contrapposte a quelle domestiche, il rito del pranzo di Natale in famiglia, gli incubi notturni, il dolore fisico, i parenti che vorrebbero sapere, il sesso, i silenzi. Il Limbo è la condizione di sospensione in cui si trovano i due protagonisti, la bolla che li separa dalla propria esistenza. Come uscire dal limbo? Forse solo con l’amore o meglio con la speranza dell’amore. Le due anime ferite, che vivono le proprie cicatrici, possono aprirsi al mondo ed all’amore accettando le proprie sconfitte e i propri destini.
Senza un filo di trucco, trincerata nel dolore, Kasia Smutniak è la tormentata protagonista di Limbodi Lucio Pellegrini, il film tv tratto dal romanzo di Melania Mazzucco (edito da Einaudi), presentato al Fiction Film Fest di Roma il 14 novembre e in onda su Rai1 il 2 dicembre, premiata, grazie alla sua forte ed intensa interpretazione, quale miglior attrice allo stesso Fiction Film Fest.
Un racconto quanto mai attuale che affronta il tema dei soldati di pace, dei valori della libertà e della democrazia, ma anche il racconto dello sguardo femminile sulla guerra, delle resistenze e dei pregiudizi che la protagonista deve combattere per affermare la sua leadership su un gruppo di soldati uomini.
Una storia difficile, dura, non rassicurante, ma certamente coinvolgente.
data di pubblicazione 17/11/2015
da Rossano Giuppa | Nov 16, 2015
Cinque lunghi e commossi minuti di applausi. Il Fiction Film Fest di Roma, il più importante appuntamento italiano dedicato al mondo delle serie televisive si è aperto l’11 novembre con Lea, una potente e sofferta storia, tutta al femminile, di ribellione ai soprusi e di rivolta alla ‘ndrangheta. Una storia straordinariamente narrata da Marco Tullio Giordana ancor più cruda perché legata alla vicenda vera di Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia che accusò il suo stesso marito e la sua cosca calabrese, e che dal marito venne fatta “sparire” il 24 novembre del 2009.
Lea è cresciuta in una famiglia criminale e un criminale è anche il padre di sua figlia Denise, l’uomo di cui si innamora da ragazza. Lea, però, desidera per sé e Denise una vita diversa, senza violenza e paura. Decide allora di collaborare con la giustizia e viene sottoposta con sua figlia al regime di protezione che poi per incomprensibili motivi burocratici le viene revocato. Rimasta senza soldi e senza la possibilità di trovarsi un lavoro, Lea chiede aiuto al marito per il mantenimento della figlia e lui ne approfitta per vendicarsi. Lea viene rapita per strada, torturata e alla fine uccisa e fatta sparire. Denise viene affidata al padre, ma pur essendo solo una ragazzina, non si piegherà; infiltratasi nella cosca familiare riuscirà a denunciare i veri colpevoli, fratello e padre, smascherati da un pentito, finché il corpo viene trovato: ergastolo per tutti, mentre la 24enne Denise vive ora da sorvegliata speciale.
Una grande storia di denuncia e impegno che rende omaggio a due donne diventate un modello civile di coraggio e coerenza. Una testimonianza esemplare di un destino già scritto, una tragedia greca raccontata con un linguaggio realistico ed immagini essenziali e profonde che enfatizzano il desiderio di giustizia e la voglia di legalità che reclama il nostro paese. Una narrazione asciutta e dolorosa che espone con lucidità e anima l’ordine cronologico degli avvenimenti, come solo Giordana sa rappresentare, grazie anche alla sua capacità di dirigere gli interpreti, tutti straordinari, a partire dalle due protagoniste, Vanessa Scalera (Lea) e Linda Caridi (Denise) anche se non noti, ma vivi, veri e indelebili.
Un film tv che si potrà vedere su Rai1 il 18 novembre, un’opera di grande valore civile, e di denuncia contro l’omertà, la sottomissione, le leggi non scritte della ‘ndrangheta, di rivolta per il bene dei figli, di coraggio di madre e di figlia e di amore materno assoluto, sopra tutto e tutti.
data di pubblicazione 16/11/2015
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