INSIDE OUT di Pete Docter , 2015

INSIDE OUT di Pete Docter , 2015

Vi capita mai di guardare qualcuno e di chiedervi a cosa stia pensando? Questa, in estrema sintesi, potrebbe essere la sinossi del nuovo film Disney-Pixar, arrivato nelle sale italiane lo scorso 16 settembre. Un viaggio nella mente umana, alla scoperta e alla ricerca, questa volta, non di un simpaticissimo pesciolino rosso, ma di cosa accada nella mente di Riley, una ragazzina di 11 anni che si trasferisce dal Minnesota a San Francisco. Ad avvicendarsi ai comandi del Centro di Controllo, situato nel Quartier Generale della sua mente, si alternano il rosso e tozzo Rabbia, il violetto e mingherlino Paura, la verde e smorfiosa Disgusto, la dorata ed esuberante Gioia e la blu e dolce Tristezza. Broccoli nel subconscio, la decostruzione dei personaggi nel passare per il tunnel del pensiero astratto, gli studios cinematografici in cui si girano i sogni sono solamente alcune delle strepitose trovate narrative che ci raccontano di un’adolescente in crescita, dei ricordi dell’infanzia, del perché ci venga in mentre sempre quel motivetto pubblicitario un po’ cretino. Ma soprattutto Inside out ci racconta e ci svela la nostra umanità, e lo fa passando attraverso le emozioni, il subconscio, i grandi scaffali dei ricordi a lungo termine e la capacità di legarsi ad un amico immaginario che è un incrocio tra un gatto  e un elefante ma è rosa come un porcellino. Grandissima qualità dell’animazione, come sempre per un prodotto Pixar, ma con una marcia in più, soprattutto per un pubblico adulto, che si troverà con il fazzoletto in mano ad asciugare più di qualche lacrima. Fatevi un regalo: andate a vedere Inside out. Un balsamo per l’anima, una meraviglia per gli occhi, un tripudio per il cuore.

data di pubblicazione 22/09/2015


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DA EBLA AI NOSTRI GIORNI, IL SEME DELLA MEMORIA Incontro artistico tra tavolette cuneiformi e documenti archivistici

DA EBLA AI NOSTRI GIORNI, IL SEME DELLA MEMORIA Incontro artistico tra tavolette cuneiformi e documenti archivistici

La Librària di Palazzo Altieri, col suo maestoso salone, ci ha viziati con istallazioni artistiche sempre degne di nota, ma questa volta si prende l’avvio dal vissuto della stessa padrona di casa, Federica di Napoli Rampolla, che per ben dieci anni si è recata in passato periodicamente ad Ebla, a lavorare con Paolo Matthiae, che ha diretto la missione archeologica italiana di questo importante sito.

Dopo i recenti sconcertanti avvenimenti che mettono in pericolo la cultura dell’umanità, il pensiero della restauratrice non poteva non andare a quegli anni e alle migliaia di documenti sottratti alla terra.

La sua istallazione ha la forza dell’amore e la potenza dell’immaginario: tavolette da lei stessa elaborate nei caldi colori dell’argilla, si insinuano tra i documenti dell’Archivio Altieri dando una nuova mitologica vita all’ambiente.

L’artista stessa racconta che infondo gli elenchi di vettovaglie o di stoffe o i pagamenti in baratto si assomigliano in tutti i documenti, a qualsiasi epoca appartengano, e questo crea un ponte tra la civiltà di uno stato di 2350 anni avanti Cristo, Ebla appunto, e l’archivio della nobile famiglia, dove si rintracciano carte che, nel ‘600, per esempio, documentano il pagamento di artisti con polli o vino.

Da qui anche l’aggancio con le Giornate Europee del Patrimonio che quest’anno sono correlate con l’EXPO al tema del cibo: il cibo è sempre stato una ricchezza e come tale anche conteso tra popoli.

Il seme della memoria, si può ben dire, germoglia e porta linfa vitale al fortunato pubblico presente.

QUELLO CHE NON UCCIDE di David Lagercrantz – Marsilio, 2015

QUELLO CHE NON UCCIDE di David Lagercrantz – Marsilio, 2015

La rivista Millennium naviga in cattive acque, la popolarità del suo direttore responsabile Mikael Blomkvist sta pian piano scemando tanto che lui stesso è assalito dal dubbio che sia forse il caso di dedicarsi ad altro.

Ma, in piena notte durante una bufera di neve, il telefono di Blomkvist squilla: all’altro capo Frans Balder, autorità mondiale dell’intelligenza artificiale, ha urgenza di vederlo.

Purtroppo Blomkvist al suo arrivo rimane coinvolto nell’attacco che causerà la morte dello scienziato, unico altro testimone August Balder, il figlio autistico e incapace di parlare; la necessità di proteggere il bambino e di scoprire chi e perché ha ucciso il padre farà nuovamente incrociare le strade di Mikael e Lisbeth.

Questa, per sommi capi, la trama del libro, ma la storia è tutta un’altra.

David Lagercrantz, un giornalista svedese autore di alcune biografie, da noi Rizzoli ha pubblicato quella di Zlatan Ibrahimovic, è stato scelto dalla casa editrice Norstedts, in accordo con il padre e il fratello di Larsson, per scrivere il quarto volume della serie Millennium; quarto volume che non è il sequel dei tre precedenti, che si sono conclusi con la fine dell’ “affare Zalachenko”, ma un nuovo caso in cui viene coinvolta la redazione di Millennium, il suo direttore Mikael Blomkvist e Lisbeth Salander, nulla di più.

Durante la presentazione del volume a Stoccolma, Lagercrantz ha dichiarato: “Ho sentito una grande responsabilità e devo dire anche una certa pressione. Non volevo deludere l’editore che aveva scelto me per questo progetto, ma allo stesso tempo volevo mantenere la mia identità di scrittore … Ho capito che sarei stato patetico a cercare di imitarlo (Larsson) e a quel punto mi sono sbloccato. Dunque non cercate alcuna similitudine nel linguaggio”. Il portavoce della Casa editrice ha dichiarato di aver scelto Lagercrantz proprio perché il suo stile è diverso da quello di Larsson, in modo da recidere ogni possibile tentativo di “sequel” dei primi tre volumi.

È innegabile che la loro campagna pubblicitaria abbia, invece, molto giocato sul fatto che questo volume fosse il sequel dei primi tre ma, d’altra parte, come non sfruttare una scia da ottanta milioni di copie vendute???

Non lo consiglierei a chi si aspetta di leggere un altro “Larsson”: questo libro non è coinvolgente come i tre precedenti, non c’è traccia della forza aggressiva che incatenava il lettore fino alla fine, il linguaggio non ha nulla a che vedere con quello a cui eravamo abituati e i personaggi non sono tratteggiati con la maestria di Larsson.

È un nuovo autore che si inserisce in quello che ormai viene definito “giallo Svezia”.

SOUTHPAW- L’ULTIMA SFIDA di Antoine Fuqua, 2015

SOUTHPAW- L’ULTIMA SFIDA di Antoine Fuqua, 2015

Proprio come la campana del gong salva il pugile che sente di star per cedere ai colpi dell’avversario, così i titoli di coda sullo schermo ci graziano dal knock out ormai imminente dopo 2 ore di questo inutile film diretto da Antoine Fuqua. L’ascesa, la caduta e la rinascita del pugile Gyllenhaal sono raccontate in modo scontato e banale così come lo è la caratterizzazione dei personaggi. Il manager amico d’infanzia (il rapper 50 Cent) che vista la crisi finanziaria abbandona il suo assistito (ma non era multimilionario?) e passa senza indugio alla concorrenza, l’allenatore (Forest Whitaker) con la classica palestra nei bassifondi che deve rinsegnare l’ABC del pugilato al povero Gyllenhaal (ma non era il campione del mondo con 43 vittorie consecutive?), la piccola figlia (Oona Lawrence) che prima adora il padre, ma poi cade vittima di bipolarismo acuto e lo disconosce (naturalmente fino alla riconquista del titolo).

Si salvano Rachel Mcadams (la moglie) e Jake Gyllenhaal versione superfisicato in pieno metodo Stanislavskij. In conclusione se volete vedere un bel film di Fuqua c’è Training day, per i film sulla boxe “schivate” Southpaw e riguardatevi Rocky.

data di pubblicazione 20/09/2015


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AMY  – THE GIRL BEHIND THE NAME di Asif Kapadia (Regno Unito, 2015)

AMY – THE GIRL BEHIND THE NAME di Asif Kapadia (Regno Unito, 2015)

A quattro anni dalla morte ed esattamente nei giorni di quello che sarebbe stato il suo 32mo compleanno (14 Settembre 1983 la data di nascita) è arrivato nelle sale italiane il documentario su Amy Winehouse, Amy – the girl behind the name,  di Asif Kapadia. Presentato a Cannes in anteprima e poi al Biografilm festival di Bologna lo scorso giugno, il documentario racconta, mescolando immagini di scena, concerti, riprese negli studi di registrazione e a casa, la fragilità della ragazza che viveva dietro l’incredibile voce del “soul bianco”. Una vita sovraesposta come le immagini continue di ogni momento della sua esistenza, anche prima della notorietà. Vita di cui Back To Black, Rehab e Love is a losing game sono, ovviamente, perfetta colonna sonora ma anche  racconto puntuale di uno stato perenne di lutto non elaborato, di ricerca di un’esistenza e di una personalità da riabilitare, dopo averla persa al tavolo da gioco dei sentimenti. Un racconto per immagini ricco di documenti, di foto, filmati che, al di là della voce, restituiscono e lasciano impresso nella memoria lo sguardo degli intensi occhi di Amy. Indimenticabile.

data di pubblicazione 18/09/2015


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MINIONS di Pierre Coffin e Kyle Balda, 2015

MINIONS di Pierre Coffin e Kyle Balda, 2015

Come si sono estinti i dinosauri? Uno dei grandi quesiti della storia trova finalmente risposta. Perlomeno nel mondo dei “bambini calvi con l’itterizia”, come vengono ironicamente descritti i Minion nel primo film a loro interamente dedicato, che ricalca cinematograficamente le orme dei pinguini di Madascar.

Sin dalle origini della terra i Minion si muovono alla ricerca di un cattivissimo capo a cui offrire la loro deferente collaborazione. Una sorta di documentario, illustremente diretto dalla voce di Alberto Angela, presenta al pubblico i “pinoli gialli”, che si distinguono per la simpatia ma soprattutto per l’estrema goffaggine: trovare un capo in grado di sopravvivere ai loro gesti inconsulti si rivela ben presto un’impresa davvero ardua, tanto da annientare l’euforia della “truppa”. A risollevare il morale ci pensano tre piccoli eroi gialli, Kevin (“con la C o con la K”), Stuart e il tenerissimo Bob i quali intraprendono un faticoso viaggio che, dopo rocambolesche avventure, li condurrà a conoscere Gru (protagonista di Cattivissimo me), ancora bambino ma già alla prese con furti incredibili.

I temi del viaggio, della ricerca, della solidarietà non sono certo nuovi nel mondo dell’animazione, ma vengono qui arricchiti da divertenti gag. In queste gag, esilaranti ma non sempre del tutto riuscite, si cela forse la pecca del cartoon, almeno se guardato con gli occhi del “pubblico bambino”. L’ambientazione di buona parte della storia nell’Inghilterra del 1968 funziona infatti da espediente narrativo sul quale innestare i simboli di una svolta epocale: dalle tute “blue jeans” dei protagonisti alla mitica chitarra di Jimi Hendrix, passando per i Beatles e la giovane Regina Elisabetta. In queste gag si ravvisa anche, tuttavia, la verosimile ragione del successo del film, se giudicato con il più consapevole sguardo del “pubblico adulto”: i buffi e adorabili Minions, anche se per motivi diversi, riescono a coinvolgere tanto i bimbi quanto i loro accompagnatori, sebbene il potenziale di comicità strutturalmente insito in queste creaturine al di là del bene e del male, esaltato quando sulla scena compaiono anche gli umani, resti a tratti inespresso non appena i Minion restano per troppo tempo “soli”, forse anche per l’assenza di autentici dialoghi tra i componenti della “truppa”.

Le voci di Sandra Bullock (Scarlett Sterminator), Jon Hamm (Herb Sterminator), Michael Keaton (Walter Nelson), Allison Janney (Madge Nelson) diventano, nella versione italiana, quelle di Luciana Littizzetto, Fabio Fazio, Riccardo Rossi e Selvaggia Lucarelli. L’alter ego americano del narratore Alberto Angela è invece Geoffrey Rush.

 

data di pubblicazione 18/09/2015


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SHALL WE DANCE? di Peter Chelsom, 2004

SHALL WE DANCE? di Peter Chelsom, 2004

Con un cast di tutto rispetto, Shall we dance? è una commedia americana molto gradevole, di quelle da rivedere con piacere. Chi non ricorda l’arrivo del bel Richard in smoking, con una rosa rossa dal gambo lungo tra le mani, sulla scala mobile di un centro commerciale, per donarla alla moglie che lavora nell’allestimento del settore biancheria e profumi? Ed il sensualissimo tango Gere-Lopez sulle note di Santa Maria del Buen Ayre dei Gotan Project? Richard Gere è John Clark, un avvocato di Chicago che, per rompere la monotonia di un’esistenza che da troppi anni si ripete sempre uguale e senza scossoni, si iscrive ad un corso di ballo da sala di nascosto della moglie Beverly (Susan Sarandon), condividendo segretamente questa passione con un collega (Stanley Tucci) che, dietro un’apparenza insignificante, cela un insospettabile talento per le danze latino-americane! Quando la moglie di John comincia a notare dei cambiamenti nel marito, assolda un investigatore (Richard Jenkins) sciatto ed improbabile che, dopo aver svolto le sue indagini, …si iscriverà alla medesima scuola di ballo di John!

Abbiniamo a questo film, che riesce sempre a strapparci più di un sorriso, una ricetta di pasta al forno, probabile piatto “robusto” con il quale un’ingombrante ed estroversa allieva (Lisa Ann Walter) macchia irrimediabilmente il cappotto di renna della bella e triste Paulina, prontamente soccorsa dal romantico avvocato Clark… “un uomo con un fazzoletto… pensavo non ne facessero più.”

INGREDIENTI: 600 gr di pasta corta rigata (sedani, mezze maniche, penne rigate) – carota, sedano e ½ cipolla per soffritto – salsa di pomodoro – 2 cucchiai di concentrato di pomodoro – brodo vegetale – 700 gr di macinato di vitella – basilico fresco – 2 etti di parmigiano grattugiato – 2 fior di latte – 100 gr di burro – pangrattato – sale, pepe e noce moscata q.b. – olio extra vergine d’oliva q.b..

PROCEDIMENTO:

Come prima cosa prepariamo un bel sugo con carne macinata, mettendo in un tegame il soffritto con una generosa dose di olio d’oliva; appena il soffritto sarà biondo mettiamo il macinato di vitella, correggiamo di sale e noce moscata, e giriamo con un mestolo di legno sino ad ottenere un composto molto fine e senza grumi; quindi versiamo una bottiglia di passata di pomodoro assieme a 2 cucchiai di concentrato di pomodoro allungato con un po’ di acqua calda, qualche foglia di basilico e dopo il primo bollore abbassiamo la fiamma e copriamo sino al raggiungimento della cottura. Per ottenere un risultato migliore allungate il sugo durante la cottura con un po’ di brodo vegetale. Quando il sugo sarà pronto (ma per comodità potete prepararlo anche il giorno prima), accendiamo il forno a 180° in modo che si scaldi bene ed iniziamo a tagliare i due fior di latte a pezzettini mettendoli  in una ciotola ed in un’altra ciotola mettiamo il parmigiano grattugiato. Quindi cuociamo la pasta al dente, scoliamola e condiamola con una noce di burro ed un po’ di sugo di carne; a questo punto imburriamo una teglia da forno con i bordi alti e cospargiamola di pangrattato. Siamo pronti per cominciare a fare gli starti di pasta, mozzarella, sugo, parmigiano e qualche fiocchetto di burro, poi si procede con altri strati sino ad esaurimento di tutti gli ingredienti (3 starti in tutto sono il numero perfetto!). Chiudiamo con uno strato di pasta dove sopra metteremo dei ciuffetti di burro, un po’ di sugo ed un misto di parmigiano e pangrattato, per far fare quella crosticina che piace tanto a tutti. Inforniamo a forno fisso sotto a 180° per almeno 30 minuti; poi, per altri 5/10 minuti, accendiamo il grill sopra sino a quando la nostra pasta al forno sarà bella dorata. Toglietela dal forno e fatela riposare coprendola con un panno di cotone per circa 15 minuti. Buonissima!

LE FATE IGNORANTI di Ferzan Ozpetek, 2001

LE FATE IGNORANTI di Ferzan Ozpetek, 2001

“Cosa sono le fate ignoranti? Le fate ignoranti sono quelle che incontriamo e non riconosciamo, ma che ci cambiano la vita. Non sono quelle delle fiabe, perché loro qualche bugia la dicono. Sono ignoranti, esplicite, anche pesanti a volte. Ma non mentono sui sentimenti. Le fate ignoranti sono tutti quelli che vivono allo scoperto, che vivono i propri sentimenti, e non hanno paura di manifestarli. Sono le persone che parlano senza peli sulla lingua, che vivono le proprie contraddizioni e che ignorano le strategie. Spesso passano per ignoranti, perché sembrano cafone, e invadenti per la loro mancanza di buone maniere. Ma sono anche molto spesso delle fate, perché capaci di compiere il miracolo di travolgerci. Costringendoci a dare una svolta alla nostra vita. – Ferzan Özpetek

Le fate ignoranti fu uno dei grandi successi della stagione cinematografica 2001. Film molto apprezzato da pubblico e critica, ebbe diversi riconoscimenti. La trama originale ed il richiamo ad atmosfere almodovariane, la colonna sonora sapientemente scelta, nonché un finale aperto con le immagini sui titoli di coda della partecipazione degli attori al Gay Pride che si svolse a Roma nel giugno 2000, hanno fatto sì che il film sia rimasto bene impresso nella memoria collettiva. Altro elemento che il pubblico ricorda è l’ambientazione autobiografica e familiare di molte scene sulla terrazza condominiale della casa dello stesso regista, nel quartiere Ostiense di Roma: pranzi solari e gioiosi che ritroveremo, ma in ambienti ed atmosfere più borghesi, anche in Saturno Contro. A questo film non potevamo che abbinare la ricetta di un piatto che invita alla convivialità: una versione un po’ rivisitata delle polpettine speziate che Margherita Buy mangia nel film.

 

INGREDIENTI: 1 piccola cipolla – ½ kg di macinato di pollo – ½ kg di macinato di vitella – 3 uova – 5 cucchiai di parmigiano grattugiato – la polpa grattugiata di una mela – 100gr di formaggio morbido tipo robiola – il succo di 2 arance e la buccia di metà arancia tagliata a listine sottili – sale e pepe q.b. – 1 pizzico di peperoncino – pangrattato q.b. – olio di oliva q.b..

PROCEDIMENTO:

Versate in una coppa il macinato di pollo e vitella ed unitevi le uova, il parmigiano, il formaggio morbido, il sale ed il pepe, un pizzico di peperoncino, la polpa di mela grattugiata ed il succo di 1 arancia. Impastate il composto sino a farlo diventare elastico ed aggiungete del pangrattato se dovesse risultare troppo umido. Create dunque delle piccole polpette. Prendete una padella e fateci rosolare la cipolla ridotta in pezzettini; dunque unitevi le polpettine, fatele prima ben rosolare e poi le portate a cottura sfumandole con il succo d’arancia rimasto, aggiungendo anche qualche piccola listina di buccia d’arancia, sottile e privata del bianco. Servitele calde una volta evaporato il liquido in eccesso.

L’APPARTAMENTO SPAGNOLO di Cèdric Klapisch, 2002

L’APPARTAMENTO SPAGNOLO di Cèdric Klapisch, 2002

L’appartamento spagnolo del francese Cèdric Klapisch, cui farà seguito Bambole russe nel 2005, è una commedia leggera, di quelle di facile visione. Il film racconta la storia di alcuni studenti dell’Erasmus, partendo dalle vicende del giovane Xavier (un giovanissimo ma già bravo Romain Duris) che pur desiderando di diventare scrittore, accetta di andare a vivere Barcellona per acquisire una particolare specializzazione finalizzata all’ottenimento di un posto al Ministero delle Finanze a Parigi. Xavier, lontano dalla fidanzata Martine (Audrey Tautou, già famosa per aver interpretato Amèlie) e dalla sua vita, si trova a dover dividere “l’appartamento spagnolo” con altri studenti europei (una belga, un tedesco, una inglese, un danese, un italiano e una spagnola), con i quali dovrà affrontare non solo problemi linguistici ma anche di convivenza e di vita. Il ritmo incalzante e divertente con cui questa commedia racconta le storie del protagonista e dei suoi “coinquilini” e soprattutto la città di Barcellona che fa da sfondo alle loro vicende, non potevano che suggerirci un piatto tipico spagnolo: la “paella de mariscos”.

INGREDIENTI (x 4 persone): 400gr di riso (Arborio o Carnaroli) – 1 cipolla – 1 spicchio d’aglio – 1 piccolo peperone rosso – 1 piccolo peperone verde – 1 cucchiaio colmo di paprica dolce – 3 calamari medi o seppioline – 4 scampi – 8 gamberi – ½ kg di cozze – ½ kg di vongole veraci – 1,2 lt di fumetto di pesce – olio extra vergine d’oliva e sale q.b.. – 2 bustine di zafferano – 200 ml di passata di pomodoro.

PROCEDIMENTO: Facciamo aprire cozze e vongole; non appena saranno aperte toglietele subito dal fuoco e raccogliete la loro acqua, filtratela ed aggiungetela al brodo di pesce: il liquido così ottenuto in totale non dovrà superare 1,2 lt circa. Prepariamo quindi il trito di cipolla ed aglio che dovrà soffriggere nella medesima “paella” (possibilmente di ferro o anche antiaderente, ma che non abbia manici di bachelite o altro materiale che ne impedisca poi la messa nel forno), dove poi aggiungeremo via via tutti gli ingredienti che completeranno la confezione del piatto. Aggiungiamo ai pezzettini di cipolla ed aglio, 4/5 cucchiai abbondanti di olio extravergine di oliva e mettiamo il trito sul fuoco per farlo imbiondire appena; quindi aggiungiamo i calamari e/o le seppioline tagliati ad anelli, dopo qualche minuto aggiungiamo anche i peperoni che abbiamo precedentemente tagliato a pezzettini regolari. Rimestiamo il tutto regolarmente e facciamo cuocere lentamente a fiamma bassa e con pazienza, sino a quando le verdure non saranno completamente morbide e amalgamate tra loro: è un risultato che solo il nostro occhio potrà dire di aver raggiunto! Aggiungiamo quindi la paprika dolce, lo zafferano (2 bustine) ed altri due cucchiai di olio extravergine di oliva per mantenere il condimento alto, portando il tutto a temperatura; quindi versiamo il riso e con molta cautela facciamolo tostare per alcuni minuti rimestandolo bene con una spatola di legno. Quindi è il momento di aggiungere la passata di pomodoro ed infine il brodo ben caldo di pesce che avevamo preparato in precedenza. Non appena cominciano ad affiorare le prime bollicine, sistemiamo cozze e vongole aperte dentro al riso in modo che rimangano umide e decoriamo con gamberi e scampi. Mettiamo quindi in forno (già preriscaldato) a 180/200° tutta la paella con il suo prezioso carico di bontà per venti minuti senza mai mescolare. Appena sfornata la paella va fatta riposare 5/10 minuti coperta (alcuni dicono avvolta in un canovaccio di cotone) e quindi servita, sperando che si sia creata quella meravigliosa crosticina sul fondo!

TAXI TEHERAN di Jafar Panahi, 2015

TAXI TEHERAN di Jafar Panahi, 2015

Il pluripremiato regista iraniano Jafar Panahi non ama confezionare film “distribuibili”, rispettosi degli omologanti dettami imposti dal regime islamico. Jafar Panahi è un estimatore di quello che il potere politico definisce “sordido realismo”: una fotografia senza filtri della società in cui la macchina da presa è chiamata a immergersi, anche quando la messa a fuoco riveli impietosamente dettagli che la logica della propaganda e del consenso preferirebbe mantenere celati.

Contro la censura e il divieto di espatrio non resta quindi che un solo rimedio: mettersi alla guida di un taxi attraverso le strade di Teheran, senza itinerari prestabiliti e con una telecamera pronta a documentare il più “sordido” dei realismi.

Si parla di tutto nel taxi di Panahi. Si discute della funzione di prevenzione generale di una pena di morte che condanna all’impiccagione due scippatori; ci si chiede che faccia abbia un ladro, per arrivare a scoprire che ha una faccia “normale”, come quella di tutti gli altri; si ipotizza una missione culturale di chi vende DVD pirata garantendo in Iran la visione di film altrimenti vietati; ci si interroga sul senso della professione di avvocato, svolta da una donna che regala rose rosse e non smette di credere nella necessaria tutela dei diritti umani. E soprattutto, attraverso la strepitosa nipotina di Panahi, si riflette sul cinema e sulla censura, sull’arte e sulla libertà di manifestazione del pensiero.

Il risultato è quella che il regista Darren Aronofsky, Presidente di Giuria del 65˄ Festival di Berlino, ha definito “una lettera d’amore al cinema”, consegnando nelle mani virtuali del regista assente il prezioso vello dell’Orso d’oro.

Taxi Teheran coinvolge, stupisce e commuove, lasciando intatta la speranza che il cinema possa ancora funzionare da potente strumento di denuncia e di libertà/liberazione.

data di pubblicazione 14/09/2015


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