TAXXI di Gérard Pirès, 1998

TAXXI di Gérard Pirès, 1998

Daniel Morales (Samy Naceri) da fattorino in una pizzeria diventa un tassista guidando, in maniera molto spericolata, la sua Peugeot truccata per le strade di Marsiglia.
L’imbranato poliziotto Emilien (Frédéric Diefenthal), perdutamente innamorato della bella collega Petra (Marion Cotillard), un giorno si trova per caso sul taxi di Daniel riscontrando la sua guida a dir poco temeraria che in poco tempo lo fa incorrere a diverse gravi infrazioni stradali.
Il poliziotto a questo punto coinvolge Daniel nell’inseguimento per la cattura di una banda di ladri tedeschi offrendo in cambio il suo aiuto per evitargli la perdita della licenza e quindi del suo lavoro.
Il film, diretto da Pirès, con soggetto e sceneggiatura di Luc Besson, risulta molto gradevole e ha avuto molto successo nelle sale francesi e nel mondo, raggiungendo un inaspettato record di incassi e ottenendo due premi César per il miglio montaggio ed il miglior sonoro.
Marsiglia, con il suo sole ed i suoi sapori decisi, ci suggerisce questa ricetta: zuppa di finocchi e marroni alla provenzale.

INGREDIENTI: 500 grammi di castagne – 1 kg di finocchi – 100 grammi di fichi secchi- 250 grammi di panna da cucina – peperoncino – preparato per brodo – sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO: pulire e tagliare i finocchi in fettine sottili e farli cuocere in un brodo ristretto. Bollire a parte le castagne, pelarle e passarle a setaccio in modo tale da ottenere una purea omogenea. Aggiungere quindi le castagne e i fichi secchi a pezzetti ai finocchi insieme alla panna in modo da ottenere una zuppa densa e vellutata, aggiungere un poco di peperoncino, sale e pepe q.b.
Servire la zuppa calda accompagnata, se si preferisce, da crostini di pane.

THE CARNAGE di Max Caprara

THE CARNAGE di Max Caprara

(Teatro dell’Orologio – Roma 8/20 dicembre 2015)
In un appartamento, in un palazzo residenziale un tempo abitato da gente di élite, ma oggi quasi abbandonato, una coppia invita a cena un’altra coppia di vicini, da poco trasferiti, per iniziare a fare conoscenza.
All’inizio della serata, con i primi convenevoli d’uso, tutto sembra procedere normalmente, ma presto si verranno a creare delle situazioni grottesche al limite della follia pura che impegneranno i quattro personaggi in una lotta che ha tutta l’aria di diventare un gioco al massacro, e non solo verbale.
Le argomentazioni che si incrociano con un ritmo incalzante cadranno presto in un vuoto assoluto, rivelando l’assenza totale di contenuti in ognuno di loro e dove anche le apparenze non troveranno più alcun fondamento di essere, negando una qualsiasi, sia pur minima, parvenza di credibilità.
Anche le verità indiscutibili sembrano venir meno, relegate ad un ruolo marginale, perché è l’illusione che regna e che porta a vedere qualcosa dove non c’è nulla da vedere.
Ben si inserisce questa pièce nel contesto sociale di oggi per indurci a prendere coscienza, semmai non lo avessimo oramai da tempo sperimentato sulla nostra propria pelle, che il mondo con le sue stranezze e contraddizioni poggia sul niente, rivelando una falsità nei rapporti interpersonali ed una palese aggressività che ha oramai compromesso gli affetti più cari, incluso quelli inerenti allo stesso nucleo familiare.
Scritto e diretto da Max Caprara che interpreta anche uno dei protagonisti insieme a Michele Bevilacqua, Veronica Milaneschi e Giada Pranti, lo spettacolo trova un suo ritmo proprio anche con qualche nota divertente in un contesto di scena dove gli spazi sembrano ben studiati per sottolineare la gabbia sociale, in cui metaforicamente ci troviamo reclusi, senza lasciare intravedere una facile via di fuga.

data di pubblicazione 20/12/2015


Il nostro voto:

MOEL di Marco Andreoli

MOEL di Marco Andreoli

(Brancaccino, Roma – Dal 17 al 20 Dicembre 2015)

Quattro marcatori di prova poggiati sul palco indicano gli appartamenti abitati da altrettanti personaggi: Miriam, una ragazza proveniente dallo Stato di Oklahoma; Esh, un ameno chiromante di origini indiane; Osip, un russo che porta con sé una sospetta borsa nera; e Laura, una ragazza avvolta in una nube di mestizia.
La prima parte dello spettacolo si focalizza sulla figura del russo. Un sibilo proveniente dalla sua abitazione genera diverse reazioni nei vicini: la ragazza americana ritiene che quel rumore sia prodotto dalle operazioni per assemblare un fucile; il sensitivo crede, al contrario, che il  suono acuto e prolungato sia dovuto alla riparazione del tubo del lavandino; Laura invece non percepisce nulla perché si trova in uno stato di dormiveglia. In seguito a questo evento, nel condominio prende corpo l’idea che Osip sia un killer spietato (soprattutto mercé le congetture di Miriam), ma il russo svelerà che il rumore derivava dall’avvitamento di una moka con la filettatura arrugginita. È la prima avvisaglia che la “stratificazione delle illazioni” genera infondati sospetti.
Lo spettacolo prosegue con una serie di telefonate tra i vari personaggi: Miriam, tampinata dai creditori, chiede un prestito all’affabile Esh; mentre Laura riceve da Osip strane coordinate, rendendo la sua figura sempre più misteriosa. A quel punto, il russo, l’americana e il chiaroveggente vengono chiamati d’emblée in commissariato per rendere informazioni su Laura, che si scoprirà essere una crudele terrorista. Nella casa di Osip verrà rinvenuto un fucile, ma l’architetto di questo disegno malefico riuscirà a scamparla, dichiarando di possedere il porto d’armi e che utilizza il fucile in vista delle gare olimpioniche che si appresta a disputare quale atleta di tiro a volo.
Inaspettato è anche il comportamento del chiaroveggente, il quale si rivelerà essere uno spietato aguzzino che non lascia scampo all’americana per le somme che gli deve.
Lo spettacolo procede in modo caotico attraverso analessi e prolessi, in un intreccio inestricabile delle vicende che rende faticoso seguire il filo della trama.
La scenografia è scarna e gli elementi non sono ben coordinati tra loro: sembra di essere sulla scena di un crimine, ma non ci sarà nessuno omicidio; inoltre, in una scena della rappresentazione viene stesa una tovaglia sul palco — per dare l’idea di un tavolo — e vengono posti sopra bicchieri e portavasi, ma invece che sedersi fuori dalla tovaglia gli attori si accovacciano sulla stessa, ingenerando il dubbio che si tratti di un pic-nic.
Le numerose congetture, e lo scarto tra realtà e apparenza, sono le costanti di questa pièce. Il messaggio che trapela è che spesso dipingiamo le altre persone in modo errato, per questo è bene ricordarsi del monito di Virgilio “nimium ne crede colori”: non fidarsi delle apparenze.
Inatteso è anche il risultato di questo progetto teatrale: ad onta di un’invitante presentazione, la rappresentazione è convulsa e scialba.
La durata di Moel è breve, come il tempo degli applausi che si diradano velocemente.

data di pubblicazione 19/12/2015


Il nostro voto:

 

KAMIKAZE NUMBER FIVE di Giuseppe Massa con Woody Neri

KAMIKAZE NUMBER FIVE di Giuseppe Massa con Woody Neri

(Teatro dell’Orologio – Roma, 8/ 20 dicembre 2015) Scena nera e claustrofobica, alternanza di fari abbaglianti e di bui angoscianti, un uomo completamente nudo, pronto all’atto finale: un kamikaze. Ma cosa spinge quest’uomo al sacrificio? Un atto di ribellione e di odio politico-religioso o piuttosto la disperazione per aver perso tutto, incluso gli affetti più cari? L’uomo quindi in solitudine estrema, al quale non rimane nulla, nessun riferimento, nessun luogo amico se non un contesto arido e spoglio dove anche la natura sembra ostile e matrigna. L’urlo che invade la scena, minimalista all’inverosimile, è un urlo di disperazione e di rabbia, di impotenza dell’uomo verso un qualcosa che lo sovrasta impassibile e tiranna, che pretende tutto e che prende tutto senza dare risposte o spiegazioni, solo perché è giusto che sia così. Quindi tutto all’insegna dell’essenzialità sia nell’azione scenica che nella narrazione che pur nella sua complessità di contenuti, si presenta dura e dolce nello stesso tempo con un cambio di registro e di toni che il protagonista regge alla perfezione, trasmettendo allo spettatore un pathos incredibilmente forte e d’effetto. Ascoltando attentamente il testo di Giuseppe Massa, impresa spesso di non facile attuazione per l’assordante intervento di voci e suoni fuori campo, risulta inevitabile non prendere le parti del kamikaze, unico uomo degno di tale nome in un contesto di maiali, così come veniamo definiti noi disgraziati occidentali. Buona anche la regia di Giuseppe Isgrò, che è riuscito dal niente a creare una atmosfera scenica dove non sembra mancare nulla per iniziare un processo di liberazione catartica (qui vale la pena menzionare le tre susseguenti minzioni in scena aperta) per arrivare infine all’atto supremo del sacrificio. Woody Neri, diplomato presso la Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”, ha alle spalle un repertorio vastissimo dove ha sempre confermato la sua eccezionale bravura, attore che senza dubbio è destinato ad una carriera in teatro di sicuro successo. Veramente molto bravo!

data di pubblicazione 17/12/2015


Il nostro voto:

LE RICETTE DELLA SIGNORA TOKU di Naomi Kawase, 2015

LE RICETTE DELLA SIGNORA TOKU di Naomi Kawase, 2015

I petali dei fiori di ciliegio scossi dal vento cadono come fiocchi di neve sulle trecce di Wakana, giovane studentessa dallo sguardo triste, così diversa dalle sue coetanee; gli stessi petali finiscono nel ripieno dei dorayaki di Sentaro che ogni mattina si trascina con passo stanco verso il chiosco dove vende, agli studenti che escono da scuola, le sue dolci prelibatezze: piccole frittelle dall’impasto morbido che accolgono nel loro interno una marmellata a base di fagioli rossi. Ma Sentaro non ama i dolci, ed invece bisogna imparare ad amarli se si vuole reggere la fatica di un lavoro così duro e ripetitivo: e così anche gli affari si trascinano lenti e pesanti come i passi che ogni mattina lo portano al suo chiosco di dorayaki. Ma un giorno quegli stessi petali di ciliegio scossi dal vento accarezzano il cappellino anni trenta di una anziana signora: Toku. Vuole lavorare Toku, nonostante i suoi 76 anni e le sue malconce mani nodose, offrendo a Sentaro la sua collaborazione in cambio di una paga davvero irrisoria. Di lì a poco questo triste uomo, pasticcere per caso, imparerà ad ascoltare il suono del lento ribollire dei fagioli rossi con lo zucchero assieme alle parole di Toku, parole che stupiscono per la semplicità quasi infantile ma che, come vere e proprie “ricette di vita”, arrivano dirette al suo cuore per la grandissima umanità che sprigionano, al pari del profumo della famosa marmellata an.
Le ricette della signora Toku (titolo originale An) di Naomi Kawase è un film da non perdere, prezioso, leggero e profondo al tempo stesso, che emoziona grazie anche alla magica alchimia che questi tre personaggi riescono a costruire, attraverso le parole che la dolce Toku regala a Sentaro e Wakana. Il tema principale è l’ascolto, declinato in modo semplice ma diretto, ed arriva con la precisione e l’essenzialità tipiche della cinematografia giapponese. Queste tre anime che si incontrano per caso in un chiosco di dorayaki, emarginate da una società sempre più veloce ed insensibile, troveranno la forza di spalancare ognuno la propria gabbia e volare via urlando con convinzione al vento il proprio nome.

data di pubblicazione 16/12/2015


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SISTER ACT di Cheri Steinkellner e Bill Steinkellner, regia di Saverio Marconi

SISTER ACT di Cheri Steinkellner e Bill Steinkellner, regia di Saverio Marconi

(Teatro Brancaccio – Roma, dal 10 dicembre 2015)
Il successo cinematografico di Sister ActUna svitata in abito da suora, con un’indimenticabile Woopi Goldberg nel ruolo dell’incontenibile Deloris Van Cartier, approda sul palco del musical, per la prima volta a Roma nella versione diretta da Saverio Marconi, in un progetto realizzato da Viola Produzioni in collaborazione con la Compagnia della Rancia.
Deloris, cantante di locali notturni alla ricerca della via verso i riflettori e il successo, diviene involontaria testimone di un omicidio commesso dal suo amante, il boss Vince La Rocca. Decisa a testimoniare nel corso del processo, si trova messa sotto protezione dalla Polizia di Philadelphia: il Convento Regina degli Angeli, diretto da un’intransigente Madre Superiora e popolato da un’eterogenea compagnia di “sorelle”, diventerà il rifugio di Deloris, che dismetterà gli appariscenti stivali “da tro…tto” per indossare le castigate vesti di Suor Maria Claretta.
I testi, a tratti fedeli alla sceneggiatura cinematografica, si distaccano in più occasioni dalla storia raccontata sul grande schermo. Le nuove situazioni e i nuovi personaggi, dal terzetto di collaboratori del boss Vince fino al poliziotto “Eddie Umidino”, perdutamente innamorato di Deloris fin dai tempi del liceo, risultano sempre ben inseriti nel contesto scenico, senza lasciare delusi gli spettatori più affezionati alla versione originale di Sister Act. Le interpretazioni di Suor Maria Roberta (Veronica Appedu, quando manca Suor Cristina) e di Suor Maria Patrizia (Manuela Tasciotti) sono in effetti straordinariamente fedeli agli omologhi personaggi di celluloide.
La scena cambia frequentemente e in modo impeccabile, alternando le atmosfere sfavillanti dello spettacolo da grande pubblico a quelle più raccolte del Convento. Il tutto supportato da musiche e da una recitazione quasi sempre all’altezza delle aspettative. La protagonista Belia Martin, al primo appuntamento con un ruolo così importante, rende bene le complesse sfaccettature del personaggio di Deloris, esaltata dall’indiscussa esperienza di attori come Francesca Taverni.
Lo spettacolo è stato pubblicizzato fin da subito valorizzando la partecipazione speciale di Pino Strabioli (nel ruolo del Monsignore O’Hara) e di Suor Cristina, che però non è presente in tutte le repliche.
Un musical coinvolgente, con un finale al cardiopalma. Uno spettacolo corale, capace di rendere a tratti invisibili le barriere tra il palco e il pubblico.

data di pubblicazione 14/12/2015


Il nostro voto:

MOKADELIC – Live set

MOKADELIC – Live set

(Macro Testaccio – La Palanda – Roma, 11 dicembre 2015)
In occasione della pubblicazione del numero 12 e del terzo compleanno dell’editoriale trimestrale Le Fabrique du Cinéma, gli appassionati delle arti visive e, in primis, del cinema hanno potuto assistere all’esibizione live dei Mokadelic. Il gruppo, tutto made in Italy, è solo uno degli esempi di come i giovani artisti nostrani siano un fiore all’occhiello del nostro panorama musicale e cinematografico – visto il loro “attivismo” per opere teatrali, documentari, cortometraggi noir – da tutelare e sostenere. E infatti la band, nata nel 2000 con il nome Moka, ha un respiro internazionale che potrebbe tranquillamente “firmare” opere, istallazioni e sequenze cinematografiche d’oltreoceano. Nello spazio della Palanda del Museo Macro di Testaccio i 5 musicisti della band – Alberto Broccatelli (batteria), Alessio Mecozzi (chitarra e synth), Cristian Marras (basso e synth), Maurizio Mazzenga (chitarra) e Luca Novelli (piano e chitarra) – hanno saputo incantare la platea ricreando nell’“open space” soffuso e minimale del Museo le suggestioni, le atmosfere dei film e delle storie sulle quali ormai la loro musica ha tatuato un’emozione indelebile. Le note e gli arrangiamenti dei Mokadelic, infatti, hanno accompagnato, e alla fine segnato, pellicole d’Autore tra cui Come Dio comanda di Gabriele Slavatores, Acab-All Cops Are Bastards di Stefano Sollima e spettacoli Teatrali. Tra i momenti più coinvolgenti e ipnotici del live set sicuramente spicca il “fotogramma musicale” dei brani composti per la serie di Gomorra. A impreziosire l’esibizione, di quella che è stata una piccola festa per i giovani autori, attori, registi, montatori e per tutti gli appassionati addetti ai lavori, anche dietro le quinte, del Cinema italiano (tra gli ospiti intervenuti e premiati da Le Fabrique du cinéma anche Matteo Garrone, Alessandro Borghi e Piero Messina), scorrevano le colorate, “nevrotiche” e frammentate immagini ispirate al cinema degli anni ’20 e ’30. Al termine del live la conferma dei Mokadelic come ottimi autori e maturi perfomers e per questo speriamo che presto tornino a esibirsi in un viaggio tra i teatri e gli spazi artistici che meglio si confanno alle loro atmosfere.

data di pubblicazione 13/12/2015

IL CASO BELLWETHER di Benjamin Wood – Ponte alle Grazie, 2015

IL CASO BELLWETHER di Benjamin Wood – Ponte alle Grazie, 2015

Oscar sta rientrando a casa dopo una lunga giornata di lavoro, passando davanti alla cappella del King’s College viene attratto dal suono celestiale di un organo. Entra, e questa variazione dalle sue abitudini determinerà lo stravolgimento della sua vita.
Mentre è seduto, rapito dalla musica, incontra la sguardo di Iris Bellwether della quale si innamora all’istante; la attende all’uscita della cappella dove farà la sua conoscenza e quella di suo fratello, Eden, l’organista.
Da quel momento Oscar e Iris diventano inseparabili. Oscar viene accolto nella cerchia delle amicizie dei due fratelli, un piccolo gruppo esclusivo socialmente avulso dalla sua realtà.
Pian piano impareremo insieme a Oscar a conoscere meglio Eden, un personaggio molto particolare punto focale del gruppo di amici sui quali esercita un fascino ambiguo e misterioso. Il ragazzo, che con la sua musica celestiale ha convinto Oscar ad entrare ad ascoltare la sua musica, è convinto di riuscire a curare le malattie attraverso l’ipnosi e la musicoterapia.
Veramente un ottimo romanzo di esordio.
Le atmosfere sono così intense e i personaggi descritti così minuziosamente da far dimenticare a tratti che il periodo storico in cui si svolge il romanzo sia quello attuale.
La trama, inizialmente, mi ha un po’ lasciata perplessa, ricordando troppo da vicino le vicende di Revival di Stephen King: d’altra parte il titolo originale del volume di Wood è The Bellwether Revivals…. Il manipolatore Eden Bellwether non può non riportare alla mente la storia del reverendo Charles Jacobs di King, il desiderio di “guarire” il prossimo attraverso le proprie capacità, che siano musicoterapiche e ipnotiche o legate alla “elettricità”, è lo stesso, molto diverse le motivazioni.
Ma in tutti e due vediamo le stesse prerogative: la supponenza, la presunzione, la sicurezza della propria riuscita, della propria “potenza”, la convinzione dell’essere nel giusto e nel considerare le persone che sono loro intorno come danni collaterali sacrificabili sono pressoché le stesse.
Completamente diverse le motivazioni e i finali; King è il più celebre autore di letteratura fantastica/horror e nel suo Revival non poteva tradire le aspettative dei suoi lettori. Wood ci coinvolge, ci irretisce, la tensione e l’incalzare degli eventi aumentano di pagina in pagina fino ad arrivare all’apoteosi finale dove si contrappongono per un’ultima volta Oscar e Eden, la fede nella realtà delle cose del primo e la sicumera di Eden che lo porterà nell’abisso.

ANELANTE di Flavia Mastrella e Antonio Rezza

ANELANTE di Flavia Mastrella e Antonio Rezza

(Teatro Vascello – Roma, 9 dicembre 2015/17 gennaio 2016)
Il pavimento del Teatro Vascello sotto i nostri piedi trema, le poltrone sono scosse violentemente, un vociare roboante si fa via via sempre più consistente.
Niente paura non è un terremoto, ma l’uragano Rezza che si appresta a esibirsi: una vera e propria forza della natura, travolgente e sconvolgente.
Sul palcoscenico vi è un intreccio di linee verticali e orizzontali — rosse (come l’energia che l’attore trasfonde nel pubblico), bianche e nere — che somigliano a un “monitor virtuale”, su cui va in onda la sua ultima rappresentazione teatrale Anelante, frutto della proficua collaborazione con la regista Flavia Mastrella: sodalizio collaudato per un divertimento assicurato.
L’attore di origine piemontese (anche se laziale d’adozione) esalerà — accezione poetica del termine anelare (halare «soffiare») — senza mai prender fiato le sue idee variopinte, provocando nello spettatore un turbinio di emozioni contrapposte.
Lo spettacolo è un susseguirsi di scene comiche nonsense, il cui leitmotiv è l’intricato mondo della psicologia umana. S’inizia con un matematico strampalato che traccia sul palco formule poco ortodosse. Stesse formule su cui s’interrogheranno i grandi della terra (g 20, g 8), che sbucano fuori dagli elementi della scenografia in modo goffo, senza riuscire a incontrarsi. Allora la compagnia di Rezza s’imbarcherà su un aereo, al bordo del quale incontrerà un sacerdote, timorato di Dio ma pronto a vendersi alla dea bendata, e un pilota, martoriato dalle teorie freudiane della libido, che proromperà in un’esclamazione catartica ed esilarante: “se a Freud piaceva suo padre, sua madre e suo nonno, perché doveva convincere anche noi?! Non se lo poteva tenere per sé!”.
Il viaggio aereo non andrà a buon fine e la stramba compagnia precipiterà in una scena orgiastica, in cui gli attori mostreranno i loro glutei (che Rezza vergherà!) e daranno sfogo a tutti gli impulsi sessuali: atti di copulazione, autoerotismo, sodomia, necrofilia — esagerando ogni gesto, tanto da suscitare il riso.
Esasperazione che raggiunge il culmine nel momento in cui il protagonista dello show dà spazio alla sua logorrea: “dissenteria della bocca in avaria, scarico intestinale dalla parte meno congeniale”. Come un vulcano in eruzione, erompe in pensieri sconnessi su temi diversi (lettura, conversazioni, insonnia) — tant’è che sembra quasi di assistere a una seduta di auto psicanalisi — e infine s’immerge, vestito da palombaro, nelle profondità più oscure e recondite del rapporto con i genitori, trattando il tema rigorosamente in chiave ironica.
Al termine dello spettacolo si è consapevoli di aver assistito a un’espressione di lucida follia: congerie di assurdità che generano ilarità. E nell’uscire dal teatro non siamo soli, come ci ammonisce beffardamente l’attore da dietro le quinte, ma ci fa compagnia lo strepito delle risate che risuona ancora nelle nostre orecchie, nonostante lo spettacolo sconquassante sia concluso.

data di pubblicazione 12/12/2015


Il nostro voto:

IF ONLY I WERE THAT WARRIOR

IF ONLY I WERE THAT WARRIOR

(Casa della Memoria – Roma, 11 Dicembre)
Con l’occhio dello storico ma la mano ferma e intraprendente del regista, il giovane regista romano scrive con la luce sulla pellicola cinematografica uno spaccato della storia dell’Italia: il periodo colonialista in Etiopia, che ha ancora effetti sul nostro suolo (v. Mausoleo dedicato al generale Graziani, tristemente noto per l’impiego di gas in terra africana).
L’approccio imparziale, che dà spazio a tutte le voci, rende il documentario convincente e avvalora il messaggio che vuole trasmettere: respice et prospice, non dimentichiamoci del passato per non commettere gli stessi errori in futuro.

data di pubblicazione 12/12/2015