LEA di Marco Tullio Giordana – Fiction Film Festival di Roma

LEA di Marco Tullio Giordana – Fiction Film Festival di Roma

Cinque lunghi e commossi minuti di applausi. Il Fiction Film Fest di Roma, il più importante appuntamento italiano dedicato al mondo delle serie televisive si è aperto l’11 novembre con Lea, una potente e sofferta storia, tutta al femminile, di ribellione ai soprusi e di rivolta alla ‘ndrangheta. Una storia straordinariamente narrata da Marco Tullio Giordana ancor più cruda perché legata alla vicenda vera di Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia che accusò il suo stesso marito e la sua cosca calabrese, e che dal marito venne fatta “sparire” il 24 novembre del 2009.

Lea è cresciuta in una famiglia criminale e un criminale è anche il padre di sua figlia Denise, l’uomo di cui si innamora da ragazza. Lea, però, desidera per sé e Denise una vita diversa, senza violenza e paura. Decide allora di collaborare con la giustizia e viene sottoposta con sua figlia al regime di protezione che poi per incomprensibili motivi burocratici le viene revocato. Rimasta senza soldi e senza la possibilità di trovarsi un lavoro, Lea chiede aiuto al marito per il mantenimento della figlia e lui ne approfitta per vendicarsi. Lea viene rapita per strada, torturata e alla fine uccisa e fatta sparire. Denise viene affidata al padre, ma pur essendo solo una ragazzina, non si piegherà; infiltratasi nella cosca familiare riuscirà a denunciare i veri colpevoli, fratello e padre, smascherati da un pentito, finché il corpo viene trovato: ergastolo per tutti, mentre la 24enne Denise vive ora da sorvegliata speciale.

Una grande storia di denuncia e impegno che rende omaggio a due donne diventate un modello civile di coraggio e coerenza. Una testimonianza esemplare di un destino già scritto, una tragedia greca raccontata con un linguaggio realistico ed immagini essenziali e profonde che enfatizzano il desiderio di giustizia e la voglia di legalità che reclama il nostro paese. Una narrazione asciutta e dolorosa che espone con lucidità e anima l’ordine cronologico degli avvenimenti, come solo Giordana sa rappresentare, grazie anche alla sua capacità di dirigere gli interpreti, tutti straordinari, a partire dalle due protagoniste, Vanessa Scalera (Lea) e Linda Caridi (Denise) anche se non noti, ma vivi, veri e indelebili.

Un film tv che si potrà vedere su Rai1 il 18 novembre, un’opera di grande valore civile, e di denuncia contro l’omertà, la sottomissione, le leggi non scritte della ‘ndrangheta, di rivolta per il bene dei figli, di coraggio di madre e di figlia  e di amore materno assoluto, sopra tutto e tutti.

data di pubblicazione 16/11/2015

TUTTO PUÒ ACCADERE A BROADWAY di Peter Bogdanovich, 2015

TUTTO PUÒ ACCADERE A BROADWAY di Peter Bogdanovich, 2015

Aspettavamo da tempo il ritorno al cinema di Peter Bogdanovich, ci mancava il suo umorismo forte ma allo stesso tempo raffinato, preciso come un meccanismo ad orologeria eppure mai scontato. Il suo ritorno dopo ben 15 anni, si deve al suo giovane ammiratore Wes Anderson, che gli ha prodotto questa pellicola, She’s Funny That Way, che in Italia è diventato Tutto può accadere a Broadway commedia particolarmente frizzante di ambientazione newyorchese. E’ la storia di un’attrice vivace (Imogen Poots) che confida a un giornalista la sua vicenda a dir poco insolita: era una ragazza squillo, e una sorta di buon samaritano la ha aiutata a diventare quella che è, una donna di successo. Il samaritano (Owen Wilson) è un regista teatrale bravo a letto, come generoso nella vita, molto affezionato alle escort che frequenta, al punto che  offre loro, dopo l’amore, una grossa somma di denaro per far sì che possano realizzare i propri sogni. Divertente e allegro, il film moltiplica vicende slapstick le identità sbagliate, gli equivoci e i colpi di scena, in una favola folle a New York, dove tutto accade, dove tutto nasce, dove succedono anche cose folli tipo un tassista che, improvvisamente  decide di lasciare l’auto e i suoi passeggeri in piena via bloccata dal traffico e di continuare la sua giornata con un altro taxi proveniente dall’altro lato !!! Il tutto orchestrato a meraviglia tra porte che sbattono alla Feydau, humour, citazioni cinefile, espedienti forse a volte da vecchio cinena  che però funzionano eccome !

 

data di pubblicazione 15/11/2015

 


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OUTDOOR FESTIVAL 2015

OUTDOOR FESTIVAL 2015

(Roma – Ex Caserma Guido Reni, 1/28 novembre 2015)

Montagne di giornali, mobili, cianfrusaglie, calendari osé, floppy disk e vecchi computer, accatastati in enormi padiglioni: questo era lo scenario che si palesava, fino a poco tempo fa, a chi fosse entrato nell’ex caserma Guido Reni.

Il trasferimento dell’alloggiamento militare dal Ministero della Difesa al Campidoglio, grazie al federalismo demaniale, ha ridato vita a questo posto da troppo tempo abbandonato.

Negli stessi luoghi dove una volta si respirava un’aria pesante va in scena l’inebriante Outdoor Festival: manifestazione che si sviluppa attraverso arte, musica, video e talk.

Le installazioni all’interno dei 20 padiglioni in cui si snoda il Festival sono eterogenee, caleidoscopiche e, in alcuni casi, sensazionali.

In uno dei primi capannoni, un fascio di luce blu cobalto ondulatorio sale fino a disvelare sagome di persone in caduta libera. Un’opera che suscita un senso di vertigine, inquietudine e ricorda quelle persone che l’11 settembre hanno preferito saltare nel vuoto, piuttosto che essere divorate dalle fiamme.

La sala di Alice Pasquini, la street artist romana, appare alquanto lugubre ma come in ogni sua opera lascia il suo segno distintivo nei volti degli infanti.

Il padiglione più grande è deputato all’interattività: al visitatore è permesso dare sfogo a tutta la sua creatività dipingendo con diversi utensili su carta, che sarà in seguito fissata esposta, e sulle pareti.

Un’altra sala è occupata dal trompe-l’œil del writer Insa; i visitatori si trovano all’interno di cerchi concentrici che sembrano risucchiarli, come se dal terreno si stesse sprigionando un buco nero.

Si parla di un grande polo immobiliare di pregio e della nuova città della scienza a Roma, ma per ora godiamoci il presente.

Ci sono ancora 3 settimane per poterlo visitare!

Il prezzo del biglietto è abbordabile 7€, 5 per i minori di 26 anni.

data di pubblicazione 12/11/2015

RAMS- STORIA DI DUE FRATELLI E OTTO PECORE di Grìmur Hàkonarson, 2015

RAMS- STORIA DI DUE FRATELLI E OTTO PECORE di Grìmur Hàkonarson, 2015

Il regista islandese Grìmur Hàkonarson è riuscito a regalarci con questo film una storia delicata e poetica, dal carattere universale ma al tempo stesso inusuale perché ambientata in una valle islandese estremamente isolata, dove vivono e lavorano solo una piccola comunità di allevatori di ovini. Rams può essere paragonato, proprio per l’ambientazione e per i dialoghi sovente ridotti al minimo, a pellicole come Kitchen stories, Il vento fa il suo giro, La prima neve, dove a silenzi estremamente significativi fa da supporto l’espressività di attori straordinari che con la loro recitazione ci restituiscono l’essenza e l’ampiezza di qualcosa di interiore, spesso non esprimibile a parole.

Il filmnarra la storia di due fratelli, Gummi e Kiddiley, amorevole ed orgoglioso il primo, iroso e dal gomito facile il secondo, i quali, pur vivendo in due case attigue nella sperduta valle agricola di Bardardalur, non si parlano da quarant’anni. Sono entrambi allevatori di montoni e gli esemplari dei loro due greggi, appartenenti ad un ceppo antichissimo, vengono spesso premiati nei concorsi ovini della zona. Solitari, senza né moglie, nè figli, Gummi e Kiddiley hanno come unico scopo nella vita quello di allevare amorevolmente le loro pecore, istaurando con loro uno stretto rapporto di “cura parentale”. Il loro bestiame è la cosa più cara che hanno, in quanto l’unica, e quando una brutta epidemia colpisce gli ovini della zona, essa metterà a dura prova la vita di entrambi.

Rams – Storia di due fratelli e otto pecore è decisamente una pellicola di nicchia, di quelle che ti aprono inaspettatamente il cuore, che ti fanno commuovere profondamente e riflettere per come ci vengono veicolati i sentimenti dei due protagonisti, così orgogliosi e testardi ma incredibilmente amorevoli, che riescono a conservare, come sotto un pesante manto di neve, intatto e profondo il loro sentire. Da non perdere.

data di pubblicazione 12/11/2015


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IL LADRO DI NEBBIA di Lavinia Petti – Longanesi, 2015

IL LADRO DI NEBBIA di Lavinia Petti – Longanesi, 2015

Eccellente romanzo di esordio che mi ha fatto molto piacere leggere, facendomi ricordare libri che ho letto, amato ed apprezzato molti anni addietro, e che mi hanno fatto capire come sia impossibile vivere senza averne costantemente uno tra le mani.

Il protagonista, Antonio M. Fonte, è uno scrittore di grande successo; un successo che non apprezza e che per lui non ha alcun valore.

Vive con la gatta Calliope nella casa di famiglia ormai decrepita, non ha amici e non ne cerca, e se non fosse per il suo agente letterario non riuscirebbe neanche a tenere fede ai suoi impegni letterari.

La sua curiosità viene pungolata da una lettera che torna al mittente. Una lettera indirizzata a una donna che lui non conosce, o pensa di non conoscere, che ha come mittente lui stesso…

Girovagando per le strade di Napoli, mentre riflette sul significato di quella lettera d’amore che non ricorda di aver mai scritto, Antonio viene attirato da un palazzo che non ricordava esistesse in quel luogo, un palazzo in cui si trova un surreale ufficio di Oggetti smarriti il cui custode raccoglie tutto ciò che viene smarrito, compreso le emozioni, i sogni, i ricordi…

Da qui Antonio decide di ritrovare il suo passato per cercare di capire cosa significassero le parole che ha affidato a quella lettera.

Attraverso l’ufficio “oggetti smarriti” arriverà nella città di Tirnail e da lì, con molte peripezie giungerà fino al luogo che Tirnail cerca di proteggere meglio che può: Mnemosia, perché lì sono custoditi i ricordi e “i ricordi rappresentano la nostra vita, la nostra storia, ciò che siamo stati… senza ricordi un uomo non vale più di una scatola vuota.”

Nel lungo percorso che facciamo, 400 pagine, incontriamo personaggi ai quali impariamo ad affezionarci: il pittore Edgar che sembra essere il Cappellaio Matto di Alice, Nechnabel e i suoi Nox che ci riportano alle fosche tinte della Terra di Mezzo di Tolkien, il Grande orologiaio che fa l’occhiolino all’Architetto di Matrix fino alla vecchia strega con l’arcolaio che non può non riportarci alla mente una Maleficent ante litteram.

Un bel fantasy che, al di là dei personaggi e degli ambienti tipici del genere, ci accompagna nella comprensione della psicologia del protagonista.

ČECHOV RADDOPPIA A ROMA

ČECHOV RADDOPPIA A ROMA

(Teatro Quirino e Teatro Eliseo – Roma, 3/15 Novembre 2015)

Non sappiamo se sia accaduto per caso o per una programmazione studiata a tavolino, ma due opere di Čhecov sono approdate contemporaneamente sui palcoscenici romani nella prima settimana di Novembre e rimarranno in scena fino al 15. Si tratta de Il giardino dei ciliegi (traduzione di Gianni Garrega,  adattamento e regia di Luca De Fusco)  al teatro Quirino-Vittorio Gassman, e di Ivanov (traduzione di Danilo Macrì e regia di Filippi Dini) al teatro Eliseo. Ci è sembrato interessante mettere a confronto i due spettacoli che fin dalle brevi presentazioni sui pamphlet dei teatri, sembrano partire da assunti diametralmente opposti. Se per il Giardino dei ciliegi si legge che “sotto il chiacchiericcio apparentemente vacuo e frivolo della commedia si intravedono squarci di decadenza e di dolore che spesso hanno un sapore infantile”, per l’altro leggiamo che “l’Ivanov di Filippo Dini sfata la convinzione che la prima delle grandi opere teatrali di Cechov sia un testo noioso e polveroso […] creando una messinscena di coinvolgente passionalità e trascinante ironia”.

Lo squarcio di decadenza e dolore de Il giardino dei ciliegi viene addirittura reso scenicamente da una quarta parete costruita solo parzialmente, una cornice che lascia intravedere, nella sua apertura centrale, quasi una ferita, l’azione scenica. Contemporaneamente, quella stessa parete diventa supporto di proiezione dei primi piani, in bianco e nero, di quegli stessi attori che vi recitano al di là, rimandando nello spettatore le suggestioni degli sceneggiati televisivi di Anton Giulio Maiano. La lingua si tinge di una napoletanità che rende la vicenda “nostra”, e l’eco infantile aleggia sulle teste degli attori attraverso un aquilone e dei palloncini che vengono lasciati volare via come il passato, i sogni, l’infanzia felice. Le vicende personali dei protagonisti e quelle più grandi di un mondo in decadenza che essi hanno abitato e che ora devono lasciare, passano per il balletto della vita che apre la seconda parte dello spettacolo e di cui i rapporti e le vicende personali diventano coreografi. La luce, ora fredda ora calda, illumina il bianco gelido e antico degli abiti e di una casa con un giardino dei ciliegi solo evocato eppure destinato a scomparire. De Fusco sceglie in tal modo di cogliere e valorizzare sia gli aspetti naturalistici che quelli simbolici del testo, riuscendovi perfettamente anche grazie alle belle soluzioni scenografiche di Maurizio Balò e alla bravura corale degli attori, citando, su tutti, Gaia Aprea, Paolo Serra e Claudio Di Palma.

La coinvolgente passionalità e la trascinante ironia perseguite dalla messa in scena dell’Ivanov, interpretato dallo stesso regista Filippo Dini, passano per accenni ripetuti di arie di opere liriche canticchiate per sottolineare l’ingresso di un personaggio, dare il là ad un successivo scambio di battute. Dell’ironia si fa tramite l’amministratore Borkin (Fulvio Pepe) che accenna il ritornello di una canzone di Battisti (“A te che sei così presente..” da La luce dell’est…scelta casuale?), e la stessa  coralità delle scene che cambiano fisionomia a sipario alzato, attraverso un gioco di pareti che avanzano, retrocedono, restringono o dilatano lo spazio scenico, in un balletto sottolineato da una musichetta veloce come quella delle comiche. I colori accessi del divano e dei costumi della scena della festa di compleanno di Sasha, così come il ripetersi delle gag che ogni personaggio nuovo mette in scena per presentarsi, creano un’atmosfera grottesca che ci ha riportato alla mente  I tenenbaum e, più in generale, i film di Wes Anderson. Il tutto a far da contrasto allo spleen da cui Ivanov, il protagonista, sembra attanagliato. La morte della moglie, la decadenza della sua tenuta, i debiti, le sollecitazioni di un nuovo amore, del suo amministratore, del suo amico Lebedev (interpretato da Gianluca Gobbi) passano indifferenti sotto gli occhi del protagonista che vede solo la propria condizione di vittima della noia, di una frustrazione profonda, in un avvitarsi passivo della propria vicenda personale, che non gli permette di guardare che a se stesso, anche nell’unico gesto attivo che compirà alla fine: darsi la morte nel giorno del suo secondo matrimonio, bloccando gli altri personaggi in scena in un rallenty sottolineato da una musica in crescendo assordante. Un’inflessione dialettale piemontese in alcuni dei personaggi che non sappiamo se ritenere scelta stilistica, una messa in scena innovativa, con spunti interessanti che però, a nostro avviso, trovano un limite nella eccessiva ripetitività e insistenza degli espedienti comici, che suscitano un’ilarità anche esagerata ed esasperata  in uno spettatore forse troppo intento a voler contrastare la presunta “lentezza e pesantezza di Čechov” ( commento raccolto da più parti all’uscita dal teatro).

“Per vivere compiutamente il presente, bisogna fare i conti con il passato”. Questa battura presa da Il giardino dei ciliegi ci sembra il miglior modo per invitare gli spettatori che vogliano vivere compiutamente il presente del teatro a fare i conti con il meraviglioso passato rappresentato dall’eredità del teatro e dei testi di Čechov.

data di pubblicazione 08/11/2015

ČECHOV RADDOPPIA A ROMA

MAR DEL PLATA di Claudio Fava

(Piccolo Eliseo – Roma, 4/22 novembre 2015)

Una storia vera, accaduta in Argentina ai tempi della dittatura militare, una storia talmente straordinaria da meritare di diventare uno di quei film che fanno sognare, una storia privata che è un simbolo di speranza anche se è estremamente tragica. Per adesso non è un film ma un piccolo dramma scritto dal giornalista Claudio Fava che ha frequentato altri territori egualmente terribili . I ragazzi del “Mar del Plata”, una squadra di rugby, reagiscono all’assassinio brutale di uno di loro, colpito perché contrario al regime di Videla, decidono di dedicare un minuto di silenzio allo stadio prima della partita. I minuti sono talmente commossi e intensi che diventano due, tre, e alla fine ben dieci, un lungo silenzio corale di tutto lo stadio, un inno di libertà. La rabbia del regime ne punirà altri ma quei dieci minuti da allora equivalgono Coraggio al Sogno alla Ribellione .

Il testo di Fava pecca, forse, di qualche ingenuità, ma è sincero, teso, toccante. Strutturato a scene topiche, che tratteggiano l’escalation della vicenda, poteva scadere nel minimalismo. Ma per fortuna non accade grazie alla accorta regia di Giuseppe Marini che orchestra il corale gruppo di bravi attori e inserisce intelligentemente delle scene onirico-ronconiane come il bell’incipit e la scena della riflessione dei torturatori. Indovinata la scenografia a due piani con gli armadietti dello spogliatoio, cast, s’è detto, efficace, molti applausi alla première al Piccolo Eliseo

 

data di pubblicazione 08/11/2015


Il nostro voto:

LEZIONI DI CIOCCOLATO di Claudio Cupellini, 2007

LEZIONI DI CIOCCOLATO di Claudio Cupellini, 2007

Interpretato da Violante PlacidoLuca Argentero, e Neri Marcorè, Lezioni di cioccolato è una commedia romantica ambientata a Perugia, dove il geometra Mattia Cavedoni (Argentero), titolare di una piccola impresa, esercita la sua attività più o meno “legalmente”. Un giorno uno dei suoi operai, l’egiziano Kamal, ha un incidente in cantiere cadendo da un tetto per la mancanza del ponteggio; non muore, ma si rompe entrambe le braccia. L’uomo, che stava lavorando in cantiere rigorosamente in nero, nel suo paese d’origine era in realtà un pasticcere e doveva partecipare di lì a poco ad un corso presso una famosa ditta di cioccolato del posto conosciuta in tutto il mondo: il premio finale era un finanziamento per aprire una cioccolateria e sistemarsi definitivamente in Italia. Mattia baratterà l’inevitabile denuncia con la partecipazione sotto falsa identità al corso, prendendo il posto dello sventurato Kamal.

Il vero protagonista di questa pellicola è il cioccolato: eccovi una ricetta di biscottini a base di cioccolato fondente.

INGREDIENTI: 110 gr di farina “00” per dolci (quella per dolci arricchita con amido di frumento) – 100gr di cioccolato fondente 70% (almeno!) – 40gr di zucchero semolato – 1 uovo – 1 pizzico di sale- 50gr di burro – 15 gr di cacao amaro – la buccia grattugiata di 1 arancia – uno spicchio di scorza d’arancia candita – 1/2 bustina di lievito per dolci – zucchero a velo qb

PROCEDIMENTO:Fate preriscaldare il forno termo-ventilato a 160° e fate in modo che sia ben caldo quando infornerete i biscotti.Spezzettare il cioccolato e farlo sciogliere assieme al burro a bagnomaria, mescolando bene; una volta sciolto, aggiungere lo zucchero semolato continuando a girare per fare intiepidire il tutto.Quando sarà il tutto tiepido, continuando a mescolare aggiungete la buccia grattugiata dell’arancia (senza la parte bianca), l’arancia candita tagliata a cubetti, il pizzico di sale e l’uovo. Infine, aggiungere farina, la ½ bustina di lievito ed il cacao amaro, setacciandoli insieme: mescolare energicamente, amalgamando bene senza creare grumi. Foderare una placca da forno con carta da forno, preparate delle palline, passatele nello zucchero a velo e posizionatele un po’ distanziate tra di loro sulla placca oppure, se non volete usare la carta da forno, mettete le palline dentro dei pirottini di carta che si usano per i cioccolatini. Infornare per 15 minuti scarsi e sfornare quando sulla superficie dei biscotti si saranno formate delle piccole crepe e la superficie sarà un po’ solida. Dopo qualche minuto, spostarli su di una grata per farli freddare bene.

TRAME ESOTICHE. Il restauro del Baldacchino del Cardinale Albani

TRAME ESOTICHE. Il restauro del Baldacchino del Cardinale Albani

(Palazzo Ducale di Urbino – Sala Banchetti, 6/ 29 novembre 2015)

Esotiche trame seriche si snodano per l’Italia, avvicinando il Lazio, da cui partono, alle Marche.

Stiamo parlando della preziosa mostra Trame esotiche. Il restauro del Baldacchino del Cardinale Albani che si tiene nel Palazzo Ducale di Urbino dal 6 al 29 novembre. Per il richiamo alle origini urbinati del committente, il munificentissimo cardinale Annibale Albani, Anna Imponente propone al pubblico nella sede della Galleria Nazionale delle Marche, il pregiato tessuto dalle trame esotiche che impreziosiva il baldacchino della Cattedrale di S. Liberatore a Magliano Sabina, gentilmente concesso dal Soprintendente Agostino Bureca.

Oggetto raro e prezioso per l’inedita iconografia, può ben definirsi l’apice emblematico di un’apertura significativa a mondi geograficamente e intellettualmente agli antipodi.

Nel Settecento accendevano l’immaginazione gli scambi culturali tra Oriente e Occidente con l’affascinante tendenza stilistica ad accogliere il mutamento e i lussi esotici provenienti soprattutto dalla Cina.

Possiamo ammirare il monumentale ricamo, il cui restauro è stato diretto da Barbara Fabjan e nella fase finale da Mariella Nuzzo.

Il sapiente riuso di tessuti stratificati applicati a ricamo ci parla di botteghe artigiane, probabilmente della capitale, aggiornate sui miti di terre favolose.

Dopo il restauro hanno riacquistato piena leggibilità i ricchi tessuti di seta dai fili d’argento e d’oro: mongoli fastosamente abbigliati, tartari alle prese col tiro con l’arco, cinesi dai tipici codini, paesaggi di architetture a pagoda e magnifici animali di paesi lontani.

Con questo dialogo fra regioni e interculturale, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo mostra la poliedricità dei propri compiti istituzionali e coinvolge con l’evento il pubblico in una visione intellettualmente plurisensoriale e multitemporale.

Accanto al prezioso baldacchino sono in mostra parati e oreficerie, anch’essi doni del Cardinale, che costituiscono una parte significativa della straordinaria collezione d’arte esposta al Museo Diocesano Albani. Attraverso questi oggetti il visitatore riscopre il gusto di un’epoca e la figura di un illuminato mecenate.

data di pubblicazione 03/11/2015

NAPOLI NAPOLI NAPOLI  di Abel Ferrara, 2010

NAPOLI NAPOLI NAPOLI di Abel Ferrara, 2010

Film documentario del regista Abel Ferrara, nato nel Bronx ma con origini campane: un ritratto molto crudo e realistico di una città complessa come Napoli, l’immagine di una metropoli e delle sue innumerevoli sfaccettature e contraddizioni, dove realtà e finzione sembrano confondersi.

Notevoli e d’effetto le interviste alle donne recluse nel carcere di Pozzuoli dove si tocca con mano quello che di umano e nello stesso tempo di inafferrabile emerge e dà il vero senso delle loro vite.

Cos’è la camorra?, dice una di loro, la camorra siamo noi…

Il film non sembra ber riuscito, nonostante le buone intenzioni del regista, e fu stroncato dalla critica che manifestò una certa indifferenza mentre il pubblico, pur con un certo scetticismo, mostrò invece un certo interesse.

Napoli ci suggerisce una ricetta molto semplice che è lo spezzatino genovese, ma che con la città di Genova non ha proprio niente a che fare.

INGREDIENTI: 1 kg di spezzatino di manzo – 3 kg di cipolle bianche – olio sale e pepe q.b. – olio d’oliva – un bicchiere di vino bianco – brodo caldo.

PROCEDIMENTO: Soffriggere per 5 minuti una parte delle cipolle insieme allo spezzatino, sfumando con il vino bianco. Una volta che la carne risulta appena rosolata aggiungere il resto delle cipolle e coprire il tutto con acqua o brodo, insaporendo con sale e pepe. Lasciare cuocere per almeno 5 ore a fuoco lentissimo, aggiungendo via via dell’acqua se necessario. Con il condimento ottenuto si può anche condire la pasta con abbondante parmigiano grattugiato.