SEI FRATELLI di Simone Godano, 2024

SEI FRATELLI di Simone Godano, 2024

I cinque figli di Manfredi Alicante, avventuriero impunito e padre latitante da sempre, si ritrovano a condividere per alcuni giorni la stessa casa, dopo la morte improvvisa di lui. Il tempo di aprire il testamento e decidere il da farsi. L’eredità è un allevamento di ostriche a Bordeaux, convertito in una coltura di perle, illusoria come un miraggio in una duna di sabbia; un mucchio di debiti, qualche mollusco dal sapore salmastro e un’unica perla, imperfetta e di poco valore; una perla di nome Luisa.

 

Sei fratelli è una storia di famiglia. Una come tante, ma amplificata tanto nel numero quanto nella materia. In questo nucleo “allargato” e sfilacciato, Luisa (interpretata da Valentina Bellè) è la sorpresa, la sesta figlia, fino a quel momento ignota a tutti; la sesta punta della stella, il lato nascosto dell’esagono (la storia è ambientata in Francia, forse non a caso), una sesta nota “stonata”, che fa fatica ad entrare nel coro, in una polifonia già di per sé dissonante. Cinque fratelli “legittimi”, noti e riconosciuti, ciascuno con un suo “carattere” senza mai essere fino in fondo stereotipi si contendono la scena, in perenne conflitto con se stessi e con gli altri a loro vicini; perennemente alla ricerca di un proprio centro di gravità, di un legame da recuperare – o da creare – malgrado tutto. Con gli abbracci o con le botte. Urlando vecchi rancori o sussurrando nuove confidenze.

Al di sopra di tutto – narratore onnisciente già dall’incipit del film attraverso la voce fuori campo di Gioele Dix – quel padre che ha dato più volte la vita, ma senza curarsene, e generando menomazioni dell’anima come del corpo: così Marco, il prediletto (Riccardo Scamarcio), zoppica per un male al tallone, il giovane Mattia (Mati Galey) è quasi muto e Leo (Gabriel Montesi) ha problemi d’udito, oppure finge. E poi c’è l’ibrido, Luisa, l’intrusa nella famiglia, simbolo dell’alterità straniante che però aiuterà a chiudere il cerchio (anche fisicamente, attorno al tavolo del notaio, in esordio e in chiusura). Lei che di quel padre “anche suo” ha preso quel “poco” che ha potuto, e che se l’è “fatto bastare”.

E adesso che sono lì, tutti quanti, orfani di colui che era insieme pecora nera e capro espiatorio, quel padre amato e odiato, voluto e respinto, lontano e accusato in contumacia di essere il cattivo per eccellenza… “a chi daranno la colpa, per la loro infelicità”.

Il regista Simone Godano, metteur en scène e direttore d’orchestra, scandisce bene tempi e dinamiche all’interno del film, e si lascia seguire, grazie anche a una sceneggiatura semplice ma intensa, che non cede a facili coups de théâtre, né a luoghi troppo comuni.

Belle le luci di Bordeaux di notte; suggestive le note di quella sonata in si minore, eseguita al piano sin dalle prime scene e che ritorna, più volte, nella storia.

data di pubblicazione:20/05/2024


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CICLO CONFERENZE Lectures Méditerranéennes  Maggio-Giugno 2024

CICLO CONFERENZE Lectures Méditerranéennes Maggio-Giugno 2024

Come ogni anno dal 2017 si rinnova l’appuntamento con il Ciclo di Conferenze Lectures Méditerranéennes promosse dall’Ambasciata di Francia a Roma. Un’opportunità per gli appassionati di Storia, Letteratura ed Arte. Un’occasione per conoscere il passato di quella realtà unica che è il Mondo Mediterraneo. Meglio ancora, i tanti Mediterranei che lo compongono, ieri come oggi. L’area del Mediterraneo, per la sua originalità e complessità, ha avuto, ha ed avrà infatti un ruolo centrale nel processo di costruzione del Mondo Europeo.

Obiettivo delle Lectures è dare alle grandi questioni di questo millennio (mobilità, denatalità, religioni, ambiente…) la profondità e l’analiticità di una riflessione storica. Capire la realtà contemporanea infatti richiede la rivisitazione delle epoche e delle persone del passato attraverso gli occhi e le domande degli studiosi del XXI Secolo. Quest’anno il Ciclo sarà articolato in quattro incontri tra Maggio e Giugno in contesti già di per sé affascinanti. Palazzo Farnese (21 Maggio h.18), Villa Medici (27 Maggio h.18), Palazzo Primoli (3 Giugno h.18), Palazzo Altemps (10 Giugno h.18). Il tema centrale è “La morte di una scrittura e l’inizio di un mito. I Greci ed i geroglifici”.

Un fenomeno tanto suggestivo quanto concettualmente istruttivo. La scomparsa di una scrittura utilizzata continuativamente dagli Egizi dal 3100 A.C. a tutto il IV secolo D.C. significa molto più di un tramonto e della fine di una Cultura e di una Civiltà. Cosa c’è storicamente al di là del Mito creato dai Greci e della sua influenza sull’immaginario collettivo? Quali i fattori che determinano il declino e la morte di una scrittura e della Cultura che essa rappresenta? Quali i cambiamenti? Quali le rivoluzioni culturali, religiose, politiche e demografiche che sottostanno a tale processo? Quale è l’elemento detonatore? E’ possibile e ripetibile nel presente o nel contesto prossimo venturo?

L’ingresso è libero previa iscrizione presso l’Ambasciata o il Centro Culturale Francese.

data di pubblicazione:17/05/2024

‘A NANASSA, tre atti comici di Eduardo Scarpetta

‘A NANASSA, tre atti comici di Eduardo Scarpetta

riduzione e regia di Fabio Gravina, con Fabio Gravina Mara Liuzzi, Antonio Lubrano, Sara Religioso, Giuseppe Vitolo, Michele Sibilio, Eduardo Ricciarelli, Rosella Celati, scene e costumi di Francesco De Summa, musiche originali di Mariano Perrella

(Teatro Prati – Roma, 5 aprile/26 maggio 2024)

Cinquanta giorni in cartellone per una delle più scoppiettanti farse di Scarpetta in una stagione mono-autore di un teatro che testardamente da 25 anni ripropone il teatro della tradizione napoletana.

Fabio Gravina è il tenore, sinergicamente assistito da un coro di caratteristi che lo spalleggiano impeccabilmente di spettacolo in spettacolo secondo il numero fisso e chiuso della base scarpettiana. Riduzione rigorosa e fedele con il dialetto che vira nella facile comprensione della lingua italiana. Gioco di equivoci senza corna, con matrimoni contrastati sempre in ballo e giocose ripicche. Ritmo trascinante, senza punti deboli con rilanci continui di trama. E i caratteri sono ben scolpiti. C’è la procace sciantosa, la moglie brutta, l’amico fedele, il parente ricco. Soldi e amore dietro l’angolo, spesso in contrasto. Felice Sciosciammocca, sempre lui, è il pilastro attorno a cui si snoda la vicenda. Lo scioglimento non ha bisogno di particolari approfondimenti psicologici. Happy ending in agguato con ricomposizione di tutto quanto viene chiarito nel bozzetto finale. In fin dei conti un gioviale ottimismo chiude la vicenda. Potrebbe sembrare un teatro minore di pura rappresentazione ma ipoteca un enorme dignità della scena, senza presuntuosi velleitarismi. La compagnia stabile ha già preparato la prossima stagione che si presenta appetitosa con testi di Gravina, il rilancio di Raffaele Viviani e, ancora, immancabilmente Scarpetta, un amo da cui partì la meravigliosa avventura de tre De Filippo, dando il via al vero teatro d’autore italiano. Dopo Eduardo capisaldi Giorgio Strehler e Luca Ronconi.

data di pubblicazione:17/05/2024


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I DANNATI di Roberto Minervini, 2024

I DANNATI di Roberto Minervini, 2024

Anno 1862. Durante la guerra di Secessione, un manipolo di soldati viene mandato a presidiare le terre impervie ad ovest del Paese. Siamo in pieno inverno e il gelo renderà la missione quanto mai difficile. Durante un agguato, molti degli uomini moriranno e i pochi superstiti si troveranno ad affrontare una sfida verso se stessi. La riflessione sugli insegnamenti della religione li aiuterà nella lotta alla sopravvivenza…

 

Roberto Minervini, con questo suo primo lungometraggio diverso per genere dai precedenti, è in lizza quest’anno a Cannes nella sezione Un Certain Regard. Il regista, marchigiano d’origine ma residente da anni negli Stati Uniti, riesce a raccontare una storia che trova radici nel passato, quando il suo paese d’adozione affrontava la guerra di Secessione. I personaggi sono osservati nei loro movimenti e nei loro pensieri più intimi proprio per metterne in luce le peculiarità. Ognuno si è arruolato per motivi diversi, forse per una forma di riscatto sociale, forse per una possibilità di guadagno ma, come spesso accadeva, senza effettivamente conoscere la causa per cui avrebbero dovuto combattere. La loro è una meta incerta come incerto è il destino a loro riservato tra difficoltà di ogni genere. Un impegno introspettivo in cui il regista sembra destreggiarsi con una proprietà di linguaggio espressivo veramente sorprendente. Minervini dà prova di saper maneggiare bene la macchina da presa, soffermandosi specialmente sui volti dei singoli uomini, riuniti insieme in un afflato cameratesco che gli permette di condividere anche gli stati d’animo più segreti. Il regista, di fatto apprezzato documentarista, è stato sicuramente coraggioso nell’affrontare un tema molto delicato, sia pur oramai archiviato dagli stessi storici americani. Il divario tra Nord e Sud, il tema ricorrente del Cristianesimo, una sorta di mascolinità tossica, sono i temi affrontati e sviluppati con grande maestria. Nel cast tutti attori americani emergenti, molto bravi e incredibilmente incisivi. I Dannati “rappresenta una sfida nuova: un film di finzione, storico, in costume, senza sacrificare il realismo, l’immediatezza e l’intimità”.

data di pubblicazione:17/05/2024


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METAMORPHOSIS di Michele Fasano, 2024

METAMORPHOSIS di Michele Fasano, 2024

Un nutrito stormo di uccelli, ciascuno di specie diversa, si lascia convincere dall’Upupa a intraprendere un lungo e avventuroso viaggio. La meta è ambiziosa: raggiungere la Montagna di Kafh dove dimora il re Simourgh, saggio capace di rispondere a tutte le domande. Partiranno in tanti ma arriveranno in pochi. C’è chi abbandona il volo per paura, c’è chi non ce la farà ad affrontare le innumerevoli avversità. Solo la forza dell’Amore guiderà i superstiti verso l’agognato traguardo…

Michele Fasano scrive, dirige e si autoproduce un film di animazione che ha già fatto il giro del mondo e ottenuto decine di premi in importanti festival internazionali. Le immagini coloratissime degli uccelli, in volo verso il loro obiettivo, vengono associate in maniera vincolante a quattro personaggi reali, diversi per età, genere, cultura e religione. Loro hanno una propria identità: Monika (Albania), Abdurrahman (Turchia), Jihad (Siria) e Susan (Israele). Il regista ci conduce attraverso vari paesi per raccontare di come nasce una guerra, come si genera l’odio interrazziale e interreligioso, come la Via dell’Amore sia l’unico mezzo per arrivare al dialogo. La voce narrante ci rimanda ai testi religiosi della Torah, riferimento centrale dell’ebraismo, e del Corano il testo sacro dell’Islam. Il tutto per dimostrare che le varie religioni sono solo le diverse sfaccettature di un Logos che sotto varie forme e culture definisce l’idea di Dio. Ispirandosi ad un poema di Farid al-Din ‘Attar, persiano del dodicesimo secolo, Fasano riesce a conquistare lentamente l’attenzione del pubblico e a portarlo a riflettere sulle meschinità del potere. Triste pensare come le convinzioni di pochi possano essere imposte a molti, obbligati a sacrificare la propria vita in cambio della presunta salvezza eterna. Un messaggio quindi trasversale che supera le ideologie più fondamentaliste per riportarci all’essenza della vita e dell’universo. Un film che sicuramente non lascia indifferenti, rivolto a un pubblico sensibile, disposto a fermarsi anche per un attimo per meditare su quello che siamo e verso cosa ci incamminiamo, tra il caos e un mondo di tenebra. Occorre quindi ripartire dal canto e dalla poesia per nutrire civiltà e politica?

data di pubblicazione:16/05/2024


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RITRATTO DI UN AMORE di Martin Provost, 2024

RITRATTO DI UN AMORE di Martin Provost, 2024

Pierre Bonnard (Vincent Macaigne) affermato pittore di talento incontra nel 1893 la giovane Marthe (Cecile de France). Un colpo di fulmine. Diverrà la modella per i suoi nudi, musa, compagna, moglie ed ossessione. Una relazione creativa e passionale. Marthe fragile e disturbata cercherà nel pittore la sua sublimazione personale e sociale anche a costo di mentire…

Provost stimato regista e sceneggiatore francese autore di altri apprezzati film sulla vita di artisti, si trova a suo agio nei biopic. Questo suo 8° lavoro presentato al XIV Festival del Cinema Francese tenutosi ad Aprile a Roma è il ritratto sensuale di Pierre Bonnard. Pittore postimpressionista, agiato e molto dotato ebbe un notevole successo tra la fine dell’800 e l’inizio del 900. Meglio ancora il film è la storia della tumultuosa, singolare e pluridecennale relazione artistico/creativa fra il pittore e la sua compagna, musa ed ossessione. Dal loro primo fulminante incontro per strada nel 1893, al matrimonio nel 1925, ed oltre. Più di 40 anni di vita.

Il regista è un autore sensibile e buon ritrattista di personaggi femminili. Anche questa volta la sua attenzione è, in effetti, tutta centrata sulla controversa ed enigmatica personalità di Marthe. Una donna, tanto indipendente e libera quanto problematica, che trova nella passione sublimante per Bonnard l’autoriconoscimento e l’elevazione sociale ardentemente desiderati. Una persona fragile e complessa con un suo mondo di illusioni e menzogne che ha dovuto accontentarsi di essere la “modella nuda” di un grande artista di cui non riesce a comprendere i codici artistici, ad accettarne l’ambiente, né tantomeno l’edonismo mondano. Sullo sfondo anche i temi ben più ampi dell’emancipazione femminile, della durata dell’Amore, dell’esclusività affettiva e del talento artistico delle donne. Il regista si limita però ad accennarli ed a sfiorarli, preferendo concentrarsi sull’ossessione amorosa e creativa della coppia.

Ritratto di un Amore è un film dalla fattura classica articolato su ritmi molto posati. Provost, salvo qualche spunto interessante e coinvolgente, non esce dai canoni del genere, non rivoluziona e non intende rivoluzionare il modo di filmare la creatività artistica. La sua attenzione è sulla qualità della messa in scena e sulla corretta riproduzione di un’epoca, degli ambienti e delle atmosfere. Le luci e la fotografia sono perfette. Una rievocazione sottile e ben curata che tende ad esaltare ed a portare in primo piano il talento recitativo degli attori. I due protagonisti sono bravi, perfettamente a loro agio e rendono con naturalezza tutte le varie e complesse sfaccettature dei personaggi. Molto buoni anche i secondi ruoli nelle loro caratterizzazioni.

In conclusione un film normale, coerente con le aspettative. Discretamente girato ed interpretato, gradevole e coinvolgente. Formalmente raffinato, con una visione un po’ romantica e dall’aria culturale ma mai pedagogico.

data di pubblicazione:15/05/2024


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UNA STORIA NERA di Leonardo D’Agostini, 2024

UNA STORIA NERA di Leonardo D’Agostini, 2024

Vito e Carla erano una coppia apparentemente felice. Di fatto lui era nei suoi confronti estremamente possessivo e violento. Dopo anni di separazione, pur avendo entrambi delle relazioni sentimentali, ancora si frequentano per il forte legame che li unisce ai tre figli. In occasione del compleanno della piccola Mara, Vito viene invitato a festeggiare insieme alla famiglia, riunita per l’occasione. Dopo la cena, di lui si perderanno le tracce…

 

Leonardo D’Agostini dopo il successo del suo film d’esordio Il campione premiato, come miglior regista esordiente, con il Nastro d’argento, si presenta adesso con un thriller di tutto rispetto. Tratto dal romanzo noir di Antonella Lattanzi, coinvolta anche nella stesura della sceneggiatura, il film narra le vicende di una famiglia e dei personaggi che ne fanno parte. Ognuno sembra mostrare quella proverbiale ambiguità che lascia lo spettatore con il fiato sospeso perché la verità, quella vera, non si palesa subito. Carla (Laetitia Casta) si presenta prima fragile e indifesa di fronte a un marito violento (Giordano De Piano), poi di fatto raccoglie tutto il coraggio per il suo personale atto di ribellione. Il figlio Nicola (Andrea Carpenzano), a lei molto legato sin da bambino, diventerà di fatto il capo di una famiglia sgretolata che dovrà a tutti i costi tenere unita. Le scene in tribunale, i vari flashback che si susseguono nei momenti più delicati rendono la storia stimolante e più che credibile. Come in tutti i gialli, ci saranno colpi di scena improvvisi che ribalteranno quello che si aspettava fosse un finale giusto. Una donna che in fondo si ribella ai maltrattamenti del suo ex per piangerne poi le conseguenze. Tema quindi attuale, quello della violenza sulle donne, che riempie quasi ogni giorno i notiziari nazionali. Un film quindi girato bene e con attori che sanno muoversi senza cadere in unitili forzature recitative. Nel cast anche Licia Maglietta, nel ruolo della sorella di Vito, aggressiva e spietata che vorrebbe che Carla passasse il resto della vita in carcere. Lo stesso vale per il Pubblico Ministero (Cristiana Dell’Anna) che la affronterà pesantemente durante tutte le fasi del processo. Un film intrigante che si lascia seguire con il dovuto interesse.

data di pubblicazione:15/05/2024


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IL MIO POSTO È QUI di Cristiano Bortone e Daniela Porto, 2024

IL MIO POSTO È QUI di Cristiano Bortone e Daniela Porto, 2024

Dopo aver vinto i Premi per la miglior regia e per la migliore attrice protagonista al Bif&st 2024, dal 9 maggio è nelle sale l’opera prima diretta e sceneggiata dalla coppia Bortone-Porto. Nata da genitori calabresi, Daniela Porto è anche autrice dell’omonimo romanzo costruito attorno ad un racconto della madre su un signore del suo paese, braccio destro del parroco e omosessuale, soprannominato“l’uomo dei matrimoni”.

 

Lorenzo, sagrestano della parrocchia, deve organizzare con una certa celerità il matrimonio di Marta, una ragazza-madre promessa in sposa ad un vedovo con prole molto più grande di lei. Siamo nell’entroterra calabrese dell’immediato dopoguerra. Marta, nonostante abbia frequentato solo sino alla seconda elementare, sa leggere e scrivere. Ha conosciuto l’amore del suo ragazzo non tornato dalla guerra e capisce che quel matrimonio combinato rappresenti la sua tomba, ma non ha la forza né i mezzi per opporsi alla decisione presa dai suoi genitori. A causa della sua giovane età non sa cogliere neanche i primi flebili segnali di un imminente cambiamento sociale. Sarà proprio “l’uomo dei matrimoni”, da tutti così chiamato e nel contempo deriso per la sua omosessualità, a farle prendere coscienza della sua condizione. Tornato da Milano al suo paese d’origine inseguendo l’amore, Lorenzo stringe una profonda amicizia con la giovane donna. Da quell’amicizia nasce in Marta la consapevolezza di quel dolore che si porta addosso, figlio della discriminazione, dell’ipocrisia e della maldicenza.

Il film, uscito nelle sale dopo il grande successo di C’è ancora domani, seppur parli anch’esso di amicizia ed emancipazione nell’Italia che fa accedere le donne alle urne, lo fa con profondo realismo e un linguaggio molto diretto. Una dura sfida ai pregiudizi, che diventa lotta per una vita senza umiliazioni e prevaricazioni. Nel film è evidente la fatica della protagonista nel procedere a piccoli passi verso la libertà, sottolineata anche da un abbigliamento povero e mortificante, oltre che da una vita già decisa e senza appello.

Ludovica Martino (Marta) è sorprendente: unica attrice romana in un cast interamente calabrese di primissimo livello, al suo primo ruolo da protagonista recita in un dialetto arcaico della ionica degli anni ‘40. Il film, girato a Gerace nella Locride, curato in ogni minimo dettaglio, ha sicuramente il merito di sottolineare che Lorenzo, interpretato da un intensissimo Marco Leonardi, seppur deriso e discriminato è comunque un uomo. E come tale può sopravvivere alle asperità di una vita fatta di solitudine perché più libero di tutte le donne dell’epoca, “prigioniere” solo in quanto donne, in un’Italia dimenticata che a volte purtroppo non sembra tanto lontana.

data di pubblicazione:14/05/2024


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LE FIGLIE DEL RE di Flavia Gallo

LE FIGLIE DEL RE di Flavia Gallo

regia di Flavia Gallo e Chiara Cavalieri, con Giovanna Cappuccio, Chiara Cavalieri e Giorgia Serrao, voci fuori campo di Betti Pedrazzi e Giancarlo Porcacchia

(Teatrosophia – Roma, 9/12 maggio 2024)

Trasposizione moderna della leggenda di Cordelia e delle sorelle Goneril e Regan davanti alla spartizione del regno lasciato loro in eredità dal padre ormai vecchio. Un’analisi veritiera dei complicati e a volte soffocanti processi che regolano le relazioni familiari (foto di Agnese Carinci)

Solitamente si associa la figura di un tavolo all’unione di una famiglia. Ma se si tratta di un tavolo da gioco anziché da pranzo e attorno vi sono sedute tre sorelle, allora la simbologia di una serena aggregazione si distorce. Se poi si aggiunge a questo l’immagine di un tirannico padre anziano che convoca le proprie figlie per spartire l’eredità, seduto dietro la scrivania dove si riunisce il Consiglio di amministrazione della sua azienda, ecco che il quadro si tinge di tinte ancora più fosche. La partita che si gioca premierà chi tra le figlie saprà quantificare meglio con le parole il suo amore per il capofamiglia.

Ha debuttato al Teatrosophia di Roma Le figlie del re, il nuovo spettacolo della scrittrice e regista Flavia Gallo, prodotto da ARS 29 insieme a Humanitas Mundi teatro. Un eccellente lavoro di drammaturgia contemporanea che sa tradurre dalla classicità un materiale umano modellato per essere uno specchio autentico delle nostre paure e frustrazioni. L’antica leggenda dell’anziano re Lear, da cui attinse ispirazione anche Shakespeare, rivive sulla scena attraverso i personaggi delle figlie che mantengono i mitici nomi di Cordelia, Regan e Goneril. I ruoli sono affidati rispettivamente a Giovanna Cappuccio, Giorgia Serrao e Chiara Cavalieri, quest’ultima alla sua prima prova come regista in rispettosa sinergia con l’autrice. Non sembra esistere infatti una gerarchia nell’invenzione registica e drammaturgica. La parola e l’azione si rigenerano in continuazione. Il racconto scenico segue la parola che a sua volta suggerisce immagini e situazioni.

La vicenda è raccontata come se fosse una favola nera, di cui ne traccia l’evolversi la voce fuori campo calda e rassicurante di Betti Pedrazzi. La situazione che vediamo coglie il momento tragico della reazione delle figlie al meccanismo del potere scatenato dal padre, che non compare mai in scena. Bloccate nell’anticamera in prossimità del suo studio, attendono che questo le convochi. La sua presenza è evocata solo nella voce, prestata dall’attore Giancarlo Porcacchia, che canta un vecchio brano italiano. Fisico semmai è il terrore che genera nel cuore e nel corpo delle figlie, che si traduce in rigidità e tic nervosi. Le due maggiori, Goneril e Regan, sembrano difendersi meglio da questa opprimente figura paterna. Goneril è la figlia compiacente, che sa calcolare e controllare ogni strategia. Regan invece è quella irrequieta e ribelle. L’unica che fatica a trovare un posto è la piccola Cordelia, che cerca di custodire la relazione e la memoria del genitore, sfidando la condanna che ne danno le sorelle più grandi. È il solo personaggio a mantenere una capacità lucida di giudizio e ad arrivare al perdono, anche se nell’economia dello spettacolo andrebbe sviluppato meglio nelle motivazioni, magari in una ripresa futura del testo che ha un potenziale eccellente nella scrittura poetica e nel tenere conto della realtà che viviamo.

data di pubblicazione:12/05/2024


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UNA GIORNATA FATALE del danzatore Gregorio Samsa

UNA GIORNATA FATALE del danzatore Gregorio Samsa

regia e drammaturgia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley con Lorenzo Gleijeses

(Teatro India – Roma, 8/19 maggio 2024)

In scena al teatro India Una giornata fatale del danzatore Gregorio Samsa regia e drammaturgia firmata da Eugenio Barba, accanto a Julia Varley e Lorenzo Gleijeses che ne è anche interprete. La scena racconta la vicenda di un danzatore prima del debutto che viene mandato a casa dal coreografo e vive una giornata in cui ripete i movimenti della partitura per perfezionarli, secondo una logica ossessiva e quasi maniacale (foto Rebecca Lena).

Nato dalla collaborazione tra il grande maestro di teatro Eugenio Barba e l’attore Lorenzo Gleijeses, Una giornata particolare del danzatore Gregorio Samsa è uno spettacolo in cui si intersecano tre diversi nuclei narrativi: alcuni elementi biografici di Franz Kafka, la vicenda del personaggio centrale de La metamorfosi, Gregorio Samsa, e quella di un immaginario danzatore omonimo. Samsa è convinto che, attraverso una ripetizione ossessiva delle sue partiture, sia possibile arrivare ad un altro livello di precisione tecnica e di qualità interpretativa ma, di contro, il suo perfezionismo lo proietta in un mondo in cui i confini tra reale e immaginario, teatro e quotidiano sono labili e interconnessi. Si scontrano, allora, le esigenze del mondo esterno e le sue profonde necessità personali.

Lo spettacolo mantiene tutti i principi teorici e artistici elaborati da Barba, ma anche una componente autobiografica e creativa del danzatore-attore napoletano. Lo spettacolo ha avuto una gestazione di circa dieci anni con varie sessioni di prove ed incontri con il pubblico. Da allora le repliche non si sono mai interrotte, lo spettacolo continua a crescere e a evolversi pur rimanendo fedele alla sua struttura originaria.

È stato Barba ad associare il lavoro coreografico alla figura del giovane che si trasforma in insetto, secondo una scrittura scenica che non parte dal testo, ma dall’esperienza e dall’intuizione. Un lavoro straordinario ed, inquietante, quello che Lorenzo Gleijeses fa su se stesso, all’interno di una cornice astratta, fatta di un angosciante quotidiano popolato di robot aspirapolvere e messaggi vocali disturbanti, di luci abbaglianti e oscurità, di corse verso soli e lune lontani.

data di pubblicazione:12/05/2024


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